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Il πόνος della città: Tucidide, Aristofane e le Supplici di Euripide

Sul concetto di πόνος

2. Πόνος da Omero a Senofonte

2.3 Il πόνος della città: Tucidide, Aristofane e le Supplici di Euripide

Nelle Storie di Tucidide πόνος e πονεῖν sono quasi sempre associati alla battaglia e alla guerra156. Sia che si riferiscano alla situazione particolare della singola battaglia, sia, più

in generale, alla guerra, essi servono ad indicare una situazione di difficoltà, il trovarsi a mal partito: secondo i criteri stabiliti in precedenza, si può affermare che l’aspetto «passivo» prevalga su quello «attivo».

In molte descrizioni di battaglie, πόνος e πονεῖν sono riferiti all’esercito, o alla parte di esso che sta avendo la peggio: ad esempio, nella battaglia navale fra Corinto e Corcira, l’ala destra dei Corinti ἐπόνει, cioè si trovava in una situazione di difficoltà157. Il tebano Pagonda,

nel corso della battaglia contro Atene, si accorge che l’ala sinistra è in difficoltà (ἐπόνει), perciò invia dei distaccamenti di cavalleria in rinforzo158. Situazioni simili si ripetono più

volte: Agide invia dei rinforzi all’ala sinistra incalzata (πονοῦν) dai Mantineesi e dagli Argivi159; Demostene si trova in difficoltà (ἐν πόνῳ) perché attaccato160. In sintesi, πόνος e

πονεῖν indicano la fatica della battaglia, durante la quale gli eserciti devono saper affrontare situazioni difficili, in cui sia la vita che la vittoria sono messe a rischio161.

155 Sull’eroe come modello di virtù si rifletterà infra, Sezione II, Parte II, cap. 4.2, in riferimento a Platone. Già

Jaeger 2003 [1944], 385, 392, sottolineava che questo è un tratto dell’etica aristocratica che collega in modo diretto Omero, Pindaro e Platone. Quanto all’eroizzazione dell’atleta, bisogna anche ricordare che si hanno prove certe riguardanti l’effettiva eroizzazione di alcuni atleti nel V sec. a. C. La tradizione ne ricorda alcuni (in tutto 12), come Teagene di Taso o Diagora di Rodi, ma è probabile che fossero anche di più e che se ne sia persa notizia col passare del tempo. Questi atleti vincitori ricevettero onori eroici e furono oggetto di culto sia in vita che, soprattutto, dopo la morte. Anche Pindaro, nel fr. 133, sembra fare riferimento alla possibilità di diventare effettivamente eroi grazie alle vittorie nei giochi. Rimando a Currie 2005, 120-157, per un accurato studio di tutte le fonti storiche disponibili e un confronto serrato con l’ampia bibliografia di riferimento. L’Autore dimostra, contro alcune letture che vedono l’eroizzazione legata a fattori storico-politici (dal momento che l’atleta era in genere un aristocratico attivo nella vita politica della sua città), che l’onore eroico è tributato all’atleta in quanto atleta ed ottenuto proprio grazie alle sue vittorie.

156 Solo in tre occasioni appaiono in un contesto medico: πόνος è la peste (II.49.3, II.52.1) e ὁ πονούμενος è il

malato (II.51.6). Del significato di πόνος nel contesto medico si tratterà infra, cap. 2.4.

157 Thuc. Hist. I.49.5. 158 Ivi, IV.96.5. 159 Ivi, V.73.2. 160 Ivi, VII.81.4.

161 Altre situazioni simili sono II.76.3 (si costruiscono fortezze e terrapieni per costringere il nemico ad un

διπλάσιον πόνον); IV.14.4 (il πόνος della battaglia di Atene contro Sparta); IV.36.1 (durante l’assedio di Sfacteria lo stratego dei Messeni non concorda con la strategia di Cleone, che comporta una fatica, un πονεῖν, inutile: propone allora di costituire un contingente di uomini armati alla leggera per prendere il nemico di sorpresa); VI.67.1 (una parte dell’esercito di Atene ed Argo è tenuta di riserva presso le tende, per intervenire nel

Spesso πόνος e πονεῖν sono riferiti, più in generale, alla guerra, e, oltre a trasmettere l’idea del trovarsi in una situazione di difficoltà, pongono l’accento sulla durata di tale situazione: il πόνος non descrive un evento puntuale, ma si protrae nel tempo. Ad esempio, dopo la sconfitta nella battaglia navale contro Corcira, Corinto invia rinforzi agli alleati, che soffrono (ἐπόνουν) a causa delle continue scorrerie navali dei Corciresi, diventati, grazie alla vittoria, padroni del mare162. La situazione di difficoltà non è dunque causata da un singolo

evento, ma dal protrarsi nel tempo di una situazione sfavorevole. Ermocrate di Siracusa, rivolgendosi all’assemblea dei Sicelioti, dichiara di parlare non perché la sua città è quella che soffre (πονουμένης) maggiormente a causa della guerra con Atene, ma perché ritiene che il suo piano d’azione sia il migliore per l’intera Sicilia163; più avanti, consiglierà ai suoi

conterranei di cercare l’alleanza dei Cartaginesi, perché anche loro temono che si troveranno ἐν πόνῳ se Atene li attaccherà164.

In tutte le situazioni prese in esame finora, sembrerebbe che πόνος abbia sempre e solo un valore «passivo», e che manchi di quella componente «attiva» di incitamento all’impresa, al nobile sforzo, come quello del guerriero di Omero o dell’atleta di Pindaro. Non è così: in molti passi πόνος indica non solo la difficoltà, ma proprio lo sforzo e l’impegno per superarla; è il mezzo attraverso cui gli Ateniesi hanno costruito il loro impero ed ottenuto così non solo potere e ricchezza, ma anche κλέος, rinomanza presso tutti i Greci. Già nel libro I gli ambasciatori Corinzi a Sparta mettono in guardia i loro alleati dal perseverare in una strategia attendista ed anti-interventista. Il discorso dei Corinzi (I.68-71) è un saggio che delinea in modo memorabile la diversa mentalità degli Spartani e degli Ateniesi: i primi hanno costruito il loro potere sull’immobilismo politico, il rispetto della tradizione, il non interventismo al di fuori della loro area di influenza diretta nel Peloponneso. Questa strategia prudente e calcolatrice, secondo i Corinzi, è ottusa, lenta, antiquata, e, soprattutto, incapace di rispondere adeguatamente alla minaccia di Atene. Infatti, il carattere degli Ateniesi è esattamente caso un contingente si trovi in difficoltà, πονῇ). La fatica può riguardare anche la battaglia navale: Nicia ordina ai trierarchi di aggiustare le navi che hanno subito danni (ἐπεπονήκει, VII.38.2); la vittoria sul mare è conquistata con il πόνος (VII.70.8). Ma anche situazioni non belliche possono causare difficoltà: Gilippo, approdato a Taranto, ordina di tirare in secca le navi che hanno sofferto a causa della tempesta (ἐπόνησαν ὑπὸ τοῦ χειμῶνος, VI.104.2).

162 Ivi, I.30.3. 163 Ivi, IV.59.1.

164 Ivi, VI.34.2. Un altro interessante passo usa πόνος in riferimento alla durata della guerra: Tucidide afferma

che la causa della lunga durata della guerra di Troia fu la mancanza di denaro, che non permise di comprare grandi quantità di vettovagliamento e dunque costrinse i Greci ad inviare un esercito più piccolo di quello necessario a conquistare la città. Se i rifornimenti fossero stati adeguati all’impresa, i Greci avrebbero potuto conquistare Troia con minor dispendio di tempo e di fatica (ἀπονώτερον, I.11.2). Anche in Erodoto spesso πόνος si riferisce alla guerra pensata nella sua durata: è la guerra di Troia (IX.27); la fatica dello scavo del canale per evitare di dover doppiare il monte Atos (VII.23); la fatica della costruzione dell’accampamento di Mardonio (IX.15). Però, a volte il termine è riferito anche alla singola battaglia: Termopili (VII.224) e Salamina (VIII.89).

l’opposto: essi fanno molti progetti, prendono decisioni, sono innovatori e rapidi. Questa operosità li porta, a volte, a confidare eccessivamente nelle loro forze, e a sfidare i pericoli senza riflettere adeguatamente su di essi; gli Spartani, invece, non si fidano nemmeno dei loro calcoli più ponderati165. Mentre Sparta, per paura di perdere ciò che già possiede, evita di

espandersi oltre il Peloponneso, Atene intraprende ardite imprese al di fuori dell’Attica, rafforzando il proprio impero. Gli Ateniesi «in tutte queste occupazioni per la durata della loro vita si affaticano tra prove e pericoli (καὶ ταῦτα μετὰ πόνων πάντα καὶ κινδύνων δι’ ὅλου τοῦ αἰῶνος μοχθοῦσι)»166 e considerano il rimanere in quiete una sventura.

È dunque proprio attraverso il πόνος che gli Ateniesi hanno posto le fondamenta del loro impero: la loro capacità di affrontare fatiche e pericoli li ha resi i più potenti fra i Greci. Pericle lo ricorda ai suoi concittadini, nell’occasione dell’epitafio per i caduti durante il primo anno della guerra del Peloponneso: gli antenati, grazie al loro valore (δι’ ἀρετή), hanno permesso alla terra d’Attica di rimanere libera per generazioni e i loro discendenti, i padri della generazione attuale, hanno espanso l’impero di Atene, ma «non senza fatica (οὐκ ἀπόνως) aggiunsero quell’impero che ora è nostro a quello che era stato lasciato loro, e così grande lo lasciarono a noi»167. Questa chiosa è al tempo stesso monito ed incitazione: monito,

perché è stata l’ἀρετή dei padri a rendere grande Atene, ma essa ha dovuto misurarsi con il πόνος della conquista ed è solo grazie ad esso che Atene ora può vantare di essere la città più potente della Grecia; incitazione, perché Pericle invita i suoi concittadini a non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà del primo anno di guerra. Al contrario, essi devono seguire il modello dei loro padri ed impegnarsi a fondo nel πόνος della guerra, perché è con esso che l’impero di Atene può resistere al nemico e prosperare.

I valori proposti da Pericle sono gli stessi cantati negli epinici di Pindaro, debitamente traslati dal piano agonistico a quello bellico168. Dunque non c’è vittoria senza πόνος: ciò vale

165 Si tratta di una delle molte riflessioni sul tema del coraggio che Tucidide dissemina nel corso della sua opera.

Che cos’è questa virtù? Quanto contano, per essere coraggiosi, l’arditezza e l’impetuosità, e quanto la tecnica e il calcolo? Il dibattito sulla natura di questa virtù, a metà fra audacia e tecnica, impulso naturale e sapere, fu molto vivo nel corso della guerra del Peloponneso, e sarà oggetto anche di molte riflessioni di Platone, già a partire dal

Lachete. Rimando a Napolitano 2012a, che introduce lo studio del coraggio in Platone proprio attraverso alcuni

passi tucididei (97-98).

166 Thuc. Hist. I.70.8, tr. it. Moreschini – Ferrari 1985. Userò sempre questa traduzione.

167 Ivi, II.36.2. L’epitafio di Pericle è uno dei passi più studiati dell’opera di Tucidide, un riassunto memorabile

dei valori dell’ideologia dell’impero ateniese. Proprio perché si tratta di un brano lungo e complesso, ho deciso di non studiarlo a fondo, ma di limitarmi a poche indicazioni che emergono dal breve passaggio in cui compare il concetto di πόνος. Per un commento dettagliato si veda Longo 2000. Più in generale, per uno studio di questi temi rimando all’ormai classica opera di de Romilly 1951.

168 Come notato anche da Loraux 1982, 172-173. Hornblower 2004 ha condotto un minuzioso lavoro di paragone

fra Tucidide e Pindaro, che copre tutti gli aspetti delle loro opere, dalla religione, al mito, alla politica, allo stile, a quello che l’Autore definisce «shared athletic milieu»: i valori atletici e i valori militari sono strettamente connessi e c’è un continuo gioco di rimandi da un piano all’altro (cf. in particolare 44-51, 336-342). Basti citare, a titolo di esempio, che Brasida è accolto dai cittadini di Scione, in Calcidica, come liberatore dal giogo ateniese

sia per l’atleta olimpico, sia per la città che scende in guerra. L’ἀρετή deve essere dimostrata e conquistata attraverso l’azione e per questo bisogna affrontare grandi difficoltà: più grande è l’obiettivo che si vuole raggiungere, maggiore è la fatica da sopportare. Come l’atleta non deve cedere nella fatica dell’agone, così il cittadino non deve cedere se il primo anno di guerra ha messo a dura prova l’intera città, causando un gran numero di caduti. Inoltre, l’esempio degli avi sovrasta le azioni degli atleti e dei guerrieri. L’atleta cantato da Pindaro è il discendente di una nobile stirpe di eroi e vincitori dei giochi: non è facile essere all’altezza degli antenati, ma, attraverso la vittoria nell’agone, egli dimostra di essere loro pari e dunque degno di uguale onore. Allo stesso modo, Pericle incita i suoi concittadini a non disonorare la loro stirpe: i loro antenati si sono distinti per virtù, rendendo l’Attica una terra libera e fiorente; i loro padri hanno sconfitto l’invasore barbaro ed ampliato l’area d’influenza di Atene; loro stessi sono riusciti ad ingrandire l’impero. La città è dunque del tutto preparata per affrontare la guerra e, come i loro avi hanno vinto οὐκ ἀπόνως, così anche nella guerra con Sparta bisogna ricordare che non c’è vittoria facile.

Questi temi si fanno ancora più pressanti l’anno successivo della guerra: l’Attica è invasa una seconda volta dai Peloponnesi; la popolazione si è rifugiata entro le mura di Atene ed infuria la peste. Gli Ateniesi ora accusano Pericle di averli persuasi ad intraprendere una guerra scellerata e vogliono scendere a patti con Sparta (II.59). Pericle, allora, li incoraggia nuovamente, ricordando loro che il πόνος della guerra deve essere affrontato, perché solo se si riuscirà a resistere ad esso Atene si salverà. Certamente, affrontare il πόνος non è facile, perché implica necessariamente pericolo (II.61.1: emerge lo stesso legame fra πόνος e κίνδυνος di II.36.2), ma è necessario rischiare, perché non è possibile un’alternativa di pace che permetta ai contendenti di trovarsi entrambi in una situazione vantaggiosa. Bisogna dunque tenere duro (ἐγκαρτερεῖν, II.61.2) nelle decisioni e non lasciarsi sovrastare dagli eventi inaspettati che affliggono la città. Pericle ricorda ai suoi concittadini di aver già dimostrato che «è ingiustificata la vostra preoccupazione che gli sforzi necessari alla guerra (τὸν δὲ πόνον τὸν κατὰ τὸν πόλεμον) siano considerevoli e che non riusciremo ad avere la meglio sui nemici»169. Ribadisce inoltre che Atene è signora assoluta del mare e che, se anche

i Peloponnesi distruggono la terra, la perdita di questo possesso non è poi grave e potrà essere ricostruito in seguito. Nuovamente, li incita a tenere sempre presente l’esempio degli avi: «non dobbiamo apparire inferiori ai nostri padri [...] poiché loro con stento (μετὰ πόνων),

e trattato ὥσπερ ἀθλητῇ (IV.121.1), e che anche Aristotele ricorda l’esistenza di sacrifici in onore di Brasida nel nord della Grecia (Eth. Nic. 1134b23-24): Brasida diventa oggetto di culto tanto quanto Achille (46-48).

senza riceverli da altri, guadagnarono questi beni»170. Come i padri hanno costruito l’impero

col πόνος, così ora «è giusto [...] che non evitiate le fatiche (μὴ φεύγειν τοὺς πόνους): altrimenti voi non dovreste neppure tendere a questo onore»171. Solo tenendo a mente tutto ciò

e affrontando il πόνος della guerra, nonostante tutte le difficoltà e gli imprevisti che si frappongono come ostacoli, Atene potrà vincere ed acquisire gloria eterna172. Pericle allora

conclude il suo discorso incitando gli ateniesi a non mostrare di «essere schiacciati dalle sciagure presenti (τοῖς παροῦσι πόνοις βαρυνόμενοι), giacché quelli che durante le avversità meno si abbattono nello spirito e nell’azione resistono di più, costoro sono i più forti sia tra le città che tra i privati cittadini»173.

In sintesi, anche in Tucidide πόνος non è ridotto al solo aspetto «passivo» di sofferenza e difficoltà: è proprio attraverso di esso che Atene può acquisire potere e gloria. Il πόνος della guerra non è facile, perché si presentano continuamente ostacoli: il pericolo e l’imprevisto (κίνδυνος, ξυμφορά) sono sempre dietro l’angolo. Però, ciò che ha sempre contraddistinto Atene è il modo in cui è in grado di far fronte a queste situazioni: è la città più potente e ricca della Grecia perché non si è mai lasciata abbattere da esse, ma ha sempre resistito e trovato il modo di superare questi ostacoli. Grazie a tutto ciò, il nome della città sarà ricordato in eterno174.

Bisogna però precisare che non tutti ad Atene sono d’accordo con questa visione del πόνος bellico. Negli anni successivi, infatti, cresce il malcontento e il desiderio di trattare la pace con Sparta. Il momento di svolta è la battaglia di Anfipoli (422 a.C.) in cui muoiono Cleone e Brasida, che erano (rispettivamente ad Atene e Sparta) i principali sostenitori della

170 Ivi, II.62.3. 171 Ivi, II.63.1.

172 L’intero paragrafo II.63.3 è un efficace sommario del rapporto fra πόνος, esempio degli avi, acquisizione di

gloria eterna (proprio come gli atleti sono resi immortali dalle loro vittorie nei giochi): «sappiate che la nostra città ha una grandissima rinomanza tra gli uomini proprio perché non cede alle sventure (ξυμφοραῖς), e perché in guerra ha speso moltissime vite umane e fatiche (πόνους); sappiate che ha acquistato finora una potenza grandissima, il cui ricordo, anche se ora noi cediamo un poco (ché ogni cosa per natura è soggetta a decadere), resterà ai posteri in eterno, sia perché noi, Greci, esercitammo il nostro dominio su moltissimi Greci, sia perché in durissime guerre ci opponemmo a popoli confederati e isolati, e abitammo una città da ogni punto di vista ricchissima e grandissima».

173 Ivi, II.64.6.

174 Ciò che vale a livello politico per la città può essere traslato anche a livello individuale: nel proemio,

Tucidide racconta che la ricerca dei fatti era stata molto difficile (ἐπιπόνως δὲ ηὑρίσκετο, I.22.3), perché anche i testimoni oculari raccontavano versioni diverse, o parlavano in base alle simpatie politiche. Per questo motivo, aveva dovuto compiere un lavoro minuzioso (ἀκριβείᾳ, I.22.2) di raccolta delle informazioni ed analisi delle fonti, attraverso il quale era riuscito a comprendere «il motivo più vero, ma meno dichiarato apertamente (τὴν μὲν γὰρ ἀληθεστάτην πρόφασιν, ἀφανεστάτην δὲ λόγῳ)» della guerra (I.23.6). Difficile, dunque, era stato anche comprendere quali fossero le cause più vere e più profonde della guerra stessa, senza fermarsi a ripetere quelle comunemente e superficialmente dichiarate. Però, proprio questa faticosa ricerca ha dato come risultato non un’opera di bravura, ma uno κτῆμα ἐς αἰεί (I.22.4; è un possesso per l’eternità perché attraverso la fatica della ricerca delle cause più vere Tucidide mira a trovare l’universale alla base della storia: cf. de Romilly 1995 [1990]).

guerra175. La morte di questi personaggi eccellenti rinvigorisce gli sforzi del partito pacifista,

guidato ad Atene da Nicia, che desidera «ottenere il riposo per sé e farlo ottenere ai suoi cittadini (πόνων πεπαῦσθαι καὶ αὐτὸς καὶ τοὺς πολίτας παῦσαι)»176. Questi sforzi poi

culmineranno nella cosiddetta pace di Nicia, stipulata l’anno successivo.

Alan Boegehold ha visto in questa frase di Tucidide l’eco di un crescente dissenso politico ad Atene fra il 424 e il 421 a. C., che, secondo l’Autore, sarebbe stato espresso attraverso lo slogan πόνων παυσώμεθα («fermiamo la guerra»), di cui si trova traccia anche nei Cavalieri di Aristofane e nelle Supplici di Euripide177. Nei Cavalieri, opera databile al 424

a. C., Aristofane si scaglia contro la politica aggressiva e guerrafondaia di Cleone, rappresentato nella finzione scenica dal personaggio di Paflagone. Il coro dei Cavalieri si schiera a favore della pace, affermando: «non chiediamo niente, tranne una cosa: se arriva la pace e ci liberiamo dalle pene (ἤν ποτ’ εἰρήνη γένηται καὶ πόνων παυσώμεθα), lasciateci tenere i capelli lunghi e i muscoli forbiti»178. Nelle parole dei Cavalieri, il desiderio di cessare

la guerra è espresso proprio con lo slogan πόνων παυσώμεθα, ed il πόνος della guerra è esplicitamente contrapposto ad εἰρήνη. Si trova traccia del tema del πόνος della guerra anche nelle Vespe (vv. 466, 684-685), e nella Pace, composta proprio in occasione della pace di Nicia del 421 a. C. (cf. in particolare v. 920: il popolo è stato liberato da tremende fatiche, δεινῶν πόνων).

Per quanto riguarda le Supplici di Euripide, invece, è molto problematico stabilire sia la data di composizione, sia quali siano i riferimenti esatti agli eventi politici contemporanei. La tesi comunemente accettata è che l’opera sia stata scritta poco dopo il 424 a. C., anno in cui gli Ateniesi perdono la battaglia di Delio e i Tebani vincitori si rifiutano di resituire i corpi dei caduti. Infatti, la tragedia, ambientata ad Eleusi, sembrerebbe fare riferimento proprio a questo fatto storico: l’azione scenica nasce dal fatto che i Tebani non permettono alle madri argive di recuperare i loro figli caduti nella battaglia sotto le porte di Tebe; per questo motivo gli argivi chiedono l’intercessione di Atene179.

175 Anfipoli, città strategica per i rifornimenti ateniesi, era stata conquistata da Brasida nel 424 a.C. Allora, lo

stratego posto a difesa della città era proprio Tucidide. Poi, Cleone cercò di riconquistarla nel 422 a.C., ma fallì e trovò la morte nel tentativo.

176 Thuc. Hist. V.16.1.

177 Boegehold 1982. Shapiro 1984 ha poi mostrato come le conclusioni di Boegehold trovino anche supporto

archeologico: in un vaso, databile al 420-410 a. C., conservato al Metropolitan Museum di New York, compare la scritta ΑΠΟΝΙΑ. Il riferimento sembrerebbe essere proprio al desiderio di cessazione dei πόνοι della guerra.

178 Eq. 579-580, tr. it. Paduano 2009. Il portare i capelli lunghi era tipico dell’aristocrazia ateniese, ed imitava un

costume spartano: per questo, chi aveva i capelli lunghi era spesso accusato di essere filolacedemone. Rimando alla breve, ma densa, Introduzione di Paduano per l’analisi del contesto storico in cui si inserisce l’opera e la sua relazione con altre commedie in cui Aristofane tratta il problema della pace con Sparta (in particolare Acarnesi,

Vespe, Pace, Lisistrata).

179 Boegehold 1982, 151-152, con ampia bibliografia. Comunque, come sosteneva già Lesky 1996 [1972], 539,

Al di là della presenza di riferimenti storici particolari, i personaggi della tragedia mostrano atteggiamenti diversi nei confronti del πόνος. Adrasto si presenta supplice di fronte a Teseo, chiedendogli di intercedere presso i Tebani affinché restituiscano i cadaveri dei caduti in guerra. Egli dichiara di essersi rivolto proprio ad Atene, e non a Sparta, perché è la città più potente di tutte e guidata da un capo valoroso. Non ci si può fidare di Sparta, afferma Adrasto, e gli altri stati sono piccoli e deboli: «solo il tuo avrebbe la forza di assumersi questa impresa (πόνον)»180. Etra, poco più avanti, aggiunge che Teseo si è sempre mostrato valoroso,

e non si è mai tirato indietro anche nelle imprese più difficili: non può dimostrarsi vile proprio ora, perché il modo in cui agirà sarà oggetto di giudizio da parte di tutti i Greci. Egli deve dimostrare che Atene è veramente la città più potente di tutta la Grecia, in grado di imporre la