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SOLUZIONE PARERE 26: REATO DI RISSA E CONCORSO IN OMICIDIO

Nel documento MODELLI DI PARERE DIRITTO PENALE (pagine 118-127)

Viene richiesto parere legale da parte di Tizio in merito alla possibilità di appellare vittoriosamente la sentenza della Corte di Assise di Roma che lo vedeva condannato per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 588 comma 2 c.p. e 575 c.p..

In particolare, la sentenza riteneva penalmente rilevante e meritevole di condanna la condotta di Tizio che, nell’affollata piazza del Comune Beta, era intervenuto insieme all’amico Sempronio nell’alterco tra la fidanzata di quest’ultimo, Caia, e lo sconosciuto Mevio, il quale poco prima si era lasciato andare ad apprezzamenti coloriti nei confronti della ragazza. Nell’alterco verbale intervenivano anche due amici di Mevio, che, con fare minaccioso, iniziavano a spintonare Tizio e Sempronio. A sua volta Tizio, per divincolarsi dalla pericolosa situazione creatasi, spintonava gli amici di Mevio. Del tutto inaspettatamente, invece, Sempronio afferrava una bottiglia presente sulla strada e, scagliandosi con forza contro Mevio, lo colpiva ripetutamente al volto provocandone la morte.

Per valutare la fondatezza o meno di un eventuale appello in favore di Tizio è necessario approfondire la natura e la configurabilità nel caso concreto della fattispecie criminosa di cui all’art. 588, comma 2, c.p.; nella eventualità venga riconosciuta la qualità di corrissante in capo a Tizio, occorrerà approfondire la sua corresponsabilità nell’omicidio di Mevio, anche a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p..

Quanto al reato di rissa, di cui all’art. 588 c.p., esso si configura quando un gruppo di persone in numero superiore a tre venga alle mani con il proposito di ledersi reciprocamente (Cass., sez. V, 13 maggio 2004 n. 43524). Tale reato, posto a tutela dell’incolumità individuale, per la sua sussistenza richiede, inoltre, che i partecipanti alla rissa siano animati dal reciproco intento di recare offesa agli avversari.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 588 c.p., qualora, durante la rissa oppure immediatamente dopo ed in sua conseguenza, sia derivata la morte o la lesione personale di una persona, sia essa un corrissante o meno, il delitto in esame risulta aggravato per chiunque vi abbia partecipato. Si tratta di una circostanza aggravante a carattere oggettivo, in quanto si pone a carico di tutti i corrissanti, anche di chi non abbia voluto o conosciuto la morte o la lesione in questione, per il solo fatto di aver partecipato alla rissa.

Si tratta di un tipico caso di reato aggravato dall’evento, della cui legittimità si è anche dubitato, in quanto l’evento aggravante sembra posto a carico dei corrissanti a titolo di responsabilità oggettiva, cioè indipendentemente da un legame doloso o colposo, ma la cui legittimità è stata salvata dalla Corte Costituzionale sulla base del rilievo che non si risponderebbe delle lesioni da altri perpetrate, bensì della maggiore gravità oggettiva del reato a cui si è dolosamente partecipato (Corte Cost., sentenze nn. 21/1971 e 20/1972).

Alla luce di quanto chiarito, la sentenza della Corte di Assise di Roma appare innanzitutto

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contestabile in merito alla sussumibilità della condotta tenuta da Tizio sotto le fattispecie appena analizzate, attesa la natura meramente difensiva della condotta dell’imputato, il quale aveva unicamente agito per divincolarsi dalla situazione pericolosa venutasi a creare.

Sul punto, d’altronde, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che “Non è ravvisabile il delitto di rissa quando un gruppo di persone assale altre persone e queste ultime si difendono”

(Cassazione penale, 10 aprile 2013, n. 21353) ed ancora “la rissa è lo scontro violento fra gruppi contrapposti o tra una persona ed un gruppo di almeno due persone, caratterizzato dall’intento di sopraffarsi a vicenda. Non può, pertanto, considerarsi rissante chi è vittima di un’aggressione ed agisce per difendersi” (Cassazione penale, 18 gennaio 1975, n. 570).

Né tantomeno sembrerebbe potersi ascrivere a Tizio una condotta di concorso esterno nel reato di rissa, ai sensi dell’art. 110 c.p., non rinvenendosi nel suo comportamento la realizzazione di condotte atipiche, come l’istigazione e il rafforzamento della volontà dell’effettivo partecipe alla rissa, tradottesi in un effettivo e concreto contributo alla consumazione del reato.

Nella denegata ipotesi in cui, però, si dovesse ritenere Tizio responsabile del delitto di rissa aggravata (direttamente o a titolo di concorso esterno), atteso l’iniziale alterco e la reciprocità delle condotte violente tra i due gruppi contrapposti (spintoni da parte di Tizio e colpi al volto di Mevio con una bottiglia da parte di Sempronio), ci si deve interrogare se la sua compartecipazione alla rissa risulti, o meno, propedeutica a configurare in capo allo stesso la responsabilità per il delitto di omicidio commesso da Sempronio quantomeno a titolo di concorso anomalo.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, “la configurabilità del reato di rissa aggravata da eventi lesivi o morte non è idonea ad escludere la ricorrenza, a carico dei corrissanti non autori materiali della lesione o dell’omicidio, anche del concorso anomalo in uno di questi ulteriori reati, data la loro consapevole partecipazione a un’azione criminosa realizzata con modalità tanto accese da determinare in concreto conseguenze di particolare gravità per l’incolumità personale” (Cassazione penale, 3 febbraio 2010, n. 16762).

In proposito, le modalità con cui si sono sviluppate le condotte escludono in nuce il concorso ex art. 110 da parte di Tizio nella condotta omicidiaria di Sempronio.

Difatti, ai sensi del disposto normativo di cui all’art. 110 c.p., soggiacciono alla medesima pena tutti coloro che concorrono alla realizzazione del medesimo reato. In particolare, tale

“partecipazione” può essere materiale, laddove attenga alla fase della esecuzione del reato, oppure morale.

In tale seconda ipotesi la partecipazione può consistere nell’aver provocato o rafforzato l’altrui proposito criminoso (istigazione) o nell’aver facilitato la preparazione o l’attuazione (agevolazione).

In ogni caso, pacifico è che ogni concorrente debba avere la volontà effettiva di cooperare nel reato e fornisca un contributo causale al verificarsi dell’evento.

Nel caso di specie evidentemente non può rinvenirsi nessuno degli elementi del concorso materiale

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e di quello morale, non essendo il comportamento di Sempronio il frutto di un accordo con Tizio e non essendo a quest’ultimo addebitabile una qualsiasi adesione morale, essendo avvenuto il fatto delittuoso in maniera autonoma e senza alcun condizionamento/rafforzamento morale.

In ipotesi simili a quella in esame, la risalente giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che risulta inapplicabile il principio in tema di concorso di reato, secondo il quale anche la sola presenza non casuale sul luogo del delitto può rappresentare - in date circostanze – una forma di concorso morale, posto che la presenza del soggetto alla rissa trova spiegazione e delimitazione nell’azione di partecipazione alla violenta contesa: ond’è che non può, da sola, costituire un comportamento diretto a rafforzare l’altrui risoluzione criminosa di realizzare più gravi reati (v.

sul punto Cassazione penale, sez. I, 9.11.1982, n. 1022).

A ben vedere, la condotta di Tizio non risulta neppure inquadrabile nella meno grave ipotesi di concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p..

In relazione ad una vicenda sovrapponibile a quella analizzata nel presente parere, la giurisprudenza della Suprema Corte ha recentemente chiarito che “La configurabilità per il reato di rissa aggravata da lesioni o morte non esclude, a carico dei corrissanti non autori materiali né morali della lesione o dell'omicidio, la concorrente responsabilità, a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p. per questi ulteriori delitti, a condizione che le caratteristiche della contesa consentissero di prevedere tali sviluppi”. (Cassazione penale sez. V, 02/10/2019, n. 45356).

Nel caso in esame, infatti, la contesa tra i rissanti non era caratterizzata sin dal suo esordio da reciproci intenti lesivi, rinvenendosi piuttosto uno scontro puramente verbale, degenerato in aggressione fisica a seguito dell'occasionale rinvenimento di un'arma impropria. Nessun aspetto della contesa consentiva a Tizio di prevedere che Sempronio colpisse a morte con una bottiglia Mevio.

Alla luce di quanto detto, si ritiene di suggerire a Tizio di impugnare la sentenza di condanna della Corte d’Assise di Roma per ottenere l’assoluzione dagli artt. 110, 588, comma 2 c.p. e 575 c.p., con formula il “fatto non sussiste” ovvero “per non aver commesso il fatto”.

In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui si dovessero ritenere accertati sia il coinvolgimento di Tizio alla rissa sia la prevedibilità del suo sviluppo in omicidio, si potrà quantomeno chiedere la riqualificazione a titolo di concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 c.p. del contestato reato ex artt. 110 e 575 c.p., con conseguente rideterminazione della pena.

121 TRACCIA PARERE N. 27

Nella sua qualità di funzionario agronomo del Servizio Giardini del Comune Alfa, Sempronio riceveva un avviso di conclusione delle indagini preliminari in cui gli veniva contestato il reato di omicidio colposo ai danni di Tizio.

Nella ricostruzione degli avvenimenti ivi contenuta, si sottolineava come Tizio fosse deceduto a seguito di un incidente stradale mentre era alla guida della sua automobile.

In particolare, veniva rappresentato che Tizio, dopo vari sbandamenti, aveva perso il controllo della sua autovettura andando ad impattare con un albero posto al lato della carreggiata.

L’ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica si basava sull’accertamento della irregolare struttura del manto stradale dovuta alle radici prospicienti dei pini posti al margine della strada.

In proposito gli inquirenti avevano accertato che, un mese e mezzo prima dell’evento, nel corso delle potature di alberi ad alto fusto delle strade del Comune Alfa, Sempronio aveva avuto modo di valutare le condizioni “di salute” dell’albero.

Di detta ispezione esterna, tuttavia, non era stato redatto alcun verbale, in quanto l’albero non presentava alcuna sofferenza vegetativa, né rami secchi o altre anomalie.

A Sempronio veniva, dunque, contestato di non aver preso alcuna iniziativa, né personalmente né di mera segnalazione all’Ente comunale per assicurare la manutenzione e la vigilanza dell’area in questione.

Dai rilievi effettuati dalla Procura era emerso, inoltre, che la perdita di controllo dell’automobile era stata causata dall’elevata velocità del mezzo e dalla presenza di acqua sul manto stradale, fattori che avevano impedito qualsiasi tentativo di controllo da parte di Tizio.

All’esito del processo penale, il Tribunale riteneva Sempronio responsabile del reato di cui all’art.

589 c.p. e lo condannava alla pena di anni tre di reclusione, diminuita per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Il candidato, assunte le vesti di legale di Sempronio:

- premessi brevi cenni sull’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri, rediga parere motivato sulla possibilità di proporre appello avverso la sentenza di primo grado;

- rediga atto di appello avverso la pronuncia di primo grado.

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SOLUZIONE PARERE N. 27: NESSO DI CAUSALITA’ E POSIZIONE DI GARANZIA NEI REATI OMISSIVI IMPROPRI.

Viene richiesto parere motivato da parte di Sempronio in merito alla possibilità di impugnare vittoriosamente la sentenza di condanna a tre anni di reclusione emessa nei suoi confronti dal Tribunale penale per il reato previsto e punito dall’art. 589 c.p..

In particolare, il Tribunale accoglieva l’impostazione accusatoria della Procura che contestava a Sempronio, nella sua qualità di funzionario agronomo del Servizio Giardini del Comune Alfa, di non aver preso alcuna iniziativa, né personalmente né di mera segnalazione all’Ente comunale, per assicurare la manutenzione e la vigilanza della sconnessa sede stradale a causa della quale aveva perso la vita l’automobilista Tizio in un incidente.

Dalle indagini effettuate dagli inquirenti era emerso, infatti, che l’irregolare struttura del manto stradale era dovuta alle radici prospicienti dei pini posti al margine della strada e che, un mese e mezzo prima dell’evento, nel corso delle potature di alberi ad alto fusto delle strade del Comune Alfa, Sempronio aveva avuto modo di valutare proprio le condizioni “di salute” dell’albero in questione.

Di detta ispezione esterna, tuttavia, non era stato redatto alcun verbale, in quanto l’albero non presentava alcuna sofferenza vegetativa, né rami secchi o altre anomalie.

Dagli elementi rappresentati emerge con chiarezza come, per fornire una risposta alla richiesta di parere, è necessario soffermarsi brevemente sugli elementi caratterizzanti i reati omissivi impropri (categoria nella quale potrebbe rientrare la condotta di Sempronio), per poi accertare se l’obbligo giuridico connesso all’esercizio di una funzione pubblica richieda o meno la consapevolezza del pubblico ufficiale di aver preso la situazione in carico in veste di garante, sulla base di un’investitura derivante da una chiara situazione di fatto.

Infine, si dovrà approfondire la tematica del nesso causale ed il suo accertamento in tale categoria reati omissivi impropri.

Come noto, nell’ambito della categoria dei reati omissivi, si è soliti distinguere tra: reati omissivi propri e reati omissivi impropri.

I reati omissivi propri (o di pura omissione) sono quelli che consistono nel solo mancato compimento da parte del soggetto dell’azione imposta da un preciso dovere giuridico. Essi sono, quindi, dei tipici reati di pura condotta, in quanto si perfezionano semplicemente con l’omissione della condotta che il soggetto aveva l’obbligo giuridico di tenere, indipendentemente dalla conseguente verificazione di un evento in senso naturalistico.

Nei reati omissivi impropri o di non impedimento, invece, la violazione penalmente rilevante consiste nel mancato impedimento di un evento materiale che si aveva l’obbligo giuridico di impedire e che rileva penalmente in virtù della clausola generale di cui all’art. 40, comma 2 c.p., secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a

123 cagionarlo” (c.d. clausola di equivalenza).

La legge attribuisce, allora, in questi casi rilevanza penale non all’omissione in quanto tale ma al non impedimento dell’evento, la cui verificazione costituisce requisito strutturale del fatto tipico, a differenza che nei reati omissivi propri.

Si tratta, dunque, di reati di evento (o con evento naturalistico), ossia di reati in cui per la consumazione è necessario, oltre al compimento di una data azione od omissione (sufficiente nei reati di pura condotta), il verificarsi di un determinato effetto eziologicamente ricollegato alla condotta.

Tra gli elementi costitutivi della fattispecie omissiva impropria di cui all’art. 40 c.p. sono di centrale importanza la posizione di garanzia che deve rivestire l’agente ed il connesso obbligo di impedire l’evento, che deve avere i seguenti requisiti:

- la giuridicità dell’obbligo di attivarsi, in base al principio di legalità e riserva di legge;

- la specialità dell’obbligo di garanzia, con esclusione dal penalmente rilevante degli obblighi a contenuto generico, in base al principio di legalità – tassatività;

- la specificità dei soggetti beneficiari dell’altrui obbligo di garanzia, in base al principio di solidarietà;

- la specificità dei soggetti titolari dell’obbligo di garanzia che non può gravare sulla generalità dei consociati ma solo su specifiche categorie che si trovino in particolare rapporto con il bene giuridico da proteggere;

- l’esistenza di poteri giuridici impeditivi in capo alla garante, preesistenti alla situazione di pericolo, sulla base del principio della personalità della responsabilità penale;

- la possibilità materiale del garante di impedire l’evento.

In virtù di tali coordinate interpretative si può sin da subito escludere la sussistenza, nel caso di specie, di una posizione di garanzia in capo a Sempronio.

E’ evidente al riguardo che Sempronio è semplicemente un “funzionario agronomo” ed il suo compito è semplicemente quello di valutare lo stato di salute delle piante: egli non ha compiti di vigilanza e controllo circa lo stato dell’asfalto in conseguenza dell’innalzamento delle radici degli alberi.

Né tantomeno, può ritenersi sufficiente, di per sè sola, una mera situazione di fatto, come quella contestata dalla Procura per sostenere che sia stata effettuata una ispezione in senso tecnico-giuridico, idonea a costituire la base della richiamata posizione di garanzia in capo a Sempronio.

Difatti, come chiarito da recente giurisprudenza, “L'obbligo giuridico connesso all'esercizio di una funzione richiede un quadro fattuale-normativo che consenta al funzionario pubblico di essere consapevole di prendere in carico la situazione di rischio in veste di garante, sulla base di un'investitura derivante da una chiara situazione di fatto, avente rilevanza giuridica, e che investa lo stesso dell'obbligo di garanzia, con tutto ciò che ne consegue in termini di consapevolezza di dover seguire certe regole, che si connettono all'obbligo di diligenza richiesto al pubblico

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dipendente nell'esercizio della specifica funzione di controllo al medesimo demandata. Per l'effetto, deve essere annullata la pronuncia di merito che si limita a far discendere l'obbligo giuridico di garanzia dalla generica qualità di funzionario del Comune” (Cassazione penale sez.

IV, 05/06/2019, n.37224).

Nel caso in esame, la Procura non chiarisce sulla base di quali norme, regole o disposizioni Sempronio fosse stato investito della puntuale verifica delle condizioni di pericolosità delle radici dell’albero in termini di circolazione stradale, non potendo certamente bastare, allo scopo, un evento casuale ed estemporaneo come il descritto "passaggio" sul posto per altre finalità.

In realtà, l'attivazione di poteri pubblici finalizzati alla prevenzione di un rischio potenziale per la pubblica incolumità, come quello in esame, non può discendere da una situazione casuale come quella che è stata laconicamente eccepita dalla Procura, non essendo stato adeguatamente chiarito se nella fattispecie Sempronio abbia svolto, sia pure senza verbalizzarla, una vera e propria ispezione o verifica in senso tecnico-giuridico, finalizzata alla prevenzione dello specifico rischio legato alle radici dell’albero.

Ciò detto, anche nella denegata ipotesi in cui si ammettesse la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a Sempronio, questi non risponderebbe comunque della morte di Tizio dal momento che la sua condotta non può essere causalmente connessa all’incidente.

L’aspetto ermeneutico più problematico dei reati omissivi impropri è proprio quello di individuare il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento.

Nei reati omissivi non si tratta, infatti, di indagare sulla riconducibilità di un evento ad una determinata azione, bensì occorrerà determinare se il compimento dell’azione omessa avrebbe effettivamente impedito la verificazione dell’evento.

Tale differenza con i reati “attivi” si percepisce in maniera evidente nel compimento del giudizio controfattuale: anziché eliminare idealmente l’azione compiuta, nei reati omissivi sarà necessario aggiungere idealmente l’azione omessa per verificare se l’evento si sarebbe comunque realizzato.

In questi casi, le difficoltà di accertamento del nesso eziologico derivano dalla necessità da parte dell’interprete di svolgere un giudizio doppiamente ipotetico, dovendosi da un lato supporre l’esistenza di una condotta che non si è verificata, ossia la condotta doverosa omessa, e dall’altro lato, supporre le conseguenze che detta condotta avrebbe prodotto in termini di impedimento dell’evento.

In relazione ai contrasti sulla equiparabilità tra le tecniche di accertamento del nesso di causalità nei reati attivi e in quelli omissivi, è intervenuta in maniera dirimente la Cassazione a Sezioni Unite con la nota sentenza Franzese.

Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno affermato che non è concepibile un diverso grado di certezza dell’accertamento per le due forme di causalità (attiva o omissiva), essendo necessario per entrambe che l’individuazione del nesso di causalità avvenga non in termini di “certezza assoluta”, ma secondo i canoni della “certezza processuale” conducenti conclusivamente, all'esito

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del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da "alto grado di credibilità razionale" o "conferma" dell'ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare: giudizio enunciato dalla giurisprudenza anche in termini di "elevata probabilità logica" o "probabilità prossima alla certezza”.

Le conclusioni raggiunte dalla sentenza Franzese, in termini identità del grado di certezza dell’accertamento, da ultimo sono state ribadite dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella più recente sentenza ThyssenKrupp, nella quale tuttavia la Suprema Corte ha precisato che le ipotesi di causalità attiva e quelle di causalità omissiva si differenziano sul piano della struttura del giudizio controfattuale. Tale differenza discende evidentemente dal fatto che l'omissione costituisce un nulla dal punto di vista naturalistico, sicchè nel giudizio controfattuale viene inserita una condotta astratta e solamente idealizzata.

Inoltre, per prevedere ciò che sarebbe accaduto nel singolo caso oggetto del processo è di grande importanza conoscere cosa accade nei casi simili.

Occorre dunque rivolgersi alle generalizzazioni formatesi a proposito del nesso causale che c'interessano, se esistenti. In questo caso si utilizzano le generalizzazioni scientifiche o esperienziali in chiave eminentemente deduttiva e, per tale ragione, è assai importante il prescelto

Occorre dunque rivolgersi alle generalizzazioni formatesi a proposito del nesso causale che c'interessano, se esistenti. In questo caso si utilizzano le generalizzazioni scientifiche o esperienziali in chiave eminentemente deduttiva e, per tale ragione, è assai importante il prescelto

Nel documento MODELLI DI PARERE DIRITTO PENALE (pagine 118-127)

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