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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1973, Anno 32, n.4, dicembre

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Spedizione in abbonamento postale - Gruppo I V

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A DE L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E

GIAN ANTONIO MICHELI - GIANNINO PARRAVICINI

COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO ALLORIO - ENZO CAPACCIOLI - CESARE COSCIANI FRANCESCO FORTE - EMILIO GERELLI - f ANTONIO PESENTI

ALDO SCOTTO - SERGIO STEVE

M V ^ A l PAVClsI

AG

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Pubblicazione sotto gli auspici dell’Istituto di Finanza dell’ Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico

della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Roma

La De ie z io n e è in Pavia, Istituto di Finanza presso l’ Università e la Camera

di Commercio, Strada Nuova 65. Ad essa debbono essere inviati bozze

corrette, cambi, libri per recenssione in duplice copia.

I manoscritti dei lavori giuridici devono essere inviati al prof. Gian Antonio

Mic h e l i, Via Scipione Gaetano, n. 13 - 00197 Roma.

Redattore: prof. Alberto Ma j o c c h i, Prof. Incaricato nell’Università di Pavia.

Redattore Capo: prof. Em i l io Ge r e l l i, Direttore dell’Istituto di Finanza del­ l’Università di Pavia.

L ’ Am m in i s t r a z i o n e è presso la Casa Editrice Doti. A. Giuffrè, 20121 - Milano,

Via Statuto, 2 - Telefoni 652.341/2/3 - 662.543.

Ad essa vanno indirizzati le ricbieste di abbonamento (c.c. postale 3/17986) e di pubblicità, le comunicazioni per mutamenti di indirizzo e gli even­ tuali reclami per mancato ricevimento di fascicoli.

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Le richieste di cambiamento di indirizzo devono essere accompagnate dall’im­ porto di L. 100 in francobolli e trasmesse con specifica comunicazione raccomandata al competente Ufficio Codificazione Clienti.

Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’Amministrazione della rivista. Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie

supplementari eventualmente ricbieste all’atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Direttore responsabile : Em ilio Gerelli

(jisH ) Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore ai 70 %

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Gia n n in o Pa r r a v ic in i - Gli scritti e il pensiero dì Antonio Pesenti

Pa u r a Ca s t e l l u c c i - Il comportamento dell’impresa secondo gli schemi tradizionali e secondo gli schemi « manageriali » ; implicazioni finan­ ziarie ...

Gu s t a v o Min e r v in i - Il presupposto soggettivo dell’obbligazione IVA

Fran c e sc o Mo n d in i - Il sistema delle sanzioni per le violazioni all’IVA

An t o n io Ga l i a n i - Gli atti amministrativi di concerto con il Ministro per il T eso ro ... 565 585 615 626 641 APPUNTI E RASSEGNE

Fran co Ga l l o - Prime considerazioni sulla riforma tributaria

En r ic o Po tito - La funzione della liquidazione definitiva nell’IVA

Ba ld a s sa r r e Sa n t a m a r ia - Appunti sui poteri della polizia tributaria in materia di imposta di registro

Gio v a n n i Pu o t i - Rassegna della giurisprudenza tributaria

Cl a u d io Sa c c h e t t o - Rassegna legislativa in materia tributaria

664 680 686 704 717 RECENSIONI

Ph i l i p p e Be r n - La nature juridique du contentieux de l’imposition (G A. M i c h e l i ) ...

RASSEGNA D I PUBBLICAZIONI RECENTI 744

P A R T E S E C O N D A

NOTE A SENTENZE

Salv a to r e Fio r e n z a - Riflessioni (brevi) e dubbi in tema di « diritti do- ganali e imposizioni comunitarie »

LE°rerf/7R t1>ERE° NE ' Ancora in tema di omissione della dichiarazione dei Eu c l id e An t o n in i - Alcune considerazioni in tema di enti pubblici non

economici e della loro sottoposizione alle imposte erariali

Gi u s e p p e Az z a r i t i - La esenzione dall’imposta di R.M. del reddito di cete /minati stabilimenti, nel caso di contemporanea gestione di sta­ bilimenti non esenti

319 336 345

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SENTENZE ANNOTATE

Comunità Economica Europea - Regolamenti - Efficacia diretta (Trat­ tato C.E.E., art. 189; L. 14 ottobre 1957, n. 1203, art. 2).

Comunità Economica Europea - Prelievi agricoli sui prodotti lattiero- caseari - Regolamenti - Carattere precettivo (D.L. 23 dicembre 1964, n, 1351, art. 4 ; Regol. C.E.E., 21 dicembre 1967, n. 1028).

Comunità Economica Europea - Regolamenti - Questione di legittimità costituzionale - Improponibilità (Costituzione, art. 134).

Leggi, decreti e regolamenti - Legge di esecuzione del Trattato C.E.E. - Questione di illegittimità costituzionale - Proponibilità (Costitu­ zione, art. 134).

Comunità Economica Europea - Prelievi agricoli - Carattere di presta­ zioni patrimoniali imposte (D.L. 23 dicembre 1964, n. 1351, art. 9). Comunità Economica Europea - Legge di esecuzione del Trattato C.E.E.

- Inosservanza della riserva di legge in materia di prestazioni im­ poste - Questione di illegittimità costituzionale (Costituzione, art. 2 3 ; Trattato C.E.E., art. 1 8 9 ; L. 14 ottobre 1957, n. 1203, art. 2 ) (Trib. Torino, 25 maggio 1972) (con nota di S. Fio r e n z a) . . . . 319 Imposte di ricchezza mobile - Dichiarazione incompleta - Art. 123 T.U.

29 gennaio 1958, n. 645 - Inapplicabilità (Comm. Centi’., Sez. I, 19 a p r ile 1972, n . 3 8 46) (c o n n o t a d i L. Pe r s o n e).

Imposta di ricchezza mobile - Dichiarazione incompleta - Iscrizione a ruolo ex art. 123 T.TJ. n. 645 del 1958 per il cespite omesso - Legitti­ mità (Comm. Centr., Sez. IV, 9 ottobre 1972, n. 8846) (con nota di L. Perrone) ...33(5 Soggetti passivi - Enti parificati ai fini fiscali alle Amministrazioni dello

Stato - Assoggettabilità alle imposte dirette - Enti comunali di con­ sumo - Imposta sulle società (Cass, Sez. I, 9 giugno 1972, n. 1804) (c o n n o t a d i E . An t o n in i) ...345 Imposta di ricchezza mobile - Pluralità di stabilimenti dello stesso sog­

getto - Unicità di bilancio - Stabilimenti siti nel Mezzogiorno am­ messi alla esenzione - Passività - Inclusione nel bilancio generale

(Cass., Sez. I, 14 luglio 1971, n. 2301) (con nota di G. Az z a r i t i) . 361

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DI ANTONIO PESENTI (*)

Ricordare Antonio Mario Pesenti è per me fonte di grande tri­ stezza. Molti sono i motivi : l’amicizia che ci ha legati dai tempi del­ l’università, l’ elevato suo valore umano, l’impegno morale con il quale ha vissuto, la viva intelligenza, la dedizione continua agli studi e la fertilità delle sue ricerche. Stroncato da una malattia che aveva con­ tratto nel carcere, egli è scomparso nella piena maturità quando or­ mai si era rivolto prevalentemente alla ricerca e all’ insegnamento, allentando poco a poco l’azione politica attiva.

Antonio Pesenti non fu uno studioso e un politico; egli fu unita­ mente studioso e politico. Gli interessi dello studioso e del politico convergevano strettamente, anzi si immedesimavano : loro fine era la conoscenza della società di oggi e la preparazione alla società di do­ mani. L’adesione sua alla concezione del materialismo storico fu to­ tale, assoluta. La sua interpretazione e i suoi giudizi da studioso della società di oggi e del destino di questa società, nonché la sua convinta fede di uomo politico, si basano su questa adesione assoluta.

Antonio Pesenti, occupa, tra noi, un posto a sé, per il senso che egli ebbe della vita, intesa come missione e sacrificio. Accettò, dap­ prima, serenamente ogni sacrificio che la vita gli impose ; si sottrasse, poi, più che per modestia, per convinzione morale, ai vantaggi e alle umane soddisfazioni a cui il suo passato, la sua esperienza, la sua intelligenza gli davano diritto.

Certo ben pochi sotto la dittatura fascista precipitarono mate­ rialmente e socialmente, come egli precipitò. Dalla cattedra al bu­ gliolo. Alcuni sono rimasti un poco dubbiosi o stupiti davanti a que­ sto titolo del suo libro autobiografico, ma questi non ne hanno ca­ pito il significato, che non è quello di una scherzosa

contrapposi-^ Testo della commemorazione tenuta in Roma il 6 novembre in occa­ sione delia XIV riunione scientifica della Società italiana degli economisti.

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mone, bensì dell’immane contrasto tra un futuro che si mostrava il­ luminato dai rapidi successi di studioso, e i 24 anni che gli inflissero di umiliante e umiliata costrizione nella inumana cerchia di un carcere.

La forza di carattere, la serenità sempre in lui presente, la na­ turale propensione all’ ottimismo, la capacità di trovare anche in un carcere modi e mezzi per coltivare lo spirito e approfondire la cono­ scenza, illuminarono quei diffìcili e tetri anni. Certamente questa sua resistenza, questo suo aver saputo fare del carcere una ragione di accrescimento morale e intellettuale, trovarono preziosa assistenza nell’esperienza di giovane che aveva dovuto provvedere ai propri stu­ di, nelle vicende dell’ oppressione fascista, che aveva toccato anche i suoi familiari, nel grande, profondo conforto, che ebbe nell’affetto dolce e forte dei suoi genitori e dei suoi fratelli.

Antonio Pesenti nacque a Verona il 15 ottobre 1910 in una fami­ glia decisamente antifascista, aperta e combattiva, come egli ebbe a scrivere. In Treviso ebbe le prime esperienze politiche all’ estendersi della dittatura fascista, che nei suoi ricordi ebbe il momento più vivo nell’ incendio del « Gazzettino ». Nel 1927, superati brillantemente gli esami di maturità, ebbe la fortuna di essere chiamato a far parte degli alunni dell’ Almo Collegio Borromeo di Pavia. Fu un avvenimento che possiamo considerare determinante per la sua vita, perché in Pavia trovò un ambiente congeniale agli studi e perché ancora vi era tra gli studenti un non sopito interesse politico che si manifestava in iniziative appassionate, anche se forse ingenue e spesso incerte. Par­ ticolarmente felice fu per Pesenti l’incontro con Griziotti, per una certa convergenza di pensiero tra loro, per la riconosciuta dedizione che Griziotti portava agli studi e la convinzione e tenacia con la quale intendeva creare a Pavia una scuola, per la stima e l’affetto che Griziotti ebbe subito per questo suo allievo, che dopo Vanoni e Pilgüese veniva ad arricchire il gruppo di giovani che lo circonda­ vano e seguivano.

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che a Pesenti eravamo affezionati per la sua intelligenza e per il suo atteggiamento politico.

La tesi ebbe dignità di stampa e fu il primo e principale titolo della libera docenza in scienza delle finanze e'diritto finanziario, che conseguì nel dicembre 1934, appena compiuti i ventiquattro anni. Già nell’anno in cui si era laureato, era stato nominato assistente all’ Isti­ tuto di finanza di Pavia, ed era partito per l’ estero, grazie alla borsa di studio « Bonaldo Stringher », allora istituita. A Londra, incon­ tra Beveridge, Gregory, Dalton e Hobson ; a Vienna, tra gli altri, Von Mises e Morgenstern. Verso la fine del 1932 si reca a Berna ad approfondire il diritto tributario presso Blumestein. Grazie a una borsa di studio della Cassa di risparmio delle provincie lombarde, trascorre il 1934 a Parigi, dove frequenta Rist, Allix e Jèze. Vivi ri­ mangono sempre i miei ricordi dei mesi insieme trascorsi a Parigi, presso la stessa famiglia, forse ben più ansiosi di conoscere la vita di un paese dalle libere istituzioni e di contatti politici, che di con­ tatti universitari.

Alla fine dello stesso anno Pesenti, conseguita come ho detto la libera docenza, ottiene l’ incarico di insegnamento nell’ Università di Sassari, ed ottiene pure di poter usufruire ancora della borsa nel­ l’anno successivo durante le vacanze pasquali ed estive.

A ll’ estero intensifica, unitamente all’attività di studio, l’attività politica, che culmina nel suo intervento ai Congresso del fronte unico antifascista tenutosi a Bruxelles, dove il 13 ottobre, in rappresentanza dei gruppi socialisti in Italia, prende la parola contro la guerra di Etiopia.

Ritornato in Italia, l’8 novembre 1935 è arrestato a Verona. Il tribunale speciale per la difesa dello Stato lo condanna, il 6 feb­ braio 1936, alla massima pena di 24 anni per attività antinazionale all’ estero.

Col carcere si chiude il primo periodo della sua vita ricco di in­ tensa attività di studio, di interessi, di irrequieta passione politica, di attese e già di sostanziali risultati.

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l’acume delle osservazioni e l’ampia conoscenza della letteratura. So­ stiene validamente il confronto con opere ben più note sulle vicende monetarie degli anni venti e trenta, e merita una più ampia cono­ scenza e diffusione.

Pesenti tratta della politica monetaria e finanziaria del cancel­ liere dello scacchiere Snowden, del primo periodo quando il governo fu esclusivamente laburista, e del secondo periodo, quando si costi­ tuì il governo nazionale, con la partecipazione di tutti i partiti. Nel primo periodo si è ancora in regime di cambio aureo; nel secondo, con la svalutazione della sterlina del 21 settembre 1931, si entra nel regime della moneta manovrata.

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tica. Il socialismo democratico sarebbe impotente a sanare il dissidio tra un sistema di produzione retto dal principio individualistico e l’attuazione dei postulati socialisti della produzione. L’espansione delle spese sociali e il conseguente aggravarsi degli oneri fiscali produ­ cono, infatti, l’irrigidimento e il rialzo dei costi e un’espansione arti­ ficiale del consumo, ossia una situazione che mette a repentaglio la capacità concorrenziale in sede internazionale.

Il saggio « La politica monetaria delle Devisenverordnungen » del settembre 1933, contestuale grosso modo con il volume, tratta di un fenomeno che allora andava prendendo dimensioni crescenti: quello del controllo dei cambi. Anche questo saggio è rimasto fresco e pieno di annotazioni tuttora valide ; di errato il saggio ha soltanto il titolo con quella parola tedesca composta « Devisenverordnungen » che avrebbe dovuto essere tradotta nell’ espressione italiana « disci­ plina dei cambi », anche se il controllo dei cambi nacque proprio nei paesi tedeschi e si presentò inizialmente con nome tedesco. Il vizio del sistema del controllo dei cambi, vi si legge, è quello di voler man­ tenere artificialmente un prezzo della moneta superiore a quello del mercato libero, senza cercare al tempo stesso con la politica econo­ mica generale di diminuire il forte disagio che esiste tra il corso li­ bero e il corso controllato. L’ espediente temporaneo diventa un in­ tervento permanente, che spinge a ripiegare nel protezionismo, negli scambi bilaterali, e ad accettare la caduta della produzione. Il con­ trollo dei cambi dovrebbe limitarsi ai movimenti dei capitali ; anzi il controllo contro la fuga dei capitali sarebbe intervento utile proprio per salvaguardare la libertà del mercato valutario nell’ambito delle transazioni commerciali.

Nel 1934 Pesenti pubblica anche uno scritto di diritto tributa­ n o . « I soggetti passivi della obbligazione doganale nella legge ita­ liana ». In questo saggio, nel quale si sente l’insegnamento del Blu- menstein, Pesenti analizza l’ imposizione doganale in altri e nel no­ stro Paese, e con ricchezza di argomentazioni e di riferimenti dimo­ stra che anche nel nostro diritto positivo l’imposizione doganale non si traduce in un rapporto reale tra l’ ente impositore e la merce che passa il confine, bensì si asside, su questa fattispecie, un rapporto personale, che da un lato vede Pente impositore e dall’altro colui che e obbligato materialmente alla dichiarazione, il mandante o il pro­ prietario.

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teoria finanziaria, presentando già allora delle soluzioni storicistiche. Ogni fenomeno collettivo, compreso quello finanziario, egli scrive, può essere concepito, e di conseguenza attuato, secondo uno dei tre seguenti principi : 1) del massimo edonistico collettivo, che si rea­ lizza nella massima libertà economica dell’individuo; 2) del massimo edonistico collettivo che si basa sul massimo benessere presente e fu­ turo della società ; 3) dell’interesse di una oligarchia dominante. Se­ condo le epoche storiche mutano i principi e mutano i sistemi finan­ ziari concreti.

Il principio 1) poggia sulla premessa di una società liberale, nella quale il massimo edonistico della collettività si attua con la massima produzione e questa è raggiungibile grazie alla libera iniziativa in­ dividuale ; in questa società l’attività finanziaria non deve turbare il calcolo economico individuale.

Nella società attuale, invece, il massimo edonistico collettivo viene sempre più concepito come massimo benessere economico in senso sociale. Questo benessere ha un valore obiettivo, non più sog­ gettivo. Il costo finanziario è rappresentato dal rapporto tra le uti­ lità negative delle entrate e quelle positive delle spese, che hanno la loro misura non in giudizi soggettivi dell’individuo (economico) o della società (politico), ma in quei principi economici oggettivi che guidano l’attività finanziaria per il raggiungimento del massimo edo­ nistico collettivo. Variando le condizioni economiche e sociali va­ riano anche i principi. In questo studio Pesenti vede chiaramente il problema delle scelte finanziarie, giacché proprio a queste scelte con­ duce il problema del costo finanzario, ma rimane impigliato nell’in­ certezza del concetto di benessere collettivo, nel momento in cui dà a esso un significato economico oggettivo, e non politico.

Pesenti rimane nel carcere fino al 4 settembre 1943, prima a Re­ gina Coeli, e poi a Fossano, a Civitavecchia e infine a San Gimignano. In carcere riprende presto a studiare, meditando sulle opere che rie­ sce ad avere a disposizione, seguendo alcune riviste economiche e ac­ quisendo conoscenza di strumenti matematici. Già di fede repubbli­ cana, poi di inclinazione socialista, in carcere aderisce al partito co­ munista. Sarà membro del Comitato centrale del Partito comunista italiano dal 1945; parlamentare dal 1948 al 1968.

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Roma è ministro delle finanze nel secondo governo Bonomi fino al 19 giugno 1945.

Della sua attività di ministro possiamo ricordare il d.d.l. del- P8 marzo 1945, n. 77, che istitutiva, anticipando Yanoni, la dichiara­ zione unica dei redditi, e inoltre un corpo pubblico di verificatori con­ tabili, i consigli e i comitati tributari, i primi in ciascun comune o gruppi di comuni, i secondi in ciascuna circoscrizione distrettuale delle imposte dirette. Di formazione elettiva, i consigli e i comitati avrebbero dovuto affiancare l’amministrazione pubblica nell’ opera di accertamento dei redditi, e agire anche di propria iniziativa.

Lasciato il governo, la sua attività pubblica continua non meno intensa. Sente profondamente il bisogno di essere presente con ogni energia allo sforzo di ricostruzione del Paese, uscito dalla guerra in condizioni di pieno disfacimento. Vede prima di altri la necessità di un incontro, di uno sforzo comune al di là della divisione di inte­ ressi, di idee e di partito, di una intesa sui grandi problemi econo­ mici e sociali. Ha ima iniziativa di grande risonanza : la costituzione del Centro economico per la ricostruzione (OER). Scompaginati i vec­ chi centri di studio, in pieno disordine la pubblica amministrazione, mancava allora in Italia un luogo di incontro, capace di assumersi le prime iniziative di indagine e studio delle condizioni in cui ci si tro­ vava, e di indicare alla classe politica le soluzioni alternative di po­ litica economica.

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stito della ricostruzione e il convegno del novembre 1946 a Roma, con la partecipazione dei ministri del tesoro, delle finanze e dell’ indu­ stria, del Governatore della Banca d’ Italia e delle più eminenti per­ sonalità del mondo finanziario, bancario e industriale.

Il Centro viene a cessare naturalmente, con il venir meno della ragione d’ essere. La ricostruzione economica del Paese, gli sviluppi dell’organizzazione dei partiti politici, che creavano i propri uffici studi, la normalizzazione di tante attività culturali non potevano non condurre all’ esaurimento delle sue funzioni, anche in sede lo­ cale. La stessa « Critica economica » cessò di essere una sua pubbli­ cazione e divenne una rivista autonoma, alla quale Pesenti dedicò con abnegazione le sue doti di pubblicista e di studioso fino al 1956.

Nel 1946 era intanto apparso, a cura del Centro il volume di Pe­ senti « Ricostruzione dalle rovine », che contiene una ben distribuita raccolta di discorsi e di articoli, questi ultimi scritti per « L’ Unità- », per « Rinascita » e per altri periodici. Si tratta di scritti sulla politica generale, sui lineamenti di una finanza ricostruttiva, sul sistema fi­ scale, e sulla ricostruzione e lo sviluppo del Paese. Gli argomenti, anche se disparati, hanno il filo conduttore nella necessità di coordi­ nare tutti i settori dell’economia italiana in vista della migliore uti­ lizzazione delle assai limitate risorse del Paese, in anni in cui si do­ veva affrontare l’ opera immane della ricostruzione.

In questo spirito si svolge anche la prolusione al corso di scienza delle finanze nella Facoltà di economia dell’ Università di Roma, te­ nuta nel marzo 1945, su « I compiti della finanza nella ricostruzione del Paese » e raccolta anche essa nel volume citato.

La lettura del libro, oltre che ricordarci gli anni difficili del do­ poguerra e forse anche le occasioni mancate, ci dà l’idea col piano di coordinamento cui alludeva Pesenti, di quel tipo di politica econo­ mica che oggi porta il nome di programmazione, parola allora sco­ nosciuta ai più.

La rivista di Pesenti « Critica economica » uscì ogni due mesi, dal 1946 al 1956, con la collaborazione di noti economisti italiani e stranieri, nonché di quelli che allora costituivano la speranza di una rinnovata scuola- economica italiana.

A « Critica economica », Pesenti partecipò ampiamente con l’edi­ toriale « Nostro Paese », con articoli e recensioni.

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attraverso la manovra monetaria. La moneta non è più conservatrice di valore, ma « diviene dispensatrice di valori da gruppi sociali ad altri gruppi sociali, trasporta il prodotto del lavoro sociale da cate­ gorie sfruttate nell’ambito di categorie sfruttatrici ». Ricordo, pure, il lungo articolo del 1948, nel quale analizza in senso avverso le im­ plicazioni del Piano Marshall per l’ Italia.

Nell’articolo del 1949 « La via della servitù ovvero da Hoffman a Pella », Pesenti sostiene l’alternativa della via democratica allo svi­ luppo economico italiano rappresentata da profonde riforme strut­ turali e la nazionalizzazione dei gruppi monopolistici. Infine nell’ar­ ticolo scritto nel 1950 « I riflessi nell’economia italiana della nuova tariffa doganale » riporta la tesi di dissenso esposta nella relazione autonoma della minoranza dell’apposita Commissione parlamentare, cioè che la tariffa doganale debba essere considerata « strumento di trasformazione e non di conservazione ».

Ripreso l’insegnamento, Pesenti tiene nell’anno accademico 1944-45 un corso libero di scienza delle finanze alla Facoltà di economia e commercio dell’ Università di Roma. Nel 1946-47 assume nella stessa facoltà l’incarico di un corso di economia politica previsto per i reduci.

Nel 1948 è nominato, con motivazione di elevato apprezzamento, professore straordinario di scienza delle finanze e di diritto finanzia­ rio, su proposta di una commissione di revisione del concorso per la cattedra di Camerino del 1940, cui non aveva potuto partecipare in dipendenza della condanna penale subita. Ammesso con anzianità, ai fini giuridici, dal 1940, diviene retroattivamente dalla stessa data pro­ fessore di ruolo.

Dal 1948 insegna a Parma. Nell’anno accademico 1960-61 è chia­ mato dalla Facoltà di giurisprudenza dell’ Università di Pisa, dove copre la cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario e inse­ gna pure, per incarico, l’economia politica.

Nel 1971 è chiamato alla cattedra di scienza delle finanze nella Facoltà di scienze statistiche e attuariali dell’Università di Roma.

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profonda-— 574 profonda-—

niente il dovere di non venir meno all’ impegno che aveva preso con questi giovani e con se stesso.

Con la rinuncia al Parlamento egli non abbandona, tuttavia, l’at­ tività politica, giacché sarebbe stato come rinunciare a una parte di se stesso, ma la contiene e in un certo senso la subordina a quella di studioso e di docente. Di questo suo continuo concreto interesse poli­ tico sono testimonianza, d’altronde, oltre che la partecipazione alla vita del suo partito, la collaborazione sempre assidua alla rivista « Rinascita » e alla rivista « Politica ed economia », dove molte volte riprende e sviluppa in termini più politici, e anche più accessibili a tutti, i temi e gli argomenti già trattati in sede scientifica.

Di rilievo il suo primo articolo su « Rinascita » : « Reazione e progresso in campo finanziario », nel quale dà indicazioni sul modo e sui mezzi per condurre la politica fiscale e la politica di bilancio. In­ teressanti per chi volesse approfondire l’ opera del Pesenti sono i due articoli del 1962. Nel primo, dal titolo « Si tratta di una struttura o di una sovrastruttura? », egli afferma che è superfluo o irrilevante battersi attorno alla questione se il capitalismo attuale possa essere concorrenziale. Il capitalismo non può che essere monopolistico, giac­ ché oggi il monopolio non è una sovrastruttura ma la struttura stessa. Nell’altro articolo « Forme dirette e indirette dell’intervento statale » esamina la genesi del capitalismo di stato, giungendo alla conclu­ sione che esso sia la conseguenza della legge dell’accumulazione e della caduta tendenziale del saggio del profitto, come poi esporrà nel « Manuale ».

Non va neppure dimenticata la collaborazione a « Rinascita » che si svolge con analisi di fatti contingenti o congiunturali e che negli ultimi tempi tende essenzialmente a dibattere le questioni vecchie e nuove all’ origine della crisi monetaria internazionale. In quest’am­ bito si colloca anche l’articolo <c Una interpretazione dell’inflazione », pubblicato in « Studi di economia e finanza » nel 1965, nel quale, riallacciandosi a tesi espresse o adombrate in precedenti scritti, af­ ferma che l’inflazione, la lenta inflazione che chiameremmo ora stri­ sciante, è un fatto istituzionale, strutturale dell’imperialismo.

Sulla crisi monetaria iniziatasi verso la metà degli anni sessanta, Pesenti scrive altri articoli.

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correnza basata anche su di una incentivazione, da una parte del processo inflazionistico, dall’altra del movimento dei capitali. Altri articoli sono scritti per la rivista « Politica ed Economia » del Cen­ tro studi di politica economica (Cespe) del Partito comunista italiano. Di questo centro studi egli è stato un attivo dirigente, dedito a svol­ gere un’ampia attività di informazione, di ricerca e di discussione sui fondamentali problemi economici e di politica economica nazionale e internazionale. A pochi giorni dalla sua scomparsa, avvenuta il 13 febbraio del 1973, lo troviamo ancora, già gravemente infermo, a cor­

reggere le bozze della relazione che avrebbe dovuto tenere al Conve­ gno del Cespe del gennaio 1973 su « Imprese pubbliche e programma­ zione democratica ». La relazione, che è stata pubblicata nella rivista « Politica ed Economia », riprende il tema del capitalismo monopoli­ stico di stato, nuovo terreno oggettivo di lotta offerto dalla realtà contemporanea. L’ impresa pubblica non può essere isolata dal conte­ sto generale della lotta di classe, della lotta politica, come se, dice Pesenti, l’ economia fosse un insieme di rapporti tra uomini e cose o uomini e risorse. L’impresa pubblica va inserita nel quadro della programmazione economica e sociale e nel contesto pili ampio della società, dandole maggior spazio e forza nei suoi rapporti con le altre imprese monopolistiche.

Un doveroso cenno meritano i suoi cicli di conferenze nelle Uni­ versità straniere, americane ed europee, i suoi interventi ai convegni internazionali, tra cui ricordo quello in Canadà sui problemi econo­ mici e finanziari, la partecipazione ai seminari in Italia e all’ estero. Nell’ ultimo anno di vita, le sue condizioni di salute lo costrin­ sero a declinare importanti corsi in Messico e in Giappone.

Numerosi sono gli scritti scientifici in riviste e in collane che se­ guono dal 1950 ad oggi ; alcuni minori, altri rilevanti ; alcuni si ri­ volgono ad argomenti non consueti nei suoi studi, altri ad argomenti su cui si è già fermato o che verranno ripresi nelle opere maggiori.

Poiché molti di essi anticipano il pensiero, le analisi e le argo­ mentazioni di Pesenti, che poi ritroviamo sviluppati e in un certo senso fusi nelle due opere fondamentali, il « Manuale di economia po­ litica » e il volume « Scienza delle finanze e diritto finanziario », mi limito per ora a ricordare quelli che più se ne distaccano.

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blíente di fatto » apparso negli Studi in memoria di E. Valloni del 1956, nel quale, seguendo il pensiero del Vanoni stesso, sottoli­ nea la rilevanza anche giuridica del rapporto successivo a quello strettamente impositivo; e il saggio « Della natura e della sistema­ zione giuridica di alcune contribuzioni che nascono dalla disciplina dei prezzi », apparso negli « Studi parmensi » del 1950. In quest’ ul­ timo studio Pesenti si occupa della natura delle contribuzioni, che sono poste a carico dei consumatori, e destinate a fornire i mezzi oc­ correnti alle casse o ai fondi di conguaglio allora esistenti, contribu­ zioni che l'esenti sostiene avere natura di imposta e che quindi avreb­ bero dovuto avere la loro fonte nella legge. Nel saggio « Della validità e del significato di alcune proposizioni ricardiane riguardo la tassa­ zione », apparso nel 1953 negli Studi in onore di G. Borgatta, svolge una critica di .Ricardo secondo la dottrina marxista.

Il síijígio « La capacità contributiva della società », apparso negli Studi in onore di B. Griziotti nel 1957, affronta da una prospettiva inconsueta il vecchio problema per la dottrina finanziaria della capa­ cità contributiva autonoma delle società per azioni. Pesenti scrive, seguendo l’ insegnamento marxista, che al di là di certi limiti le tra­ sformazioni quantitative diventano qualitative; così al di là di certe dimensioni l’impresa capitalistica subisce una trasformazione quali­ tativa. In senso più generale il sistema capitalistico subisce una tra­ sformazione qualitativa nel momento in cui si ha la dissociazione tra l’imprenditore, o chi gestisce l’impresa, e il capitalista, o il rispar­ miatore. Le quote di reddito che vanno all’imprenditore e rispettiva­ mente al capitalista assumono natura diversa : profitto, in quanto reddito dell’imprenditore, è rimasta soltanto quella parte del red­ dito della società, che è acquisita dalla stessa ; il reddito che è distri­ buito agli azionisti è interesse, anche se è variabile. La dissociazione tra le due componenti dell’impresa e la diversità qualitativa del red­ dito, tanto più sono nette e definite, quanto più l’ impresa ha grandi dimensioni e assume una posizione dominante, monopolistica. L’im­ posta sulle società per azioni colpisce pertanto il profitto puro, e tanto più lo colpisce quanto più ampie ne sono le dimensioni. Di conseguenza le società per azioni debbono essere gravate da imposta speciale e l’ imposizione deve essere progressiva.

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e il volume « Scienza delle Finanze e diritto finanziario » del 1967. Il Manuale nasce nel 1959, quando Pesenti insegna a Parma, come « Lezioni di economia politica », successivamente tradotto prima in spagnolo per le Università di Caracas e di Cuba, poi in polacco. Il vo­ lume « Scienza delle finanze e diritto finanziario » nasce come « Le­ zioni di scienza delle finanze e diritto finanziario » nel 1961, quando Pesenti inizia l’insegnamento a Pisa. Successivamente questo volume viene tradotto in giapponese. Nel 1962 egli pubblica, inoltre, mo­ strando un infaticabile fervore di ricerca e di insegnamento il volu­ me « Lezioni di economia politica : la moneta » che poi confluì nel « Manuale di economia politica ».

La. prima origine del Manuale è lontana, nelle dispense dei corsi, negli studi e anche nelle meditazioni in carcere. Fu in carcere, a Ci­ vitavecchia, che sorse in lui l ’idea di un corso di economia politica che, nella piena adesione alla teoria economica marxista, esponesse la dottrina con espressioni e secondo metodi aderenti alla mentalità intellettuale propria degli economisti accademici, e al tempo stesso non omettesse quella parte « tecnica » che è normalmente presen­ tata nei testi aderenti alle teorie tradizionali.

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rati ve, si concreta in un’ opera che si pone tra quelle più complete scritte da un economista marxista e con un pregio tutto suo, che proviene proprio dallo sforzo di integrazione che altri non hanno fatto.

I risultati, occorre pure dire, non sempre sono convincenti e co­ municabili a chi non aderisce alla sua ideologia. Ma è una verità che lui stesso conosceva, giacché con sincerità rara a trovarsi dichia­ rava : « Su alcuni argomenti anche molto importanti non sono giunto a conclusioni definitive ; il mio pensiero è cioè in quei punti ancora incerto; dovrò pertanto approfondire le mie conoscenze e riflettere ancora ». Manca, in effetti, una rielaborazione in chiave marxista della teoria della domanda, una analisi critica della definizione marxista del reddito come mera produzione dei beni materiali, non­ ché un’indicazione della sua implicazione teorica e delle conseguenze pratiche. Non convince più oggi la trattazione del valore della moneta, come del valore di qualsiasi altra merce. Ma l’intera trattazione del­ l’ offerta, della produzione, del valore e del plusvalore, è pregevole, nonché di facile intendimento per lo studente.

Lo schema della produzione di Marx lo convince pienamente e lo avvince e di esso si fa appassionato divulgatore come nel Manuale e in numerosi scritti al fine prevalente di riportare a esso, o con­ frontare con esso, i moderni modelli di sviluppo. Tra questi scritti ri­ cordo l’articolo « Attività finanziaria e programmazione » del 1967 (Ri­ vista di diritto finanziario e scienza delle finanze) nel quale è posto l’interrogativo, quali obiettivi debba perseguire un’attività finanzia­ ria che si ponga la finalità ultima della piena occupazione. Pesenti conclude ribadendo che la fonte del processo di accumulazione si ha nel capitale variabile, o nel salario, unitamente alla produttività del lavoro, e che condizione, affinché si abbia l’accumulazione per la piena occupazione, è che si evitino gli sprechi del plusvalore, e si inter­ venga direttamente nelle decisioni di investimento delle grandi imprese.

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pos-sibiliti diverse della dinamica economica, non andamenti necessari. D’altra parte anche la necessità pratica di una politica economica, che interviene sulla domanda o regola i redditi, senza incidere sul sistema, bensì assecondandone le leggi, rimane inefficace per l’alto grado di libertà di cui gode oggi il capitalista che opera in condi­ zioni più o meno avanzate di monopolio od oligopolio. È vana, egli ri­ pete, una politica economica che non si occupi direttamente degli in­ vestimenti.

Didatticamente fertile, oltre che conforme all’interpretazione marxista, è poi la divisione che fa, e si traduce nella ripartizione del Manuale in due volumi, tra il capitalismo originario, dinamico e di concorrenza, e il più recente o tardo capitalismo, che egli chiama ca­ pitalismo oligopolista o, con termine preso da Lenin, ma fuorviante, imperialismo. Nel tardo capitalismo Ja figura dell’imprenditore si se­ para da quella del capitalista, le imprese si concentrano in pochi gruppi finanziari, la formazione dei prezzi segue la legge del mercato oligopolista. L’imperialismo rimane, ciò non di meno, sempre capi­ talismo e come tale ne segue le leggi economiche fondamentali, che sono quelle della caduta tendenziale del tasso del profitto.

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saputo creare possono svilupparsi entro il sistema stesso. Questo tema dell’imperialismo come capitalismo è da lui ripreso e posto forse an­ cora in termini più chiari nei « Quaderni di critica marxista » del 1970. L’imperialismo è fase suprema del capitalismo, per gli stessi suoi modi salienti di essere, cioè 1) la concentrazione del capitale; 2) la simbiosi tra capitale produttivo e capitale finanziario ; 3) la cre­ scente internazionalizzazione dell’economia ; 4) il mantenimento dello sfruttamento dei paesi sottosviluppati.

L immatura scomparsa di Pesenti ci rattrista anche per essere egli mancato troppo presto a questo suo lavoro impegnativo, a que­ sta sua grande impresa intellettuale. Nel volume non vi sono cenni, o meglio parti, dedicate all’ economia politica dei sistemi socialisti, mancanza che egli stesso considerava lacuna grave, e che intendeva eliminare con opera a parte. In realtà la presentazione dei sistemi so­ cialisti non poteva che chiudere, nell’ ordine dei problemi e degli ar­ gomenti, la sua impresa, proprio per il grande suo scrupolo di do­ cente, che riteneva doveroso dare agli alunni in primo luogo gli stru­ menti conoscitivi del sistema economico in cui vivono.

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non sono stati raccolti dai suoi allievi, come il Valloni e il Pugliese. La concezione del Griziotti eleva il diritto finanziario da una posi­ zione formalistica a una posizione realistica, concreta, che è propria della scuola di Pavia. La storia, aggiunge Pesenti, non può essere concepita come la realizzazione di un diritto ideale, espressione di idee e concetti idealisticamente sviluppatisi o resi obbligatori da uno stato idealisticamente concepito. Gli ordinamenti giuridici, e quindi anche le norme giuridiche che li compongono, sono le sovrastrutture, i prodotti di determinate società, ed a loro volta agiscono dialettica- mente sulla base sociale ; il diritto è espressione della vita della so­ cietà e del suo sviluppo, e non è qualcosa di esterno. Il concetto di causa, aggiunge ancora Pesenti, di ogni specifico istituto finanziario, individuato da Griziotti nell’interesse sociale che le entrate prove­ nienti dal tributo debbano affluire a spese pubbliche atte ad assicu­ rare attività di interesse generale, è concetto che mantiene la sua va­ lidità nel diritto finanziario ed ha rilevanze giuridiche concrete. Esso, possiamo dire, sintetizza, unifica le sollecitazioni, che storicamente vengono dalla realtà sociale : è l’espressione razionale, più o meno compiuta, della realtà alla quale Griziotti si rivolgeva.

In effetti, non possiamo non convenire che quando Griziotti aveva rivendicata la precedenza del diritto finanziario sulla scienza delle fi­ nanze, aveva inteso porre la ricerca dei fatti finanziari, limitati al­ lora quasi esclusivamente a quelli fiscali che si presentano nella ve­ ste del diritto, prima dello studio astratto della scienza. Egli era giunto a desiderare che questa successione di posizioni apparisse nella stessa denominazione della disciplina da lui insegnata e nel nome della rivista da lui fondata. Ma, come acutamente nota lo stesso Pesenti, la posizione del Griziotti, e parimenti quella delPEinaudi rimase illuministica o intellettualistica. Entrambi, pur essendo at­ tenti studiosi della realtà, osservano e commentano questa realtà secondo schemi intellettualistici, che in Griziotti sinteticamente si esprimono nella causa e nella razionalità dell’imposta e in Einaudi nell’ ottima imposta.

L’unità dialettica tra la scienza delle finanze e il diritto finanzia­ rio significa per Pesenti che l’analisi deve essere unitaria. Inoltre il soggetto, lo stato, non deve essere considerato entità astratta di­ stinta dalla società, bensì la forma suprema di organizzazione della società. Tra lo stato e la società non esiste soluzione di continuità o distacco; i fini dello stato non sono fini arbitrari, giacché

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scono direttamente e necessariamente dalle condizioni e dalla strut­ tura della società.

Pesenti distingue nell’impostazione scientifica della dottrina fi­ nanziaria diverse posizioni storiche : la posizione di chi nega sostan­ zialmente lo stato, nel senso che non ne tiene conto, e applica inte­ gralmente all’attività finanziaria i principi dell’ utilità marginale ; la posizione di chi astrattamente concepisce lo stato come soggetto pu­ ramente economico con valutazioni economiche, lo stato monopoli­ stico, lo stato cooperativo, ecc. ; la posizione di chi afferma che l’at­ tività finanziaria è sollecitata e diretta, tramite lo stato, da forze « sociali », concependole, però, in modo idealistico e astratto; la po­ sizione, infine, di chi concepisce l’ attività finanziaria quale attività « politica » in quanto attività dello stato, ma concepisce lo stato in senso astratto, al di sopra delle classi e da esse distinto.

A queste concezioni, Pesenti contrappone la concezione del ma­ terialismo dialettico, e quindi storicistico. In un continuo divenire lo stato è espressione diretta della società del momento ; esso ne è la forma storicamente determinata. Lo stato è l’ espressione di una so­ cietà nella quale esistono conflitti di classe; ed è, quindi, sempre strumento di dominio di una classe sulle altre. Lo stato è la forma suprema di organizzazione della classe dominante di una società per mantenere il suo dominio. Questa è la sua ragione profonda d’essere e in questa ragione vi è l’ essenza del potere di coazione.

Quindi, essendo l’attività finanziaria attività di uno stato che ha fini ben determinati, che tendono a realizzare un certo tipo di so­ cietà, le scelte finanziarie sono scelte politiche. Esse rappresentano l’ equilibrio temporaneo di forza delle classi sociali.

Come già aveva anticipato nella sua prolusione tenuta all’ Uni­ versità di Parma nel marzo 1949, il volume « Scienza delle finanze e diritto finanziario » distingue l’attività finanziaria in due momenti storici necessariamente determinati dagli stadi del capitalismo: lo stadio capitalistico puro concorrenziale, quando l ’interesse dello stato si rivolge soltanto alle entrate pubbliche, e lo stadio del capitalismo tardo o monopolistico, nel quale l’attività finanziaria riguarda sia le spese che le entrate.

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posta, deve essere equa e neutra, e deve ubbidire alla esigenza di con­ tinui investimenti aggiuntivi, altrimenti il sistema si distruggerebbe. Nello stato di capitalismo oligopolistico, l’imposta non è più neutra ; l’attività finanziaria tende a massimizzare il reddito lordo (in modo da impedire la caduta del plusvalore), e il reddito lordo assorbe al tempo stesso quote crescenti.

L’attività finanziaria, egli aveva già detto nella prolusione di Parma, prende quote di reddito lordo e provoca produzione di red­ dito lordo. I suoi limiti si immedesimano con i limiti istituzionali della società capitalistica.

La concezione dialettica, del marxismo trova, in effetti, un terreno particolarmente fertile nell’ambito della finanza e conduce Pesenti a espressioni e risultati sotto più aspetti prossimi anche a quelli di altri studiosi, che a questa concezione non aderiscono, o aderiscono in modo più critico, o parziale.

Il volume di Pesenti di « Scienza delle finanze » emerge, a mio avviso, tra gii altrj suoi scritti e occupa un posto di rilievo tra la nostra trattazione di finanza pubblica. I suoi interessi, le inclinazioni ideologiche e le preferenze di studioso hanno avuto in questo volume un incontro particolarmente felice.

Pesenti, come ho detto, fu insieme politico e studioso. Non è pos­ sibile offrire di lui una immagine concreta senza presentare entrambi i due aspetti della sua personalità. L’ ideologia marxista, cui a,derì negli anni del carcere con ferma convinzione, divenne la chiave inter­ pretativa della sua ricerca scientifica; e quesTa a sua volta venne a dare contenuto e precisione all’ideologia.

Se, tuttavia, mi si consente una valutazione personale, forse in­ fluenzata dall’affetto e dalla stima che ho avuto per lui, egli fu in primo luogo uno studioso. Lo conferma la scelta che fece nel 1968 tra vita parlamentare e vita universitaria ; lo conferma altresì lo stesso suo libro autobiografico, dove la sua esperienza di studente, di giovanissimo studioso e docente, di oppresso nel carcere, appare rivissuta anzitutto quale inconscia e poi consapevole ricerca della sicura organizzazione politica, il partito, nel quale riporre la sua fi­ ducia, e dal quale trarre chiarezza di scelta, incitamento e forza. L’amore dello studio, il desiderio della conoscenza, l’attitudine alla pura analisi non li ricercava, li aveva già in sé.

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fosse una rara e nobilissima figura di docente. Lo fu sulla cattedra universitaria, lo fu in carcere e da ministro, quando diresse il Cen­ tro per la ricostruzione economica chiarendo e insegnando, e cer­ tamente anche quando svolse l’attività parlamentare e di partito. Lo fu nella forma di chi sa accettare e comprendere l’insegnamento dei fatti e della libera discussione. Egli scrive nella « Presentazione » del suo Manuale — di molto aver dovuto a tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno stimolato il suo pensiero. Agli scrittori noti e a quelli meno noti, ai vecchi e ai giovani, a coloro che sono in cat­ tedra e a coloro che non lo sono, ma forse più di tutto alla vita, vis­ suta senza compromessi, alle responsabilità piccole e grandi accet­ tate sempre serenamente, alla milizia politica, all’azione e all’espe­ rienza di grandi masse che lottano per un avvenire più degno del­ l’ uomo, di tutti gli uomini. « Ho creduto, egli continua, e credo fer­ mamente nella libertà, ho fiducia in essa, ho un profondo rispetto per l’intelligenza e la coscienza di ognuno dei mìei studenti e dei miei lettori e ho sempre avuto l’ intenzione quindi che la mia opinione fosse base di discussione e mai fideisticamente accettata ».

Chi lo conobbe di persona sa che altre parole non potrebbero me­ glio ritrarre la sua nobile, umana e ricca personalità.

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MI TRADIZIONALI E SECONDO GLI SCHEMI «MANAGE­ RIALI » : IMPLICAZIONI FINANZIARIE (*)

Sommario : Premessa : 1. Contenuto. - 2. Motivazione della scelta di tre mo­ delli. — Parte Prima : 1. Esposizione dei modelli : metodo seguito. - 2. Mo­ dello Baumol. - 3. Modello Williamson. - 4. Modello Marrls. - 5. Considera­ zioni di ordine generale. — Parte Seconda : 1. Implicazioni finanziarie del modello Baumol. - 2. Implicazioni finanziarie del modello Williamson. - 3. Implicazioni finanziarie del modello Marris. - 4. Considerazioni di ordine generale. — Conclusioni.

1. II problema degli effetti dell’imposta sul profitto d’impresa si pone in termini diversi a seconda della teoria dell’impresa alla quale si fa riferimento. La linea di sviluppo di questa parte della teoria economica muove dalla tesi classica della massimizzazione del profitto, passa attraverso gli schemi di formazione del prezzo secondo il criterio del costo pieno e giunge ai modelli di comportamento ma­ nageriale.

Alcuni studiosi, inizialmente Hall e Hitch (1), hanno constatato infatti che, nella realtà, le imprese in luogo della dimensione ottima secondo il criterio di efficienza economica, cioè del massimo pro­ fitto, assumono superdimensioni e che i prezzi in luogo di fluttuare seguendo la domanda e i costi, sono prevalentemente rigidi. Si è così pervenuti al progressivo allontanamento dalla tesi classica, agli schemi di formazione del prezzo secondo il criterio del costo pieno e alla nozione di profitto normale quale percentuale consuetudinaria.

Ulteriori precisazioni e ipotesi circa il comportamento dell’im­ presa sono fornite dai modelli di tipo ‘ manageriale Questi si rife­ riscono sempre, o in prevalenza, al mercato oligopolistico. Il loro interesse riguarda infatti la grande impresa che è in grado di tenere

(*) Ringrazio il Prof. Sergio Steve per aver seguito l’intero svolgimento del lavoro e il Prof. Giannino Parravicini per aver letto e commentato la ste­ sura definitiva. Ringrazio inoltre il Dott. Stefano Gorini con il quale ho discusso in dettaglio numerose parti.

(1) Ha l l R. L . - Hi t c h C. J., Price Theory and Business Behaviour, in

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una propria politica, che può lasciare la condizione di ottimo per condizioni di minor profitto e nella quale vi è separazione tra la proprietà, la direzione e il controllo.

Nel presente studio si intende analizzare (parte prima) i modelli di comportamento concepiti per questo tipo di imprese al fine di introdurre l’analisi degli effetti delle imposte (parte seconda) nel loro ambito. Essi rappresentano infatti il più recente sviluppo della teoria dell’impresa.

A questo scopo si intende verificare se e fino a qual punto i modelli manageriali possano essere inquadrati nella teoria dei prezzi e se e fino a qual punto siano, per questa via, superati lo schema classico e il criterio del costo pieno.

Chiariti gli aspetti che, a nostro avviso, si presentano come in­ novazioni sostanziali e ridimensionati quelli che, viceversa, sem­ brano mutamenti formali, si trarranno le conseguenze per la teoria degli effetti delle imposte.

2. Sebbene la verifica che si propone intenda investire l’intera corrente ‘ manageriale ', l’interesse si è accentrato su tre modelli, quello del Baumol, di Williamson e del Marris. In essi si scorge una affinità logica e una certa rappresentatività dell’intero indirizzo.

Il Baumol, con un modello di tipo statico e relativamente sem­ plificato, introduce la nuova logica interpretativa del comportamento dell’impresa; il Williamson presenta un modello più completo e arti­ colato in varie ipotesi di comportamento tra le quali è ripresa la tesi del Baumol; il Marris esplicita i motivi dinamici dell’impresa mettendo in relazione il comportamento dell’impresa con il suo svi­ luppo nel tempo e consente perciò di chiudere abbastanza compiu­ tamente l’analisi dell’indirizzo ‘ manageriale ’.

I

1. L’esposizione dei modelli considerati segue sempre un me­ desimo schema. A questo scopo si puntualizza innanzi tutto la po­ sizione degli autori rispetto alla tesi classica, cioè alla massimizza­ zione del profitto di breve e/o di lungo periodo e quindi si espri­ mono i modelli secondo i seguenti aspetti :

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c) innovazioni introdotte; d) elementi discutibili.

Il nostro interesse è rivolto in ciascun momento a porre in evi­ denza il tipo di motivazioni e le tecniche di decisione usati dall’im­ prenditore tradizionalmente inteso e dal manager.

2. Secondo la formulazione del Baumol, l’impresa tende a mas­ simizzare le vendite entro il vincolo di un profitto minimo. In oppo­ sizione alla tesi tradizionale non si ha la massimizzazione del pro­ fitto, né la scala di produzione è ristretta ai danni del consumatore.

a) L’impresa ipotizzata produce più beni (almeno due); lo stato della tecnologia è dato come pure la funzione dei costi. L’obiet­ tivo è di rendere massimi i ricavi B, dati i prezzi pt e le quantità x ir sotto il vincolo del profitto minimo. Dati i costi di pubblicità A, l’in­ sieme di tutti gli altri C e il livello minimo di profitto iq, si ha :

[1] max B = S p ( xt

per

[2] B - C - A > iq

Nella Fig. 1, dove sulle ascisse figurano le quantità prodotte e sulle ordinate i costi, i ricavi lordi e i profitti totali, la quantità che dà il maggior ricavo compatibile con il livello di profitto minimo, che supponiamo essere P2, è la Qc, mentre quella che massimizza il pro­ fitto è la Qp.

L’ipotesi conduce, rispetto al caso tradizionale, all’espansione della produzione (Qc > Qp) e alla costituzione di quello che Baumol chiama il « fondo profitti sacrificabili » (2), cioè un ammontare di pro­ fitto cui l’impresa rinuncia pari alla differenza tra il massimo conse­ guibile e il minimo accettabile. Significative sono le quantità com­ prese tra Qp e Qc in corrispondenza delle quali si ha una relazione inversa tra i profitti e i ricavi: se i primi aumentano gli altri dimi­ nuiscono e viceversa. Ciò significa che l’incremento dei ricavi può essere ottenuto soltanto ai danni del profitto.

h) Si osserva che l’operatività del modello è legata sostan­ zialmente a due ipotesi. La prima riguarda il livello del profitto mi-(2 ) Ba u m o l W . J., Business Behavior, Vaine and Growth, New York,

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nimo e la seconda il criterio di utilizzazione del fondo profitti sacri­ ficabili.

Il livello del profitto minimo è un dato esogeno al modello e come tale richiede spiegazioni esterne. Queste non possono che fare riferimento alle condizioni generali del mercato dei capitali ; gli azio­ nisti sono infatti soddisfatti soltanto se il margine di remunerazione corrisponde a quello che ragionevolmente possono attendersi dall’in­ dustria cui partecipano. In questo senso l’impresa non può che uni­ formarsi al criterio del costo pieno.

Accettato il livello del profitto normale (si ritiene che minimo stia per normale), restano salve, se esistono, le possibilità di conse­ guire profitti superiori e di devolverli al fondo profitti sacrificabili. Quest’ultimo deve essere « distribuito tra ciò che si immette nella produzione e ciò che si produce, in modo tale da massimizzare le \ endite totali » (3). Condizione affinché ciò si realizzi è che valga

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1 uguaglianza tra il rapporto ricavo marginale e profitto marginale del prodotto x\ e quello del prodotto x2. In altri termini, occorre che « i profitti marginali di due prodotti qualsiasi siano proporzionali ai loro ricavi marginali » (4). Ciò significa che si seguono le consuete regole marginalistiche con la sola deroga implicita nel superamento del livello di produzione ottimo dal punto di vista del profitto (viene ovviamente a mancare l’uguaglianza costo-ricavo marginale).

c) Oltre quelle richiamate sono rilevanti le ipotesi circa il costo di pubblicità essendo questo, in luogo dei prezzi, il campo nel quale si manifesta la concorrenza fra le imprese. Si suppone che qual­ siasi incremento nelle spese di pubblicità dia sempre luogo a incre­ menti nel volume fisico delle vendite e perciò ad aumenti dei ricavi almeno proporzionali. L’impresa ipotizzata, avente come obiettivo la massimizzazione delle vendite, ha un bilancio pubblicitario superiore a quello che corrisponderebbe alla massimizzazione del profitto. Que­ sto, logica conseguenza delle ipotesi iniziali, appare graficamente nella Fig. 2.

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Dati i costi di pubblicità (asse delle ascisse), gli altri in quantità iissa OC, quelli totali CC' ottenuti sommando verticalmente OC ai primi e data infine la curva dei ricavi totali OR si ha, per differenza, la curva dei profitti PP' la quale associa le diverse possibilità di pro­ fitto con le diverse dimensioni del bilancio pubblicitario. Per un bi­ lancio pubblicitario pari ad OAp il profitto corrispondente, M, è il massimo; per bilanci superiori ai maggiori ricavi corrispondono pro­ fitti via via decrescenti. Posto il limite minimo al profitto in P2 il bilancio pubblicitario sale ad OAc; ciò conferma, com’era da atten­ dersi, la conclusione iniziale.

Eiserve su questa esposizione, pur originale, sorgono in relazione ai prezzi che appaiono in qualche modo determinati mentre potreb­ bero esserlo soltanto simultaneamente ai costi di pubblicità e ai costi diversi da quelli di pubblicità che si suppongono, oltre che indipen­ denti da questi (5), dati in ammontare fisso.

d) In via più generale è, infine, discutibile la significatività

del raffronto delle due ipotesi nei termini in cui l’esprime Baumol. Se, infatti, è ragionevole l’ipotesi secondo la quale, ottenuto un certo profitto minimo (o normale) l’impresa tenda a massimizzare le ven­ dite perché ciò le assicura, non tanto la massimizzazione del profitto di lungo periodo, quanto una più sicura permanenza sul mercato, e perciò la pone in condizione di combattere la concorrenza, vera e potenziale, nel modo più efficace, è altrettanto ragionevole l’ipotesi che a sua volta l’impresa massimizzante il profitto non trascuri l’aspetto vendite. Valutiamo perciò come generale l’ipotesi che l’im­ presa abbia presente in ciascun momento sia le vendite che il pro­ fitto. Nella funzione dell’utilità dell'imprenditore figurano sempre due variabili : ricavi e profitto. Riprendendo le considerazioni precedenti, per le quantità di produzione ‘ significative ’, quelle comprese tra QP e Qs, in Fig. 1, la relazione inversa tra profitti e ricavi cui danno luogo può esprimersi tramite una funzione

[3] P = / ( P ) .

La funzione di utilità dell’imprenditore avrà perciò, come campo di massimizzazione, l’area delimitata dalla P = / (R) per tutti i

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lori di P > P s , essendo P s il livello di profitto associato al valore massimo dei ricavi cioè il più basso, e di B ;> Rv , essendo IiTI il ri­ cavo associato al massimo profitto e quindi il più basso. Se, viceversa, come nell’ipotesi Baumol, il livello di profitto è dato, nell’esempio è P 2, si tratta di massimizzare la funzione di utilità imprenditoriale soltanto rispetto ad B e con ciò risulta univocamente determinata la quantità Qe .

Per queste considerazioni si accoglie lo schema discusso come un caso. Esso esige, in primo luogo, che si accetti come dato esogeno il livello del profitto minimo (6), in secondo luogo, che l’impresa sia sempre in grado di realizzare un profitto superiore, in terzo luogo, che l’astratto fondo profitti sacrificabili, corrispondente al divario tra il profitto massimo conseguibile e il minimo accettato, sia desti­ nato ad aumentare il bilancio pubblicitario il quale, per definizione, faccia sempre aumentare le vendite in volume fisico e cioè i ricavi to­ tali almeno proporzionalmente.

Queste sono, a nostro avviso, le assunzioni da farsi affinché il modello sia operativo, che è perciò accettabile con la validità e nei limiti in cui si accettano tali assunzioni.

3. Secondo le ipotesi di Williamson il manager tende a massi­ mizzare una funzione di utilità nella quale figurano, accanto al pro­ fitto, altri obiettivi. Analogamente al precedente modello si nega che l'impresa intenda massimizzare il profitto e restringere la scala di produzione. « La grande dimensione » sarebbe anzi « senza eccezione un obiettivo » (7).

a) Il profitto al quale Williamson fa riferimento e che defi­ nisce « discrezionale » è dato, in ciascun momento, dall’eccedenza sul profitto minimo necessario alla « sopravvivenza » dell’impresa. Tale eccedenza è tanto più ampia quanto più debole è la concorrenza tra le imprese e in tal misura è ampia la discrezionalità del manager, cioè la possibilità di scelta tra l’obiettivo del profitto e gli altri. La funzione di utilità che il manager intende massimizzare e che ha come variabili, accanto al profitto discrezionale, e secondo tre ipotesi

àlter-(6) Si rimane perplessi nell’accettare, in questo schema di breve periodo, il livello di profitto minimo che, per le ragioni esposte, è quello di lungo periodo.

(7) William so n O. E., The Economics of Discretionary Behavior: Mana­

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native, le spese per lo staff 8, gli emolumenti M e le spese per lo staff e gli emolumenti insieme, assume le configurazioni seguenti :

— 592 — t [1] V = V (8, 7C - 7U0) ovvero U = U [8, (B - G - 8) - tcJ [2] TJ — U (M, nr — 7t0) ovvero V — U [M, (B — C — S — M) — [3] U — U (8, M, ìcr — 7c0) ovvero U = V [S, M, (B - G - 8 - M )

dove B sono 1 ricavi, G i costi di produzione, - il profitto effettivo, n° il profitto minimo e nT quello dichiarato cioè l’effettivo meno la quota assorbita negli emolumenti (8).

La scelta delle due variabili, 8 e M, si fonda sulla considera­ zione che gli obiettivi dell’impresa variamente indicati nella sicu­ rezza, status, potere, prestigio, qualifica professionale, difficilmente quantificabili, possono assumere espressione monetaria tramite la no­ zione di « preferenza di spesa » (9). Il manager tende cioè a dare maggiore impulso a quelle spese che ritiene direttamente collegate agli obiettivi (diversi dal profitto).

Le spese per lo staff, che corrispondono grosso modo alle spese amministrative e di vendita e si traducono in stipendi, sono viste come premessa all’espansione futura in quanto migliorano i servizi. Le spese per gli emolumenti sono viceversa collegate alle motivazioni immateriali quali status, potere, prestigio e hanno un significato par­ ticolare. Gli emolumenti sono la parte discrezionale delle retribuzioni del manager e i guadagni occasionali, non rappresentano la remune- ì azione della sua capacità bensì provengono dal vantaggio strategico che egli ha sulla distribuzione. Sono tali quei guadagni che, ove ve­ nissero a mancare, non indurrebbero il manager a cercare altra occu­ pazione.

(8) Si avverte elle nel modelli Williamson, diversamente da quanto si espone, figurano sempre le imposte sul profitto. Si è proceduto a depurare i di°ordine fisefl^PTi 6 PtT r ‘é r/ ma" diamo alla seconda parte le considerazioni di oídme fiscale. Il procedimento che seguiamo (si veda la nota 10) è quello di

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