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Dai "Loci plani" all'"Isagoge": Fermat e l'invenzione di una nuova geometria

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Corso di Laurea Magistrale in Matematica

Tesi di Laurea Magistrale

Dai Loci Plani all’Isagoge:

Fermat e l’invenzione di una nuova

geometria

Candidato:

Irene Barbensi

Relatore:

Controrelatore:

Prof. Pier Daniele Napolitani

Prof. Pietro Di Martino

(2)
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Indice

Introduzione i

1 La Collezione matematica di Pappo 1

1.1 Pappo di Alessandria . . . 2

1.2 La Collezione matematica . . . 2

1.2.1 Un’enciclopedia della matematica greca? . . . 4

1.2.2 L’importanza della Collezione . . . 5

1.3 Il Libro VII . . . 6

1.3.1 La struttura del Libro . . . 7

1.3.2 Il metodo di analisi e sintesi . . . 8

1.3.2.1 I Dati di Euclide . . . 10

1.3.2.2 La soluzione completa di un problema: un esempio . . . 11

2 La matematica del XVII secolo 15 2.1 L’origine della matematica del XVII secolo . . . 16

2.2 Il recupero della matematica greca . . . 17

2.2.1 Il recupero della Collezione . . . 18

2.2.1.1 La tradizione testuale . . . 18

2.2.1.2 La Collezione e la nascita della matematica moderna . . . 19

2.3 La determinazione dei centri di gravità dei solidi . . . 20

2.4 La nascita dell’algebra . . . 21

2.4.1 La matematica dell’abaco . . . 21

2.4.2 Una nuova ars . . . 23

2.4.3 François Viète . . . 25

2.4.3.1 L’ars analytica . . . 26

2.5 Modi diversi di concepire la matematica . . . 29

3 Pierre de Fermat 31 3.1 La carriera da magistrato . . . 32

(4)

4 INDICE 3.2 La matematica . . . 32 3.2.1 La formazione . . . 33 3.2.2 Le influenze . . . 34 3.2.3 La produzione matematica . . . 35 3.3 Lo stile matematico . . . 37

3.4 L’edizione delle opere di Fermat . . . 38

4 Fermat e i Luoghi piani 41 4.1 Il luogo dei Greci . . . 42

4.2 I Luoghi piani di Apollonio . . . 45

4.3 La ricostruzione dei Luoghi Piani . . . 46

4.4 Analisi delle proposizioni . . . 48

4.4.1 Libro I, proposizione 1 . . . 49 4.4.2 Libro I, proposizioni 2, 3 e 4 . . . 53 4.4.3 Libro I, proposizione 5 . . . 53 4.4.4 Libro I, proposizione 6 . . . 54 4.4.5 Libro I, proposizione 7 . . . 56 4.4.6 Libro I, proposizione 8 . . . 60

4.4.7 Libro II, proposizione 1 . . . 61

4.4.7.1 I due corollari alla proposizione . . . 64

4.4.8 Libro II, proposizioni 2, 3 e 4 . . . 67

4.4.9 Libro II, proposizione 5 . . . 68

4.4.9.1 Primo tentativo di dimostrazione . . . 69

4.4.9.2 Due punti . . . 72

4.4.9.3 Due lemmi per il metodo generale . . . 74

4.4.9.4 Un numero qualunque di punti allineati . . . 77

4.4.9.5 Uno o due punti non allineati agli altri . . . . 81

4.4.9.6 Caso generale . . . 85

4.4.10 Libro II, proposizioni 6, 7 e 8 . . . 85

5 La «questione più bella e difficile» 89 5.1 Due ipotesi a confronto . . . 89

5.1.1 La tesi di Paul Tannery . . . 90

5.1.1.1 Commento alla proposizione (I,7) . . . 91

5.1.2 La tesi di Michael Sean Mahoney . . . 92

5.1.2.1 Commento alla proposizione (II,5) . . . 93

5.2 Un passo verso l’Isagoge? . . . 96

(5)

INDICE 5

6 Fermat e l’Isagoge 101

6.1 Equazioni in due incognite e curve piane . . . 102

6.2 L’analisi dei problemi di luogo . . . 104

6.3 Le equazioni in forma canonica . . . 105

6.3.1 La retta . . . 106

6.3.1.1 Un altro caso di retta: riduzione in forma canonica . . . 108

6.3.2 Iperbole . . . 109

6.3.2.1 Altri casi di iperboli . . . 110

6.3.3 Un’altra retta . . . 111

6.3.4 Parabola . . . 112

6.3.4.1 Altri casi di parabole . . . 114

6.3.5 Circonferenza . . . 114

6.3.5.1 Un altro caso di circonferenza . . . 115

6.4 Un’applicazione dell’ars analytica . . . 116

6.5 Una via generale per i luoghi piani . . . 118

6.6 Le innovazioni portate da Fermat . . . 121

6.7 Il legame con le Coniche . . . 122

7 Conclusioni 127 7.1 I Luoghi piani e una nuova geometria . . . 128

7.2 Un nuovo concetto di luogo . . . 130

A I testi: Luoghi piani 133 A.1 Epitome dei Luoghi piani . . . 133

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(7)

Introduzione

Pierre de Fermat è ricordato soprattutto per l’Ultimo teorema di Fermat, una congettura che ha impegnato per 350 anni generazioni di matematici. Tuttavia il genio di Fermat si è rivelato in quasi tutti i campi indagati dalla matematica del suo tempo. Una delle sue scoperte più notevoli è l’enunciato del principio fondamentale della geometria analitica, esposto nel breve trat-tato Ad locos planos et solidos isagoge, che inizia a circolare nella comunità matematica europea nel 1637. Nel 1637 viene anche pubblicata la Géométrie di Descartes. In entrambe opere sono contenuti i risultati che porteranno alla nascita della geometria analitica. Fermat e Descartes sono arrivati, in manie-ra indipendente, allo stesso risultato: correlare equazioni algebriche in due incognite con curve geometriche in due dimensioni, ponendole in una stessa struttura geometrica. Sarà poi il metodo di Descartes ad avere successo e a essere seguito dalle generazioni seguenti.

Nel 1637, dunque, nella comunità scientifica tenuta in contatto epistola-re da padepistola-re Mersenne inizia a circolaepistola-re l’opera Ad locos planos et solidos isagoge, un breve trattato scritto da Fermat nell’arco di diversi anni di stu-dio. Una frase contenuta nel trattato esprime, nel consueto stile sintetico del matematico, quello che diventerà il principio fondamentale della geometria analitica.

Ogni volta che due quantità ignote si trovano in un’equazione finale, fit locus loco e l’estremo di una di queste [quantità ignote] descrive una linea retta o una curva. (OF.I, pag. 91)

Più volte, nell’Isagoge, Fermat fa riferimento a un’altra sua opera pre-cedente: l’Apollonii Pergaei Libri duo de locis planis restituti, che contiene il recupero del trattato Sui luoghi piani di Apollonio di Perga, un matema-tico greco vissuto a cavallo del III secolo a.C., suggerendo un legame tra la scoperta contenuta nell’Isagoge e il recupero del trattato di Apollonio.

Il trattato Sui luoghi piani di Apollonio è perduto già all’epoca di Fer-mat: ne sopravvive solo un compendio (epitome), contenuto nella Collezione

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ii INTRODUZIONE

matematica di Pappo, un altro matematico greco vissuto qualche secolo dopo Apollonio. Tra il 1629 e il 1635, Fermat si dedica al recupero del trattato di Apollonio. Il risultato è l’opera Apollonii Pergaei libri duo de locis planis restituti.

Il recupero dei Luoghi piani di Apollonio è uno dei primi lavori con i quali si cimenta Fermat e rientra nel contesto di sforzi simili affrontati da una comunità ben definita di matematici, gli analystes della scuola di Viète. François Viète è francese e vive nella seconda metà del XVI secolo. Co-me Fermat, non è un matematico di professione: laureato in legge, la sua professione è l’avvocatura e si occupa di matematica nel tempo libero.

Fermat studia l’opera di Viète e ne assimila le tecniche, tra le quali spicca un nuovo strumento: l’ars analytica, una sorta di traduzione in linguaggio simbolico dell’analisi geometrica dei matematici greci classici. Fermat ade-risce al programma di ricerca di Viète: lo sviluppo dell’ars analytica, attra-verso il recupero e la successiva traduzione in veste algebrica dei testi della geometria classica, e inizia il recupero dei Luoghi piani di Apollonio.

Sappiamo che intorno al 1629 Fermat ha quasi completato il recupero dei Luoghi Piani : manca un teorema. Riesce a venire a capo di questo ultimo teorema e a concludere il lavoro solo nel 1636. In quello stesso anno elabora un nuovo approccio algebrico alla geometria e arriva a gettare le basi della sua geometria analitica. Fermat espone questa nuova teoria nell’Isagoge e tra la fine del 1636 e il principio del 1637 ne invia una copia a Parigi, a padre Mersenne.

Secondo quanto affermato da Fermat stesso nella conclusione dell’Isagoge, la scoperta del principio esposto nel trattato avviene non più tardi del 1636, forse già durante la sua ricostruzione dei Luoghi piani, un trattato di Apol-lonio citato da Pappo all’interno del dominio dell’analisi.

In che modo il recupero dei Luoghi piani di Apollonio si lega alla nascita dell’Isagoge? Lo studio dei problemi dei Luoghi piani probabilmente porta Fermat ad approfondire l’applicazione dell’algebra ai problemi di luogo e a elaborare l’Isagoge. Fermat non riesce a completare subito la ricostruzione dei due libri che compongono l’opera: un teorema lo mette alla prova. Non c’è accordo tra gli studiosi su quale teorema abbia bloccato Fermat e ci sono due ipotesi su cui la storiografia è divisa. È possibile che la risoluzione di questo ultimo teorema abbia portato Fermat verso la scoperta del principio della geoemtria analitica. D’altra parte, è plausibile anche il viceversa: la scoperta del principio della geometria analitica può aver aiutato Fermat a completare la restituzione dei Luoghi piani.

(9)

iii

passaggi possano suggerire un legame tra esse. Per comprendere appieno lo stile e l’importanza del lavoro di Fermat, è inoltre necessario soffermarsi sulla sua vita, le influenze sui suoi studi e sulla matematica dei suoi tempi.

Nel primo capitolo daremo qualche cenno sulla Collezione matematica di Pappo, insistendo in particolare sul Libro VII, in cui è contenuta l’epitome ai Luoghi piani. La Collezione matematica ha avuto un’importanza fonda-mentale per lo sviluppo della matematica moderna. In particolare il Libro VII, è stato il punto di partenza per molti matematici, tra cui Fermat.

I problemi che Fermat sceglie, il modo in cui li studia e quali obiet-tivi si pone nella propria ricerca matematica dipendono dalle risorse della sua formazione matematica, quindi il secondo e terzo capitolo sono dedicati a presentare un quadro storico della matematica del XVI e XVII secolo a tratteggiare la figura di Fermat: la vita, le influenze, le opere più importanti.

Nel quarto e quinto capitolo esamineremo nel dettaglio la Restitutio dei Luoghi plani. Ne analizzeremo in particolare le parti che potrebbero gettare luce sulla genesi del metodo contenuto dell’Isagoge e le due ipotesi su quale sia il teorema che impedisce a Fermat di completare subito l’opera.

Nel sesto capitolo affronteremo l’Isagoge: ne leggeremo l’introduzione e alcune proposizioni che illustrano il metodo elaborato da Fermat.

Infine dedicheremo un po’ di spazio alle conclusioni: non c’è un’evidenza su quando esattamente e in che modo Fermat abbia intuito la potenzialità di legare equazioni in due incognite a curve piane, né di quale sia la fonte che gli ha ispirato questo cambiamento fondamentale. Tuttavia, abbiamo mostrato che ci sono motivi per ritenere che la ricostruzione dei Luoghi piani di Apollonio abbia avuto un ruolo di primo piano nella nascita dell’Isagoge.

(10)
(11)

Capitolo 1

La Collezione matematica di

Pappo

Come molti studiosi del suo tempo, Fermat studia i testi della matematica greca classica: le Coniche di Apollonio, gli Elementi di Euclide, l’Aritmetica di Diofanto, la Collezione matematica di Pappo.

Agli inizi dei suoi studi matematici, intorno al 1629, Fermat inizia la ricostruzione di una delle opere citate da Pappo nella Collezione matematica: i Luoghi Piani di Apollonio, della quale sopravvive solo il breve riassunto fatto da Pappo. Fermat impiega diversi anni a completare la Restitutio a causa delle difficoltà incontrate nella ricostruzione della dimostrazione di un teorema1. A pochi mesi di distanza dalla conclusione della Restitutio, Fermat

porta a compimento un’altra opera, Ad locos planos et solidos isagoge, che contiene un metodo per studiare quei luoghi piani che Fermat ha studiato grazie ad Apollonio e Pappo.

Per analizzare il legame tra le due opere di Fermat è dunque necessario soffermarsi sulla Collezione matematica: che genere di opera è? E quali informazioni sulla matematica greca ci ha tramandato? Come mai Fermat e gli studiosi del suo tempo si soffermano a lungo sullo studio di questo trattato?

La Collezione matematica è un’opera del tardo periodo ellenistico, attri-buita a Pappo di Alessandria, un matematico greco vissuto nel III secolo d.C.. Oltre che per gli studi matematici di Fermat, questa opera ha un’importanza fondamentale anche per lo sviluppo della matematica moderna.

1Non c’è certezza su quale sia questo teorema. Analizzeremo le due ipotesi principali

eleborate dagli studiosi nel capitolo 5.

(12)

2 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

La maggior parte delle informazioni riportate in questo capitolo a propo-sito della Collezione matematica provengono dal lavoro di Alexander Jones, Pappus of Alexandria Book 7 of the Collection ([10]).

1.1

Pappo di Alessandria

Di Pappo non esistono notizie biografiche precise: si sa che visse ad Alessan-dria durante il regno di Diocleziano (284 d.C.-305 d.C.).

Le opere di Pappo, esistenti o perdute, mostrano che i suoi interessi variano dalle scienze esatte ad altre materie. Ne citiamo alcune:

• la Collezione matematica;

• un commento all’Almagesto, un’opera astronomica scritta da Claudio Tolomeo intorno al 150 d.C.;

• un commento al Libro X degli Elementi di Euclide.

Pappo vive alla fine del periodo Ellenistico, durante il quale la geometria sintetica, la principale corrente della matematica greca, attraversa un perio-do di declino: questa scienza continua a essere studiata e insegnata, ma le scoperte di risultati originali sono sempre meno frequenti. Le cause e l’inizio di questo declino non sono chiare, a causa della carenza di fonti per il periodo compreso tra la vita di Apollonio (200 a.C. circa) e il IV secolo d.C.

Pappo si colloca in un contesto di commento e unificazione2 delle opere

precedenti. La sua stessa opera, secondo quanto affermato da Jones3,

con-tiene poche nuove scoperte, non molto significative, ed è pertanto più vicina a una summa del sapere matematico accumulato sino a quel periodo che a una raccolta di sapere nuovo.

1.2

La Collezione matematica

La Collezione matematica (da qui in poi, Collezione) è l’opera più impor-tante attributa a Pappo ed è una raccolta di sapere matematico che spazia tra diversi argomenti.

2Una tendenza caratteristica della geometria greca è lo sforzo a unificare, cioè usare

lo stesso approccio per problemi simili, piuttosto che a generalizzare, cioè applicare lo stesso risultato con ipotesi meno forti. A questo proposito possiamo per esempio citare la proposizione 19 dei Conoidi e sferoidi di Archimede in cui in una volta sola viene stabilito un lemma di approssimazione per paraboloide, ellissoide e iperboloide, senza però indicare sulla base di quale proprietà comune.

(13)

1.2. LA COLLEZIONE MATEMATICA 3

La Collezione è composta da otto libri, dei quali sono andati perduti il primo e la prima metà del secondo.

Libri I e II Sembra che riguardassero i princìpi del sistema di tetradi intro-dotto da Apollonio per esprimere numeri grandi. La discussione segue un’opera di Apollonio andata perduta, che si assumeva che il lettore avesse sotto mano.

Libro III Secondo l’intestazione del libro, «contiene problemi geometrici sia piani sia solidi». Pappo distingue tra problemi piani (risolubili con riga e compasso), solidi (risolubili con curve che derivano da intersezioni di solidi e piani, come le coniche), di linea (risolubili con linee più complicate). Tra i problemi che descrive, troviamo alcune soluzioni ai tre celebri problemi dei Greci, diventati famosi nel corso della storia: la duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo (problemi solidi) e la quadratura del cerchio (problema di linea).

Libro IV Pappo insiste sul fatto che ogni problema richiede una costruzione appropriata: non si dovrebbero usare luoghi geometrici di linea nella soluzione di un problema solido, né luoghi geometrici solidi o di linea nella soluzione di un problema piano.

Nel libro IV troviamo anche qualche esempio di nuovi risultati significa-tivi, sotto forma di generalizzazioni di teoremi precedenti: una genera-lizzazione del teorema di Pitagora (in cui si usano dei parallelogrammi costruiti sui lati di un triangolo qualsiasi), un’estensione dei teoremi di Archimede.

Libro V Vi si affrontano problemi di isoperimetria, compresa la dimostra-zione che, a parità di perimetro, il cerchio possiede area maggiore rispetto a qualsiasi poligono regolare.

Libro VI In questo libro Pappo si lamenta di coloro che insegnano il cosid-detto «dominio dell’astronomia» perché prestano poca attenzione alle proposizioni, aggiungono cose che ritengono necessarie e ne omettono altre che non lo sono, fecendo esempi tratti da opere di Teodosio ed Euclide. Pappo si propone di spiegare e correggere questi errori. Libro VII Tra tutti i Libri, questo è quello che riveste la maggiore

impor-tanza per la storia della matematica. In esso troviamo l’esposizione del metodo di analisi e sintesi e la descrizione di una raccolta di opere nota come dominio dell’analisi4 . La caratteristica comune alle opere

4In greco άναλυόμενος τόπος. Qui seguiamo Jones, che traduce il termine greco con

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4 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

citate è che i problemi e i teoremi sono affrontati e dimostrati mediante il metodo analitico.

Libro VIII La prefazione descrive lo scopo e le suddivisioni della mecca-nica, in che modo fu il primo a scrivere di meccanica e il suo legame con la geometria. Nella parte iniziale, Pappo affronta i centri di gravità di alcuni solidi, il piano inclinato e altre «cose particolarmente attinen-ti all’argomento della meccanica». Successivamente passa a descrivere alcuni metodi “meccanici” per risolvere problemi geometrici5. Il libro si interrompe dopo la trattazione degli ingranaggi e dell’elica, che si combinano in una macchina descritta nella Meccanica di Erone. Parleremo in modo più approfondito del Libro VII nel paragrafo 1.3, poiché tra le opere citate da Pappo nel dominio dell’analisi compaiono i Luoghi piani di Apollonio, al cui recupero Fermat si dedica, e le cui difficoltà nella traduzione in linguaggio algebrico lo portano a sviluppare la riflessione che porterà alla nascita della geometria analitica.

1.2.1

Un’enciclopedia della matematica greca?

La Collezione è spesso considerata una specie di enciclopedia della matema-tica greca, un compendio in cui Pappo cerca di comprendere tutti i risultati di maggior valore del passato. Ma secondo Jones6 alcune anomalie nella sua composizione non possono essere spiegate assumendo questa ipotesi e diven-tano comprensibili solo se supponiamo che la Collezione non sia un lavoro unico, ma una raccolta di lavori più corti e separati. Il titolo stesso, Collezio-ne, sarebbe più adeguato a una tale raccolta di opere che a un unico lavoro organico.

Secondo Jones, una delle anomalie più evidenti riguarda i singoli libri della Collezione, che differiscono tra loro nel contenuto e nel genere. Facciamo alcuni esempi.

• I Libri V, VIII e la prima parte del III sembrano essere autonomi: non è necessario che il lettore abbia accesso ad altri testi per essere in grado di seguire il ragionamento matematico. Al contrario, la lettura dei i Libri II, VI e VII deve essere accompagnata dalla conoscenza di

5Cioè si usano curve “meccaniche”. Le curve “meccaniche” non sono be definite nella

matematica greca. Con tale termine si possono intendere le curve ricavate con un pro-cedimento meccanico o con uno strumento apposito (per esempio come la concoide di Nicomede). Queste particolari curve sono alla base della riflessione di Descartes sul Libro II della Géométrie.

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1.2. LA COLLEZIONE MATEMATICA 5

testi più vecchi, senza la quale diventano in parte incomprensibili e in generale inutili.

• Il Libro VIII sembra un libro di testo introduttivo, mentre la prefazione al Libro III mostra che è una sporadica, polemica composizione. • Dei sei libri di cui ci sono pervenuti gli inizi, solo quattro hanno

de-diche, a tre persone diverse. Nell’Antichità la dedica era rivolta al principale destinatario del libro, quindi dedicare parte della composi-zione a una persona, parte a un’altra è strano, anche ammettendo che le varie sezioni siano state completate in un lungo arco di tempo. • Anche la successione degli argomenti è illogica, per uno studio di tutta

la matematica.

– Il Libro V è dedicato alla geometria dei solidi regolari, tuttavia alle fine del Libro III compare una sezione su come inscrivere solidi in una sfera, che non è legata al resto del libro.

– I problemi sulla tangenza sono trattati nel Libro IV, ma non ci sono riferimenti ai Contatti di Apollonio, che sono affrontati nel Libro VII.

– La divisione dei problemi in piani, solidi e lineari è menzionata in maniera sovrabbondante nei Libri III, IV, VII.

L’ipotesi di Jones è quindi che la Collezione non solo non sia un’opera unica redatta da Pappo, ma che sia addirittura stata messa insieme da un suo allievo o dai circoli neoplatonici di Alessandria in un periodo successivo alla vita di Pappo.

1.2.2

L’importanza della Collezione

La Collezione è importante per almeno due ragioni: rappresenta una fonte indiretta della matematica greca e svolge un ruolo cardine nello sviluppo della matematica moderna.

• Questa opera fornisce una preziosa documentazione storica su al-cuni aspetti della matematica greca che altrimenti non sarebbero noti. Per esempio, è grazie al Libro V della Collezione che è nota la scoperta di Archimede dei tredici poliedri semiregolari (i solidi archimedei); il testo contiene dimostrazioni alternative e lemmi supplementari relativi a teoremi di Euclide, Archimede, Apollonio e Tolomeo e alcune scoper-te e generalizzazioni che non troviamo in alcuna altra opera antica che sia pervenuta.

(16)

6 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

• La Collezione riveste un ruolo nello sviluppo della matematica moderna, importanza dovuta al fatto che essa è in qualche modo un’opera aperta. Le opere di Apollonio ed Euclide sono autocontenu-te, veri e propri manuali in cui i teoremi si susseguono secondo una logica evidente al lettore, sebbene non sia chiaro lo scopo dell’opera. Questo lascia meno spazio a una ricerca ulteriore: le opere hanno già sviscerato ogni aspetto dell’argomento in questione. L’opera di Pappo, al contrario, ha uno scopo chiaro (per esempio, nel Libro VII questo scopo consiste nel fornire gli strumenti per affrontare i problemi del dominio dell’analisi ), ma la sua lettura è ardua. Pappo cita una serie di risultati senza fornirne una dimostrazione, e molti di questi risultati, inoltre, sono noti solo attraverso la sua testimonianza. Per questo, Pap-po spinge coloro che lo studiano a Pap-porsi delle domande: è uno stimolo a indagare.

1.3

Il Libro VII

Come accennato in precedenza, il Libro VII della Collezione in particolare è protagonista dello studio e della ricerca matematica nel XVI-XVII secolo: per esempio, in esso Fermat e Descart trovano problemi e fonte di ispirazione per le riflessioni che porteranno alla nascita e sviluppo del concetto di geometria analitica.

Il Libro VII ha un carattere di rassegna: Pappo raccoglie e riassume i risultati di 32 libri e li correda dei lemmi necessari alla loro dimostrazione. È difficile definire quale sia l’argomento del libro: semplificando, possiamo dire che contiene una raccolta di tutte le opere che forniscono gli strumen-ti adatstrumen-ti a risolvere problemi geometrici. Pappo chiama questa raccolta di testi e conoscenze «dominio dell’analisi»: parafrasando quanto scrive, il dominio dell’analisi è una «risorsa speciale»7 che permette di risolvere pro-blemi geometrici complessi «e essa solamente è utile per questa cosa» e il suo approccio è attraverso «analisi e sintesi».

I trattati del dominio dell’analisi citati da Pappo dovrebbero dunque ser-vire a facilitare la riduzione di un problema a uno equivalente, la cui soluzione è nota o il cui metodo risolutivo è particolarmente fecondo. Un esempio di questo metodo di riduzione è dato da Ippocrate di Chio, il quale riduce il

7Non è chiaro se Pappo consideri il «dominio dell’analisi» un ambito di conoscenze

o semplicemente un insieme di testi accomunati dal fatto di fornire un certo tipo di stru-menti. Sembra che Jones ([10], pag. 377) propenda per la prima ipotesi: descrivendo il «dominio» come la parte della matematica che concerne l’analisi geometrica.

(17)

1.3. IL LIBRO VII 7

problema di duplicare il cubo al problema di costruire due medi proporzionali a due grandezze date.

A questo punto è doverosa una precisazione. Quando Pappo parla di analisi non dobbiamo pensare al concetto moderno, nato proprio dall’inter-pretazione che fu data nel XVI secolo al metodo citato da Pappo: l’analisi di Pappo è sostanzialmente un metodo per risolvere un problema matematico (torneremo su questo argomento nel paragrafo 1.3.2).

1.3.1

La struttura del Libro

Il Libro VII è composto da tre parti.

1. Un’introduzione generale al dominio dell’analisi, che comprende una descrizione sintetica (piuttosto oscura) del metodo di analisi e sintesi e un elenco delle opere contenute nel libro, nell’ordine in cui compaiono:

• i Dati

• di Apollonio: due libri della Sezione di rapporto, due libri della Separazione di area, due libri della Sezione determinata, due libri dei Contatti ;

• di Euclide: tre libri dei Porismi ;

• di Apollonio: due libri delle Inclinazioni, due libri dei Luoghi piani, otto libri delle Coniche;

• di Aristeo: cinque libri dei Luoghi solidi ; • di Euclide: due libri dei Luoghi su superfici ; • di Eratostene: due libri di Sulla media.

2. Le introduzioni («epitomi») a nove dei trattati. Dove possibile, Pappo segue una formula costante per le epitomi: enuncia il problema o i problemi risolti nel lavoro nella forma più generale che può e talvolta elenca numero di problemi, casi, proposizioni, diorismi e lemmi che vi appartengono. Le epitomi devono essere lette prima dei trattati e come guida ai loro contenuti.

3. Per quasi ogni opera, Pappo presenta un corpo di lemmi che secondo l’intenzione dell’opera dovrebbero accompagnare il vero lavoro su ogni trattato.

Nella parte introduttiva Pappo afferma di aver individuato ogni passag-gio del rapassag-gionamento geometrico in cui sono assunti passi che un lettore

(18)

8 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

poteva non essere in grado di giustificare immediatamente. Sfortuna-tamente, quando include un lemma nel Libro VII, Pappo non sempre indica il punto del trattato a cui si riferisce. Inoltre spesso include in aggiunta teoremi e problemi che non sono veri lemmi, ma piuttosto supplementi e prove alternative. Di conseguenza è spesso difficile per noi correlare i lemmi con i trattati, anche nel caso di testi che sono giunti fino a noi, come le Coniche di Apollonio.

1.3.2

Il metodo di analisi e sintesi

Il Libro VII è dunque un prontuario di trattati geometrici che costituiscono il dominio dell’analisi. Questi libri forniscono gli strumenti adatti a risolvere problemi geometrici attraverso questo particolare ragionamento.

E con queste parole che, all’inizio del Libro VII, Pappo descrive in cosa consistono analisi e sintesi.

L’analisi è il percorso da ciò che uno sta cercando, come se fosse stabilito, attraverso le sue conseguenze, a qualcosa che è stabilito dalla sintesi. Vale a dire, nell’analisi si assume ciò che è cercato come se fosse stato ottenuto, e si cerca la cosa da cui segue, e ancora ciò che viene prima di quella, fino a che, procedendo a ritroso in questo modo, si arriva qualcuna delle cose che sono già conosciute, o che occupano il ruolo di primo principio. Chiamiamo questo tipo di metodo “analisi”, come a dire anapalin lysis [riduzione all’indietro]. Nella sintesi, al contrario, assumiamo l’ultima cosa ottenuta con l’analisi come se fosse stata raggiunta, e, ponendola ora nel giusto ordine, cioè precedente, ciò che prima seguiva e, adattandoli l’uno all’altro, si raggiunge la costruzione di ciò che era cercato. Questo è ciò che chiamiamo “sintesi”.8

La descrizione data da Pappo non è chiarificatrice, anzi genera più dubbi che certezze. Riportiamo un’intepretazione delle parole di Pappo.

La sintesi comincia assumendo che alcuni oggetti astratti siano dati e che siano vere alcune affermazioni su essi e, con una serie di passi validi per convenzione, arriva infine alla conclusione desiderata, che può essere:

• la validità di un’affermazione in un teorema;

• la costruzione di un oggetto specifico in un problema.

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1.3. IL LIBRO VII 9

La prova sintetica di una proposizione, anche semplice, può essere difficile da scoprire direttamente. Per questo, come approccio preliminare, può essere vantaggioso lavorare all’indietro dall’obiettivo, supponendo che l’ordine dei passi sia invertibile per produrre una sintesi valida della proposizione. Nella geometrica greca questo approccio, detto analisi, è una specie di inverso del metodo sintetico di dimostrazione o costruzione, in cui si procede assumendo che il teorema in questione sia valido o il problema sia risolto e poi, seguendo le implicazioni del teorema o della soluzione, si arriva a una conclusione che si sa essere vera oppure falsa.

L’analisi dei greci non è un vero metodo, ma piuttosto una tecnica, o per meglio dire un corpo di tecniche, usate più come suggerimento che come prescrizione9. Per i greci la parola «analisi» connota un corpo in continua crescita di tecniche collegate alla risoluzione di problemi, al quale il matema-tico si può rivolgere per trovare un aiuto nella risoluzione di problemi difficili. L’analisi costituisce dunque una sorta di scatola degli attrezzi, ed è questo ciò che presumibilmente Pappo intende nel Libro VII.

Pappo distingue tra due tipi di analisi10:

• analisi di teoremi, cioè proposizioni in cui la validità di un’affermazione deve essere determinata;

• analisi di problemi, cioè proposizioni che richiedono la costruzione di un oggetto descritto da vari dati.

L’analisi usa gli stessi passi logici della dimostrazione sintetica, ma co-mincia assumendo vero ciò che è da provare e andando a ritroso finché non è raggiunta una conclusione, che si sa essere vera (o falsa) indipendentemente dall’assunzione: posso provare (a) se posso provare (b), posso provare (b) se posso provare (c). Questo procedimento non garantisce che se è vero (c) allora è vero anche (a), ma permette di rovesciare il processo, iniziando con la cosa che può provare e andando indietro, passo dopo passo, verso la cosa che è da provare.

Se la conclusione è falsa, l’analisi di un teorema fornisce quindi una di-mostrazione della non validità del teorema ed è una riduzione ad assurdo che confuta il teorema. Se invece la conclusione è vera, ci si trova di fronte al problema logico dell’analisi: la tecnica di analisi non garantisce né la cor-rettezza della proposizione, né la possibilità di ottenere una dimostrazione valida invertendo i passi del ragionamento.

9Vedi anche [11], pagg. da 319

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10 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

L’analisi produce dunque una catena di inferenze che conducono da una premessa di ignoto valore di verità a una conclusione di cui è noto il valore di verità, cioè a un’inferenza del tipo A → B. La falsità di B implica la falsità di A, ma se B è vera, non è possibile concludere nulla a proposito della verità di A, a meno che l’implicazione logica non sia doppia: A ↔ B. È tuttavia vero che in geometria molti teoremi hanno un inverso e, se questo non vale immediatamente, lo si può ricavare aggiungendo delle condizioni ulteriori (in greco questa condizione si dice «diorismos»). Una volta stabilita questa condizione, l’inverso del teorema è stabilito e dà luogo alla sintesi.

Comunque, se l’analisi arriva a una conclusione che si sa essere falsa indipendentemente o inconsistente con le ipotesi, allora è una confutazione valida grazie alla reductio ad absurdum e non richiede inversione; tali prove sono ben documentate.

Sono esempi di analisi di teoremi:

• le prime cinque proposizioni del Libro XIII degli Elementi di Euclide, le cui analisi sono state inserite nel testo trasmesso qualche tempo dopo Euclide;

• alcune proposizioni del Libro VII della Collezione (7.225, 7.226, 7.231, 7.321).

Al contrario del caso dei teoremi, l’analisi dei problemi è invece molto frequente nei trattati greci, per due ragioni.

• L’analisi di un problema ha un grado di persuasività che manca nell’a-nalisi dei teoremi. Infatti esiste un repertorio di operazioni invertibili, utili alla risoluzione dei problemi, come per esempio i passi delle costru-zioni geometriche. Una raccolta di queste operacostru-zioni adatte all’analisi dei problemi si trova nei Dati di Euclide, un trattato in cui alcune pro-posizioni degli Elementi sono riformulate in una forma adatta a essere usata nell’analisi dei problemi.

• L’analisi aiuta il matematico a raccogliere informazioni sulle condizio-ni di possibilità e sul numero di soluziocondizio-ni del problema studiato, la cui determinazione, («diorisma») è una parte essenziale della soluzione completa del problema.

1.3.2.1 I Dati di Euclide

Come accennato poco sopra, per l’analisi dei problemi è essenziale la nozione di dato, che è applicata sia agli oggetti assunti all’inizio del problema, sia a

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1.3. IL LIBRO VII 11

qualunque altro oggetto determinato da ciò che è assunto. La parola «dato» ha un’ampia gamma di significati nella matematica antica. I più comuni sono «assunto», «determinato», «determinato e costruibile»:

dato in grandezza: segmento, area, cerchio, segmento circolare o angolo del quale si può costruire un oggetto uguale;

rapporto dato: un rapporto tale che si possono costruire due grandezze che hanno quel rapporto;

dato in posizione: punto, retta, etc che «occupa sempre lo stesso posto»; dato in specie: un figura i cui angoli sono tutti dati e in cui i rapporti dei

lati sono dati.

I Dati di Euclide codificano le definizioni di base e i teoremi che sta-biliscono cosa può essere «dato», fornendo strumenti utili per l’analisi dei problemi. La seguente proposizione dei Dati è un esempio di cosa è contenu-to nell’opera: proposizioni che dimostrano che se certi oggetti sono dati, un altro oggetto che dipende da essi è anch’esso dato.

Esempio 1.3.1. Proposizione 28 di Dati :

Se due linee rette date in posizione si intersecano, il punto in cui si incontrano è dato in posizione.

1.3.2.2 La soluzione completa di un problema: un esempio Un esempio di soluzione completa di un problema, che comprende analisi e sintesi, è dato dalla prima proposizione della Sezione di rapporto11

di Apollonio. L’analisi comincia assumendo l’esistenza dell’oggetto cercato e, attraverso varie costruzioni e argomentazioni del tipo dimostrato nei Dati, arriva alla conclusione che tale oggetto è dato.

Esempio 1.3.2. Proposizione (1.1.1) della Sezione di rapporto di Apollonio. Due rette sono date in posizione nel piano, parallele o incidenti e su ognuna di esse è dato un punto; è dato anche un terzo punto che non giace su nessuna delle due e un rapporto.

Si deve tracciare una retta passante per il terzo punto che tocca entrambe

11Della sezione di rapporto ci è pervenuta solo la traduzione araba. Nel trattato si

studiano problemi in cui, date due rette e un punto in ciascuna di esse, si chiede di tracciare una retta attraverso un terzo punto dato che taglia le altre due rette in modo che i segmenti individuati dai punti dati e dal punto di intersezione con la terza retta abbiano un rapporto dato.

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12 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

le rette date in modo che i segmenti che hanno come estremi il punto di intersezione e il punto dato hanno rapporto dato.

Siano AB e ΓΔ due rette parallele e i punti dati E su AB e Z su ΓΔ. Tracciamo la retta EZ e prolunghiamola fino ad H. Il punto dato può giacere nell’angolo Δ ˆZH o negli angoli B ˆEZ, Δ ˆZE.

Consideriamo il caso in cui il punto Θ giace nell’angolo Δ ˆZH. Allora le rette passanti per Θ che tagliano le rette date in modo che i segmenti staccati sulle rette date siano in rapporto dato possono giacere in tre diverse posizioni: tagliare le rette in EB e ZΔ, o in EA e ZΔ o in EA e ZΓ.

Consideriamo il primo caso, in cui la retta ΘK taglia le rette EB, ZΔ in un rapporto:

EK : ZΛ = r : s |{z}

dato

.

Tracciamo la retta EΘ, che è quindi data in posizione12.

Figura 1.1: Analisi

Anche Γ∆ è data in posizione, quindi il punto M , intersezione di EΘ e Γ∆, è dato13. Poiché i punti M e Θ sono dati, è dato il rapporto EM : M Θ.

Quindi, componendo, il rapporto EΘ : ΘM è dato:

EM : M Θ = a : b |{z} dato → (EM + M Θ) | {z } =EΘ : M Θ = (a + b) : a | {z } dato . Ma: EΘ : ΘM = EK : M Λ,

12Perché passa per due punti dati in posizione (Dati, proposizione 29). 13Perché intersezione di due rette date, (Dati proposizione 28).

(23)

1.3. IL LIBRO VII 13

quindi EK : M Λ è dato.

Poiché EK : ZΛ è dato per costruzione, ZΛ : ΛM è dato14. Separando:

ZΛ : ΛM = (ZM − ΛM ) : ΛM,

quindi ZM : M Λ è dato. Poiché ZM è dato in grandezza15, anche M Λ è dato in grandezza e posizione.

Poiché il punto M è dato, è dato anche il punto Λ. Il punto Θ è dato, dunque la retta ΘK è data. Poiché ΛM < ZΛ:

EK : M Λ > EK : ZΛ.

Ma EK : M Λ = EΘ : ΘM , quindi:

EΘ : ΘM > EK : ZΛ.

Ma EK : ZΛ è uguale al rapporto dato, quindi:

r : s < EΘ : ΘM,

cioè il rapporto dato è minore del rapporto EΘ : ΘM .

La sintesi del problema è come segue. Consideriamo ancora la situazione di prima, uniamo EΘ.

Figura 1.2: Sintesi

14Infatti EK : M Λ = (EK : ZΛ)(ZΛ : ΛM ).

(24)

14 CAPITOLO 1. LA COLLEZIONE MATEMATICA DI PAPPO

Abbiamo mostrato che il rapporto dato deve essere minore di EΘ : ΘM . Sia N : ΞO, e siano EΘ : ΘM = N : ΞΠ e OΠ : ΠΞ = ZM : M Λ. Uniamo ΘΛ e prolunghiamolo fino a K.

Dico che la retta ΘK è l’unica che risolve il problema. Poiché ZM : M Λ = OΠ : ΠΞ, componendo:

(ZM + M Λ) : M Λ = (OΠ + ΠΞ) : ΠΞ → ZΛ : ΛM = ΞO : ΞΠ . Quindi EK : M Λ = N : ΞΠ. Ma M Λ : ΛZ = ΠΞ : ΞΘ. Poiché EK : ZΛ = EΘ : ΘM , allora:

EK : ZΛ = N : ΞO.

Allora dal punto Θ è stata disegnata una retta ΘK che taglia un rapporto EK : ZΛ uguale al rapporto dato, cioè la retta ΘK risolve il problema. È anche l’unica che lo risolve. Supponiamo che ci sia un’altra retta ΘX che lo risolve, cioè che taglia un rapporto EX : ZP uguale a quello dato. Poiché ΛM < ΛZ, allora P Λ : ΛM > P Λ : ΛZ.

Componendo:

(P Λ + ΛM ) : ΛM > (P Λ + ΛZ) : ΛZ → P M : M Λ > P Z : ZΛ.

Ma P M : M Λ = XE : EK; quindi XE : EK > P Z : ZΛ.

Alternando, XE : P Z > EK : ZΛ. Allora la retta ΘX non risolve il problema.

In modo analogo dimostriamo che nessun’altra retta oltre ΘK risolve il problema. Allora ΘK è l’unica retta che risolve il problema ed è ovvio che le rette più vicine al punto Z tagliano rapporti minori dei rapporti tagliati da rette più lontane.

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Capitolo 2

La matematica del XVII secolo

Dal XV al XVII secolo lo sviluppo della matematica segue due correnti prin-cipali: la tradizione matematica abachista, la cui ricerca si concentra sulla ricerca delle soluzioni generali di equazioni, e quella umanista, che si occupa di recuperare e assimilare le opere della matematica greca antica.

Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo entrambe queste correnti si infilano in un doppio vicolo cieco. Gli abachisti non trovano una soluzione soddisfacente per il problema della ricerca delle soluzioni delle equazioni di terzo grado: il caso generale implicherebbe l’uso di radici quadrate di numeri negativi, ma i matematici dell’epoca sono ancora restii ad attribuire un signi-ficato a queste entità. Dall’altra parte, la corrente umanista è ormai pronta a sganciarsi dal modello greco: Luca Valerio e Bonaventura Cavalieri arriva-no a nuovi risultati, iniziando la tendenza verso la generalizzazione che sarà caratteristica della matematica moderna; tuttavia lo sforzo di inquadrare i nuovi risultati raggiunti nel contesto di quella stessa matematica da cui si stanno separando impedirà loro di fare il passo avanti decisivo1.

In questo contesto si sviluppa il pensiero del matematico francese Fra-nçois Viète, il cui lavoro geniale collega l’algebra, nata dalla tradizione araba e da quella abachista, alla geometria greca, restituita agli studiosi dall’Uma-nesimo.

1Per la stesura di questo capitolo abbiamo consultato [3] e Il Rinascimento italiano di

Pier Daniele Napolitani in [1]

(26)

16 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

2.1

L’origine della matematica del XVII

se-colo

La matematica del XVII secolo nasce dall’intrecciarsi di tradizioni e storie frutto dello sviluppo avvenuto nei secoli precedenti. I principali contributi dello sviluppo nel XVI secolo sono tre.

La cultura matematica delle scuole d’abaco La tradizione risale al XII secolo e al Liber abaci di Leonardo Pisano, detto Fibonacci. La scuo-la d’abaco (di cui parleremo in 2.4.1) è alscuo-la base delscuo-la formazione dei mercanti, degli artisti, degli architetti, degli ingegneri, insomma di tut-ti coloro che non frequentano l’università e non si avviano a una delle carriere “liberali” (medicina, avvocatura, ...).

La cultura umanista Nel Quattrocento viene riscoperta la filosofia clas-sica greca: a Platone e Aristotele si affiancano gli altri filosofi della tradizione classica, stoici, epicurei, scettici. Recuperare la cultura anti-ca diventa una necessità per la costruzione di una nuova cultura civile. In questo contesto nasce l’esigenza di andare a ricercare le opere an-tiche, che andranno a popolare le collezioni umanistiche di Venezia, Firenze, Urbino, Roma. Questa volontà di recupero e rinnovamento coinvolge anche la matematica. Nel XIV secolo dai viaggi di studiosi verso Bisanzio arrivano codici contenenti opere di Apollonio, Tolomeo, Pappo ed Erone, che vengono mano a mano tradotti e pubblicati. La tradizione filosofica Risale alla corte papale di Viterbo del XIII

seco-lo e a Guglielmo di Moerbeke, che nel Medioevo traduce quasi tutto il corpus delle opere di Archimede. In quel periodo Viterbo è un centro culturale di prima importanza, in cui si sviluppa il tentativo di giusti-ficare le teorie filosofiche con descrizioni geometriche unito allo sforzo di recuperare i testi matematici antichi.

Questi tre filoni si intrecciano tra il XIII e il XVI secolo e mano a mano i legami tra loro diventano più stretti e complessi. Spesso lo stesso personag-gio si muove in più di una di queste tradizioni, contribuendo al rinforzarsi reciproco di ciascuna di esse.

Ne è un esempio Girolamo Cardano (1501-1576). Formato nella tradizione umanista, è un medico di fama mondiale, professore a Bologna e Milano. È anche uno scrittore prolifico che spazia tra argomenti diversi, uno dei quali è la matematica: nel 1545 pubblica il trattato Ars magna, grazie al quale i risultati delle scuole d’abaco si divulgano in tutta Europa.

(27)

2.2. IL RECUPERO DELLA MATEMATICA GRECA 17

In questo periodo la matematica studiata nelle Università è meno ricca sia di quella umanista sia di quella abachista. Alcune università hanno cattedre triennali in cui si insegnano i primi quattro libri degli Elementi di Euclide, dei rudimenti di astronomia e modelli di orbite planetarie. Lo studio della matematica era utile per i successivi studi di arte e medicina.

Alla fine del XVI secolo le tre tradizioni si sono intrecciate in modo ormai indistinguibile, grazie anche all’azione di due importanti fattori.

Il recupero quasi integrale della matematica greca classica Il recu-pero e l’assimilazione di questi testi e la loro problematica lettura dà luogo a uno sforzo interpretativo e alla nascita di programmi di ricer-ca. Il recupero del corpus della matematica greca impone una scelta netta nel modo di affrontare lo studio dei testi scientifici: o filologico o matematico.

L’invenzione della stampa Permette il diffondersi rapido delle nuove tra-duzioni di testi, rendendole accessibili a un pubblico su una scala fino a quel momento impensabile.

Nella seconda metà del XVI secolo sono state dunque recuperate la mag-gior parte delle opere matematiche dell’antichità che sono pervenute fino ai giorni nostri. La riscoperta di Pappo e Apollonio porta l’analisi geometrica greca a rinnovata attenzione. Dall’altra parte, l’algebra degli arabi è stata assimilata e ulteriormente sviluppata: sono state elaborate le soluzioni gene-rali delle equazioni di secondo e di terzo grado e inizia un parziale uso del simbolismo.

2.2

Il recupero della matematica greca

Nel 1453 cade Costantinopoli: molti studiosi bizantini si trasferiscono in Italia e altri studiosi occidentali si recano là per imparare il greco e studiare i testi delle biblioteche. Da Costantinopoli questi studiosi tornano con codici di Tolomeo, Erone, Pappo, Apollonio. Inizia il processo di traduzione e assimilazione dell’enorme sapere matematico dei greci.

Dalla metà del XV secolo si assiste dunque a una rinascita dello studio della matematica classica.

Fino alla prima metà del XVI secolo la geometria è legata alle proprietà elementari descritte da Euclide, poiché pochi matematici hanno confidenza con le opere degli altri grandi matematici greci, come Archimede, Apollonio

(28)

18 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

e Pappo. Dopo la seconda metà del secolo si assiste alla rinascita della matematica antica, un processo che avviene in due fasi.

1. Prima attraverso il recupero dei testi antichi: grazie al lavoro di uma-nisti e matematici italiani vengono pubblicate le traduzioni latine di alcune importanti opere matematiche antiche (per esempio le Coniche di Apollonio, le opere di Archimede note fino al momento e anche la Collezione matematica di Pappo).

2. Successivamente, attraverso l’assimilazione dei testi delle opere recupe-rate.

Questo processo di riappropriazione porta a introdurre concetti matematici nuovi: i matematici del XVI-XVII secolo studiano dei testi spesso oscuri, che devono essere interpretati e per questo spingono i loro lettori a porsi nuove domande e a esplorare nuovi metodi.

Alla metà del XVI secolo sono stati stampati quasi tutto il corpus ar-chimedeo e alcune opere di Apollonio. Tuttavia sono ancora da tradurre e stampare molte altre opere, come per esempio quelle Pappo e Diofanto. I testi editi fino a quel momento non sono soddisfacenti e alcune traduzio-ni sfiorano il limite dell’incomprensibilità: questi testi sono spesso oscuri, o incompleti e mutili, e devono essere reinterpretati. Gli studiosi dell’epoca cercano di mettere in luce le relazioni tra i risultati contenuti in queste opere e di legarli alle nuove scoperte in algebra.

Si sente la necessità di una nuova rinascita che possa essere la base di un rinnovamento dell’insegnamento di tutte le discipline matematiche.

2.2.1

Il recupero della Collezione

Tra le opere che tornano alla luce durante l’Umanesimo c’è naturalmente anche la Collezione di Pappo. La storia della tradizione testuale del mano-scritto della Collezione è un esempio di come i manoscritti greci tornano alla luce durante l’Umanesimo.

2.2.1.1 La tradizione testuale

Non ci sono pervenute copie autografe della Collezione. Il testo di riferimento è un manoscritto del X secolo, chiamato Vat. Gr. (Vaticano greco) 2182 e i suoi discendenti (cioè copie manoscritte derivate da esso). Probabilmente almeno due copie separano il Vat. Gr. dall’originale.

(29)

2.2. IL RECUPERO DELLA MATEMATICA GRECA 19

La Collezione inizia a comparire nelle biblioteche intorno al 1200: nella biblioteca papale di Viterbo è presente il Vat. Gr. 218. È di quel pe-riodo l’opera Perspectiva del matematico Witelo (XIII sec.), in cui diverse proposizioni sono un adattamento di alcuni teoremi del Libro VI di Pappo.

Witelo probabilmente non sa leggere il greco: un’ipotesi plausibile è che Guglielo di Moerbecke, di cui è amico, gli abbia tradotto in latino alcuni estratti. Si pensa che sia stato proprio Guglielmo di Moerbecke a portare il Vat. Gr. in occidente.

Nel 1348 la corte papale viene trasferita ad Avignone. In questo trasferi-mento la biblioteca papale viene smebrata e la Collezione viene danneggia-tata, perdendo parte del Libro VIII.

Tra il 1420 e il 1430 l’umanista Filelfo entra in possesso della Collezio-ne, probabilmente dello stesso Vat. Gr., da cui saranno prodotte numero-se copie. La Collezione ormai inizia a circolare nelle biblioteche umaniste dell’Occidente.

2.2.1.2 La Collezione e la nascita della matematica moderna Grazie allo sforzo di recuperare le opere classiche greche, nel Rinascimento la Collezione torna disponibile agli studiosi: è tradotta in latino dal greco nel 1566 da Federico Commandino3, matematico e umanista italiano, e nel 1588 la traduzione è pubblicata e stampata, postuma. Grazie al lavoro di Commandino, la Collezione, rimasta fino a quel momento poco conosciuta ai matematici europei, inizia a diffondersi.

Nella Collezione matematica di Pappo sono contenuti brevi compendi di altre opere greche che attirano l’attenzione dei matematici. Questi riassunti sono spesso oscuri e fanno nascere domande nella mente di chi li studia. La ricostruzione razionale di queste opere, cioè il tentativo di ricostruirne (o meglio, indovinarne) la forma originale diventa un’attività frequente per i matematici del XVI e XVII secolo.

L’opera di Pappo poteva aver senso solo per un lettore che aveva accesso a tutto il corpus di opere a cui si riferisce: nel testo si trovano enunciati tecnici privati del contesto, talvolta seguiti da dimostrazioni. Di conseguenza quando le opere a disposizione di Pappo scompaiono, il lavoro di Pappo diventa di lettura problematica.

3Urbino, 1509 - Urbino, 1575. Traduce molte opere di matematici greci, tra cui,

ol-tre alla Collezione, alcune opere di Archimede e i primi quattro libri delle Coniche di Apollonio.

(30)

20 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

I matematici del XVI e XVII secolo, intrigati dal modo in cui lo stile sintetico dell’esposizione geometrica greca priva il lettore del percorso con cui l’autore ha scoperto i suoi teoremi, rivolgono avidamente l’attenzione a Pappo, che promette di offrire una maggiore comprensione della materia.

2.3

La determinazione dei centri di gravità

dei solidi

Alla fine del XVI secolo il problema della determinazione del centro di gravità dei solidi è un campo di ricerca molto frequentato.

In Luca Valerio (1553-1618) troviamo un approccio piuttosto diverso dal modello classico seguito fino ad allora. Il suo trattato De centro gravitatis so-lidorum libri tres (1604) può essere considerato l’ultimo testo della geometria di misura antica: nonostante Valerio resti fedele al linguaggio matematico ar-chimedeo, propone metodi talmente nuovi che dopo questo la geometria sarà costretta a intraprendere strade che la allontaneranno definitivamente dal modello greco.

Valerio studia il centro di gravità dei solidi conosciuti fino a quel momento: sfera, cono, piramide, priasma, cilindro, poliedri, paraboloide, iperboloide, ellissoide, cioè quelle considerate da Euclide e Archimede.

Valerio si allontana dal metodo greco che studia le figure note una a una, e per la prima volta considera un’intera classe di figure4, costruendo una teoria

valida per tutte le figure di questa classe. Si discosta quindi dalla tradizione classica che fino a quel momento è stata il modello della ricerca matematica umanista e si avvicina a quello che diventerà il metodo della matematica moderna: l’oggetto matematico non è più un oggetto concreto, definito dalla procedura che lo genera, ma la sua definizione si basa su proprietà opportune che permettono di dimostrare nel caso più generale possibile la tesi cercata. Nonostante lo spirito innovativo questo approccio, Valerio si trova a mesco-lare questi metodi generali agli argomenti tradizionali e non riesce a fare il passo definitivo verso una nuova visione.

Bonaventura Cavalieri (1598-1647) prosegue lo studio della determinazio-ne dei centri di gravità e della quadratura di curve, alla ricerca di un metodo che unisca la richiesta di generalità dell’oggetto da trattare e il rigore dimo-strativo della teoria in cui il metodo si inquadra. Cavalieri arriva a proporre un metodo generale per risolvere questi problemi, gli “indivisibili”, e una

4Le figure digradanti circa axim, che possiedono un asse di simmetria le cui sezioni

(31)

2.4. LA NASCITA DELL’ALGEBRA 21

teoria in grado di giustificare il metodo. Il metodo incontra un successo im-pressionante, in quanto permette di ottenere rapidamente i risultati classici e altri risultati nuovi (per esempio la quadratura delle parabola di ordine su-periore al secondo) e verrà applicato da matematici eminenti, come Torricelli e Pascal. La teoria, d’altra parte, verrà attaccata a causa di dimostrazioni oscure e involute. Per cercare di difendere il suo metodo, Cavalieri cerca di giustificare i suo risultati attraverso i risultati classici, facendo regredire gli indivisibili a pure tecniche dimostratorie.

Anche il metodo di Cavalieri si infila nello stesso vicolo cieco di Valerio: voler giustificare il nuovo alla luce del rassicurante antico.

2.4

La nascita dell’algebra

A metà del XVI secolo l’algebra non è ancora il metodo di calcolo simbolico odierno, ma un insieme di ricette per risolvere una miriade di forme di equa-zioni a coefficienti numerici, ciascuna spiegata per esempi. Un particolare interesse è dedicato alla ricerca delle soluzioni delle equazioni di terzo gra-do, una questione sorta dalla necessità di calcolare i tassi di interesse degli investimenti.

Questa matematica affonda dunque le sue origini nel ceto mercantile che a partire dal XII secolo fiorisce nel Mediterraneo e spinge i suoi traffici per tutto il mondo conosciuto e dunque non si sviluppa nelle università, ma nelle scuole d’abaco, dove si formano i figli dei mercanti, ma anche i futuri artisti, architetti, ingegnersi.

2.4.1

La matematica dell’abaco

Nel 1202 Leonardo Pisano, detto Fibonacci, pubblica il Liber Abaci, in cui Fibonacci riassume le conoscenze raggiunte dai matematici arabi fino a circa il X secolo, tra cui il trattato composto da al-Khwârizmî fra l’812 e l’833. Grazie dunque al Liber abaci nel XIII secolo si diffonde in Europa l’algebra sviluppata dagli arabi.

In quel periodo, in Occidente la matematica era tutt’altro che in svilup-po: tranne alcune traduzioni dall’arabo di classici greci (come Euclide) non circolavano molte opere in Europa. L’uscita del Liber abaci provoca una ve-ra e propria rivoluzione nel panove-rama della matematica europea. Il tve-rattato non è tanto importante per l’originalità dei risultati presentati (è infatti un compendio delle conoscenze raggiunte dai matematici arabi fino al X secolo circa), quanto perché introduce in Europa l’uso delle cifre “indiane” e della

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22 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

notazione posizionale, che permettono di applicare degli algoritmi meccanici di calcolo, semplificando molto i conti rispetto all’uso della notazione additiva in uso fino ad allora.

A parte per quanto riguarda la matematica, il XII secolo è un periodo di risveglio per l’Occidente, in cui industria e commercio si sviluppano, fa-cendo nascere basi commerciali delle città marinare italiane in tutto il Mar Mediterraneo. È in quel periodo che Marco Polo compie il suo viaggio ver-so la Cina. Si aprono nuove frontiere per i commerci e i confini del mondo commerciabile iniziano a estendersi oltre l’Europa. Lo sviluppo della società del Duecento reclama dei mezzi matematici adeguati a questa espansione: i mercanti dell’epoca sono alle prese con una miriade di unità di misura diverse (ogni città ha il suo sistema), di valute diverse; problemi di cambio e calcolo degli interessi sono all’ordine del giorno; vengono fondate società abbastan-za grandi per reggere una concorrenabbastan-za non più locale; si maneggiano cifre più grandi di quelle di una piccola bottega familiare. Il libro di Fibonacci risponde a questa esigenza, contribuendo alla nascita di una società che usa un approccio matematico per gestire traffici e transazioni.

Il Liber abaci non è però un testo di facile comprensione e l’uso delle cifre “indiane” suscita qualche diffidenza da parte di coloro che ancora non maneggiano con sicurezza le nuove tecniche di calcolo. Lo sviluppo delle reti commerciali, che diventano sempre più vaste, contribuisce a sciogliere queste diffidenze. Nel 1241 il Comune di Pisa incarica Fibonacci di tenere corsi per i suoi funzionari: nasce la figura del “maestro d’abaco” e la “scuola d’abaco” prende piede in tutta Europa.

La diffusione massima di questa istituzione si ha nel XIV e XV secolo: si stima che alla fine del Quattrocento, a Venezia, il 40% dei ragazzi scolariz-zati frequentasse queste scuole. Le scuole d’abaco sono frequetate da futuri mercanti, ma anche da chi voleva entrare nelle botteghe artigiane (archi-tetti, scultori, pittori). Piero della Francesca (1416/17-1492), Michelangelo Buonarroti (1475-1564), Leonardo da Vinci (1452-1519) si formano in queste scuole.

Tra XIV e XV secolo la scuola d’abaco forma uno strato culturale in-termedio, estraneo alla cultura dell’università, affatto illetterato, ma che non ambisce a praticare le professioni liberali (medicina, diritto, teologia). Questo strato culturale, produttore e fruitore della matematica dell’abaco, sviluppa una cultura parallela.

La matematica insegnata in queste scuole è essenzialmente quella conte-nuta nel Liber abaci :

(33)

2.4. LA NASCITA DELL’ALGEBRA 23

• algoritmi di calcolo con numeri e frazioni;

• matematica per mercanti (cambi di monete, pesi e misure, acquisto e vendita di merci, ...

Questa matematica è molto diversa da quella classica greca e da quella araba: scompare quasi del tutto la struttura assiomatico-deduttiva e l’in-segnamento avviene per casi esemplari, ripetuti fino all’assimilazione del procedimento.

Sebbene la perdita della struttura assiomatico-deduttiva possa sembrare un passo indietro rispetto ai risultati raggiunti dalla matematica classica, l’allentarsi del formalismo permette agli ambienti d’abaco di compiere passi avanti rispetto proprio alle conoscenze classiche, per esempio lo sviluppo la teoria delle equazioni.

2.4.2

Una nuova ars

L’algebra dell’epoca è l’arte della risoluzione di equazioni, un’algebra pura-mente verbale, priva di simbolismi e che si applica per casi esemplari, con coefficienti numerici, mai nulli o negativi. Queste limitazioni comportano una notevole moltiplicazione di forme, dette anche «capitoli», ciascuna eti-chettata con un proprio nome e dotata di una propria “ricetta verbale”, invece di una vera e propria formula risolutiva.

Esempio 2.4.1. • ax2 = bx è «censi uguali a radici»;

• ax2+ c = bx è «censi e numero uguali a radici».

Per risolvere l’equazione ax2 + c = bx, si divide per i «censi» (cioè per a), in modo da ridursi al caso «un censo e numero uguale a radici». Affinché esista soluzione è necessario che «il numero sia uguale o minore del quadrato della metà delle radici». Se è uguale, la soluzione è data dalla «metà delle radici», se è minore si hanno due casi: «sottrai il numero dal quadrato della metà delle radici e sottrai la radice dal risultato dalla metà delle radici» oppure «somma la radice del risultato con la metà delle radici».

Ricordiamoci che Fibonacci non può dimostrare queste regole in modo algebrico, non nel senso dimostrazione della matematica greca, perché ancora non esiste un simbolismo letterale, dunque, come ha fatto anche al-Khwârizmî prima di lui, ricorre alla geometria del Libro II degli Elementi. Nel Libro II si trovano una serie di teoremi sull’equivalenza di aree quadrate e rettangolari e Fibonacci, intrerpretando le aree di quadrati e rettangoli come prodotti

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24 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

delle quantità messe in gioco nell’equazione, dimostra i suoi risultati usando la geometria.

Si ha dunque una rottura degli schemi rigidi della matematica greca, nei quali il continuo (dominio della geometria) e il discreto (dominio dell’aritme-tica) erano due mondi separati e l’uno non poteva essere utilizzato nell’altro, e viceversa. Questi due ambiti vanno a intrecciarsi e l’oggetto dell’algebra as-sume diventa qualcosa di più vago del numero dei greci5e delle linee, superfici e solidi studiati dalla geometria.

Nella cultura abachista il modello dimostrativo formale si indebolisce: Fi-bonacci dimostra le regole dell’algebra usando figure e proprietà geometriche, ma in trattati successivi la dimostrazione del procedimento spesso si limita a una semplice prova. La perdita di rigore è compensata da una minore rigidità degli oggetti di indagine e una maggiore libertà di ricerca e di esplorazione.

Questa libertà permette la scoperta del primo risultato veramente nuovo rispetto a quanto ottenuto da greci e arabi: la scoperta delle regole per risolvere le equazioni di terzo e quarto grado6. Durante il Quattrocento sono molti i matematici che si impegnano nella ricerca di metodi risolutivi generali per le equazioni di grado superiore al secondo. Facciamo alcuni nomi alcuni nomi dei matematici che in quel periodo si impegnano in questo nuovo filone di ricerca:

• Piero della Francesca (1416/17-1492), nel Trattato d’abaco, fornisce regole per risolvere equazioni di grado dal terzo al sesto, che, nonostante la pretesa di generalità, funzionano solo nel caso delle equazioni ricavate dal calcolo degli interessi composti;

• Scipione dal Ferro (1465-1526), lettore di aritmetica all’Università di Bologna, scopre la regola generale per risolvere «cubi e cose uguali a numero» (x3+ px = q);

• Niccolò Tartaglia (1499-1557) in maniera indipendente da dal Ferro, scopre la regola per risolvere il caso «cubi e cose uguali a numero». Dà invece filo da torcere il caso «cubo uguale a cose e numeri» (x3 =

px + q). La soluzione trovata da Tartaglia coinvolge una doppia estrazione di radice: x =r q3 2+ √ ∆ +r q3 2 − √ ∆, con ∆ = q 2 4 − p3 27.

5Nel Libro VII degli Elementi il numero è definito come «pluralità di unità».

6Lo stimolo a studiare queste equazioni viene dalla necessità di risolvere questioni legate

al calcolo di interessi composti, problema che conduce a considerare equazioni di grado superiore al secondo delle quali non si conosce a priori la soluzione.

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2.4. LA NASCITA DELL’ALGEBRA 25

Nel caso in cui il radicando ∆ < 0, la formula non è applicabile poiché si dovrebbe calcolare la radice quadrata di un numero minore di zero, tuttavia l’equazione ha tre radici reali!

Raphael Bombelli (1526-1572), esponente della cultura dell’abaco, fa un passo avanti: verso il 1560 cerca di dare un senso alla formula nel caso ∆ < 0, introducendo numeri il cui quadrato potesse essere negativo. Il tentativo di Bombelli tuttavia non risolve la questione, infatti il suo metodo funziona solo quando le radici dell’equazione sono già note. È però grazie al suo lavoro che è compiuto un ulteriore passo in avanti verso una nuova concezione di numero.

Fino a questo momento l’algebra è quindi molto diversa da quella che conosciamo oggi: è un insieme di tecniche esposte per esempi, che fornisce soluzioni paradigmatiche dei problemi proposti. Fino alla metà del XVI secolo, la matematica dell’abaco conosce uno sviluppo continuo, ma ancora non si svincola dalla trattazione dei casi particolari: l’obiettivo dei trattati di algebra si riduce a trovare l’incognita in un’equazione con coefficienti numerici specifici. Esiste una notazione simbolica abbreviata per indicare l’incognita e le sue potenze, ma non una formula generale che rappresenti un’intera classe di equazioni, per esempio quelle di secondo o terzo grado. Anche se le lettere sono usate, già da Euclide, per indicare quantità note e incognite in geometria, non c’è un modo per distinguere le grandezze assunte note e quelle da trovare.

2.4.3

François Viète

François Viète (1540-1603) è la figura centrale del periodo di transizione della matematica dal Rinascimento all’epoca moderna: nella sua opera è evidente il mescolarsi dei due fattori di cui parlavamo in precedenza, il recupero della matematica classica greca e lo sviluppo del calcolo algebrico avvenuto durante Medioevo e Rinascimento. Il merito di Viète è aver unito nel suo lavoro la matematica classica greca e i risultati della scuola d’abaco, introducendo da una parte un livello d’astrazione diverso da quello della matematica greca, legando la costruzione di grandezze geometriche a operazioni aritmetiche, e ponendo, dall’altra, la matematica a un livello di generalità più alto rispetto alla cultura dell’abaco.

Viète, ispirato dalla lettura di Pappo e Diofanto inventa uno strumento completamente nuovo, l’ars analytica. La grande innovazione di Viète è introdurre lettere per indicare i coefficienti un calcolo simbolico letterale e nell’applicare questo nuovo strumento ai problemi di geometrica. I problemi di geoemetria che Viète tratta tuttavia sono tutti di tipo determinato, in cui

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26 CAPITOLO 2. LA MATEMATICA DEL XVII SECOLO

si richiede di trovare uno o due punti che soddisfano certe condizioni, anche se Viète applica la sua ars anche allo studio di Diofanto, affrontando anche equazioni indeterminate in più incognite.

2.4.3.1 L’ars analytica

Nel 1591 Viète pubblica a Tours In artem analyticem isagoge, il primo di una serie di trattati contenenti un nuovo sistema di algebra simbolica Questo nuovo sistema si chiama ars analytica ed è una sorta di traduzione in termini algebrici delle tecniche analitiche dei geometri greci.

Viète identifica l’analisi geometrica greca con l’algebra. La sua interpreta-zione è dovuta a un motivo preciso: l’algebra lega una o più quantità incognite con quantità note attraverso un’equazione e opera su tale equazione come se tutte le quantità fossero ugualmente note. L’obiettivo è esprimere le quantità ignote come combinazione tramite operazioni aritmetiche delle quantità note. In problemi in cui compare una quantità ignota, invece di procedere da ciò che è noto a ciò che è da dimostrare, si parte dall’assunzione che l’incognita sia data e se ne deduce una conclusione necessaria, dalla quale è possibile determinare l’incognita. Secondo Viète, questo procedimento corrisponde a ciò che i greci hanno descritto come analisi.

Esempio 2.4.2. In termini moderni, se vogliamo risolvere l’equazione: x2− 3x + 2 = 0,

procediamo assumendo che esista un valore di x che soddisfa l’equazione. Da questa assuzione traiamo la condizione necessaria che:

(x − 2)(x − 1) = 0 ⇒ x = 2 oppure x = 1. Pertanto x è necessariamente 2 o 1.

Per poter affermare che uno di questi valori o entrambi soddisfano l’equa-zione è necessario rifare il ragionamento in senso inverso, cioè svolgere la dimostrazione sintetica, in questo caso sostituendo i valori nell’equazione e mostrare che soddisfano l’uguaglianza.

In artem analyticem isagoge si apre con una discussione sull’analisi che riprende la distinzione tra analisi e sintesi esposta da Pappo all’inizio del Libro VII e descrive i tipi di analisi7.

Est veritatis inquirendam via quaedam in Mathematics, quam Platus primus invenisse dicitur, à Theone nominata Analysis, et

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2.4. LA NASCITA DELL’ALGEBRA 27

ab eodem definita, Adsumptio quaesiti tanquam concessi per con-sequentia ad verum concessum. Ut contrà Synthesis, Adsumptio concessi per consequentia ad quaesiti finem et comprehensionem. Et quanquam veteres duplicem tantùm proposuerunt Analysin ζη-τητιχιω o ποριςιχιω, ad quas definitio Theonis maximè pertinet, consituti tamen etiam tertiam specieme, quae dicatur ρηπχηηεξη-γηπχη, consentaneum est, ut sit Zetetice quâ invenitur aequalitas proportione magnitudinis, de quâ quaeritur, cum iis quae data sun. Poristice, quâ de aequalitate vel proportione ordinati Theorematis veritas examinatur. Exegetice, quâ ex ordinata aequalitate vel pro-portione ipsa de qua quaeritur exhibetur maginitudo. Atque adeò tota ars Analytice triplex illud sici vendicans officium definiatur, Doctrina bene inveniendi in Mathematicis8.

Viète altera il significato dei termini classici di analisi dei teoremi e analisi dei problemi, che chiama rispettivamente «zetetica» e «poristica». Secondo quanto scrive:

• attraverso la zetetica si trova l’equazione o il rapporto che lega ciò che è da trovare con ciò che è dato, cioè la zetetica è la procedura con cui un problema si traduce in un’equazione algebrica;

• attraverso la poristica si esamina la verità del teorema sull’equazione o sul rapporto, cioè la poristica è la procedura con cui la validità di un’equazione è confermata.

Inoltre aggiunge un terzo tipo di analisi, quella «exegetice9», in cui «ex

ordi-nata aequalitate vel proportione ipsa de qua quaeritur exhibetur maginitudo10»,

8C’è in matematica una via per indagare, dopo che si è arrivati alla verità, cosa c’è

stato prima, inventato da Platone e chiamata Analisi da Teone e da lui definita come «l’assunzione di ciò che è cercato come se fosse assunto [arrivo] attraverso le conseguenze a qualcosa che ammesso come vero. Opposta a essa c’è la Sintesi, «l’assunzione di qualcosa che è ammesso e l’arrivo attraverso le conseguenze allo scopo e alla comprensione della cosa cercata. E sebbene gli Antichi abbiano proposto soltanto due forme di analisi, «zetetica» e «poristica», ai quali si applica nella maggior parte dei casi la definizione di Teone, ho fondato un terzo tipo, chiamato «rhetica» o «exegetica». Come è conforme, la «zetetica» è quella attraverso cui si trova l’uguaglianza o il rapporto della grandezza cercata con [le grandezze] che sono date. Poristica è quella attraverso cui è esaminata la verità di un teorema stabilito che concerne l’uguaglianza o il rapporto. Exegetica è quella attraverso cui la grandezza cercata è derivata dall’uguaglianza o dal rapporto stabilito. E pertanto la triplice arte dell’analisi che adempie a questo ruolo dovrebbe essere definita come la dottrina del trovare bene in matematica.

9exegetica

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