Sul concetto di πόνος
2. Πόνος da Omero a Senofonte
2.1 Πόνος nell’epica: Omero ed Esiodo
Nei primi documenti della letteratura greca, l’Iliade e l’Odissea, si trovano 56 occorrenze della parola πόνος e 30 del verbo corrispondente πονεῖν. Già in queste opere si nota come questa parola copra un’area concettuale abbastanza ampia, che spazia dal semplice lavoro, o compito laborioso, alla fatica della battaglia, alla sofferenza in generale38.
In primo luogo πόνος nella sua accezione più semplice indica la fatica di portare a termine un certo lavoro: ad esempio, è il lavoro che precede il banchetto, che comporta la fatica della macellazione delle bestie39; è il darsi da fare della dea Era per favorire gli Achei40.
È in particolare il verbo πονεῖν ad indicare il lavorare o il darsi da fare riguardo a qualcosa: nell’Iliade, è la fatica degli Achei che costruiscono un muro e un fossato per proteggere le navi41; è il darsi da fare di Agamennone per riunire i soldati in assemblea42; allo stesso modo,
per riunire l’assemblea notturna Agamennone e Menelao si danno da fare, correndo da una parte all’altra dell’accampamento43; è il badare ai cavalli44; indica anche il lavorare di Efesto
nella sua officina, per forgiare i metalli45; è la fatica di portare a termine i riti funebri per
Patroclo e costruire la sua tomba46. Nell’Odissea è il lavoro del Ciclope che munge le pecore
e le capre per fare il formaggio47; il manovrare i paranchi della nave48; l’affaccendarsi dei
servi e delle ancelle della casa di Odisseo49; addirittura, è il compito del massacro dei
pretendenti che Odisseo deve portare a termine50.
Nella maggior parte dei casi, però, πόνος e πονεῖν hanno a che fare con la guerra: essi ricorrono spesso nelle descrizioni di scene di battaglia, sia nel caso di duelli singoli sia, più spesso, nella descrizione della mischia. Così, queste due parole possono indicare in modo generale la fatica del combattere51: ad esempio, quando Menelao si accinge a proteggere i
corpi di due guerrieri morti, Antiloco lo supporta, perché la morte del condottiero
38 La ricerca è stata effettuata tramite il Thesaurus Linguae Grecae, di cui mi sono avvalso anche per tutte le
altre ricerche delle occorrenze di πόνος e di parole ad esso correlate. In questo capitolo, per sistematizzare i risultati che ho raggiunto mediante l’analisi delle varie occorrenze, mi sono anche avvalso dell’aiuto del Lexicon
of Homeric Dialect e del Lexikon des frühgriechischen Epos.
39 Il. I, 467; II, 430; VII, 319; Od. XVI, 478; XXIV, 384. 40 Il. IV, 26, 57.
41 Ivi, VII, 442; IX, 348. 42 Ivi, IX, 12. 43 Ivi, X, 70, 116, 117, 121. 44 Ivi, XV, 447. 45 Ivi, XVIII, 380, 413. 46 Ivi, XXIII, 159, 245. 47 Od. IX, 250, 310, 343. 48 Ivi, XI, 9; XII, 151.
49 Ivi, XVI, 13; XVII, 258; XX, 159, 281. 50 Ivi, XXII, 377.
51 Il. V, 84, 517, 627, 667; XI, 430; XII, 356; XII, 344; XV, 235; XVI, 568, 651; XIX, 227; XX, 359; Od. XII,
vanificherebbe i πόνοι dell’esercito Acheo52; durante una battaglia, tutto il πόνος dei Troiani
ricade sulle spalle di Enea ed Ettore53; In questo contesto πόνος è anche accoppiato a νεῖκος
(contesa)54, a δῆρις (contesa, lotta)55, e a ὀϊζύς (pena, travaglio)56. Nella descrizione delle
scene di battaglia emerge chiaramente come πόνος possa avere sia il significato che abbiamo definito «attivo» che il significato «passivo», ad indicare sia lo sforzo del combattere, sia la fatica di resistere all’attacco nemico. Nel libro XXI Achille attacca i Troiani per vendicare la morte di Patroclo. Il fiume Scamandro «meditava nell’animo come fermare nell’opera (πόνος) Achille glorioso»57. Πόνος è ciò che Achille infligge ai Troiani, l’opera della sua ira
vendicatrice, ma la stessa parola serve ad indicare, dal punto di vista dei Troiani, ciò che essi subiscono per mano sua58: con lo stesso concetto si indica dunque sia la fatica di compiere
l’impresa della battaglia, sia la sofferenza causata da un fattore esterno cui si deve resistere. Non solo con πόνος si può indicare la fatica e la sofferenza del combattere nelle sue diverse sfumature – l’attaccare e il resistere all’attacco – ma si può anche significare in modo più concreto la battaglia stessa: quando un dio si unisce alla battaglia degli uomini, ricorre il verso formulare «dicendo così, tornò il dio fra il travaglio (πόνος) degli uomini»59; Achille
stesso osserva in disparte, dalla sua nave, la battaglia (πόνος) tra Achei e Troiani60; in alcuni
casi Rosa Calzecchi Onesti traduce πόνος con «mischia» per renderne a pieno la concretezza: è la mischia che si genera intorno ad Ettore colpito da Aiace61, e intorno al cadavere di
Patroclo62. Πόνον ἔχειν e πονεῖν possono anche essere utilizzati come sinonimo di
μάχεσθαι63. L’eroe omerico dimostra il proprio valore in battaglia e, tanto attaccando il
nemico quanto resistendo ai suoi contrattacchi, acquisisce fama e gloria. Proprio per questo motivo il πόνος della battaglia si configura come prova da superare, tanto da poter essere tradotto, in almeno due circostanze, con «impresa eroica».
Nel libro X i guerrieri Achei preparano una sortita notturna contro i Troiani, guidata da Diomede, al quale Agamennone ordina di scegliere un compagno per l’impresa. Diomede sceglie Odisseo, «il cuore del quale è molto saggio, superbo il valore in tutte le prove
52 Il. V, 567. 53 Ivi, VI, 77. 54 Ivi, XII, 348. 55 Ivi, XVII, 158.
56 Ivi, XIII, 2; XIV, 480. Questo accoppiamento si ritrova anche in Od. VIII, 529, ma in un contesto del tutto
diverso: al sentire il canto di Demodoco Odisseo piange come una donna che ha perso il marito in battaglia e che è tratta schiava «ad aver pianto e travaglio». Tr. it. Calzecchi Onesti 1963.
57 Il. XXI, 137-138, 249-250, tr. it. Calzecchi Onesti 1950. 58 Ivi, XXI, 525; XXII, 11.
59 Ivi, XIII, 239; XVI, 726; XVII, 82. 60 Ivi, XI, 601.
61 Ivi, XIV, 429. 62 Ivi, XVII, 401, 718. 63 Ivi, XIII, 288; XV, 416.
(πρόφρων κραδίη καὶ θυμὸς ἀγήνωρ ἐν πάντεσσι πόνοισι)»64. La scelta ricade quindi sul
guerriero che ha già dimostrato il proprio valore nelle fatiche della guerra. Partiti i due per la sortita, Pallade Atena invia loro come buon auspicio un airone: Odisseo si rallegra nel sentirne il grido, e prega Atena, dea che lo assiste «in tutte le imprese (ἐν πάντεσσι πόνοισι)»65.
Quando si accende la mischia attorno al cadavere di Patroclo, un guerriero Troiano, figlio di Elpenore, decide di affrontare Menelao, dicendo «non resti intentata ancora a lungo l’impresa (πόνος)»66. È indubbio perciò il legame tra πόνος e l’etica eroica. L’eroe omerico si dimostra
tale proprio per il suo valore sul campo di battaglia, dove affronta ogni fatica e sofferenza: resiste agli attacchi sferrati dai nemici, attacca lui stesso e affronta imprese che, se coronate dal successo, gli conferiscono onore. Gli esempi riportati mettono anche in luce quella che è stata definita la valenza «teleologica» del concetto: è solo passando attraverso tali πόνοι e resistendo a tutte le fatiche e le sofferenze che l’eroe omerico può affermare il suo status; è necessario mettersi alla prova in battaglia, sia nel combattimento singolo, sia nella mischia, perché la capacità di eccellere in tale impresa è la pietra di paragone della virtù dell’eroe67.
Il concetto di πόνος, però, ha anche una valenza più ampia e arriva ad abbracciare il significato di fatica o sofferenza in generale, fatica di fronte alla quale non si può indietreggiare, ma che deve essere affrontata. Così, nel libro VI Elena si rivolge ad Ettore notando che egli ha dovuto subire molti πόνοι per causa sua e di Paride68; nel corso della
battaglia a sua volta Ettore rinfaccia a Paride che i Troiani stanno soffrendo grandi πόνοι per colpa sua69. Nel libro X Agamennone non riesce a dormire: la battaglia del giorno precedente
si era conclusa con la vittoria troiana, ed egli ha «la guerra nel cuore, lo strazio degli Achei»70; così sveglia Nestore per chiedergli consiglio e, per farsi riconoscere al buio, si
presenta come «Agamennone Atride [...] che Zeus immerse nei mali (πόνοι)»71.
In questi tre casi il riferimento immediato è ancora alla fatica della battaglia, ma si nota già un ampliamento di significato nella direzione di «sofferenza» in generale. Tale ampliamento emerge in effetti chiaramente in un altro passo dell’Iliade, dove πόνος non è riferito alla battaglia. Dopo la morte di Ettore, Andromaca lamenta che il piccolo Astianatte, anche se riuscirà a sfuggire alla guerra e a sopravvivere, vivrà una vita di πόνοι, ora che non
64 Ivi, X, 244-245. 65 Ivi, X, 279. 66 Ivi, XVII, 41.
67 Cf. Loraux 1982, 183: «le travail homérique vaut ... ce que vaut le travailleur». 68 Il. VI, 355.
69 Ivi, VI, 525. 70 Ivi, X, 92. 71 Ivi, X, 89.
c’è più il padre a proteggerlo72.
È però nell’Odissea che si trovano le occorrenze più significative di πόνος in questa accezione: Alcinoo promette ad Odisseo di preparare il suo ritorno in modo che esso avvenga «senza pena e fatica (ἄνευθε πόνου καὶ ἀνίης)»73; Atena rassicura Odisseo che gli rimarrà
vicina in tutti i suoi πόνοι – chiaramente, non si tratta più delle fatiche della guerra, ma della sofferenza che egli deve sopportare nel suo viaggio di ritorno74; infine, una volta tornato ad
Itaca e recuperato il potere, Odisseo informa Penelope che non potrà fermarsi, perché Tiresia gli ha predetto che i suoi πόνοι non sono finiti75. Dunque, πόνος nell’Odissea, pur
mantenendo spesso il significato ristretto di «fatica della battaglia» e di «impresa eroica», arriva ad abbracciare tutte le fatiche che Odisseo deve affrontare, non più solo fatiche fisiche: sue imprese eroiche sono tutti gli ostacoli che egli deve affrontare per poter tornare ad Itaca76.
Questi riferimenti saranno di particolare importanza nella seconda sezione di questa ricerca, e permetteranno di comprendere perché Platone veda in Odisseo l’eroe del πόνος. Egli si trova di fronte grandi ostacoli da superare (ciò che nell’Introduzione è stato qualificato come aspetto «oggettivo» e «passivo» del concetto di πόνος), non indietreggia di fronte ad essi, ma sopporta la fatica e si dà da fare (aspetto «soggettivo» e «attivo») per poter raggiungere il proprio obiettivo (aspetto «teleologico»).
Questa breve ricognizione delle occorrenze di πόνος nei poemi omerici permette di chiarire il legame tra πόνος e la figura dell’eroe entrando in dialogo critico con l’importante studio di semantica strutturale di F. Mawet, dedicato al vocabolario del dolore in Omero77.
L’Autrice giustamente nota che il concetto di πόνος non può essere integrato nella struttura lessicale del dolore. Tale relazione si stabilirebbe, sempre secondo l’Autrice, solo in epoca post-omerica, in particolar modo nei testi ippocratici, in cui πόνος indica lo sforzo fisico prolungato e la sofferenza del malato. Il significato fondamentale di πόνος, allora, si potrebbe riassumere in «lavoro compiuto con fatica», in particolar modo nel contesto della battaglia. La nozione di «sofferenza» apparirebbe così essere un aspetto secondario, di cui vi sono poche occorrenze, e potrebbe essere considerata uno sviluppo naturale di quella di «lavoro».
Queste conclusioni appaiono però semplicistiche e non del tutto corrette. Innanzitutto,
72 Ivi, XXII, 488. 73 Od. VII, 192. 74 Ivi, XIII, 301.
75 Ivi, XXIII, 249. È interessante riportare il testo dei versi 248-250 perché in essi compaiono anche i concetti di
ἆθλον e τέλος, sui quali si rifletterà in seguito: ὦ γύναι, οὐ γὰρ πω πάντων ἐπὶ πείρατ’ ἀέθλων / ἤλθομεν, ἀλλ’ ἔτ’ ὄπισθεν ἀμέτρητος πόνος ἔσται, / πολλὸς καὶ χαλεπός, τὸν ἐμὲ χρὴ πάντα τελέσσαι.
76 Loraux 1982, 182-183, nota correttamente che le sofferenze di Odisseo sono pensate come prove eroiche, e
vede in questa valenza di πόνος un ampliamento di significato nella direzione della sofferenza umana come legge della condizione umana stessa, nozione che sarà presente in particolar modo in Esiodo.
77 Mawet 1979. Le riflessioni che seguono fanno riferimento in particolare alle (purtroppo) poche pagine
esse tendono a ridurre il significato di πόνος a quello di «lavoro», considerando la fatica della battaglia e la sofferenza umana sviluppi secondari di questo significato principale. Però, si è visto che la maggior parte delle occorrenze del termine riguardano proprio la battaglia, e questa interpretazione trascura la specificità dell’impresa bellica ed eroica rispetto al semplice «compito laborioso»78. Altro è la furia combattiva di Achille, o l’impresa eroica di Odisseo,
altro il lavoro della macellazione delle bestie o della forgiatura dei metalli. Inoltre, la nozione di «sforzo fisico», o «sofferenza prolungata» è già presente implicitamente nel πόνος bellico, in quanto la battaglia richiede sicuramente uno sforzo fisico79. Infine, il fatto che la nozione
di «sofferenza» sia secondaria non deve portare ad una sua sottovalutazione e comunque lo sviluppo in tale direzione non sembrerebbe procedere tanto dalla nozione di «lavoro», quanto da quella di «battaglia, impresa eroica». Infatti, si è visto che in almeno tre casi πόνος serve ad esprimere la sofferenza legata al contesto della battaglia. Le sofferenze di Odisseo nell’Odissea, qualificate come πόνοι, sono dovute a tutti gli ostacoli che egli deve affrontare sulla via del ritorno: queste, e non più quelle della guerra, sono le imprese eroiche ch’egli deve affrontare.
F. Mawet inoltre afferma che, non potendosi rintracciare un rapporto semantico funzionale tra πόνος e le espressioni del dolore, le sole relazioni che possono esistere tra di essi non sono di tipo linguistico, ma dipendono dalla «natura delle cose»80. Trattandosi di uno
studio di sola semantica, l’autrice non approfondisce questa intuizione. Quale tipo di relazione si può rintracciare tra πόνος e dolore? Ritengo che una forma di relazione, che dipenda dalla «natura delle cose», possa essere rintracciata in primo luogo proprio nel contesto bellico (anche se, si argomenterà in seguito, questa relazione non si esaurisce in tale contesto).
Infatti, il πόνος della battaglia è associato a due forme di dolore: ἄλγος e ὀδύνη. L’analisi semantica di Mawet aiuta a chiarire le differenze che intercorrono tra questi due tipi di dolore. Ἄλγος indica la sofferenza subita ed ha a che fare per lo più con la sofferenza legata alla guerra; questo tipo di sofferenza è spesso vista come un’imposizione degli dèi, una parte necessaria del destino umano81. Utilizzato per lo più al plurale ἄλγεα, indica in modo generale
tutti i mali, gli sforzi e i dolori che i soldati devono sopportare in battaglia82. Ὀδύνη, invece,
ha un significato molto più specifico: è il dolore acuto e lancinante, causato dalle ferite
78 Trovo che le conclusioni di Mawet incorrano nel rischio di identificare πόνος ed ἔργον: queste due nozioni
però non sono equivalenti semantici, come dimostra Descat 1986, 29 ss.
79 Loraux 1982, 183-184, nota acutamente che πόνος nei poemi omerici è spesso associato a κάματος, tanto da
essere quasi sinonimi. Questi due termini, però, avranno un’evoluzione di significato divergente: πόνος procederà sulla strada dello sforzo nobile dell’eroe, mentre κάματος diventerà termine tecnico del vocabolario medico.
80 Mawet 1979, 380. 81 Ivi, 162, 166, 170. 82 Ivi, 178.
prodotte da oggetti taglienti e provocante la fuoriuscita di sangue (spesso le ferite sono descritte con tale dovizia di particolari che si è ritenuto lecito supporre che Omero avesse una formazione in campo medico)83.
Dunque, se ne può concludere che il legame dipendente dalla «natura delle cose» tra πόνος e dolore sia proprio questo: la battaglia e l’impresa eroica sono πόνοι perché in esse gli eroi devono sopportare sofferenze fisiche e, in particolar modo, il dolore causato dalle ferite ed associato alla perdita di sangue. L’eroe omerico, per acquisire onore, affrontando la fatica della battaglia, deve dimostrare la capacità di resistere ai dolori, ed è proprio tale capacità che gli permette di affermare il proprio status di eroe. Sebbene a partire da prospettive diverse, gli studi di Loraux, Neal e Holmes concordano nell’affermare che la ferita subita in battaglia è prova del valore dell’eroe, segno della sua ἀνδρεία84. Nei poemi omerici tutti gli eroi sono
feriti85, ma è proprio l’essere feriti che dà loro l’occasione di dimostrare la capacità di
resistenza al dolore: le ferite sono le loro «medaglie d’onore»86.
Così si è potuto ricostruire, seppur in modo indiretto, il rapporto tra labor e dolor che Cicerone indagherà secoli più tardi: il dolore sopportato in battaglia è un ostacolo da superare, una prova cui il guerriero deve saper resistere per portare a termine l’impresa87. Ciò che non è
oggetto dell’interesse di Cicerone, invece, è come questo rapporto si inscriva nell’etica eroica: l’eroe si distingue come tale proprio per il modo in cui affronta il πόνος. Gli studi sopra citati si limitano a rintracciare il legame tra dolore fisico ed etica eroica, ma il campo di applicazione di πόνος non può essere ridotto a questo. Infatti, l’uso del termine non è circoscritto solo alla fatica della sopportazione del dolore fisico: in precedenza, si è cercato di mostrare che l’uso di πόνος non si limita al solo contesto della battaglia, ma arriva ad
83 Ivi, 37-38. Sulle descrizioni delle ferite e la formazione medica di Omero si veda Holmes 2007, 46, con
relativa bibliografia.
84 Nonostante questi tre studi affrontino temi diversi con modalità differenti, ritengo che questo nodo concettuale
costituisca un solido, sebbene superficiale, trait d’union tra di essi. Loraux 1995 indaga i rapporti tra il maschile e il femminile in Grecia antica, e si occupa, tra i vari temi, dei rapporti tra ferita ed eroe, vulnus e virilità (cap. 5). Neal 2006 studia le occorrenze di αἶμα (sangue) nell’Iliade, cercando di dimostrare una progressiva evoluzione nell’uso di questo motivo: da segno dell’onore del guerriero a indice della mostruosità, brutalità e, in ultima analisi, futilità della guerra. Holmes 2007 studia la rappresentazione delle ὀδύναι nell’Iliade nel contesto del rapporto tra violenza ed onore. Si veda anche Napolitano 2009, che si occupa del rapporto tra vulnerabilità, morte eroica ed immortalità della gloria, in particolare per quanto riguarda la figura di Achille: egli è immortale proprio perché è, almeno in parte, vulnerabile; se fosse invulnerabile, non potrebbe morire da eroe ed acquisire fama immortale. L’eroe, solo se può essere ferito – anzi, proprio in quanto può essere ferito – può morire ottenendo gloria immortale: «la ferita da arma da taglio si mostra però per ciò che, a mio parere, è nella cultura greca, cioè perno di ogni violenza/inermità dell’uomo del tempo, quando sia ampliata a rappresentare la via per
eccellenza di ogni morte possibile» (21, corsivi dell’Autrice). Sulla vulnerabilità dell’eroe omerico come
caratteristica necessaria per l’acquisizione di gloria, e come mezzo per costruire un solido legame sociopolitico, si veda anche McCoy 2013, 1-35.
85 Loraux 1995, 93-93, nota che ci sono due sole eccezioni: Aiace e Neottolemo. 86 Neal 2006, 33: «bloodspill functions as a badge of honor».
87 Come si è visto nell’Introduzione, 35-40, gli esempi di Cicerone sono tratti proprio dal contesto bellico, ed è
abbracciare qualsiasi tipo di sofferenza. Mentre nel caso della battaglia il dolore da sopportare è quello fisico dell’ὀδύνη, nel caso dei πόνοι di Odisseo non si tratta più di dolori fisici, ma delle sofferenze dell’animo, gli ἄλγεα κατὰ θυμόν di cui si parla proprio nei versi introduttivi dell’Odissea (I, 4): l’impresa eroica che egli deve portare a termine richiede quindi una capacità di resistenza diversa, non più solo fisica88. In entrambi i casi, però, eroe è chi si
misura con questi πόνοι senza indietreggiare, perché queste prove sono le pietre di paragone della sua virtù.
Indagare il significato di πόνος in Esiodo è più difficile perché bisogna rilevare una profonda variazione nel significato di questo concetto fra la Teogonia e lo Scudo di Achille da una parte, dove sono presenti ricche reminiscenze omeriche, e Le opere e i giorni dall’altra, dove invece emerge il contributo originale più significativo del poeta alla concettualizzazione di πόνος.
Come nei poemi omerici, πόνος e πόνον ἔχειν possono significare rispettivamente «battaglia» e «combattere»: in questo caso si tratta della battaglia fra Titani ed Olimpi descritta nella Teogonia89. Nella stessa opera Πόνος appare anche come divinità personificata,
figlio di Ἔρις, a sua volta figlia di Notte (Νύξ) e madre di altri figli spaventosi, tra cui le battaglie (Μάχας) e i dolori (Ἄλγεα)90: è dunque la contesa che genera la fatica, sorella della
battaglia e della sofferenza. Nello Scudo di Eracle le occorrenze di πόνος richiamano da vicino il contesto epico omerico: si tratta delle imprese compiute rispettivamente da Anfitrione e da Eracle – in questo secondo caso πόνος è accostato nuovamente a ὀϊζύς91.
Inoltre, esso appare in un contesto agonistico: una delle scene rappresentate sullo scudo è una gara di cavalieri. Qui «fare a gara» traduce πόνον ἔχειν: la fatica dei cavalieri è lunga, quasi eterna, perché lo scudo non rappresenta l’esito della gara, ma solo i cavalieri che per il premio
88 Ritengo che questa sia un’ulteriore prova del limite della trattazione di Cicerone sopra individuato: c’è un
labor dell’anima che non dipende da un dolor fisico; anzi, che dipende da un dolor che non è fisico. Questo tema
sarà approfondito nella Sezione II.
89 Theog. 629, 881. Come nota Arrighetti 2004, nota a vv. 617 ss., l’intero brano della Titanomachia è ricco di
riferimenti omerici, sia nel vocabolario che nella struttura compositiva.
90 Theog. 224-228. I figli di Ἔρις sono, oltre a Πόνος: Oblio, Fame, Dolori, Lotte, Battaglie, Delitti, Omicidi,
Discordia, Inganni, Discorsi, Ambigui Discorsi, Anarchia, Sciagura, Giuramento. Tutti questi sono discendenza di Notte, di ciò che è oscuro e terribile: Πόνος è dunque visto in modo negativo. Ne Le opere e i giorni, invece, Esiodo ritratterà la sua posizione, affermando che ci sono due Ἔρις, una buona e una cattiva. È ormai