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Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1975

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

DI TORINO

3/4

SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE (IV GRUPPO) / 70 • 1° SEM.

ANNO 1975

(2)

tradizione

ed efficienza

al servizio

delia clientela

in Italia e all'estero

ISTITUTO BANCARIO

SAN PAOLO DI TORINO

(3)

Cosa sono capaci di fare le Fiat

Ogni anno si investono nel mondo somme

enormi per studi sull'automobile: si cerca il

sistema per costruirle meglio e le ragioni

tec-niche dei guasti meccanici, si vuole

stabili-re la loro durata e si studia come stabili-renderle

più sicure. Lo scorso anno da queste

indagi-ni svolte in tutto il mondo sono emerse

valu-tazioni estremamente positive per le vetture

Fiat.

Le Fiat sono capaci di durare di più. Una prova condot-ta dal Governo Svedese ha rivelato che una Fiat

com-prata oggi ha la probabilità di durare in Svezia almeno 10 anni e mezzo (e la Svezia è un Paese dove l'inverno dura 6 mesi).

Le Fiat sono capaci di dare meno fastidi meccanici. In un'altra prova effettuata dal Touring Club svizzero è ri-sultato che delle 34 marche di automobili esaminate, l'80% aveva accusato guasti meccanici, nel corso di un anno, con maggior frequenza delle Fiat.

Le Fiat sono capaci di fare concorrenza alle migliori marche del mondo. In un terzo studio in cui si mettevano a confronto tutte le automobili attualmente vendute sul mercato americano, la Fiat 128 veniva classificata la mi-gliore "subcompact" oggi in circolazione.

Le Fiat sono capaci di consumare meno delle altre. In una prova appena ultimata in Finlandia, la Fiat 126 ha realizzato il minor costo per chilometro che sia mai stato registrato in questa prova. In un articolo pubblicato re-centemente in Francia, è stato sottolineato che le Fiat, prese in gruppo, consumano meno benzina delle auto-mobili di qualsiasi altra marca; si badi bene: non questo o quel modello, ma l'intera gamma Fiat nel suo insieme.

Perchè sono capaci di farlo

Perchè oggi le Fiat sono difese in tutte le parti principali della carrozzeria mediante nuovissimi ed efficaci tratta-menti antiruggine e anticorrosione.

Perchè la Fiat è la prima delle industrie automobilistiche a rendere ogni lavoratore responsabile per il controllo di qualità: il costo di questo tipo di controllo, personalizza-to al massimo, é il più alpersonalizza-to.

Di " p e r c h è " tecnici dell'attuale superiore

qualità delle vetture Fiat ve ne sono tanti

al-tri, m a siamo convinti che la vera

persona-lità di una Fiat non p u ò essere circoscritta o

codificata da un'indagine. Si tratta infatti di

un sorprendente senso di sicurezza e di

pia-cere a guidare che si p u ò provare soltanto

mettendosi al volante di una Fiat. Di

qua-lunque modello e cilindrata.

Perchè le Fiat sono oggi le uniche vetture in Europa ad essere prelevate ogni giorno a caso dalle linee di montag gio e collaudate su strada per 50 km.

Perchè ogni nuovo motore Fiat, prima di essere messo in produzione, viene sottoposto ad una prova "non stop" di 1000 ore: si tratta del collaudo più lungo e severo del

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Con Uoi per il raccolto

Lavoriamo sempre — e lo vogliamo fare soprattutto quest'anno che il Paese ne ha tanto bisogno — per il momento magico dell'agricoltura, quello in cui si raccolgono i frutti. È oltre mezzo secolo che ci occupiamo dei Vostri problemi: la coltivazione, il macchinario, il be-stiame, le case, gli impianti, i mercati in Italia ed all'estero. La nostra è una grande organizzazione diffusa nella pe-nisola, che ha radici nella terra e perciò si è allargata a tutti i settori economici. Filiale di Torino, via S. Fr. da Paola 27 -Tel. 518.001 - Borsino Tel. 519.941 - Agenzie in via P. Micca, Strada S. Mauro, e a Collegno (Borgata Leumann).

BANCA NAZIONALE DELL'AGRICOLTURA

L'IMPRESA

Rivista di Scienze e Tecniche Manageriali Diretta da FERRER-PACCES

Le « d u e c e n t o » : bilanci e diagnosi i n t e r n e (l\l. 3 - 4 / 1 9 7 5 ) «L'Impresa» 3/4 1975 pubblica la quattordicesima serie dei bilanci delle 200 maggiori imprese industriali italiane: per gravi che siano le distorsioni interne e le forzature esterne (inflazione, «blocco» dei prezzi, condono fiscale) che permettono di paragonare la lettura di non pochi bilanci alla «lettura» dell'arte astratta, la continuità della pubblicazione — ininterrotta dal 1960 — ne fa un documento unico per la comprensione di un periodo non breve della nostra storia economica e delle linee di tendenza (evolutive? involutive?) della grande industria in Italia.

Continuiamo e approfondiamo la diagnosi sulla insoddisfacente utilizzazione delle capacità professionali interne, anche qui principalmente nei confronti della macroimpresa. Occorre ricordare che le possibilità di sopravvivenza e di concorrenza inter-nazionale di un'industria non sono in funzione di riserve accumulate in passato (oltretutto soggette a rapida evaporazione), bensì delle capacità attuali di iniziativa e di innovazione dei gruppi manageriali. Capacità che attendiamo alla prova.

Oltre ai contributi di A. Andriano, G. Baldi, F. Colonna, V. Francese, M. Gerbi e G. Martinoli, completano il fascicolo due studi redazionali sull'impiego strategico dell'analisi del ciclo di vita dei prodotti e sulla « promuovibilità » dei dirigenti inter-medi a funzioni di vertice.

« L ' I m p r e s a » è la rivista che completa l'opera di formazione attuata d a l l ' I S T M A N , Istituto di Scienze e Tecniche Manageriali: la sola organizzazione italiana per la formazione dei quadri che disponga di laboratori di ricerca e di programmazione dei corsi.

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cronache

economiche

rivista della camera di commercio industria artigianato e

agricol-fura di forino

numero 3/4 anno 1975

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla Direzione della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero dell'Autore e non impegnano la Direzione della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. È vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

D i r e t t o r e responsabile: Francesco Sarasso Vice d i r e t t o r e : Franco Alunno Redattore capo: Bruno Cerrato

sommario

M . P o z z e t t o - M . V i g l i n o D a v i c o 3 Ottorino Aloisio * * *

19 Ruolo e riforma delle Camere di commercio: opinioni a confronto

B. C e r r a t o

24 Contraddizioni della società del benessere nella realtà italiana

G . F a b b r i

3 3 Consumi di energia elettrica in Italia

E. G a r i b a l d i

38 L'importanza della ricerca scientifica in agricoltura

E. B a i t i s t e l . ' i

4 3 Ordinamenti colturali in Piemonte e loro t e n d e n z e evolutive

V . R o u x

56 Crisi dell'artigianato: alcune proposte d'intervento

V . F . V a l l e t t i

59 Piani di servizi e ripercussioni sull'artigianato

M . M u z z o l o n

62 Problemi del settore tessile e abbigliamento piemontese

E. G h i g l i o n e

66 A proposito di trasporti a breve e lunga distanza P. Condulmer

70 Lo scavatore solitario delle Alpi

A . V i g n a

7 5 Dalla Mostra Vacanze ' 7 5 sintomi di ripresa per il turismo

8 0 Tra i libri

8 9 Dalle riviste

Figura in copertina :

Palazzo Sipra (arch. Ottorino Aloisio).

Direzione, redazione e a m m i n i s t r a z i o n e

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C A M E R A D I C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O

Sede: Palazzo degli Affari - Via S. Francesco da Paola, 24 Corrispondenza: 10123 Torino - Via S. Francesco da Paola, 24

10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi: Camcomm. Telefoni: S7I6I (10 linee). Telex: 21247 CCIAA Torino.

C/c postale: 2/26170.

Servizio Cassa: Cassa di Risparmio di Torino

- Sede Centrale - C/c 53.

B O R S A V A L O R I

10123 Torino - Via San Francesco da Paola, 28.

Telegrammi: Borsa.

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B O R S A M E R C I

10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15. Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

(presso la Borsa Merci) - 10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

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Onorino Aloisio

Marco Pozzetto

Ricorre quest'anno il cinquan-tenario di laurea dell'architetto Ottorino Aloisio, udinese di na-scita, torinese d'adozione; a To-rino infatti egli risiede fin dal lontano 1929, qui è concentrato il maggior numero delle sue ope-re, l'ambiente culturale torinese fu il campo delle sue lotte e del suo insegnamento universitario.

Personaggio scomodo, alieno dai compromessi culturali e

po-litici, formidabile lavoratore, chiuso in un mondo che egli

de-finisce di m u r a t o r e , Aloisio può essere considerato come figura anomala nel panorama architet-tonico italiano degli ultimi cin-quant'anni. Tra i promotori del rinnovamento architettonico ita-liano, fu definito « espressioni-sta », « futuriespressioni-sta », « architetto scenografico », « Mendelsohn ita-liano », quasi sempre in base al-la stessa serie di disegni delal-la fine degli anni venti, ma anche come «figlio italiano di padre russo » o, « architetto del regi-me », probabilregi-mente per la note-vole serie di concorsi vinti, dei quali però soltanto il palazzo del governo di Asti fu costruito. Quest'ultima etichetta che peral-tro dovrebbe essere applicata a tutti gli architetti operanti in Ita-lia tra le due guerre, ha senza dubbio nuociuto alla fortuna cri-tica delle sue opere postbelliche, forse perché egli non aveva

vo-luto abbracciare il marxismo del-l'ultima ora, vero o da salotto, preferendo continuare a profes-sare quell'ideologia cattolica in cui era cresciuto e che oggi sem-brerebbe « superata ». D'altro canto le nuove generazioni di al-lievi architetti, a cui sono estra-nei gli equilibrismi icleologico-culturali propri della generazio-ne cresciuta tra le due guerre, discutono le opere ed i progetti di Aloisio come quelle degli ar-chitetti transalpini, si chiamino essi Poelzig, Behrens,

Fahren-kamp, Scharoun, Luckhardt, Mendelsohn o, se si preferisce, il centroeuropeo Welzenbacher. Ritengo che tali discussioni, a lungo andare, porteranno ad una valutazione spassionata delle sue architetture, viste in prospettiva storica.

Micaela Viglino Davico ri-vendica ad Aloisio un posto au-tonomo nell'architettura del no-stro secolo — previo esame cri-tico approfondito delle opere — proponendo di definire il suo modo di progettare come

archi-t e archi-t archi-t u r a gesarchi-tuale. In effearchi-tarchi-ti, la

maggior parte delle opere di Aloisio si esprimono in un gesto, spinto generalmente a tale essen-zialità da apparire elementare. Debbo tuttavia precisare che, vo-lendo affrontare tutta la sua pro-duzione, bisognerebbe scinderla in tre filoni distinti: il primo che,

almeno dal punto eli vista forma-le, riterrei la conseguenza degli studi romani dell'autore; il se-condo, quello dell'architettura storicistica, specie di

divertisse-m e n t per l'architetto con divertisse-molte

spiritosissime invenzioni « in sti-le » (citerei la ricostruzione del Palazzo Provana di Collegno -1947, il rifacimento del Palaz-zetto Giraudi-1954 o la risco-perta della prospettiva sferica nelle colonne della tomba Salietti -1952, tutte a Torino), ed infi-ne il filoinfi-ne dell'architettura ge-stuale che presentiamo. Per in-ciso, per il secondo filone deb-bo respingere le possibili accuse di eclettismo che egli combatté anche in quei casi in cui si di-verti a progettare « in stile ». Sarebbe impresa vana cercare i precedenti formali di tali archi-tetture che sono veramente in-venzioni e non copia. Del resto Aloisio avversò lo storicismo an-che con amara ironia, come nel progetto del palazzo in Piazza Bodoni che, a distanza di venti anni, appare una precisa accusa al malvezzo di ostinarsi nel ri-spetto delle false preesistenze.

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il paragone con un torrente im-petuoso che si distende nell'am-pio alveo del fiume. La tomba Francescato, progettata da Aloi-sio ancora studente — lontano dall'ambiente romano — è il ge-sto simbolico, del tutto insolito, di pietosa preghiera espressa da mani giganti; la si confronti con la tomba Aloisio, posteriore di oltre quarantacinque anni, il cui gesto si distende nella quieta di-sposizione delle pesanti lastre marmoree che si smaterializzano nel giuoco degli stacchi. È chia-ro il passaggio dall'irruenza tem-perata dal solo simbolismo al gesto sobrio, risultato delle vitto-rie e delusioni e degli infiniti stimoli della vita.

Aloisio iniziò a lavorare nella « bottega » eli Arduino Berlam, architetto friulano trapianteito a Trieste, dove tentava di fondere i principi dell'architettura ecletti-ca con quelli delle moderne ten-denze centroeuropee. Qui appre-se soprattutto il gusto per la cura del particolare ed affinò la sensi-bilità per lo studio dei rapporti nell'architettura. Ritengo che già all'inizio degli anni venti Aloisio avesse netta la percezione del vicolo cieco in cui l'architettura italiana era venuta a trovarsi. Per questo motivo probabilmente preferì iscriversi al biennio di matematica all'Università eli Bo-logna ( 1921-23), anziché ad una qualsiasi scuola di Architettura. I due anni bolognesi furono de-cisivi per la sua successiva ope-ra: solo da una perfetta padro-nanza delle geometrie può deri-vare il desiderio e la capacità di comporre i volumi con l'uso di forme geometriche elementari, triangoli, archi di circonferen-za, ecc., né d'altro canto la com-prensione e quindi il dominio delle curve analitiche, dalle quali avrebbe successivamente

ricava-to le sue più emozionanti forme plastiche, erano comuni tra gli architetti fino a poco tempo ad-dietro. Aloisio le adottò per la Università dello Sport (curve paraboliche semplici o abbina-te), per il cinema Ideal (curve esponenziali), per la copertura dello stadio dei centomila (cate-narie) e neituralmente per opere minori. Con questa mentalità era fatale lo scontro con i docenti dello Scuola di Roma dove Aloi-sio si trasferì, iscrivendosi al ter-zo einno della nuova Facoltà di Architettura e si palesò nella di-scussione della tesi di laurea, in cui la commissione, solo a fatica, accettò la proposta eli un tempio votivo, decisamente precursore con cupola in vetro decomposta in triangoli. Del resto si trattò della prima leiurea m o d e r n a so-stenuta alla facoltà di architettu-ra a Roma. Il dissidio finale tut-tavia non significava che Aloisio non avesse vissuto intensamente i suoi einni romani elei quelli gli è rimasta un'indelebile impronta che ha contraddistinto tutta la coeva generazione di architetti da Aschieri a Libera, da Piccinato a Rielolfi e che si è manifestata sia nella padronanza assoluta elei mezzi espressivi, sia nel costante richiamo alle misure classiche.

Aloisio dovette quindi supe-rare la contraddizione tra l'inse-gnamento di Giovanrtoni e Pia-centini che approfondirono la sensibilità risvegliata da Berlam qualche anno prima e la sua na-tura che lo spingeva a superare quell'impostazione. A Roma egli conobbe, attraverso un collega svizzero, gli assiomi (non oso de-finirli teorie) della Sachlichkeit

(concretezza) di Poelzig, basati su un « linguaggio formale che si sviluppa eia una corretta costru-zione » con l'avvertenza però che « la fuga da tutto ciò che

stori-camente ci è pervenuto può por-tare alla rovina, né più né meno del solo ritorno decorativo alle forme del passato ».

Questi concetti stanno alla base delle eirchitetture più rap-presentative di Aloisio: il pro-getto delle Terme elei Littorio ""ti926) che persino Peipini, il

più benevolo dei critici dell'epo-ca elefini come un « preconcetto trieingolismo che sembra un giuo-co di cristallografia », ma che, come il beffardo disegno per il concorso di scenografia cinema-tografica (1927), richiama, a mio avviso, molto da vicino le eirchitetture fantastiche di Pira-nesi. V'è naturalmente tra i due una differenza sostanziale: le ar-chitetture eli Aloisio sono realiz-zabili.

Concettualmente il passo dal « preconcetto triangolismo » di Papini al progetto del modulo base (triangolo nel caso del pa-lazzo Sipra, arco di cerchio nel palazzo Sip) non è lungo, anche se l'effetto ovviamente è diverso, perché è differente il contesto. Le Terme sono una struttura gi-gantesca isolata, mentre i due pa-lazzi torinesi sono inseriti in un preciso tessuto urbano.

Nella sua contenutezza il pa-lazzo Sipra lega mirabilmente le notevoli testimonianze barocche

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attenuandone la massa con ac-corgimenti cromatici: la facciata della chiesa che si rispecchia nel-la lucida parete di granito rosso, infatti acquista un respiro che Vittone non poteva prevedere; allo stesso modo le facciate dei due palazzi si arricchiscono di nuove preziosità, bilanciate dal ritmo unitario del palazzo Sipra. Queste osservazioni sono valide anche per il palazzo dell'Enel e per l'altra edilizia circostante.

Al palazzo Sip sono state mos-se soprattutto obiezioni di carat-tere urbanistico, dimenticando che la progettazione dell'edificio è pressoché coeva (notare che la prima proposta di Cuzzi è del 1953, mentre il progetto esecu-tivo di Aloisio è del 1967) al concorso nazionale per il nuovo Centro Direzionale in cui dove-va inserirsi, pur essendo posto al confine esterno del compren-sorio.

Ho voluto citare questi due edifici anche per la loro

abita-bilità che, a parere di Aloisio,

deve comunque essere implicita nella composizione. In realtà non sono molto comuni gli edifici per uffici dove gli impiegati riescano a « personalizzare », fino ad un certo punto, il proprio posto di lavoro. Il fatto credo possa esse-re spiegato come interpesse-retazione concreta delle esigenze di carat-tere sociale da parte dell'archi-tetto, avverso alle teorizzazioni, ma non per questo meno sensibi-le a tali probsensibi-lematiche.

In questa sommaria presenta-zione non posso soffermarmi sul-le molte caratteristiche delsul-le ar-chitetture di Aloisio. Tuttavia dovrei tentare un inserimento della sua opera nel contesto più vasto dell'architettura moderna.

Se adottassi i criteri di con-fronto formale, cadrei giocoforza nelle definizioni riportate sopra

che hanno avuto un loro preciso significato polemico ed anche di-dattico nell'epoca delle battaglie per un'architettura moderna, or-mai definitivamente conchiuse, ma che perderebbero il senso in un tentativo di esame storico. È chiaro, ad esempio, che il pa-lazzo Sip di primo acchito richia-ma alla mente il progetto per la Hamburgermesse di Poelzig e quello della Sipra il progetto per un albergo di Bmo di Behrens; anche questi « modelli », a loro volta, dovrebbero essere messi in relazione con le opere di Hoeger e dei Gerson ad Amburgo e con quelle di Bonatz a Stoccarda, perché il confronto potesse avere un senso: si tratta, in sostanza, dei progetti e delle opere di ar-chitetti che professavano il cre-do della Sachlichkeit, benché fossero spesso definiti come

espressionisti.

Tuttavia un esame meno su-perficiale rivela grandi differen-ze concettuali: gli architetti tede-schi ottengono gli effetti voluti con elementi decorativi, a diffe-renza di Aloisio che li ottiene con la ripetizione di u n elemento

costruttivo, progettato in modo

da fungere da decorazione, in re-lazione alla visibilità dell'edifi-cio. Si considerino i giochi di luci e eli ombre sugli elementi concavi del palazzo della Sip che può essere visto anche da lonta-no, con quelli sugli elementi trieingolari del palazzo Sipra che può essere visto solo da vicino.

Allo stesso modo gli studi per la Stazione di testa (1931), per il palazzo di Genova (1931), per la via Viotti del progetto MIAR (1931) e, almeno in par-te, il Palazzo del Governo di Asti (1934) appaiono « mendel-sohniani»; il garage di Padova

(1926) e la Centrale elettrica a generatrice verticale (1927)

so-no stati accostati eleilla critica frettolosa ai progetti

costruttivi-sti, mentre gli Alberghetti per

mezza montagna, premiata a Monza nel 1933 e la Casa del pescatore (1942) apparterreb-bero a quel tipo di architettura di cui furono alfieri il bavarese Welzenbacher ed il viennese Holzmeister. Mi peire evidente che si tratti di vaghe corrispon-denze eli ordine formelle, avverti-bili in tutta l'architettura del-l'epoca. Sarebbe quindi « provin-cialismo » voler negare, a poste-riori, ad un architetto italiano la facoltà di ricercare vie nuove con la medesima assiduità che distingueva i grandi architetti coevi transalpini.

Aloisio appartiene a quel ri-stretto numero di architetti che, dal momento in cui scelsero un loro modo di esprimersi, ebbero la forza e la costanza eli persi-stere sulla via prefissata. All'ori-gine di quasi tutte le forme che egli avrebbe successivamente usate si potrebbero porre le

Ter-me per la linea spezzata e l'Uni-versità dello Sport per quella fluida, naturalmente unite alla forza espressiva del gesto, quali-tà del tutto individuale che evi-dentemente variava con il tempo.

Quest'ipotesi eli lavoro fareb-be cadere la validità elei con-fronti; elei resto i confronti non reggevano neppure nel caso eli altri edifici significativi, quali il Palazzo Littorio eli Roma

(1934), la Stazione Marittima di Napoli (1933), l'albergo di Pian Maison (1938) la cui te-matica sarebbe stata ripresa tren-t'anni più tardi dai francesi nel centro sciistico savoiardo di Ti-gnes, ecc.

(10)

basato su pochi assiomi, forse troppo essenziali per essere com-presi appieno senza una precisa esperienza di vita; il resto era compito della matita per avvici-narsi alla massima di Valéry, se-condo cui « le cose dell'architet-tura cantano, parlano o sempli-cemente tacciono ».

Ho voluto chiudere con

que-sta citazione che, tra l'altro, spie-ga che per Aloisio esiste una sola architettura: non v'è, né è mai esistita una divisione tra archi-tettura « antica » e « moderna ». L'architettura di tutti i tempi ha tentalo di dare forma ad un'or-ganizzazione, la migliore possi-bile, dei problemi che il tema ed i tempi le ponevano. Conscio di

questa verità Aloisio spesso è riuscito a far «cantare» le sue architetture.

Vista la natura dell'uomo, or-mai da tempo fuori dalle pole-miche, credo sarà la storia a chiarire definitivamente il teno-rejel suo contributo che, a mio parere appare notevolissimo an-che a livello internazionale.

Biografia e presentazione delle opere

Micaela Viglino Davico

B I O G R A F I A

Ottorino Aloisio nasce ad Udine il 16-3-1902.

Frequenta il biennio fisico-mate-matico dell'Università di Bologna; nel 1922 si iscrive alla Scuola Su-periore di Architettura in Roma ove consegue nel 1925 la laurea di ar-chitettura civile.

Ancora studente inizia l'attività progettuale, collaborando con Ar-duino Berlam in Trieste. Nel 1929 si trasferisce a Torino, città ove ancora risiede.

Fa parte del gruppo MIAR fin dalla fondazione.

Partecipa a numerose mostre, anche all'estero (Amsterdam 1929, Budapest 1930) e le sue opere ven-gono pubblicate su tutte le più im-portanti riviste italiane e straniere.

Accanto a quella progettuale esplica attività didattica, dapprima come direttore della scuola profes-sionale di Maiano (Udine) e, dopo il 1933, nell'ambito universitario.

Consegue nel 1936 la libera do-cenza in composizione architetto-nica e, alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, insegna

nei corsi di composizione, decora-zione, scenografia e in quelli di ar-chitettura degli interni, ininterrot-tamente fino al febbraio 1970, quando si dimette volontariamente.

P A R T E C I P A Z I O N E A C O N C O R S I

1925 - Sistemazione di piazza Ober-dan a Trieste (2° premio). 1927 - Scenografia cinematografica,

Roma (segnalato).

1928 - Concorso internazionale in occasione della IX Olimpiade di Amsterdam (medaglia d'argen-to del Ministero della pubblica istruzione).

1928-Arredamento della casa po-polare (1° premio per il proget-to, 3° premio per i mobili ese-guiti, grande medaglia d'oro per i mobili isolati).

1932 - Cassa di risparmio di Trento (coli. Sott. Sass: progetto acqui-stato).

1932 - Concorso indetto dalla rivi-sta Domus SAMR (3° premio). 1933 -Secondo tratto di via Roma

a Torino (segnalato).

1934-Casa littoria di Asti (1° pre-mio).

1935-Stadio di Reggio Emilia (1° premio).

1937-Teatro Regio di Torino (2° premio ex aequo).

1947-Sistemazione di piazza Sol-ferino a Torino (segnalato).

1929-Silos per la cartiera di Tol-mezzo (conc. appalto).

1929-Studio di ville per la trien-nale di Monza (a inviti). 1930-Stadio comunale di Torino

(con Tedesco Rocca).

1932 - Alberghetto di mezza monta-gna per la triennale di Milano (con Cuzzi - Sott Sass). 1933 - Stazione marittima di Napoli

(con Tedesco Rocca).

1934 - Palazzo littorio di Roma (con Tedesco Rocca).

1952 - Galleria d'arte moderna di Torino.

1955-Stadio coperto per 100.000 persone.

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LE O P E R E P I Ù S I G N I F I C A T I V E Anno 1925.

Tomba Francescato in Udine.

Le due forme stilizzate in pietra di Orsera sono il caposaldo della ricerca progettuale di Aloisio e ne esprimono i caratteri naturali: è evidente l'intenzione di verificare attraverso la geometria dinamica dei volumi, non l'audacia di una trovata, ma la validità del « gesto » che mediante la concezione plasti-ca esprima i valori dello spirito (v. fig. 1).

Anno 1926.

Le terme littorie. Progetto per il

concorso indetto dal « Popolo d'Ita-lia ».

Dapprima la giuria, come risul-ta dalla relazione finale, giudicò meritevole di premio il progetto di Aloisio che « ...pur troncando ogni legame con la tradizione, aveva osato forme crudamente e geome-tricamente costruttive », ma succes-sivamente ebbe un ripensamento

Fig. i - Tomba Francescato.

concludendo che: « un più appro-fondito esame... ha rivelato che l'apparente audacia di quel proget-to è invece da attribuirsi alla im-prontitudine di un giovane che non esita di esporre ad un serio giudi-zio le proprie elucubragiudi-zioni pseu-doscientifiche ed anticostruttive».

Al di là dell'incoerenza del giu-dizio ufficiale è evidente nell'opera la ricerca di una perfezione mate-matica, concretizzazione della rigo-rosa preparazione scientifica del-l'autore; nelle poderose strutture del basamento, nelle grandi volte cristallografiche, è denunciato il programma strutturale del proget-to, verificato con la collaborazione del calcolatore ingegner Crespi.

Gli spazi sono delimitati dall'ar-ticolazione di forme stereometriche pure, plasmate dalla iterazione del « triangolo indeformabile », risolto spazialmente.

Il progetto, pubblicato dalle principali riviste dell'epoca e ri-preso poi in tempi diversi, è sem-pre stato giudicato dai critici come visione fantastica di architettura, risolto in scenografiche prospettive; addirittura è stata messa in dubbio (F. Tentori. Architettura e architet-ti in Friuli nel primo cinquantennio del '900. Udine 1970) l'esistenza di piante del complesso.

Pubblichiamo qui per la prima volta alcune tavole di disegni

geo-TLVCLL

(12)

metrici. Ad esse il compito di fu-gare ogni dubbio sul considerare il progetto opera di architettura (v. figg. 2, 3, 4).

Anno 1928.

In occasione del Concorso In-ternazionale di Amsterdam per ar-chitetture a carattere sportivo, Aloisio rielabora sostanzialmente il progetto per le terme littorie, denominandolo L'Università dello

Sport. Prevede la concentrazione di

attrezzature per qualsiasi disciplina sportiva; nel blocco centi-ale a tre livelli l'accesso agli ambienti per sports nautici è diretto dalle vie d'acqua e sulla struttura ad archi che copre l'immenso anfiteatro è prevista una piattaforma per l'atter-raggio di velivoli.

Il nuovo progetto non indulge ad arricchimenti formali: è

essen-Fig. 3 - Le terme littorie: particolare del fronte.

Fig. 4 - Le termo littorie: ingresso alle terme.

Anno 1927.

Apparato scenico, proposto con

~la denominazione di « sala macchi-ne » al concorso indetto tra gli « ar-chitetti cinematografici »; venne giudicato da Bragaglia nella pre-sentazione sulla rivista Comoedia (dicembre 1927) corrispondente al-l'assunto di non « fare per il cine-matografo della scenografia, ma delle invenzioni architettoniche pla-stiche per la luce ».

L'immensità dell'ambiente, le poderose strutture che lo identifi-cano, qualificano la presenza dei macchinari. Nonostante il tema sce-nografico, siamo di fronte ad una vera proposta architettonica in chia-ve dissacrante per un ambiente in-dustriale.

Mentre nelle contemporanee sce-nografie di Baldessari l'idea costrut-tiva viene sovrastata dalla imposta-zione pittorica, la « sala macchine » di Aloisio riporta piuttosto nel mondo delle incisioni di Piranesi (li accomunano l'origine veneta e la successiva formazione culturale romana), in cui il fulcro della com-posizione è l'immanente idea del realizzabile (fig. 5).

(13)

\

zialmente struttura, interpretata mediante masse plasticamente ilui-de. Abbandonato quello che Papini definì' l'« ossessionante obbedienza ad un preconcetto triangolismo che sembra un gioco di cristallografia », vengono introdotte forme curvili-nee ed elementi ad arco che, nega-tone l'aspetto tradizionale, ripor-tano la struttura ad uno scheletro di impronta naturalistica.

Nell'ambito della nuova politica del regime fascista che tentava di far proprie le espressioni d'arte di avanguardia, onde crearsene un supporto culturale, « L'Università dello sport » viene accettata dalla cultura ufficiale: otterrà infatti la medaglia d'argento del Ministero della Pubblica Istruzione e lo stesso Papini già presidente della giuria che aveva stroncato il progetto pri-mitivo le dedica un intero articolo sul « Popolo d'Italia ».

In tempi successivi Aloisio attin-gerà dall'Università dello sport, che giustamente Tentori definisce la sua « miniera di diamanti » molti

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Fig. 7 - L'Università dello sport: salone perimetrale di atletica leggera.

La culla, che fu pubblicata an-che nell'enciclopedia Treccani, è una proposta di attualizzazione de-gli oggetti della tradizione popola-re friulana (v. fig. 9).

Anno 1929.

La proposta per un edificio

in-dustriale in cui i poderosi volumi

tecnici vengono equilibrati dalla struttura a lastre piane va inserita nel filone di ricerca volto a plasma-re architettonicamente gli edifici industriali. Per questi suoi studi Aloisio fu detto « architetto futuri-sta »; la definizione può essere ac-cettata solo spogliando il termine dei significati acquisiti e riportan-dolo a quello etimologico di « volto al futuro ».

Va invece notata, fin da queste prime esperienze, una costante sempre presente: l'aderenza ad un principio di architettura « oggetti-va », essenzialmente funzionale e non condizionata a priori da canoni estetici (v. fig. 10).

recente Cattedrale di Meru nel Ke-nya (v. figg. 6, 7, 8).

Uno degli oggetti di

arredamen-to che nel concorso nazionale per

l'ammobiliamento economico meri-tarono la grande medaglia d'oro.

Anno 1931.

Progetto per una autorimessa a più piani da erigersi a Venezia.

11 progetto suscitò aspre pole-miche: venne presentato da Ugo

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Ojetti (Dedalo, 1931) con il Novo-comum di Terragni, insieme a due edifici costruiti a Mosca da proget-tisti russi.

Questo il commento: « Pubbli-chiamo queste due coppie di archi-tetture: ...Si confronti il padre russo col figlio nostrano. Non s'as-somigliano ancora troppo perché noi s'abbia da iscrivere all'anagrafe come di padre italiano questo neo-nato e questo nascituro?

E se si ha proprio da essere ra-zionali o soltanto ragionevoli, non sarebbe bene che anche da fuori una rimessa per automobili si po-tesse distinguere da un deposito di tessuti?

È vero che l'Italia è lontana dal-la Russia » (v. fig. 11).

Una notazione a parte rispetto alla logica progettuale di Aloisio meritano i due studi per un

palaz-zo uffici a Genova e per una sta-zione di testa.

Il « gesto » architettonico ha il predominio sulla impostazione del-la pura ragione; l'apparentamento ad un espressionismo di tipo men-delsohniano è chiaramente identi-ficabile, pur se i progetti, fin dalla fase iniziale, denunciano chiara-mente di essere architettura con-creta (v. figg. 12, 13).

Fig. 10 - Edificio industriale.

Fig. 11 - Autorimessa. Fig. 12 - Stazione di testa.

Anno 1932.

Il progetto per alberghetti adatti

a piccoli centri montani fu

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rein-Anno 1934.

Inizia con il concorso per Na-poli la fase applicativa di quello che è a mio giudizio il principio fondamentale dell'etica del proget-tista: il rapporto uomo-architettu-ra deve avvenire nel più semplice dei modi possibili. Afferma Aloisio, ricalcando la definizione della « sa-chlichkeit » che « l'importante in architettura è fare cose che servo-no, se poi risultano belle, me-glio... ».

Il progetto per la stazione di Napoli non fu preso in considera-zione dalla giuria, pur se pubbli-cizzato dalle riviste di architettura, perché troppo discosto dal tipo di distribuzione tradizionale previsto nel bando dal Ministero LL.PP. La proposta architettonica rien-tra ancora formalmente nell'ambito delle ricerche razionaliste; è chia-ra l'impronta personale nella parte verso il mare. È interessante notare come è stato risolto il fascio littorio richiesto dal bando di concorso: il volume a lama, simbolisticamente proteso nel mare, si adegua al tema in un modo che oggi ci appare iro-nicamente elusivo e che è comun-que ben lontano dai retorici luoghi comuni contemporanei (v. fig. 15).

Fig. 14 - Piccoli alberghi montani.

Aloisio ha curato una vasta se-rie di arredamenti-, presentiamo co-me esempio quello realizzato per la Mostra dell'artigianato di Torino nel 1933, perché riassume i carat-teri più significativi: uso di pochi elementi qualificati in un ambiente in cui predomina un motivo con-duttore (qui la vetrina), trattamen-to pacatrattamen-to delle pareti, nobilitate quasi sempre dalla presenza di un elemento d'arte che, nel caso spe-cifico, è un dipinto di Menzio (v. fig. 16).

Fig. 15 - Stazione marittima di Napoli.

Concorso appalto il palazzo del

Governo di Asti.

Il tema prevedeva l'utilizzazio-ne dell'edificio ottocentesco del-l'« Alla », sede di esposizioni agri-cole e mercato di cavalli; l'area a tegrare nell'architettura

moderna-mente intesa le valenze esistenti nelle espressioni spontanee.

Lo spunto non è isolato nell'iter progettuale di Aloisio che costante-mente cerca di innestare i nuovi principi in cui crede nel processo storico di cui a volte è avvertibile la presenza (v. fig. 14).

Anno 1933.

Concorso appalto per la

stazio-ne marittima di Napoli (coli. A.

Te-desco Rocca).

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ib disposizione era ubicata a diretto 30 contatto con il centro storico di A Asti.

Nelle scelte progettuali ha cer-ài tamente giocato un ruolo non tra-'2 scurabile il sito che ha dettato la b disposizione simmetrica, non certo u usuale per il progettista, onde non

turbare l'equilibrio delle preesi-s preesi-stenti preesi-strutture della piazza Alfieri.

Aloisio si è qui volutamente impo-sto dei limiti, in nome di un fatto culturale che in quegli anni non era certo molto sentito, sia nell'uso > dei materiali sia nella espressione

plastica, limitata alla parte real-mente eseguita verso piazza della Vittoria ed agli interni (v. figure 17, 18).

Concorso per il palazzo del

lit-torio a Roma (coli. Tedesco Rocca).

È a mio giudizio uno dei progetti più validi, non tanto per la bril-lante soluzione architettonica quan-to come documenquan-to di rigore mo-rale.

« Il grande edificio (che) dovrà essere degno di tramandare ai po-steri, con carattere duraturo e uni-versale, l'epoca mussoliniana » (dal bando di concorso) si prestava ad essere risolto con « grandiosità ro-mana » e con l'aiuto di tutta la sim-bolistica del regime.

Senza prendere in considerazio-ne le soluzioni che ripropongono cenotafì di Newton o che si rifanno alla « gloria di Roma imperiale » è interessante esaminare le raccolte dei progetti per verificare come an-che in alcuni validamente risolti (come quelli cui collaborarono Li-bera o Terragni) sia imperante la magniloquenza, espressa dai vari arengari, logge del Duce, spazi enormi per adunate. Aloisio rifiuta tutto questo, interpreta l'arengario con normali balconate, sostituisce alle aree per adunate un cortile in-terno e tratta lo studio del Duce con estrema modestia, non dedican-dogli né spazi spropositati (si ve-dano invece le soluzioni a basilica o a tepidarium) né posizionamenti prefissati.

Fig. 16 - Arredamento.

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Fig. 18 - Palazzo del governo di Asti.

Forse è da ascriversi a questa af-fermazione di indipendenza l'esito del concorso: il progetto non fu promosso al secondo grado (v. fi-gura 19).

Anno 1940.

Progetto per la ristrutturazione del teatro d'Angennes o Gianduja a

Torino, realizzato nel '47, come

ci-nematografo.

Restando inalterata la facciata neoclassica di via Principe Amedeo, il centro gravitazionale del com-plesso si sposta su via des Am-brois.

Il problema dell'inserimento vie-ne risolto con un volume pieno che funge da quinta di appoggio alle costruzioni barocche e ottocente-sche di piazza Carlina.

Fig. 19 - Palazzo del littorio a Roma.

Anno 1938.

Alberghi e stazioni di funivie al Breuil. Il complesso è costituito da

tre alberghi collegati da funivie che dovevano sorgere al Breuil, a Pian Maison e a Plateau Rosa.

I due alberghi alle quote infe-riori si distendono sul terreno se-condo uno schema a piastra curva-ta; quello a quota 3500 ricerca essenzialmente l'adattamento alle particolari condizioni climatiche; sono notevoli la soluzione del sola-rium, protetto da vetrate contro il vento, con la copertura mobile per le cure elioterapiche e quella per la raccolta della neve che veniva im-magazzinata come riserva d'acqua.

II progetto documenta un felice momento di fusione tra le due basi-lari tematiche di ricerca di un'archi-tettura sachlich e di un istintivo intervento gestuale.

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Fig. 21 - Ripristino teatro Gianduia.

È una testimonianza del rispetto costante (apparentemente contrad-detto da proposte dissacranti quali il grattacielo di piazza Bodoni) con cui Aloisio si accosta alle forme del passato (v. fig. 21).

Anno 1942.

Progetto de La casa del

pesca-tore studiata per la rivista Domus

come idea per la propria casa ideale.

Aloisio localizza la costruzione sulle rive dell'Isonzo, ai piedi del monte Canin e la illustra con un arguto articolo che mi risulta es-sere l'unico da lui scritto.

Prevede un blocco chiuso in in-tonaco bianco con copertura a falde in scandole smaltate verdi.

Il progetto, estremamente chia-ro nell'impianto distributivo, è una proposta di applicazione di para-metri dell'architettura spontanea

locale, utilizzandone anche elemen-ti specifici come il focolare; è però sempre evidente il netto rifiuto di quei falsi problemi quali « regiona-lismo, nazionalismo e ambientismo storico » posti da Piacentini fin dal '23, alla cui suggestione era facile soggiacere (v. fig. 22).

Cinematografo Ideal a Torino.

L'edificio, previsto per 2800 spet-tatori, fu danneggiato a causa di

eventi bellici ancora durante la co-struzione e solo nel dopoguerra venne ultimato.

Pur con i limiti dovuti all'angu-sta area a disposizione, l'Ideai è la concretizzazione delle architetture gestuali proposte da Aloisio fin dai primi tempi della sua progettazio-ne; il blocco sinuoso bilanciato dal taglio al pianoterra, si contrappone validamente all'ambiente ottocen-tesco.

Fig. 22 - La casa del pescatore.

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Anno 1952.

Complesso industriale lite a To-rino. Trattandosi di una industria

tipografica, il problema fondamen-tale era l'ottenere per le rotative la massima illuminazione diurna, indispensabile per la stampa a colori.

Viene proposta una struttura ""^che, alternando parti convesse

pie-ne (atte a risolvere i problemi degli impianti) a parti vetrate, realizza il 6 0 % di superficie illuminante.

La ricerca nella soluzione dei particolari non distoglie l'attenzio-ne del progettista dal problema

Fig. 24 - Sistemazione piazza Solferino a Torino.

n m

Fig. 26 - Bozzetto nuova sede facoltà umanistiche di Torino. Fig. 25 - Saia composizione complesso

tipo-grafico lite.

La sala, come tutte le altre del-l'autore, non presenta soluzione di continuità tra le pareti e le coper-ture la cui forma plastica è genera-ta da curve analitiche, qui di tipo esponenziale (v. fig. 23).

Anno 1947.

Progetto concorso per la

siste-mazione della semidistrutta piazza Solferino a Torino.

Con uno spunto progettuale for-malmente riconnesso alle proposte dei fratelli Luckhardt per l'Ale-xanderplatz a Berlino, Aloisio pro-pone volumi articolati senza solu-zione di continuità, chiudendo an-che la via Pietro Micca, accessibile mediante un sottopassaggio.

Volendo qualificare l'aspetto anonimo della piazza, tenta di omogeneizzare gli ambienti episo-dici da cui è costituita con l'uso di parametri fissi, quali l'altezza co-stante (v. fig. 24).

(21)

Fig. 28 - Edifìcio per esposizioni in piazza Bodoni.

brano ineluttabili; certamente piaz-za Bodoni, con il suo conservatorio classicistico (1928!) ne è uno dei simboli (v. fig. 28).

Anno 1959.

Palazzo Sipra a Torino.

Attra-verso i pacati o a volte sofferti ri-pensamenti degli anni '50, le forme gestuali si placano, approdando ad una concezione architettonica

con-tenuta non commettendo, sempre citando Poelzig, l'errore di pensare che « peculiarità esteriori non giu-stificate organicamente debbano conferire una nota superiore ad ogni singola opera ».

La Sipra è indubbiamente un atto di voluta modestia. L'iterazio-ne dell'elemento compositivo pri-smatico che a seconda dell'angola-zione scompone e ricompone il vo-lume dandogli una consistenza

va-generale: tutti gli ambienti sono altamente qualificati, anche sotto l'aspetto formale.

Coerente con la costante affer-mazione della simbiosi architettu-ra-funzione, Aloisio rifiuta l'indu-stria-monumento; la palazzina « di rappresentanza » su corso Braman-te è quanto mai sobria, giocata sulla contrapposizione del frangisole con il piano di fondo, inciso dal taglio delle finestre (v. fig. 25).

Anno 1957.

Concorso per la nuova sede

del-le facoltà umanistiche a Torino.

Aloisio prevede un nucleo cen-trale costituito dalle aule che ven-gono cosi isolate dall'ambiente circostante.

Venne preferito il concetto op-posto di Levi Montalcini ed il com-plesso f u poi realizzato secondo il suo progetto (v. figg. 26, 27).

Anno 1958.

Progetto di edificio per

esposi-zioni permanenti in piazza Bodoni a Torino.

La proposta è dichiaratamente provocatoria e ne fa fede la stessa veste della presentazione con il lampioncino in primo piano, le scritte in caratteri lapidari romani e la data « A.D. 1958 ».

È forse la reazione al conserva-torismo di una città in cui le per-manenze dei secoli precedenti

(22)

Fig. 30 - Palazzo Sip a Torino.

riabile, conferisce all'edificio la funzione di elemento equilibratore dell'eterogeneo contesto ambientale in cui è sito (v. fig. 29).

Anno 1968.

Palazzo Sip a Torino. Fin dai

primi schizzi è identificabile la raf-finata sensibilità nella ricerca

del-l'equilibrio delle masse e dei rap-porti; l'enorme parallelepipedo az-zurro, frammentato in sottili lame verticali, perde di consistenza fon-dendosi con il cielo.

Come nella Sipra, anche qui un solo elemento formale, concavo, ritma tutta la composizione.

La ricerca di scansione modula-l e ' è pamodula-lese anche nei particomodula-lari: il soffitto illuminante del salone per il pubblico, o la soffittatura del-l'atrio in lamine di alluminio.

Si noti come il progettista otten-ga la scomposizione dei volumi me-diante l'effetto iterativo di elementi non usando particolari di decora-zione, bensì definendo compiuta-mente il modulo base architettoni-co, che utilizza poi sistematicamen-te nella composizione (v. fig. 30).

Non è facile concludere l'esame delle opere che in prima approssi-mazione illustrano l'architettura di Aloisio, articolata su di un unico supporto attraverso le diverse fasi esaminate; in fondo anche i riferi-menti a Poelzig o a Piranesi non sono che un ausilio per la compren-sione.

Penso però mi sia lecito avan-zare un'ipotesi: a quella che si potrebbe definire un'architettura

ge-stuale basata sulla « sachlichkeit »

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Ruolo e riforma

delle Camere di commercio

E ovvio che le C a m e r e di

com-mercio devono essere n o n solo m a n t e n u t e , ma potenziate. Po-tenziate s o p r a t t u t t o come organi tecnici locali in materia econo-mica, intesa in senso lato. A m i o parere, le loro f u n z i o n i speciali-stiche da valorizzare e, in vari casi, da estendere, r i g u a r d a n o la raccolta, l'elaborazione, la siste-m a z i o n e e la diffusione dell'in-f o r m a z i o n e e c o n o m i c a locale. C o m e osservatorio della realtà locale, esse possono trovarsi na-t u r a l m e n na-t e invesna-tina-te di un ruolo « s u p e r partes » nelle discussioni e nelle trattative tra le c o m p o -n e -n t i sociali locali, -n o -n c h é tra il centro e la p e r i f e r i a , ogni qual-volta siano d e t e r m i n a t i gli argo-m e n t i econoargo-mici. Q u e s t a funzio-ne n o n è da p o c o , a n c h e p e r c h é p o r t a a u t o m a t i c a m e n t e a inizia-tive collaterali, a s s o r b e n d o buo-na p a r t e delle forze e delle risor-se delle C a m e r e di c o m m e r c i o .

P r o p r i o p e r d a r e c o n t e n u t o e valore a quella i m p o r t a n t i s s i m a f u n z i o n e , ritengo che n o n sia op-p o r t u n o c a r i c a r e le C a m e r e di c o m m e r c i o con troppi compiti di controllo di particolari f o r m e di vendite, o di p r o m o z i o n e o comm e r c i a l i z z a z i o n e di certe p r o d u -zioni. R i t e n g o , s o p r a t t u t t o , che esse non p o s s a n o a s s u m e r e la f u n z i o -ne di c o o r d i n a t r i c i delle f o r z e sociali, né per c o m p i t o

istituzio-nale né per delega delle parti. Il ruolo tecnico è incompatibile con f u n z i o n i di rappresentatività, ed a n c h e (a parte casi eccezionali) con f u n z i o n i di m e d i a z i o n e . Un o r g a n o tecnico, infatti, deve for-nire u n a base per la discussio-ne, lasciando alle parti la libertà e la responsabilità di v a l u t a r e ed i n t e r p r e t a r e il q u a d r o d ' i n f o r m a -zione f o r n i t o in m o d o obiettivo.

N o n mi è possibile, in p o c h e righe, p r e n d e r e posizione sui p r o b l e m i m i n u t i (anche se impor-tanti) della n u o v a s t r u t t u r a da d a r e alle C a m e r e di c o m m e r c i o . In linea di p r i n c i p i o , mi s e m b r a o p p o r t u n o che esse siano consi-derate enti locali, e l i m i n a n d o al-c u n e i n al-c o n g r u e n z e dell'attuale r e g o l a m e n t a z i o n e ibrida. Più in p a r t i c o l a r e , ritengo giusto insi-stere sulla scelta regionalistica, e riconoscere le (già esistenti) Unioni regionali e n a z i o n a l i . Co-me p r i m a i m p r e s s i o n e , p e r ò , n o n mi s e m b r e r e b b e necessario crea-re u n a vera e p r o p r i a C a m e r a di c o m m e r c i o regionale. S o n o c o m u n q u e f o r t e m e n t e c o n t r a r i o alla s n a t u r a z i o n e del c o n t e n u t o t i p i c a m e n t e i m p r e n d i -toriale che h a n n o oggi ( e n t r o i limiti consentiti dalla gestione di tipo c o m m i s s a r i a l e ) le C a m e r e di c o m m e r c i o . Esse s o n o sorte per o p e r a r e in m o d o specializzato nel c a m p o delle i m p r e s e — co-m e d i co-m o s t r a a n c o r oggi la loro

Carlo De Benedetti, Presidente dell'Unio-ne industriale di T o r i n o : Le Camere di

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stessa fonte di finanziamento at-traverso l ' I L O R — e n o n è o p p o r t u n o trasformarle in u n C N E L locale (vista anche la scar-sa funzionalità del C N E L nazio-nale), o in u n ulteriore organi-smo di tipo politico che voglia rappresentare un p o ' tutte le parti.

Perciò, non posso condividere

la proposta di affidare il governo delle Camere di commercio ad un Consiglio che per solo due quinti sarebbe composto da rap-presentanti degli imprenditori, compresi per di più i lavoratori autonomi. È giusto che vi sia an-che u n a rappresentanza di lavo-ratori dipendenti, come p u ò for-se esfor-sere o p p o r t u n o che vi sia

u n a specifica partecipazione di esperti (che, per altro, potrebbe-ro essere designati dalle altre componenti; come di fatto fini-rebbe per accadere in ogni caso) : ittà queste componenti n o n im-prenditoriali n o n possono essere allargate fino al p u n t o di relegare a un ruolo minoritario la

compo-nente imprenditoriale. •

Nicola Bottinelli, Direttore Associazione commercianti di Torino: L'autonomìa

delle Camere di commercio va postulata nei confronti dello Stato e nei confronti delle Regioni.

N e l q u a d r o del nostro ordina-m e n t o statale e soprattutto di quello regionale la r i f o r m a delle C a m e r e di c o m m e r c i o o meglio la loro « r i f o n d a z i o n e », come o p p o r t u n a m e n t e si è espresso il Consiglio nazionale dell'econo-mia e del lavoro, si i m p o n e ur-g e n t e m e n t e essendosi ormai trop-po a lungo rinviata la soluzione di un p r o b l e m a che è di estrema i m p o r t a n z a per le categorie eco-n o m i c h e , che delle C a m e r e di c o m m e r c i o d e v o n o essere p a r t e attiva e d i r e m o essenziale.

Le C a m e r e di c o m m e r c i o co-stituiscono u n esempio tipico della necessità di r i n n o v a m e n t o della nostra società pluralistica. Ci p a r e superfluo dover par-lare di utilità delle C a m e r e di c o m m e r c i o , l'esperienza di tutti questi a n n i dimostra q u a n t o la loro f u n z i o n e sia indispensabile per l'evoluzione dell'economia nazionale e p e r la tutela dei le-gittimi interessi delle categorie operatrici che sul p i a n o sindaca-le sono a t t u a l m e n t e rappresenta-te da libere associazioni n o n aventi r i c o n o s c i m e n t o giuridico stante la m a n c a t a a t t u a z i o n e

del-l'art. 3 9 della Costituzione.

11 p r o b l e m a della r i f o r m a

del-le C a m e r e di commercio è stato in questi ultimi anni oggetto di dibattiti e di convegni, tra i quali merita particolare menzione la manifestazione promossa dalla C o n f e d e r a z i o n e generale italia-na del commercio e del turismo in collaborazione colla C a m e r a di commercio, industria, artigia-nato, agricoltura di Pavia il 4 dicembre 1971 a Pavia, avente come tema « C a m e r e di commer-cio e forze mercantili ».

In questo convegno p a r l a n d o dei r a p p o r t i e collegamenti tra Regioni e C a m e r e di commercio si è detta u n a cosa di g r a n d e im-p o r t a n z a e im-precisamente che im- po-trà essere i n a u g u r a t o u n m o d o n u o v o di a f f r o n t a r e i p r o b l e m i derivanti da questi r a p p o r t i se verrà affermata senza equivoci l ' a u t o n o m i a delle C a m e r e di c o m m e r c i o .

L ' a u t o n o m i a delle C a m e r e va postulata in due direzioni: nei c o n f r o n t i dello Stato e nei con-f r o n t i delle Regioni.

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La diretta ingerenza ministe-riale nella gestione delle Camere di commercio è senza d u b b i o la principale causa dello svuota-m e n t o della i svuota-m p o r t a n z a delle Ca-mere che di f a t t o n o n h a n n o at-tualmente u n a reale rappresenta-tività delle categorie economiche le quali per altro contribuiscono direttamente al loro finanzia-mento.

Perché le C a m e r e di commer-cio possano d u n q u e in concreto essere validi strumenti di pro-pulsione dell'economia locale, e mezzo di collegamento e coorn a m e coorn t o delle istacoornze delle di-verse categorie e c o n o m i c h e , oc-corre garantire loro u n a autono-mia nei c o n f r o n t i dello Stato m a ora a n c h e verso le Regioni quan-t u n q u e quesquan-te, cosi come è squan-taquan-to g i u s t a m e n t e rilevato nel Conve-g n o di Pavia, nate sotto il seConve-gno d e l l ' a u t o n o m i a e rispettose nei loro statuti delle a u t o n o m i e degli enti locali, n o n d o v r e b b e r o inter-venire nelle strutture camerali, né t a n t o m e n o d o v r e b b e r o tenta-re di s t r u m e n t a l i z z a r l e di f a t t o , politicizzandole o i n g e r e n d o s i c o m u n q u e nei r a p p o r t i interni delle C a m e r e di c o m m e r c i o . Le C a m e r e di c o m m e r c i o sono enti locali e non territoriali e c o m e tali d e b b o n o godere di u n a a u t o n o m i a che d e v e essere riba-dita i s t i t u z i o n a l m e n t e , n o n solo p e r assicurare ai n u o v i enti lo svolgimento di u n a attività n o n c o n d i z i o n a t a da i p o t e c h e di va-ria n a t u r a , m a a n c h e p e r d a r e finalmente espressione al plura-lismo d e m o c r a t i c o fissato dalla C o s t i t u z i o n e r e p u b b l i c a n a .

A n c h e se allo stato delle cose la p r o g r a m m a z i o n e r e g i o n a l e ha d a t o scarsi se non nulli risultati è da p r e v e d e r e che in f u t u r o ,

det-tata più dalla fiducia che dalla esperienza, la p r o g r a m m a z i o n e a livello Regione è destinata ad as-sumere un ruolo f o n d a m e n t a l e per orientare scelte ed interventi.

In questo q u a d r o le C a m e r e di commercio, r i n n o v a t e come isti-tuzioni a u t o n o m e , d i s p o n e n d o però di u n a attrezzatura burocra-tica e di materiale occorrente per rilevazioni e studi, p o t r a n n o svolgere u n a insostituibile f u n -zione di collabora-zione qualifi-cata cogli Enti Regioni.

Questa insostituibile f u n z i o n e si estrinsecherà in tutte le mate-rie afferenti la p r o g r a m m a z i o n e senza esclusione di u n a sfera più a m p i a e generale.

D a u n lato q u i n d i la Regione p o t r à richiedere alle C a m e r e di c o m m e r c i o u n a notevole massa di i n f o r m a z i o n i , dati statistici, studi e p a r e r i che s a r a n n o indi-spensabili per o r i e n t a r e le scelte legislative della Regione, dall'al-tro lato la Regione p o t r e b b e de-legare, c o m e già oggi avviene da p a r t e del G o v e r n o , alle C a m e r e di c o m m e r c i o c o m p i t i partico-lari.

Ecco q u i n d i la soluzione otti-m a l e di u n o stretto c o n t a t t o tra d u e enti che p u r nella diversità f o n d a m e n t a l e delle c o m p e t e n z e p o s s o n o c o l l a b o r a r e per conse-guire i risultati che la Regione si prefigge d a n d o c o n t e n u t o alle f u n z i o n i delle C a m e r e ed esal-t a n d o n e compiesal-ti ed a esal-t esal-t r i b u z i o n i .

N o n ci n a s c o n d i a m o certo le difficoltà di istituire tra C a m e r a di c o m m e r c i o e Regioni un rap-p o r t o rap-proficuo e c o n t i n u a t i v o che attui nella realtà l ' a u s p i c a t o pre-cetto legislativo, p e n s i a m o tutta-via che le d i v e r g e n z e ed i contra-sti p o t r a n n o essere f a c i l m e n t e su-perati in q u a n t o da a m b o le parti

sussista u n a volontà politica e so-prattutto u n a chiara delimitazio-ne di compiti di istituto, soprat-tutto torniamo a ripetere è indi-spensabile che la personalità pubblica delle Camere derivi dal-la a u t o n o m a attività amministra-tiva per il conseguimento di fini pubblici e dalla facoltà impo-sitiva.

Per assicurare l ' a u t o n o m i a delle C a m e r e di commercio, è indispensabile che gli organi ca-merali derivino da u n a elezione democratica da parte delle cate-gorie economiche. È q u i n d i reci-samente da respingere il progetto di legge dell'ex Ministro G a s p a r i che p r e v e d e all'art. 25 che i po-teri di n o m i n a del Presidente e della G i u n t a n o n c h é i poteri di vigilanza e tutela delle C a m e r e di c o m m e r c i o siano delegati alle Regioni a statuto o r d i n a r i o com-petenti.

Il p r o b l e m a assume n o n solo carattere istituzionale ma anche politico ed a questo proposito va r i c o r d a t o che a f r o n t e di questo progetto i partiti dell'area demo-cratica delle Regioni Emilia R o m a g n a e U m b r i a h a n n o im-m e d i a t a im-m e n t e reagito a questa pericolosa ed a n c h e incostituzio-nale scelta, per le gravi ripercus-sioni che si p r o d u r r e b b e r o nelle s t r u t t u r e e c o n o m i c h e della pro-vincia.

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In-fatti per delegare alle Regioni funzioni amministrative, per ma-terie non previste esplicitamente dall'art. 117, occorre procedere con legge apposita e non attra-verso la richiamata legge 775, che si limita a prevedere solo il riordino dei Ministeri e degli Uf-fici pubblici, dopo ed in conse-guenza del trasferimento e della

delega alle Regioni di funzioni amministrative. N e p p u r e è appli-cabile l'art. 17 della legge 16 maggio 1970 che prevede la de-lega di funzioni statali marginali, rimaste agli uffici periferici dello Stato, dopo che siano trasferite alle Regioni quelle principali e prevalenti. Conseguentemente le funzioni di nomina dei

Presiden-ti e delle Giunte camerali e di q u a n t o previsto dall'art. 25 del decreto « Gaspari » non è confi-gurabile in tale quadro.

Le Camere di commercio dun-qtie devono essere riformate te-nendo conto della esigenza di renderle democratiche e di affi-d a r n e il governo alle categorie

economiche. •

Guido Bodrato, parlamentare: Il

dibat-tito sulle Camere di commercio va por-lato avanti con riferimento non solo ai rapporti con il sistema politico istituzio-nale, ma anche al problema della demo-cratizzazione dei loro organi.

I l nostro o r d i n a m e n t o politico è costruito sulla base di principi democratici che non sono compa-tibili con una concezione corpo-rativa della società e del potere; non a caso ogni d e f o r m a z i o n e corporativa del modello socio-economico, cioè l'affiorare di la-tenti tentazioni settoriali e quin-di il prevalere quin-di spinte ad u n a aggregazione politica che sia ca-ratterizzata dagli interessi parti-colari, in contrasto con u n a vi-sione globale e democratica dei problemi, d e t e r m i n a n o u n a crisi negli equilibri politici e nello stesso assetto istituzionale.

Questa concezione della orga-nizzazione politica n o n esclude peraltro l'esistenza di organismi cui affidare u n a f u n z i o n e partico-lare, in q u a l c h e m o d o ausiliaria nei c o n f r o n t i delle strutture de-m o c r a t i c h e , ed essi stessi capaci di c o n c o r r e r e ad u n a più a m p i a articolazione del consenso socia-le; si tratta di u n a f u n z i o n e ga-rantita e qualificata dalla rappre-sentatività socio-economica di queste s t r u t t u r e intermedie. La concezione pluralista che alimen-ta la società d e m o c r a t i c a , si p u ò infatti e s p r i m e r e n o n soltanto in una corretta articolazione

istitu-zionale (dai C o m u n i , alle Regio-ni, allo Stato) e nei livelli della partecipazione sociale (si pensi, ad esempio, alla interessante esperienza avviata nelle scuole, con l'elezione dei consigli di cir-colo e di istituto), m a anche nel riconoscimento dell'associazioni-smo di cui è espressione di avan-guardia il sindacato dei lavorato-ri, ed infine nella organizzazione in qualche m o d o riconosciuta e promossa dallo stato — di enti che perseguono finalità partico-lari n e l l ' a m b i t o di n o r m e che ne garantiscono la convergenza e la compatibilità con gli interessi generali della c o m u n i t à .

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col-laborano, in ragione della loro particolare rappresentatività so-ciale e della competenza tecnica, alla m a t u r a z i o n e di decisioni le-gislative ed amministrative che spettano f o r m a l m e n t e ad altre assemblee politiche, o che eserci-tano un potere loro delegato.

N o n si p u ò peraltro escludere che le Camere di commercio pos-sano utilmente svolgere, in n o m e e per conto delle categorie pro-fessionali rappresentate, altre particolari attività di tipo asso-ciativo o riconducibili in qual-che m o d o a f u n z i o n i « promo-zionali » e di servizi, che n o n a s s u m o n o p e r t a n t o in senso pro-prio carattere sindacale o poli-tico, cioè senza sottintendere u n disegno c o r p o r a t i v o che s a r e b b e c o n t r a d d i t t o r i o con la imposta-zione p r i m a s c h e m a t i c a m e n t e de-lineata.

A q u a l e livello si colloca que-sto speciale r a p p o r t o con il si-stema politico istituzionale? Si è ormai a f f e r m a t a l ' o p i n i o n e che la n o r m a costituzionale e la concreta p r o b l e m a t i c a ( d o c u m e n t a z i o -ne, p r o g r a m m a z i o n e , ecc.)

collo-chino le Camere di commercio nel q u a d r o degli enti che opera-no soprattutto nell'ambito delle Regioni. Questa collocazione ap-pare corretta, m a non esclude che, come avviene per altri enti locali e p r o p r i o per garantirne l ' a u t o n o m i a , si debba ancora p e n s a r e ad una definizione legi-slativa di ordine nazionale (legge q u a d r o ) . Ciò anche perché le f u n z i o n i attribuibili alle C a m e r e di commercio, in parecchi casi n o n possono che svolgersi con r i f e r i m e n t o a livelli ed a respon-sabilità p r o p r i e del P a r l a m e n t o e del potere esecutivo centrale; h a n n o cioè, più interlocutori po-litici, e questa diversa destina-zione della loro iniziativa deve essere g a r a n t i t a .

Il p r o b l e m a della « democra-tizzazione » degli organi delle C a m e r e di c o m m e r c i o è u n a que-stione i m p o r t a n t e m a di difficile soluzione, a n c h e p e r c h é n o n si deve credere che l'attuale regime « commissariale » sia s u p e r a t o con la semplice sostituzione de-gli atti ora di c o m p e t e n z a mini-steriale con delibere della

Re-gione; questo decentramento non a p p a r e in sé un fatto quali-tativamente risolutivo del pro-blema posto. Si rischia, in certe realtà, di ridurre la rilevanza di u n « equilibrio dei poteri » che in democrazia ha un suo preciso significato, e che in certa misura p u ò a p p a r i r e u n a difesa della stessa a u t o n o m i a degli enti lo-cali. La difficoltà mi pare di or-dine pratico, poiché si tratta an-cora di i m m a g i n a r e in quale mo-do le diverse c o m p o n e n t i sociali cui è riconosciuta u n a quota di r a p p r e s e n t a n z a nelle Camere di commercio, possano esprimersi a u t o n o m a m e n t e ed in m o d o cor-retto, senza passare attraverso la « m e d i a z i o n e » di altri organismi, che spesso i n t r o d u c o n o un dato di « i n t e r p r e t a z i o n e » politica della situazione.

Allo stato della situazione, n o n mi p a r e esista la possibilità di u n a soluzione p e r f e t t a ; si trat-ta di realizzare q u a l c h e corretti-vo che avvicini u l t e r i o r m e n t e le C a m e r e di c o m m e r c i o alla realtà provinciale e regionale che

(28)

Contraddizioni della società del benessere

nella realtà italiana

Bruno Cerrato

Premessa.

O r m a i da alcuni anni u n o degli argomenti di più f r e q u e n t e e acceso dibattito f r a gli studiosi, n o n solo di economia, delle più diverse f o r m a -zioni e fedi politiche è quello sull'opulenza della società in cui viviamo, o meglio sui suoi risvolti negativi. Il p u n t o di p a r t e n z a dei severi giudizi critici da molti espressi al riguardo, la constata-zione che la qualifica di civiltà del benessere at-tribuita al livello di progresso conseguito dalle na-zioni m a g g i o r m e n t e sviluppate trae origine dal particolare criterio di misurazione, che p o n e n d o sulla bilancia dei valori esclusivamente le manife-stazioni economiche delle collettività, con privile-gio di quelle suscettibili di u n a precisa t r a d u z i o n e m o n e t a r i a , tralascia di proposito, senza giustifica-zione alcuna, la consideragiustifica-zione dei n o n m e n o im-portanti aspetti attinenti la sfera psico-sociale de-gli individui che la c o m p o n g o n o , difficilmente o per niente quantificabili con quel m e t r o .

In altri termini, anche in Italia, ha cominciato a farsi strada la convinzione che la filosofia dello sviluppo finora seguita e spesso con tanta enfasi celebrata è per molti versi ingannevole e f u o r -viarne. Se è vero infatti che la moltiplicazione dei beni di c o n s u m o prodotti è riuscita a r e n d e r e da t r e n t a n n i in q u a molto più sopportabili le con-dizioni di esistenza di b u o n a p a r t e degli italiani, è altrettanto certo che tale crescita materiale, p u r notevole ed entusiasmante, ha c o n t r i b u i t o tutto s o m m a t o m e n o di un p o ' ad a u m e n t a r e la felicità e dare un più completo senso alla vita. Legittimo q u i n d i l'invito, per cogliere la vera « quality of life », se p r e m e n o n r i d u r r e l ' u o m o a p u r a e semplice espressione economica, a n o n lasciarsi illudere dai vertiginosi a n d a m e n t i espansivi regi-strati dai macroaggregati economici c o m e il red-dito, sia esso p r o d o t t o o c o n s u m a t o , visto che la loro massimizzazione quasi s e m p r e è a v v e n u t a o avviene a prezzo di alti costi sociali, v u o i di

na-tura oggettiva che di carattere soggettivo. T r a i primi scontato ricordare la degradazione ambien-tale in tutte le sue forme, dai r u m o r i agli inqui-n a m e inqui-n t i , dal disboscameinqui-nto di iinqui-ntere regioinqui-ni agli

slums u r b a n i , la congestione del traffico, la

ca-renza di verde nelle città, la scarsità di servizi pubblici primari, le n o n ancora totalmente eli-m i n a t e condizioni di lavoro pesante nelle fabbri-che, la criminalità, ecc.; tra i secondi, oltre le nevrosi delle masse stressate dalla continua ten-sione competitiva per elevare il proprio status e ricercare u n preciso ruolo nell'ambito della comu-nità, i latenti o manifesti climi di insoddisfazione, t u r b a m e n t o , i n q u i e t u d i n e e frustrazione, scatu-renti dal processo di interiorizzazione degli acca-dimenti oggettivi esterni socialmente rilevanti ap-pena elencati.

N e s s u n d u b b i o sull'utilità, anzi l'urgente ne-cessità, di u n a m e d i t a t a reimpostazione del tra-dizionale approccio al tema dello sviluppo e ai sistemi della sua misurazione, q u a n d o , tra l'altro, si ponga m e n t e che sempre m e n o a livello di élite intellettuale si allarga la sensibilità ad ammoni-menti tipo quello espresso da John K e n n e t h Gal-braith nella chiusa alla sua più u n i v e r s a l m e n t e nota opera « T h e Affluent Society »: « A m m o b i -liare u n a c a m e r a v u o t a è u n a cosa, c o n t i n u a r e ad accatastare mobili fino alle cantine è u n ' a l t r a . Se l ' u o m o non fosse riuscito a risolvere il p r o b l e m a della p r o d u z i o n e , egli sarebbe rimasto in quelle dolorose condizioni di miseria che sono il retag-gio più inveterato d e l l ' u m a n i t à . M a se egli n o n si accorgesse di aver risolto tale p r o b l e m a , e quin-di n o n si rivolgesse al prossimo c o m p i t o che l'at-t e n d e (di aspirare alla pace, a f o r m e di convi-venza m e n o t r a u m a t i z z a n t i , alla solidarietà, al progresso etico, l'inciso è nostro) si troverebbe di f r o n t e ad un altrettanto tragico destino ».

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