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SOLUZIONE PARERE 6: TENTATA RAPINA IMPROPRIA

Nel documento MODELLI DI PARERE DIRITTO PENALE (pagine 30-33)

Viene richiesto parere legale da parte di Tizio in merito ai reati ravvisabili nella condotta di seguito descritta.

Egli, dopo aver forzato la porta di un garage, si è introdotto al suo interno e si è messo al volante dell'auto ivi custodita. Percorsi pochi metri, accortosi dell'arrivo della polizia, scendeva dall'auto e si dava alla fuga, spingendo l'agente di polizia che aveva cercato di bloccarlo, causandogli la frattura del polso.

La prima questione giuridica da affrontare è quella della riconducibilità di dette condotte sotto l'unica fattispecie di "tentata rapina impropria" ovvero sotto le due diverse fattispecie, in concorso tra loro, di tentato furto e dell'ulteriore reato di violenza.

Sul problema bisogna dar conto, sin da subito, dell'esistenza di un acceso contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità, composto dall'intervento delle Sezioni Unite con sentenza n. 34952 del 2012.

In particolare, secondo l'orientamento maggioritario espresso in più occasioni dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione ed avallato dalle Sezioni Unite, la condotta di colui il quale, subito dopo il compimento di atti esecutivi diretti alla sottrazione del bene, arrestatisi "in itinere” per causa estranea alla sua volontà, abbia usato minaccia o violenza alla persona per assicurarsi l'impunità, rientra nella fattispecie di tentativo di rapina impropria, ai sensi degli articoli 56 e 628, secondo comma, codice penale.

In virtù dell'articolo 628, secondo comma, c. p., infatti, soggiace alla pena prevista per la rapina

"chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione (…) per procurare a sé o ad altri l'impunità".

Quanto alla locuzione "immediatamente dopo la sottrazione" bisogna precisare che essa comporta la verifica dell'esistenza non solo di un nesso cronologico, ma anche psicologico tra la condotta di sottrazione e quella di violenza. È necessario, in altre parole, che il rapporto di immediatezza sia collegato finalisticamente con l'intenzione del reo di perseguire gli scopi previsti dal dispostodell'articolo 628, comma 2, c.p..

Nel caso di specie, vista la contestualità delle due azioni e il chiaro intento di usare la violenza per garantirsi l'impunità in presenza della polizia, non sembrerebbero esserci dubbi sulla sussumibilità del fatto sotto il reato di rapina impropria.

Resta, però, da verificare la presenza dell'ulteriore elemento della sottrazione del bene, che evidentemente, nel caso in esame, non si è perfezionata, essendo Tizio sceso dall'auto quando questa era per metà ancora nel garage.

In questo caso, dunque, si può parlare solo di tentativo di rapina impropria e non di rapina impropria consumata, avendo l’agente tentato di sottrarre la cosa altrui ma non essendoci realmente riuscito.

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Proprio sul mancato verificarsi dell'elemento della sottrazione si fonda, altresì, il diverso orientamento della Cassazione che ritiene configurabile in ipotesi di tale specie il reato di tentato furto in concorso con un diverso reato di violenza. Secondo questo filone giurisprudenziale, infatti,

«la configurabilità della rapina impropria, alla stregua del testuale tenore della norma incriminatrice, presuppone inderogabilmente l'avvenuta sottrazione della cosa. Mancando, quindi, tale presupposto - come si verifica nel caso in cui l'agente, sorpreso prima di aver effettuato la sottrazione, usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o di procurarsi l’impunità - il fatto non può essere qualificato come tentativo di rapina impropria dandosi luogo invece alla configurabilità, oltre che del tentato furto, anche dell'altro autonomo reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia» (Cass, sez. VI, 16 giugno 2009, n. 25100).

Quanto, appunto, alla condotta di Tizio di violenza nei confronti del poliziotto, essa è sussumibile nella fattispecie di "resistenza a pubblico ufficiale" di cui all'articolo 337 c.p., suscettibile di concorrere tanto con il reato di furto quanto con quello di rapina impropria. Proprio con riferimento a quest'ultima eventualità la Cassazione ha precisato che il delitto di violenza può concorrere con quello di rapina impropria, giacché la violenza, pur essendo elemento costitutivo di entrambi i reati, quando venga esercitata nei confronti di un pubblico ufficiale, viola anche un interesse giuridico diverso, consistente nel normale funzionamento e nel prestigio della pubblica amministrazione.

Inoltre, la circostanza che egli abbia colpito l’agente di polizia causandogli delle lesioni fa sì che si configuri l'ulteriore reato di lesioni, ai sensi dell'articolo 582 c.p.

Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che "quando la violenza esercitata nei confronti di un pubblico ufficiale, al fine di opporglisi mentre compie un atto dell'ufficio, eccede il fatto di percosse e involontariamente provoca lesioni personali in danno dell'interessato, si determina un concorso tra il delitto di resistenza e quello di lesioni e per quest'ultimo sussiste l'aggravante della connessione teleologica di cui all'articolo 61, n. 2 , c.p.” (Cass., sez. VI, 20 gennaio 2004, n. 1272).

Alla luce di quanto detto, ritenendo lo scrivente di aderire alla tesi minoritaria della giurisprudenza che propende per la configurabilità del reato di tentato furto in abitazione (56 e 624 bis c.p.), Tizio risponderà oltre che di questo reato, anche dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate ai sensi dell'articolo 61 numero due c.p., tutti reati uniti dal vincolo della continuazione.

Nell'ipotesi in cui, però, l'organo giudicante aderisse alla tesi maggioritaria, egli risponderebbe del più grave reato di tentata rapina impropria, aggravata ai sensi del comma 3 bis dell’art. 628 c.p., e degli ulteriori reati di cui agli artt. 337 c.p., 582 c.p..

32 TRACCIA PARERE N. 7

Mevio, tossicodipendente da molti anni, a seguito di una rapina presso un supermercato, veniva arrestato e posto agli arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori.

Dopo qualche giorno dall’arresto, avendo esaurito le scorte di droga nella sua disponibilità e non potendo uscire per procurarsene di ulteriore, iniziava a temere una possibile crisi di astinenza.

Sebbene la madre, compresa la situazione del figlio, si fosse immediatamente attivata presso la competente ASL per ottenere il riconoscimento della tossicodipendenza di Mevio ed il suo diritto a ricevere il metadone, al suo ritorno a casa non lo trovava nell’abitazione.

Mevio, in realtà, in preda all’ansia, all’astinenza e alla paura di morire a causa di una crisi violenta (come accaduto per un suo amico), era uscito alla ricerca del metadone.

Riconosciuto per strada dalla locale pattuglia dei Carabinieri, veniva nuovamente arrestato.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Mevio, premessi brevi cenni sugli istituti sottesi, rediga parere motivato pro veritate sula vicenda e sulle possibili conseguenze penali della condotta tenuta dall’uomo.

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SOLUZIONE PARERE 7: REATO DI EVASIONE, STATO DI NECESSITÀ E

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