Parte II. Il πόνος della filosofia
2.2 Immagini del πόνος
Risulta ora chiaro perché si è scelto di studiare le «immagini» del πόνος. Platone non offre mai un’argomentazione di tipo sillogistico su quale sia il πόνος della filosofia, né riflette esplicitamente sull’uso delle immagini del πόνος, come nel caso dell’analogia fra anima e città. Però, trovandosi a dover spiegare in che cosa consista la fatica della filosofia, trova nelle immagini quello strumento che permettere di concettualizzarla e di comunicarla. Come si vedrà più avanti (in particolare cap. 5), egli è ben consapevole di usare immagini per compiere questa operazione e dei limiti impostigli da tale uso: dunque, ciò dimostra un’analoga consapevolezza della necessità dell’uso delle immagini stesse, attraverso le quali è possibile comprendere il πόνος della filosofia.
Quali sono queste «immagini del πόνος»? Si tratta di tutte quelle evidenziate nella Sezione I di questa ricerca. Come si è visto, le attività che comportano πόνος erano già la ginnastica e la competizione, la battaglia, l’impresa eroica, la caccia e il parto; inoltre, al πόνος è legato, sia in Esiodo che nel nostro Autore, anche il motivo dell’età dell’oro. Platone, allora, si vedrà, comprende la filosofia nei termini di una «ginnastica dell’anima», di una «competizione per la vita più giusta», la dialettica nei termini di una «battaglia per la verità», la vita del filosofo come l’impresa eroica più difficile, paragonata a quelle di Odisseo ed Eracle (eroi del πόνος), e, rielaborando motivi esiodei, come una fatica per recuperare l’«oro», non più l’oro di un’età pregressa e perduta, ma quello interiore dell’anima.
In questa ricerca non si approfondiranno le immagini venatorie e del parto: le prime perché non aggiungerebbero nessun elemento in più rispetto alle conclusioni che si raggiungeranno attraverso l’analisi delle immagini ginniche, eroiche ed agonistiche374, le
seconde perché richiederebbero un’analisi dettagliata dei dialoghi in cui sono presenti, in particolare Teeteto e Simposio, che non sono però oggetto specifico di questa ricerca375.
Infatti, nei capitoli che seguono si prenderà in esame la sola Repubblica (con qualche breve insight and convey ideas which cannot be conveyed in literal terms. But among these Kittay’s theoretical standpoint is, in my opinion, the most developed and most convincing. The crucial difference between Kittay’s views and those of the other two is that whereas Black and Boyd believe that metaphors can generate radically new information about the world or about “how things are in reality”, Kittay’s perspectival view is more modest in its claims, since she mantains only that (p. 39): “the cognitive force of metaphor comes, not from providing new information about the world, but rather from a (re)conceptualisation of information that is already available to us”. [...] If Kittay’s thesis is applied to Plato’s soul metaphors, the question becomes not (for example) whether the soul exists or whether it does actually travel through different lives, but how the metaphor of the soul’s journey structures, and so provides an understanding of, the experiences of life and death». Applicando le conclusioni di Pender alla discussione sul πόνος, questa esperienza provata intimamente dal filosofo nella propria anima è descrivibile, e poi effettivamente descritta nei dialoghi, attraverso immagini che permettono di darle una struttura, comprenderla e concettualizzarla.
374 Si farà solo un breve riferimento alle immagini venatorie infra, 145, nota 377. 375 Anche in questo caso, si faranno solo brevi riferimenti infra, cap. 5.3.
riferimento ad altri dialoghi), scelta non arbitraria, ma dettata da precise ragioni di carattere sia stilometrico che teoretico.
Dal punto di vista stilometrico è interessante infatti notare che la maggior parte delle occorrenze di πόνος e πονεῖν si concentrano in due soli luoghi del corpus dei dialoghi: il libro VII delle Leggi e i libri VI e VII della Repubblica. Addirittura, se si estende la ricerca anche a composti e affini (συμπονεῖν, διαπονεῖν, ἄπονος/ἀπονία, φιλόπονος/φιλοπονία, μισόπονος), molti di essi sono presenti solo ed esclusivamente nel libro VII della Repubblica. Dal momento che il libro VII delle Leggi è interamente dedicato all’educazione, e in particolar modo alla ginnastica, mentre i libri centrali della Repubblica sono dedicati all’educazione del filosofo attraverso materie di studio quali matematica, astronomia e dialettica, il dato stilometrico sembrerebbe già confermare l’ipotesi finora proposta, ossia che come c’è un πόνος del corpo, così c’è un πόνος dell’anima, e che quest’ultimo sia concettualizzato attraverso immagini. Si mostrerà che nei libri centrali della Repubblica il πόνος dell’anima del filosofo è descritto come un esercizio ginnico, una battaglia, un’impresa eroica, e che queste immagini permettono di comprendere in che cosa consiste tale πόνος.
Inoltre, c’è una ragione teoretica più profonda per la quale si è scelto di affrontare proprio la Repubblica. Dall’analisi del passo della Lettera VII, infatti, è emerso che il πόνος della filosofia riguarda sia l’apprendimento di conoscenze, sia una pratica di vita quotidiana, un esercizio. Filosofo, dunque, non è solo colui che sa, ma anche colui che segue una forma di vita (δίαιτα καθ’ ἡμέραν): teoria e prassi, nella vita del filosofo, sembrano non essere separate. Lo studio delle immagini del πόνος nei libri centrali della Repubblica permetterà di articolare in modo approfondito questo rapporto: se la Lettera VII non ha offerto alcuna indicazione riguardo a quali siano esattamente i πόνοι che il filosofo deve affrontare, la
Repubblica permetterà di rispondere a questa domanda. Attraverso l’analisi delle immagini
ginniche, belliche, eroiche, e dei riferimenti all’età dell’oro, si potrà comprendere quali siano i πόνοι che il filosofo affronta sia nell’apprendimento delle materie di studio, sia nell’esperienza pratica, nella vita che conduce. Si cercherà così di scardinare una lettura, ancora molto diffusa soprattutto nella bibliografia di lingua inglese, secondo cui Platone nei libri centrali della Repubblica separerebbe teoria e prassi, proponendo un ideale di filosofia puramente contemplativo.
3 Agonismo ed eroismo nella Repubblica
Fra tutti i dialoghi di Platone, la Repubblica è forse il più ricco di immagini e metafore, alcune delle quali hanno influenzato l’intera storia della filosofia (basti pensare all’immagine della nave dello stato, 488a ss., di capitale importanza per la storia della filosofia politica). La pervasività stessa di tale linguaggio è sufficiente a dimostrare la necessità di tenere conto del ruolo di metafore e immagini nel dare forma al significato dell’opera376. Per quanto riguarda questa ricerca, che verte sul concetto di πόνος, sarà
necessario concentrare l’attenzione solo sulle immagini afferenti ai campi concettuali correlati ad esso, in particolar modo – come anticipato – le immagini eroiche ed agonistiche377.
Il presente capitolo si concentra su quattro gruppi di immagini: l’ascesa e discesa (3.1), il mare del ragionamento (3.2), i riferimenti ad Eracle (3.3) e le immagini agonistiche (3.4). Dopo aver trattato ciascuno di essi separatamente, si rifletterà sul significato di tali immagini (3.5), prestando attenzione in particolar modo a due aspetti: in primo luogo, esse appaiono funzionali alla presentazione della vita filosofica come vita difficile, che richiede sforzo e capacità di resistenza nei confronti delle difficoltà da affrontare. Il filosofo è paragonato agli eroi, soprattutto Odisseo e Eracle, e ai vincitori delle competizioni olimpiche. Inoltre, Socrate è presentato come incarnazione stessa di tale modello eroico: egli è il filosofo-eroe per eccellenza. L’eroizzazione di Socrate fornirà lo spunto per introdurre il
376 Fornire un catalogo dettagliato di tutte le immagini, metafore e paragoni contenuti nel dialogo non è
necessario ai fini della presente ricerca. Un tale elenco è fornito da D. Tarrant 1946, 27-28. Si veda anche Louis 1945.
377 Tralascio come detto le immagini venatorie, in quanto esse non aggiungerebbero elementi importanti alle
conclusioni che si intendono raggiungere in questi capitoli. Però, ciò non significa che esse non siano importanti nel dialogo. La stessa ricerca della definizione di giustizia è descritta proprio nei termini di una caccia: «A tal punto, caro Glaucone, non ci resta che fare come certi cacciatori, metterci tutt’in cerchio attorno a un cespuglio e stare bene attenti che la giustizia non ci sfugga proprio sotto il naso, e una volta sottrattasi alla nostra vista non si lasci più cogliere. Del resto ho la netta impressione che sia qui da queste parti. Aguzza la vista, dunque, e se mai la vedi prima tu, avvertimi» (Resp. 432b7-c3).
Il dialogo in cui l’immagine della caccia è maggiormente sfruttata è però sicuramente il Sofista. La discussione dialettica deve cominciare attraverso esempi semplici (come quello del pescatore con la lenza) perché il sofista è una specie difficile da cacciare (δυσθήρευτον, 218d4), un animale selvatico (θηρίον, 226a7) che non si lascia afferrare. Bisogna dunque inseguire le sue tracce (ἴχνος, 226b2) nella faticosa discussione dialettica, in modo da poterlo catturare con la «rete» del discorso (235a10-b4). Fronterotta 2007, nota 77 a 231d, commenta: «è interessante osservare come il linguaggio e le immagini utilizzati dallo straniero continuino ad essere tratti dall’ambito della caccia, con tanto di fughe ripetute e trappole evitate, nascondigli scoperti e abbandonati, pause di riposo nell’inseguimento durante le quali riesaminare il percorso compiuto».
Nell’Eutidemo è Socrate ad essere la preda braccata dal sofista Dionisodoro – una sorta di inversione dei ruoli rispetto al Sofista – preda che non riesce a sfuggire, ma che si dibatte come se, catturata in una rete, non avesse via di scampo (Euthyd. 302b). Nel Parmenide Zenone paragona Socrate ad una cagna della Laconia che fiuta ed insegue le parole (Parm. 128c). Nelle Leggi l’Ateniese paragona la ricerca della bella forma e l’armonia nel canto e nella danza all’attività dei cani da caccia che fiutano una pista (Leg. 654e). Nel Politico gli interlocutori seguono le tracce degli argomenti come segugi (Pol. 263b). Sul tema della caccia si veda anche Canino 1998b. Le immagini belliche non sono a loro volta assenti, né dalla Repubblica né dal Sofista: esse però saranno trattate solo cursoriamente in questo capitolo, e in modo più approfondito nei capitoli successivi.
capitolo successivo: perché per Platone è così importante descrivere il maestro in termini eroici? Per rispondere a questa domanda sarà necessario interrogarsi sul rapporto tra Platone e la tradizione letteraria precedente.