Viene richiesto motivato parere da parte di Caio ai fini di valutare le conseguenze penali della sua condotta.
In particolare, Caio, in accordo con Tizio, direttore di un ufficio postale, inscenava una rapina presso una filiale di quest’ultimo. Indossando un passamontagna ed impugnando una pistola giocattolo faceva ingresso nell’ufficio postale dove incontrava il solo Tizio, intrattenutosi per sbrigare del lavoro arretrato, dal quale, dopo avergli puntato la pistola davanti alle telecamere, si faceva consegnare 180.000 Euro. Successivamente Tizio informava le forze dell’ordine dell’accaduto e, dopo qualche giorno, si faceva consegnare da Caio una parte della somma di denaro sottratta alla filiale, ma veniva trovato in possesso della stessa dalle forze dell’ordine, alle quali confessava tutto.
La questione in esame richiede di analizzare le conseguenze di una simulazione del reato di rapina in danno della filiale postale, realizzato in accordo con un dipendente dell’ufficio stesso. Il reato di simulazione di reato di cui all’art. 367 c.p. è un reato di pericolo il che significa che risulta integrato allorché la falsa denuncia di reato determini l’astratta possibilità di un’attività degli organi inquirenti diretta al suo accertamento. Il termine “denunzia” usato nell’art. 367 c.p. deve essere inteso in senso ampio e non tecnico, come espressione indicativa di qualunque informazione concernente fatti delittuosi, rivolta all’autorità giudiziaria o ad altra autorità che abbia l’obbligo di riferire a quella.
Ai fini della configurabilità non è neppure necessario che l’autorità sia rimasta in concreto ingannata né che un procedimento penale sia stato realmente iniziato, essendo sufficiente che si sia verificato un pericolo di sviamento delle indagini. La simulazione di reato ha natura di reato istantaneo che si consuma con la semplice denuncia idonea a provocare investigazioni ed accertamenti della polizia giudiziaria.
Invero, nel caso de quo, nel momento in cui Tizio ha informato falsamente le forze dell’ordine dell’avvenimento di un reato, ha indotto queste ultime ad eseguire degli accertamenti sul fatto segnalato, in quanto la notitia criminis era in concreto idonea a rendere non del tutto inverosimile il reato da entrambi simulato.
La configurabilità di tale reato, nel caso de quo, non incontra ostacoli neppure in quell’orientamento giurisprudenziale che nega tale configurabilità allorché il reato falsamente denunciato sia perseguibile a querela e questa non sia stata presentata. Il reato di rapina, falsamente affermato, è perseguibile di ufficio. E neppure la confessione di Tizio, anche laddove venga valutata alla stregua della trattazione della falsa denuncia, andrebbe ad escludere la sussistenza del reato di cui all’art. 367 c.p..
Difatti, la ritrattazione dell’originaria mendace denuncia non produce effetti sulla punibilità, salvo
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che intervenga contestualmente alla denuncia simulatoria: occorre che avvenga continenter e cioè subito dopo la falsa denuncia, dato che se le indagini sono già avviate la resipiscenza del simulatore di reato interviene comunque tardivamente, in quanto il turbamento all’amministrazione della giustizia si è già realizzato.
Infine, a nulla rileva il motivo per il quale i soggetti delinquono, poiché sussiste un costante pericolo del normale funzionamento dell’amministrazione della giustizia (Cass. Sez. VI n.
5786/00).
Non parrebbe scusare nel caso de quo la circostanza che Caio sia stato indotto ad inscenare la rapina a causa delle difficoltà economiche dell’amico Tizio.
Orbene, analizzato il reato di simulazione di reato, occorre ora inquadrare la condotta di Caio inerente alla sottrazione e l’impossessamento del denaro comunque avvenuta.
Tali analisi richiede necessariamente l’individuazione della qualifica giuridica riconoscibile a Tizio, in quanto il nostro ordinamento giuridico contempla conseguenze giuridiche diverse a seconda che l’impossessamento di denaro appartenente ad un ente pubblico o privatizzato venga posto in essere da un comune soggetto o da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Si delinea all’uopo la distinzione tra reati comuni e reati propri. I primi possono essere commessi indifferentemente da qualunque soggetto, mentre i secondi sono riferiti a specifiche persone che rivestono una determinata qualifica (es. pubblico ufficiale).
Orbene, al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p. è necessario verificare se essa sia o no disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, non rilevando invece la forma giuridica dell’ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico, né lo svolgimento della sua attività in regime di monopolio e né tantomeno il rapporto di lavoro subordinato con l’organismo datore di lavoro, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore.
Ai fini della qualifica di pubblico ufficiale occorre avere riguardo non tanto al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la Pubblica amministrazione, ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto ed oggettivamente considerata (Cass. Sez. V n. 46310/08).
La trasformazione degli enti pubblici in Società per Azioni e la successiva alienazione a privati di azioni della società non comportano di per sè il venir meno della qualifica di pubblico ufficiale, dato che l’ente rimane comunque disciplinato da una normativa pubblicistica e persegue finalità pubbliche, anche se con gli strumenti privatistici della s.p.a. con la conseguenza che la valutazione della qualifica spettante al dipendente deve essere fatta in concreto.
Il direttore dell’ufficio postale riveste la qualifica di pubblico ufficiale, in considerazione dei suoi poteri certificativi e della natura pubblicistica dei servizi postali, anche dopo la trasformazione della Amministrazione postale nella forma di s.p.a. (Cass. Sez. V n. 3282/09).
Fatte queste premesse, si evidenzia come essendo Tizio un pubblico ufficiale ne consegue che la sua condotta debba essere inquadrata nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 314 c.p.. Per la
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configurabilità del delitto di peculato è sufficiente che il possesso o la disposizione del denaro o della cosa mobile si verifichino per ragioni d’ufficio. La ragione d’ufficio va intesa in senso lato, come occasione che metta il pubblico ufficiale in rapporto con la cosa.
Si tratta di un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui l’agente si appropria del denaro per ragioni di ufficio. È un reato proprio che può essere commesso soltanto da quei soggetti titolari della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
L’integrazione da parte di Tizio di un reato proprio, però, non esclude la responsabilità di Caio per la medesima fattispecie, pur essendo un soggetto comune. Invero, ormai si concorda nel senso che il reato proprio possa essere realizzato in concorso con l’extraneus. Nel caso de quo, l’extraneus è Caio, esecutore materiale del reato simulato, il quale concorre con Tizio, pubblico ufficiale. Ciò è sufficiente a far mutare il titolo di reato, in virtù dell’art. 117 c.p..
Inoltre, nei reati propri non esclusivi, come appunto il peculato, c’è una deroga ai principi generali riguardanti il dolo. Invero, in virtù di questi ultimi, qualora l’extraneus non fosse a conoscenza, al momento della consumazione del reato, della qualifica rivestita dall’altro, risponderebbe del reato comune. Pertanto, Caio dovrebbe rispondere di furto aggravato e Tizio di peculato.
Ma, come detto, l’art. 117 c.p. rappresenta appunto una deroga a tali principi. Si tratta, infatti, di una disposizione che disciplina ipotesi di concorso di persone in reati che richiedono una qualifica speciale da parte del soggetto attivo del reato. Prevede, difatti, che l’extraneus risponda del titolo diverso anche qualora non sia a conoscenza della qualifica ricoperta.
Resta fermo che l’ipotesi prevista dall’art. 117 c.p. presuppone la verifica che la condotta messa in atto dall’extraneus costituirebbe comunque reato anche in mancanza della qualifica di pubblico ufficiale.
Alla luce di tali considerazioni si ritiene che Caio rischi l’imputazione sia per il reato di simulazione che per il reato di peculato, in concorso ex art. 110 c.p. con Tizio per entrambe le fattispecie criminose.
73 TRACCIA PARERE N. 17
Tizio, da sempre appassionato ed esperto di elettronica e di informatica, non avendo i soldi per acquistare un’automobile, decideva di mettere in atto un’attività di phishing, consistente nell’inviare una email con il logo contraffatto di un istituto di credito o di una società di commercio elettronico, in cui si invitava il destinatario a fornire dati riservati quali numero di carta di credito, password di accesso al servizio di home banking, motivando tale richiesta con ragioni di ordine tecnico. Una volta ottenute le suddette credenziali poteva entrare nei conti dei clienti dell’istituto di credito ed effettuare il trasferimento su un terzo conto delle somme presenti. Per tale ultima fase, Tizio chiedeva l’aiuto del suo amico Caio, il quale, allettato dalla prospettiva di guadagnare il 30% delle somme, decideva di mettere a disposizione il proprio conto corrente e di provvedere, una volta arrivate le somme, a prelevarle in contanti e/o a trasferirle su altri conti correnti, appositamente aperti, o su carte di credito prepagate.
Grazie al descritto sistema, in pochi giorni, Tizio sottraeva circa 100.000,00 Euro da svariati conti e Caio provvedeva a compiere le concordate operazioni al fine di farne perdere le tracce.
A seguito di moltissime denunce, la Polizia postale riusciva a risalire alle azioni di Tizio e Caio e nei loro confronti si avviava un procedimento penale.
Preoccupati dalle conseguenze penali della propria condotta, Tizio e Caio si rivolgono al vostro studio legale al fine di ottenere parere motivato sulla vicenda.
Il candidato rediga il richiesto parere.
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SOLUZIONE PARERE 17: PHISHING, FRODE INFORMATICA E ACCESSO ABUSIVO