Viene richiesto parere legale da parte di Sempronio in merito all’opportunità di impugnare la sentenza del Tribunale Penale di Taranto con la quale è stato dichiarato colpevole del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
In particolare, viene accertata la penale responsabilità di Sempronio con riferimento alla appropriazione personale del denaro ricevuto per la vendita di un camion e di alcuni macchinari appartenenti alla sua ditta individuale, prima che la stessa venisse dichiarata fallita con sentenza del Tribunale Civile di Taranto del 15 febbraio 2010.
Tale condanna veniva pronunciata nonostante al momento della vendita dei suddetti beni aziendali, Sempronio non avesse né previsto né voluto il fallimento dell’impresa, avendo posto in essere normali attività di gestione dei suoi beni.
Al fine di comprendere se la sentenza de qua possa essere riformata con riferimento all’assenza di dolo nella fase del fallimento, occorre preliminarmente affrontare l’annosa e dibattuta questione giuridica sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento quale elemento costitutivo del reato ovvero quale condizione obiettiva di punibilità ai sensi dell’art. 44 del codice penale.
In proposito, è doveroso ricordare come l’istituto delle condizioni obiettive di punibilità costituisca uno degli argomenti più controversi del nostro ordinamento penale a causa soprattutto del mancato chiarimento da parte del legislatore dell’ubi consistam delle stesse, limitandosi nell’art. 44 c.p. alla sola esplicazione del relativo regime di imputazione, secondo cui “quando, per la punibilità del reato la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”.
Nella ricerca di una collocazione delle condizioni obiettive di punibilità nella struttura del reato, si sono contrapposte tesi che le considerano elementi per l’integrazione del reato stesso e tesi che le considerano elementi estranei al reato.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria sono concordi nel ritenere che esse si debbano qualificare come elementi esterni al reato, al cui verificarsi il legislatore subordina la punibilità del fatto.
Cercando di individuare all’interno dell’art. 44 c.p. più indicazioni possibili circa la loro natura, si può certamente affermare che esse consistono in fatti futuri ed incerti, preventivamente tipizzati dalla legge penale.
L’espressione finale utilizzata nel suddetto articolo in merito alla non volontà dell’evento del reato (“non è da lui voluto”) lascia intendere che il legislatore abbia ritenuto come in presenza di una determinata condizione il nesso psichico non costituisce un requisito indispensabile ai fini della punibilità del fatto.
Ciò consente di punire il reo anche nell’ipotesi in cui, come nel caso della sentenza dichiarativa di
84
fallimento, l’evento consiste nel fatto di un terzo (il Tribunale).
Alla luce di quanto detto, al fine di determinare l’inquadramento della sentenza dichiarativa di fallimento nel reato di bancarotta fraudolenta è opportuno altresì analizzare la struttura di tale fattispecie criminosa.
Tra i reati commessi dal fallito inseriti nel capo I (art. 216 – 222) del titolo IV della legge Fallimentare, il reato di bancarotta rappresenta sicuramente la figura più frequente e rappresentativa.
Una rilevante distinzione nell’ambito dei reati di bancarotta è quella tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice. La prima, disciplinata dagli artt. 216 e 223 della Legge Fallimentare, è una fattispecie criminosa intenzionale caratterizzata dall’intento del soggetto agente di distrarre in maniera fraudolenta le somme e/o i beni dell’impresa, in danno dei suoi creditori.
Nella bancarotta semplice, invece, ciò che viene punito è l’atteggiamento incauto dell’imprenditore che ha portato al fallimento la sua impresa.
Sia i fatti di bancarotta semplice che di bancarotta fraudolenta possono essere commessi su beni o su libri o scritture contabili. Nei primi casi si parla di bancarotta patrimoniale, nell’ultima ipotesi si parla di bancarotta documentale.
Da ultimo è il caso di ricordare l’ulteriore distinzione tra bancarotta fraudolenta prefallimentare, posta in essere prima della dichiarazione di fallimento (art. 216, comma 1, Legge Fallimentare), e bancarotta postfallimentare, commessa dopo tale dichiarazione (art. 216 , comma 2, Legge Fallimentare).
L’elemento che accomuna tutte le ipotesi di bancarotta è costituito dalla dichiarazione di fallimento.
Ciò detto, per comprendere se la riferita assenza di dolo da parte di Sempronio in merito alla dichiarazione di fallimento possa rilevare ai fini della configurabilità o meno del reato di cui all’art.
216 comma 1, n. 1, della Legge Fallimentare, bisogna affrontare la dibattuta questione dell’inquadramento della sentenza dichiarativa di fallimento.
In proposito l’orientamento di gran lunga prevalente nella giurisprudenza di legittimità è quello secondo cui essa rientri tra gli elementi integranti la fattispecie del reato di bancarotta prefallimentare.
All’interno di tale orientamento, si sono sviluppati due filoni giurisprudenziali per cui, da un lato, la sentenza dichiarativa di fallimento viene qualificata come evento del reato con la conseguenza che essa debba porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e debba essere altresì sorretta dall’elemento soggettivo del dolo (Cass. Pen., sez. V, 6.12.2012, n. 47502), dall’altro lato, viene inquadrata come elemento costitutivo “improprio”, dal momento che non debba essere necessariamente collegata da nesso causale e psicologico alla condotta dell’agente (Cass. Pen., sez. V, 31.10.2016, n. 36088).
Da ultimo, si deve rendere noto come in una recente sentenza di legittimità, la Corte di Cassazione
85
abbia ritenuto che “in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l’area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento” (Cass. Pen., sez. V, 22.03.2017, n. 13910).
In virtù di quanto riportato e nonostante l’ultimo cambio di rotta della Suprema Corte, non vi è chi non veda come, aderendo alla tesi maggioritaria che qualifica la sentenza dichiarativa di fallimento come evento del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare, si potrà impugnare la sentenza di condanna emessa nei confronti di Sempronio, rilevando l’assenza dell’elemento soggettivo del dolo con riferimento al fallimento della sua azienda.
Ininfluente risulta, invece, la chiarita distinzione nell’inquadramento della sentenza dichiarativa di fallimento ai fini dell’eventuale prescrizione del reato: sia nel caso che si consideri evento sia che la si interpreti come condizione obiettiva di punibilità, il termine di prescrizione di dodici anni e mezzo inizia a decorrere dalla sua pronuncia, avvenuta in data 15 febbraio 2010.
In conclusione, si consiglia a Sempronio di procedere con l’appello avverso la suddetta sentenza penale di condanna.
86 TRACCIA PARERE N. 20
Mevio, legale rappresentante della società Beta Srl, proprietaria di una conceria sita nella provincia di Pisa, per non pagare gli elevati costi di smaltimento dei liquami industriali derivanti dal trattamento delle pelli, nel corso del 2014 decideva di sversarli illegalmente nel torrente adiacente allo stabilimento.
Nel 2017, nell’ambito di controlli disposti dall’ARPA Toscana sulla qualità delle acque regionali, veniva accertata la contaminazione irreversibile delle acque di tutta la zona nel raggio di 50 km dallo stabilimento della Beta Srl e venivano disposti accertamenti che riconducevano l’esteso disastro alla condotta della società.
A seguito di processo penale, Mevio in data 10 ottobre 2018 veniva condannato dal Tribunale di Pisa per il reato previsto e punito dall’art. 452 quater, comma 1 n. 3) c.p..
Mevio si rivolge al vostro studio legale, rappresentandovi che le uniche condotte di sversamento poste in essere dalla sua società erano circoscritte all’anno 2014, dal momento che a partire dal 2015 aveva affidato il trattamento dei liquami ad una ditta specializzata.
Il candidato, assunte le vesti di legale di Mevio, rediga parere legale motivato sulla vicenda.
87