• Non ci sono risultati.

SOLUZIONE PARERE 9: RAPPORTI TRA IL REATO DI CONCUSSIONE ED INDUZIONE INDEBITA E LA CONFIGURABILITA’ DEL TENTATIVO

Nel documento MODELLI DI PARERE DIRITTO PENALE (pagine 39-43)

Viene richiesto parere legale da parte di Tizio in merito alle possibili strategie difensive da sostenere in giudizio per fronteggiare l’imputazione ex art. 317 c.p. conseguente alla indebita richiesta di denaro fatta, nella sua qualità di pubblico ufficiale, al commerciante Mevio per evitargli l’elevazione di una contravvenzione.

In particolare, veniva contestato a Tizio, funzionario di Polizia Municipale del Comune Alfa, di aver suggerito a Mevio di consegnargli la somma di 1.500 Euro, in modo da evitare l’elevazione della più gravosa contravvenzione di 3.000 Euro per abusiva occupazione del suolo pubblico e

“stare tranquillo per circa un anno”.

Al concordato appuntamento per la consegna della suddetta somma, Mevio però gli consegnava l’equivalente di 1.500 euro in banconote facsimile e provocava l’intervento dei Carabinieri che, su immediata segnalazione del commerciante, avevano monitorato l’intera operazione per incastrare il funzionario.

Le principali questioni giuridiche da affrontare per fornire un’adeguata risposta alla richiesta di parere attengono alla possibile configurabilità, al posto del contestato delitto di concussione, del meno grave reato di induzione indebita ex art. 319 quater c.p. e al suo sviluppo in termini di reato tentato e non consumato.

Come noto, infatti, il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno

“contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.

Esso si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319-quater c.p. introdotto dalla medesima legge n. 190, la cui condotta si configura invece come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con valore condizionante più tenue della libertà di autodeterminazione del destinatario.

In quest’ultimo caso l’indotto, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sul punto si veda Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 - dep. 14/03/2014, Maldera, Rv. 258470).

Il discrimen fra le due fattispecie incriminatrici poggia dunque su due distinti aspetti: per un verso, sulla diversa intensità della pressione condizionante dispiegata dall'agente; per altro verso, sull'esistenza o meno di un vantaggio illegittimo della vittima.

Si deve pertanto ritenere che la minaccia di un danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata a

40

farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integri il delitto di concussione e non quello di induzione indebita allorquando, per un verso, l'intimidazione sia connotata da un'intensità tale da incidere pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del destinatario e da trasmodare dunque in una vera e propria costrizione; per altro verso, non sia ravvisabile un vantaggio indebito in capo alla persona offesa o comunque esso resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato.

Analizzando il caso di specie, alla luce delle evidenziate (e oramai costanti) coordinate ermeneutiche, si deve rilevare innanzitutto come sia incontestabile che la richiesta di denaro formulata da Tizio fosse certamente ingiusta (là dove egli chiedeva l'esborso della somma non dovuta di 1.500 Euro per non porre in essere un atto d'ufficio, id est per non elevare la contravvenzione) e nondimeno fosse tale - qualora accolta - da realizzare un indebito vantaggio alla persona offesa, esercente un'attività di somministrazione di bevande al pubblico con dehor, esposta quotidianamente a controlli e possibili sanzioni per l'occupazione del suolo pubblico.

Sotto diverso aspetto, occorre considerare come la minaccia profferita dal Tizio nel prospettare un male “contra ius”, seppure idonea ad esercitare una pressione morale sulla vittima, non fosse comunque connotata da una carica intimidatoria così intensa da annientare totalmente la libertà di autodeterminazione della vittima e da non lasciarle alcun significativo margine di scelta, ma si sia mantenuta entro i confini della convinzione, della persuasione, sia pure abusiva.

Tali elementi in fatto dimostrano l’evidente erroneità di inquadramento della condotta di Tizio nel reato di concussione ex art. 317 c.p., essendovi al contrario tutti i presupposti per sussumerla eventualmente sotto la meno grave fattispecie di induzione indebita ex art. 319 quater c.p..

A ben vedere, però, nella fattispecie concreta non si rinviene neppure l'evento tipico della fattispecie di cui all'art. 319-quater c.p. in alcuna delle forme alternative della "promessa" e della

"dazione" indicate dalla norma.

Difatti, non è revocabile in dubbio che nella specie la promessa effettuata da Mevio sia assolutamente fittizia, essendo al contrario necessario, affinché il delitto si consumi, che la promessa sia "valida" ed effettiva.

Validità che non può ritenersi provata in termini di certezza nella specie, là dove Mevio, avendo deciso di coinvolgere le forze dell’ordine, simulava di accettare la proposta, concordando con il ricorrente la consegna delle banconote, poi avvenuta mediante la dazione dei facsimile sotto il diretto monitoraggio degli inquirenti.

In altri termini, nel momento in cui accettava la proposta di Tizio, Mevio fingeva soltanto di impegnarsi a consegnare il denaro richiesto, rivolgendosi subito dopo agli inquirenti. La descritta dissimulazione impedisce appunto di conferire validità alla promessa e impone di ritenere arrestatasi la condotta sulla soglia del tentativo.

Tanto premesso, bisogna valutare in maniera approfondita la compatibilità del reato di induzione indebita con il tentativo.

41

In proposito occorre considerare come il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p. non integra un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicchè il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l'evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente.

Ed invero, il tentativo di induzione indebita prevista dagli artt. 56 e 319-quater c.p., non implica la necessità dell'ulteriore requisito costituito dal perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei privati, là dove detto requisito giustifica - in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza - la punibilità dell'indotto che abbia dato o promesso l'utilità al pubblico ufficiale.

Nondimeno, detto elemento è necessario solo nell'ipotesi della consumazione del reato di cui all'art. 319-quater c.p., e non anche in quella del tentativo atteso che, qualora il privato - come nel caso in esame - non dia o non prometta denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle illecite richieste di quest'ultimo, viene meno la ratio posta a base del requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte del privato.

Così come evidenziato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, dunque, “nel caso in cui il privato resista alla condotta abusiva del pubblico ufficiale e si rivolga alle forze dell'ordine prima di porre validamente in essere una delle due condotte tipiche (promessa o dazione), è integrato il tentativo di induzione indebita, a prescindere dal perseguimento/conseguimento di un ingiusto vantaggio da parte dell'indotto” (Cassazione penale, sez. VI, 29/05/2018, n. 37589).

In virtù di quanto detto, ci sono tutti i presupposti per sostenere in giudizio la riqualificazione ai sensi degli artt. 56 e 319 quater c.p. dei fatti addebitati a Tizio a titolo di concussione.

42 TRACCIA PARERE N. 10

Caio, operaio metalmeccanico con un bassissimo livello di istruzione, durante un controllo medico disposto dall’azienda per cui lavorava, scopriva di aver contratto il virus dell’HIV a causa dei rapporti non protetti che era solito avere con delle prostitute.

Dopo un lungo ricovero in ospedale, al momento delle dimissioni gli veniva prescritta una cura che attenuasse gli sviluppi cronici della malattia e gli venivano fornite tutte le informazioni relative alle modalità di trasmissione del virus.

Dal momento che aveva avuto negli anni rapporti sessuali non protetti anche con la moglie Mevia, per protocollo medico la donna veniva sottoposta al test, il quale dava però fortunatamente esito negativo.

Tale circostanza e la sottoposizione al trattamento farmacologico, che aveva migliorato notevolmente il suo stato di salute, faceva maturare in Caio la convinzione di non correre più alcun rischio di trasmettere la malattia.

In virtù di questa convinzione, quando, qualche anno dopo, conosceva Tizia e se ne innamorava perdutamente, non si preoccupava minimamente nè di informarla in merito alla sua malattia nè del rischio di trasmettergliela con rapporti sessuali non protetti, che aveva iniziato ad intrattenere abitualmente anche con lei.

Dopo aver divorziato dalla moglie Mevia, Caio progettava con Tizia la costruzione di una nuova famiglia. Durante una visita effettuata da Tizia in vista di una futura gravidanza, la donna scopriva però di aver contratto il virus dell’HIV e che lo stesso gli era stato trasmesso proprio dal compagno Caio.

Profondamente spaventata e amareggiata per il comportamento di Caio, Tizia decideva di denunciarlo alle autorità competenti.

Caio, preoccupato per le conseguenze penali della propria condotta, si rivolge al vostro studio legale al fine di ottenere parere motivato sulla vicenda.

Il candidato, premessi brevi cenni sull’elemento soggettivo del reato, rediga il richiesto parere.

43

SOLUZIONE PARERE 10: DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE NEI CASI DI

Nel documento MODELLI DI PARERE DIRITTO PENALE (pagine 39-43)

Outline

Documenti correlati