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Verso la codificazione della Comitologia 86 !

Sezione II. Sviluppi recenti: la fine della struttura dei pilastri e i contenziosi sui fondamenti normat

2. Verso la codificazione della Comitologia 86 !

L’entrata in vigore dell´Atto Unico europeo ha introdotto la disciplina dei poteri di delega nel diritto primario. L'Atto precisava le disposizioni sulle competenze di esecuzione e all´articolo 10, che modifica l'articolo 145 del trattato CEE, stabiliva come regola generale che il Consiglio conferisse alla Commissione le competenze di esecuzione degli atti. Sebbene il Consiglio potesse riservarsi il diritto di esercitare le competenze di esecuzione in casi specifici, la delega dei poteri esecutivi alla Commissione non costituiva più un´eccezione, bensì la regola generale17.

L´atto Unico europeo ha quindi fornito una base giuridica al sistema di delega messo in atto dal Consiglio, prendendo atto della necessità di disciplinare tale prassi istituzionale.

Al fine di ovviare alle lacune procedurali derivanti dalla formulazione delle disposizioni dei trattati il Consiglio, nel 1987, ha adottato una dichiarazione in cui veniva operata una distinzione tra diverse tipologie di comitati, operando un vero e proprio riconoscimento ex-post della comitologia.

In tale documento il Consiglio stabiliva tre diverse procedure di comitati, due delle quali prevedevano due possibili varianti, dando così luogo a sette diversi procedimenti per la definizione dei dettagli della legislazione comunitaria18.

La composizione dell´organismo delegato costituiva l'elemento comune a tutte le procedure: la Commissione era assistita da un comitato composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione, il quale aveva il compito di sottoporre al comitato un progetto delle misure da adottare.

Nel primo caso il comitato aveva carattere puramente consultivo ed era tenuto, entro un termine che il presidente poteva fissare in funzione dell'urgenza della questione in esame, a formulare il suo parere sul progetto, eventualmente procedendo a votazione.

La Commissione non era vincolata da tale parere, ma era semplicemente tenuta a prendere in considerazione l´opinione del comitato e a informarlo del modo in cui ne aveva tenuto conto.

Nel secondo caso, il parere del comitato doveva essere formulato alla

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17 Cfr. articolo 10 TCEE: "L'articolo 145 del trattato CEE è completato dalle disposizioni seguenti :"conferisce alla Commissione, negli atti che esso adotta, le competenze di esecuzione delle norme che stabilisce . Il Consiglio può sottoporre l'esercizio di tali competenze a determinate modalità. Il Consiglio può anche riservarsi, in casi specifici, di esercitare direttamente competenze di esecuzione. Le suddette modalità devono rispondere ai principi e alle norme che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione previo parere del Parlamento europeo , avrà stabilito in via preliminare " .

18 Decisione del Consiglio 87/373/CEE,13 luglio 1987, che stabilisce le modalità per l'esercizio

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maggioranza prevista all'articolo 148, paragrafo 2 del trattato per l'adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione. Nelle votazioni in seno al comitato, ai voti dei rappresentanti degli Stati membri era attribuita la ponderazione fissata dai trattati e il presidente era escluso dalla votazione. Le misure adottate dalla Commissione erano immediatamente applicabili. Tuttavia, se tali misure non erano conformi al parere espresso dal comitato, la Commissione lo doveva comunicare immediatamente al Consiglio. In tal caso si prefiguravano due opzioni.

La Commissione poteva differire di un mese al massimo, a decorrere da tale comunicazione, l'applicazione delle misure da essa decise dando così la possibilità al Consiglio di prendere una decisione diversa, deliberando a maggioranza qualificata. Oppure la Commissione poteva differire l'applicazione delle misure da essa decise di un termine che doveva essere fissato in ciascun atto che il Consiglio avrebbe adottato, ma che non poteva in alcun caso superare tre mesi a decorrere dalla data della comunicazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, poteva prendere, entro tre mesi dalla notifica della Commissione, una decisione diversa.

Nel terzo caso, la Commissione adottava le misure previste qualora fossero conformi al parere del comitato. Se le misure previste della Commissione non avevano ottenuto il parere favorevole del comitato, o in mancanza di parere, la Commissione sottoponeva al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere. La modalità secondo la quale il Consiglio era tenuto a deliberare era quella della maggioranza qualificata.

Se il Consiglio avesse deliberato entro il termine fissato caso per caso in ciascun atto da adottare, ma che non poteva in alcun caso superare tre mesi a decorrere dalla data della presentazione della proposta, la Commissione poteva adottare le misure proposte, mentre il voto del Consiglio a maggioranza semplice contro tali misure avrebbe bloccato il processo di adozione delle misure.

Le sette procedure previste nel documento del Consiglio non sono però state in grado di rendere il processo più semplice e trasparente, soprattutto a causa dell´assenza di linee guide per la scelta della procedura e per il mancato riconoscimento del crescente ruolo del Parlamento nel processo legislativo. I limiti della procedura codificata nella Decisione del Consiglio furono al centro delle dispute interistituzionali negli anni a seguire19.

La situazione si aggravò in seguito alla ratifica del Trattato di Maastricht e la conseguente introduzione della procedura di codecisione, culminando in una revisione della decisione del Consiglio.

Nel 1994 è stato negoziato un secondo accordo interistituzionale, denominato “modus vivendi 20, che formalizzava il diritto del Parlamento di essere preventivamente informato sulle misure proposte dalla Commissione e di esprimere

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19 C. Neuhold, Taming the ‘Trojan Horse’ of Comitology? Accountability issues of Comitology

and the Role of the European Parliament, in Integration online Papers, vol.8, 3 April, 2008.

20 Si fa riferimento al “Modus vivendi” between the European Parliament, the Council and the

Commission concerning the implementing measures for acts adopted in accordance with the procedure laid down in Article 189b of the EC Treaty of 20 December 1994, OJ 1996 C 102/1.

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il proprio parere. In tale documento è stato inoltre concordato di affrontare alcuni aspetti controversi della comitologia, tra cui la formale partecipazione del Parlamento europeo, nel corso della conferenza intergovernativa del 1996.

In tale sede gli Stati membri decisero di non accettare la proposta della Commissione di riformare le basi giuridiche dei trattati relative alle misure di implementazione, ed in particolare l' articolo145.

La conferenza ha adottato una dichiarazione, la n. 31 del Trattato di Amsterdam, in cui si richiedeva alla Commissione di sottoporre, entro la fine del 1998, una nuova proposta per emendare la decisione del Consiglio del 1987. La proposta venne presentata dalla Commissione nel mese di giugno del 1998.

La procedura ufficializzata dal Consiglio nel 1987 è stata infine modificata da una seconda decisione del Consiglio nel 1999.21

L’adozione della procedura di codecisione ha determinato un atteggiamento nuovo del Parlamento nei confronti dei poteri di esecuzione attribuiti alla Commissione. Ciò ha comportato, in un primo tempo, che, appunto nella procedura di regolamentazione, sia stato, con la decisione del 1999, attribuito al Parlamento un c.d. droit de regarde. Esso consiste nel fatto che, quando l’atto di base è stato adottato con la procedura di codecisione, al Parlamento sia riservato il diritto di contestare alla Commissione la proposta di atto esecutivo se si ravvisi un abuso di potere; in questo caso la Commissione deve riesaminare il suo progetto di atto esecutivo.

Sebbene la revisione fosse stata sollecitata dal Parlamento che, in qualità di colegislatore, reclamava un ruolo di pari importanza nella definizione dei dettagli di implementazione della legislazione, il suo ruolo non subì sostanziali variazioni. Il parziale successo negoziale del Parlamento consisteva essenzialmente nel consolidamento delle prerogative della Commissione vis-à-vis del Consiglio.

La revisione del 1999 lasciava invariata la procedura dei comitati consultivi mentre eliminava le due procedure alternative riguardanti la procedura dei comitati di gestione: la Commissione poteva ora implementare direttamente la sua versione della proposta e il Consiglio disponeva di 3 mesi per esprimere il suo parere sul testo, rafforzando cosi la posizione della Commissione nei confronti del Consiglio22.

Per quanto riguarda invece la terza categoria di comitati, i comitati regolatori, la cosiddetta clausola di salvaguardia venne eliminata dal testo, dal momento che la nuova decisione prevedeva una procedura unificata anche in questo caso.

Se il comitato di esperti nazionali non avesse approvato le misure presentate dalla Commissione, il Consiglio poteva opporre il suo veto solamente a maggioranza qualificata o proporre nuove misure all'unanimità.

Anche in questo caso la Commissione sembrava aver rafforzato le proprie prerogative nei confronti del Consiglio.

La differenza sostanziale tra la procedura delineata dalla decisione del Consiglio del 1987 e la versione del 1999 risiedeva nella semplificazione e di conseguenza

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21 Decisione del Consiglio, 28 giugno 1999 recante modalità per l'esercizio delle competenze di

esecuzione conferite alla Commissione (1999/468/CE) GU L 184/23, 17.7.1999. pag.

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nella maggiore efficienza del sistema. La fusione delle due varianti nelle procedure dei comitati regolatori e di gestione ha fatto venire meno la possibilità per il Consiglio di ritardare l'implementazione delle procedure.

Inoltre la decisione del 1999 specificava il tipo di procedura appropriata per ogni politica mentre nel sistema precedente il tipo di procedura era deciso dal Consiglio caso per caso.

Tale revisione rappresenta una pietra miliare nella procedura di delega dell´esercizio delle competenze di esecuzione, anche se va evidenziato che il Parlamento continuava a restare formalmente escluso dalla procedura di delega, privo di strumenti in grado di permettergli di esercitare un reale controllo o di opporsi alle decisioni della Commissione e del Consiglio.

La principale richiesta del Parlamento riguardava la parità di trattamento tra i due organi legislatori. La risposta del Consiglio e della Commissione a tale rivendicazione fu tiepida e assunse la forma di un accordo informale, che sanciva l´ottenimento di limitati diritti d'informazione e di consultazione.

Il Parlamento ha utilizzato per la prima volta il suo neo acquisito diritto di scrutinio nel 2000, attraverso una risoluzione nella quale chiedeva di aggiungere un considerando al progetto di proposta della Commissione. Nell´arco dei cinque anni successivi alla decisione del Consiglio, il Parlamento ha utilizzato i suoi poteri in solamente cinque casi, principalmente come strumento politico e non per sollevare obiezioni critiche ad aspetti strettamente tecnici della proposta.

La Commissione nel libro bianco sulla governance23 , presentato il 25 luglio 2001, ha evidenziato la necessità di rivedere le condizioni nelle quali adotta i provvedimenti di esecuzione, proponendo in ultima analisi, di giungere alla definizione di un procedura di delega in cui la legislazione definiva a quali condizioni ed entro quali limiti la Commissione esercita il potere esecutivo e il Consiglio e il Parlamento europeo, organi legislativi, monitorano e controllano le azioni della Commissione in base ai principi e agli orientamenti politici adottati nella legislazione. Più precisamente, la Commissione auspicava l' adozione di un meccanismo giuridico che consentisse al Parlamento europeo e al Consiglio di garantire il seguito e il controllo alla luce dei principi e degli orientamenti politici iscritti nei testi legislativi.

La proposta della Commissione era volta alla semplificazione della procedura e alla " revisione della responsabilità delle istituzioni, che attribuisce ai due organi legislativi il controllo del potere esecutivo e (...) solleva il delicato problema dell'equilibrio dei poteri".

Una sostanziale riforma della procedura avrebbe quindi dovuto portare alla modifica dell'articolo 202 del trattato, che riconosceva al Consiglio la facoltà di sottoporre l'esercizio delle competenze di esecuzione della Commissione a determinate modalità.

La Commissione giudicava tale articolo superato dal momento che la procedura di

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23 Comunicazione della Commissione, del 25 luglio 2001, "Governance europea - Un libro

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codecisione attribuiva al Consiglio e al Parlamento europeo pari poteri decisionali in una serie di settori, di conseguenza, le due istituzioni avrebbero dovuto disporre di medesimi poteri di controllo sul modo in cui la Commissione esercita il potere esecutivo24.

Pur rendendo più trasparenti le procedure della comitologia, la decisione del 1999 poteva difficilmente rappresentare la soluzione ideale dal punto di vista del Parlamento.

Il Consiglio continuava a sostenere che, sebbene l’introduzione della codecisione, l’articolo 202 del trattato restava invariato e che in base ad esso soltanto il Consiglio poteva definire il sistema delle competenze di esecuzione. Inoltre, il Parlamento poteva esercitare il diritto di opporsi ai progetti di misure soltanto se questi avessero oltrepassato le competenze di esecuzione conferite alla Commissione dall’atto di base e non a causa del disaccordo del Parlamento sulla sostanza delle misure proposte.

Emersero anche carenze nelle modalità pratiche di informazione del Parlamento sulle procedure della comitologia, come ad esempio la mancata trasmissione dei testi al Parlamento. Le commissioni parlamentari riscontrarono però grandi difficoltà anche nel definire il contesto in cui i testi venivano trasmessi e a quali altri documenti essi fossero collegati. Infine, secondo le commissioni parlamentari, la scadenza di un mese stabilita per l’esercizio del diritto di controllo da parte del Parlamento era troppo breve e la prassi adottata dalla Commissione di trasmettere i testi immediatamente prima della pausa parlamentare, non teneva conto delle complesse modalità di lavoro del Parlamento, rendendo difficile l’effettivo esercizio del diritto di controllo.

Nel 2002 25 la Commissione ha presentato una proposta volte ad emendare la

decisione del Consiglio del 1999, tendendo conto delle difficoltà riscontrate nell' applicazione pratica della delega e del suo controllo da parte dei legislatori. In particolare la Commissione definiva come incompatibile con le attribuzioni istituzionali, la possibilità prevista dal trattato di consentire, seppur in casi specifici ed eccezionali, l'esercizio diretto delle competenze d'esecuzione. Tale eccezione nell' opinione della Commissione risultava in contrasto col fatto che la funzione legislativa era esercitata da due istituzioni, il Parlamento europeo ed il Consiglio, nelle materie alle quali si applicava la procedura di codecisione di cui all'art. 251 del Trattato, poiché il Consiglio poteva trovarsi sia nella posizione di organo delegante

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24 Mentre la delega alla Commissione può comportare ampi poteri discrezionali, alle agenzie

europee sono negati i poteri normativi generalmente attribuiti alle agenzie nazionali. La Commissione utilizza il principio dell'equilibrio istituzionale per impedire sviluppi istituzionali che potrebbero ridurre il proprio ruolo, ma che tuttavia potrebbe rafforzare la credibilità delle politiche europee. La divisione dei ruoli tra la Commissione e le agenzie aggrava ulteriormente il problema di accountability; V. G. Majone, Institutional Balance Versus Institutional Innovation, in G. Majone,

Dilemmas of European Integration: The Ambiguities and Pitfalls of Integration by Stealth, Oxford

Scholarship Online: February 2006, pp.83-106.

25 Proposta di decisione del Consiglio, dell'11 dicembre 2002, che modifica la decisione 1999/468/CE che stabilisce le modalità dell'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione,COM(2002) 719def.

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che in quella di organo che esercita la competenza delegata. Tuttavia, tenendo conto dei tempi relativamente lunghi che sarebbero trascorsi prima dell'entrata in vigore del nuovo trattato, la Commissione ha ritenuto opportuno modificare la decisione del Consiglio 1999/468 che non teneva conto della posizione del Parlamento europeo in quanto colegislatore.

Una revisione della decisione "comitologia" a trattato immutato non sarebbe potuta andare lontano quanto una riforma nel quadro di una modifica del trattato. Di conseguenza, la Commissione ha proposto di avviare, nell'attesa di un nuovo sistema di delega di competenze definito dal diritto primario, una prima riforma del sistema. Quest'ultima avrebbe dovuto chiarire l'esercizio delle funzioni esecutive e l'equiparazione del Parlamento europeo e del Consiglio nel controllo dell'esercizio da parte della Commissione delle competenze di esecuzione.

Tali proposte non sono state accolte positivamente dal Consiglio e il Parlamento iniziò a tutelarsi riguardo alla delega delle competenze introducendo “clausole di temporaneità” nelle proposte legislative, in particolare nell’area dei mercati finanziari, definendo date di scadenza per la delega delle competenze.

Pur garantendo un approccio pragmatico ad hoc, tale espediente era ben lungi dal fornire una soluzione ideale di lungo termine al problema. Esso lasciava intravedere uno scenario in cui sarebbero stati adottati differenti approcci allo stesso problema in funzione delle differenti procedure legislative. Inoltre, se generalizzata, tale soluzione minacciava di rallentare tutte le fasi del processo legislativo, dal momento che in ogni procedura sarebbe potuto essere necessario negoziare caso per caso le disposizioni sulla comitologia.

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