Viene richiesto parere legale da parte di Tizio in merito alla contestazione mossagli da parte della Procura della Repubblica dei reati di cui agli artt. 81 comma 2, 493-ter e 648 ter-1 c.p..
In particolare, tale imputazione si riferisce alla condotta di Tizio che, impossessatosi di un portafoglio trovato casualmente in un autobus, aveva successivamente utilizzato la carta bancomat rinvenuta al suo interno per effettuare diversi prelievi di denaro presso uno sportello automatico, per la somma complessiva di euro 5.000,00.
Tale denaro veniva in parte speso per l’acquisto di abiti costosi per sè stesso ed in parte veniva versato su una carta prepagata a lui intestata.
Le principali questioni giuridiche da affrontare per fornire una soluzione alla richiesta di parere attengono alla corretta interpretazione della clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648ter.1 c.p. e alla eventuale capacità “dissimulatoria” delle condotte poste in essere dall’agente.
A tal proposito si deve innanzitutto ricordare come la fattispecie di autoriciclaggio, di cui all’art.
648ter.1 c.p., introdotta dalla L. 186/2014, sia inquadrabile come reato proprio o “a soggettività ristretta”, in quanto il soggetto attivo può essere solo chi ha posto in essere anche il delitto non colposo presupposto, dal quale derivino il denaro, i beni e le altre utilità successivamente reimpiegate per dissimularne la provenienza illecita.
Dal punto di vista dell’elemento oggettivo, vengono in rilievo, da un lato, le condotte di reimpiego del provento illecito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative e, dall’altro lato, la concreta idoneità delle stesse a dissimulare la provenienza illecita del denaro, beni o altra utilità.
In considerazione di ciò, è evidente che, per qualificare una condotta come autoriciclaggio, bisogna anzitutto chiarire cosa debba intendersi per “attività economiche o finanziarie”.
Al riguardo, difettando l’art. 648 ter.1 c.p. di precise indicazioni, la definizione di attività economica deve necessariamente essere ricercata nell’art. 2082 c.c. che qualifica l’imprenditore come colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “la nozione di attività economica o finanziaria rilevante ai fini dell'impiego del profitto del reato presupposto, presa in considerazione dalla norma incriminatrice dell'autoriciclaggio, è desumibile dagli articoli 2082,2135 e 2195 del codice civile e fa riferimento non solo all'attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché a ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del cc.” (Cassazione penale sez. II, 05/07/2018, n.38422).
Quanto, invece, alla nozione di attività finanziaria la Cassazione ha chiarito che “la nozione di
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attività finanziaria di rilievo per la punibilità ai sensi della citata norma di cui all'art. 648 c.p., comma 1 ter, può ricavarsi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 106), che individua quali tipiche attività finanziarie l'assunzione di partecipazioni (acquisizione e gestione di titoli su capitale di imprese), la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, la prestazione di servizi di pagamento (incasso e trasferimento di fondi, esecuzione di ordini di pagamento, emissione di carte di credito o debito) l'attività di cambiovalute” (Cassazione penale sez. II, 14/07/2016, n.33074).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, è evidente come la condotta di Tizio di mero versamento di una somma su una carta prepagata (peraltro personale) non risulti inquadrabile né nella fattispecie di impiego in attività economica né in quella di impiego in attività finanziaria.
Posto ciò, occorre interrogarsi sull’ulteriore requisito richiesto dal primo comma dell’art. 648 ter.1, secondo cui la condotta è penalmente rilevante se essa sia stata effettuata “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della condotta delittuosa”.
Anche sotto questo punto di vista, essendo la carta prepagata intestata allo stesso Tizio, non si ritiene possa rinvenirsi una concreta attività dissimulatoria nella condotta contestata.
In un caso simile a quello di specie, la Suprema Corte statuito che “Il legislatore richiede pertanto che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a fare ritenere che l'autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, ipotesi questa non ravvisabile nel versamento di una somma in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito” (Cassazione penale sez. II, 14/07/2016, n.33074).
Esclusa, dunque, la sussumibilità sotto la fattispecie di autoriciclaggio della condotta di Tizio di versamento del denaro sulla carta prepagata a lui intestata, resta da valutare l’ulteriore condotta messa in atto dallo stesso, consistente nell’acquisto di abiti costosi con il denaro prelevato.
In proposito, meritano approfondimento i dubbi ermeneutici sorti con riferimento alla effettiva portata della clausola di esclusione della punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648ter.1 c.p.
per cui “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.”
In particolare, oggetto di dibattito è stato l’inciso “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti”, in merito al quale si sono sviluppate due contrapposte posizioni interpretative:
- quella per cui il quarto comma si limiterebbe ad escludere che il primo comma possa ricomprendere, tra le attività di reimpiego qualificato, anche l’uso e il godimento personale dei proventi delittuosi;
- quella opposta, secondo cui la clausola abbraccerebbe tutte quelle condotte che rientrano in quelle descritte al primo comma, ma abbiano come risultato finale quello della mera utilizzazione o godimento personale dei proventi del reato presupposto.
A dirimere tale contrasto si è di recente pronunciata la Suprema Corte la quale, aderendo alla prima
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tesi restrittiva, ha affermato che “La causa di non punibilità prevista nel comma 4 dell'art. 648-ter.1 c.p. (“fuori dei casi di cui ai commi precedenti”), va intesa e interpretata nel senso fatto palese del significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l'agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta a ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa” (Cassazione penale sez. II, 07/06/2018, n.30399).
Sempre secondo la Cassazione, infatti, il comma 4, infatti, a differenza del comma 1, prevede la
"destinazione" alla "mera utilizzazione o al godimento personale".
Tale complessa locuzione sottintende:
a) un uso diretto - da parte dell'agente - dei beni provento del delitto presupposto: ciò può agevolmente desumersi dall'aggettivazione ("mera": rectius: semplice; "personale") dei due sostantivi ("utilizzazione"; "godimento") che non lascia spazio ad alternative. Di conseguenza, non rientra nella fattispecie in esame una condotta a seguito della quale l'agente utilizzi i beni in modo indiretto, come, ad esempio, il godimento personale di un bene provento del delitto presupposto che, anzichè essere goduto o utilizzato personalmente (quindi, direttamente), sia stato, prima di essere utilizzato, sottoposto ad operazioni di riciclaggio che ne abbiano concretamente ostacolato l'identificazione della provenienza delittuosa;
b) l'assenza di qualsiasi attività concretamente ostacolativi dell'identificazione della provenienza delittuosa del bene. A tale conclusione si perviene, innanzitutto, sulla base del testo legislativo: se l'agente - per non essere punibile - deve limitarsi a "destinare" direttamente i beni provento del delitto presupposto a sue esigenze "personali", ne consegue che tale condotta, conseguente a quella del delitto presupposto, non può e non dev'essere caratterizzata da comportamenti decettivi proprio perchè l'agente non avrebbe alcuna necessità "giuridica" di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene che utilizza.
In virtù del fatto che Tizio abbia acquistato dei capi di abbigliamento per uso personale, utilizzando le somme illecite senza preventive operazioni di dissimulazione della provenienza delittuosa delle stesse, egli dovrà andare esente da responsabilità penale anche per tale ulteriore condotta in considerazione dell’art. 648ter.1 , comma 4, c.p..
Alla stessa conclusione di non colpevolezza, invece, non si potrà pervenire con riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 493 ter, comma 1c.p., costruita dal legislatore in chiave di pericolosità, prescindendo dal conseguimento di un vantaggio economico per il reo e dal pregiudizio per la vittima. Il conseguimento del profitto rileverà ai fini della dosimetria della pena ai sensi dell’art. 133 c.p..
Nel caso di specie risultano integrati tutti gli elementi oggettivi e soggettivi previsti dalla norma.
Alla luce di quanto detto, si potrà rinvenire nelle condotte di Tizio la sola ipotesi di reato di indebito
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utilizzo di carte di pagamento, di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 493 ter c.p. (anche nella forma della continuazione di cui all’art. 81 comma 2 c.p.), mentre l’analisi dell’art. 648ter.1 ci conduce a non ritenere sussistente il reato di autoriciclaggio.
117 TRACCIA PARERE N. 26
Nell’affollata piazza del Comune Beta (in provincia di Roma), dinanzi ad un famoso locale, il ragazzo Mevio si lasciava andare ad apprezzamenti coloriti nei confronti di Caia, la quale rispondeva piccata all’uomo, innescando così un alterco verbale. Intervenivano nella discussione anche Sempronio e Tizio, rispettivamente fidanzato ed amico della ragazza.
La presenza dei due uomini provocava di conseguenza l’intervento di due amici di Mevio che, con fare minaccioso, iniziarono a spintonare Sempronio e Tizio.
Mentre Tizio cercava di divincolarsi dalla pericolosa situazione creatasi, spintonando a sua volta gli amici di Mevio, all’improvviso Sempronio afferrava una bottiglia vuota presente sulla strada e, scagliandosi con forza contro Mevio, lo colpiva ripetutamente sul volto, fino a provocare la recisione di una vena del collo e la conseguente morte per dissanguamento.
Compresa la gravità della situazione, Tizio e Sempronio si davano alla fuga, per essere poi fermati dalla p.g. il primo a Milano, il secondo a Bari, mentre cercavano di lasciare l'Italia.
A seguito di processo penale, la Corte d’Assise di Roma condannava Tizio e Sempronio, in concorso tra loro, per i reati previsti e puniti dagli artt. 110 c.p., 588 comma 2 c.p. e 575 c.p..
Il candidato, assunte le vesti di legale di Tizio, rediga:
- parere motivato sulla possibilità di appellare vittoriosamente la sentenza di primo grado;
- atto di appello avverso la sentenza della Corte d’Assise di Roma.
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