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Fra tragedia e medicina: brevi cenn

Sul concetto di πόνος

2. Πόνος da Omero a Senofonte

2.4 Fra tragedia e medicina: brevi cenn

Uno studio approfondito del significato di πόνος nei testi medici e tragici esula dai fini

185 Ivi, 949-954.

186 Si può ricavare dal testo quale sia la posizione di Euripide? Lesky 1996 [1972], 539, mette in guardia contro

questo tentativo: dappertutto nella produzione euripidea si possono vedere riferimenti a dibattiti contemporanei, ma è difficile vedere in questo o quel passo una confessione personale del poeta.

di questa ricerca, non tanto a causa dell’elevatissimo numero di occorrenze (oltre mille fra πόνος e πονεῖν nel Corpus Hippocraticum, e diverse centinaia nelle tragedie, frammenti compresi), quanto perché non fornirebbe elementi utili per il proseguimento della ricerca stessa. In questo paragrafo, infatti, si presterà attenzione ad un solo aspetto di questo concetto, il πόνος come «travaglio» del parto, evidenziando come il termine occorra con questa accezione sia nei testi medici che in quelli tragici, e come in questi ultimi riecheggi l’etica eroica del πόνος come «nobile sforzo», o «impresa eroica», seguendo alcune intuizioni di Nicole Loraux.

Proprio per questo motivo è lecito tralasciare, in questa sede, i complessi problemi di datazione ed attribuzione delle opere del Corpus Hippocraticum, che tormentano la critica sin dai tempi dell’edizione ottocentesca del Littré, punto di riferimento ancor oggi necessario. Πόνος ricorre in quasi tutte le opere, appartenenti a periodi e scuole di pensiero diverse, ma una minuziosa indagine filologica che esamini le varie occorrenze si rivelerebbe infruttuosa, perché πόνος non può essere considerato un vocabolo tecnico del gergo medico. Infatti, si è visto che questo termine ricorre nella letteratura greca, sin dagli esordi, con un ampio spettro di sfumature di significato: perciò anche l’applicazione in campo medico può essere considerata come un caso particolare derivante dal significato generale di «sofferenza fisica prolungata». Inoltre, come si vedrà a breve, anche nei testi medici stessi πόνος può significare sia la sofferenza dovuta alla malattia, sia l’esercizio fisico, sia il «travaglio», associato al dolore delle doglie (ὀδύνη o ὠδίς)187.

Questa considerazione ha importanti ripercussioni metodologiche anche sul tentativo che qui si farà di soffermarsi sulle occorrenze di πόνος come «travaglio» nei testi sia medici che tragici. Infatti, le relazioni fra questi due campi, medicina e tragedia, sono oggetto di studio sin dal tardo Ottocento e la presenza di termini tecnici medici nei testi tragici (in particolare di Sofocle) ha suscitato un ampio dibattito188. In particolare, si è cercato di

evincere dai testi tragici il grado di competenza medica e di conoscenza degli scritti del

Corpus posseduti dal tragediografo; ciò ha sollevato due importanti problemi metodologici:

stabilire la distinzione fra lessico tecnico e comune negli scritti medici e stabilire la datazione

187 Ceschi 2009, interessante lavoro dedicato al vocabolario medico di Sofocle, dopo aver ricostruito

minuziosamente lo stato dell’arte sul tema, individua due criteri fondamentali per classificare un termine della medicina attestato in tragedia come tecnicismo: la sua presenza negli scritti più antichi del Corpus, e la tendenziale assenza nel restante panorama letterario (60). Πόνος viola palesemente il secondo criterio, perciò non può essere considerato un tecnicismo. Ciò non significa, però, che i tragediografi non lo utilizzino nell’accezione specifica di «travaglio» del parto, come si vedrà. L’opera di Ceschi, benché dedicata a Sofocle, presenta, nei primi due capitoli, riflessioni storico-metodologiche valide per tutti quanti i tragici, e si è rivelata particolarmente importante sia per ricostruire gli esiti più recenti del dibattito sul tema, sia per porre i criteri metodologici necessari a comparare, in questa sede, medicina e tragedia senza incorrere in errori storico- filologici.

di tali opere, comparandola poi con quella attribuita alle tragedie189. Però, πόνος non è un

termine tecnico: perciò il fatto che un tragediografo lo usi correttamente per indicare i dolori del parto non è prova di un’approfondita conoscenza dei testi medici. Semmai, è prova che nel V secolo era comune – sia da parte dei medici professionisti che delle persone comuni – usare πόνος nel senso di «travaglio»190.

Dunque, in questa sede, dopo aver brevemente ricapitolato le valenze di assunte da πόνος nei testi medici, non si cercherà di indagare quali siano le conoscenze mediche dei tragediografi, ma solo di evidenziare che πόνος in alcune tragedie è utilizzato nel senso medico di «dolore del parto». In seguito, si prenderà spunto da alcune intuizioni di Nicole Loraux sul rapporto fra πόνος della battaglia e πόνος del parto, per mostrare come anche in questo caso si trovino echi dell’etica eroica: il πόνος del parto è la nobile impresa della donna. Infine, si concluderà, per completezza, offrendo uno schematico riassunto dei significati di πόνος nei testi tragici, là dove non sia utilizzato nel senso medico.

Come si è anticipato, πόνος non può essere considerato un termine specialistico del gergo medico, anche perché è usato con significati diversi nelle varie opere del Corpus

Hippocraticum (e, comunque, ai fini di questa ricerca non è necessario stabilire se si possa

attribuire ad autori diversi un uso univoco del termine – indagine che non avrebbe alcuna afferenza con i risultati che si intendono raggiungere in questa sede). Ad esempio, nel Περὶ Διαίτης con πόνος si indica l’esercizio e lo sforzo fisico in quanto, è evidente, l’intera opera è dedicata al corretto regime di vita: διαίτη, infatti, significa «dieta» non nel senso odierno del termine, ristretto alla sola alimentazione, ma in un senso più ampio, che ingloba l’intero regime di vita, dall’alimentazione, all’esercizio fisico, al riposo191.

Più in generale, in molti testi del Corpus πόνος significa una sofferenza corporea prolungata non localizzata in una sede specifica, mentre ὀδύνη indica il dolore lancinante

189 Ivi, 57, nota che risulta arduo stabilire «quali termini si debbano considerare specialistici e quali comuni. Se è

indiscutibile, infatti, che la medicina si sia servita, nel suo sviluppo, di un lessico vieppiù connotato sotto il profilo diafasico – e quindi si possa compilare un repertorio di termini indubitabilmente tecnici, in ragione dell’assenza nel restante panorama letterario – è altrettanto evidente che il supporto espressivo rimane pur sempre la lingua comune, per quanto anch’essa caratterizzata, nella propria tendenziale genericità, da fenomeni di diafasia. Il problema è poi ulteriormente complicato dall’esigenza, già avvertita dal medico ippocratico, di coniugare il rigore “scientifico” con quelle che, anacronisticamente, potremmo definire esigenze “divulgative”». Citazioni soppresse, corsivi dell’Autore. Difficile è anche – come accennato – stabilire la datazione delle opere del Corpus, ma l’Autore nota che l’assenza di un vocabolo prima di un’opera con un certa datazione non può essere considerata indice sicuro dell’assenza di tale vocabolo dal gergo medico tout court prima di tale data.

190 Si vedano le interessanti riflessioni di Ceschi 2009 sui concetti di ὀδύνη e ἄλγος, che possono essere

facilmente riferite anche a πόνος: «estrema cautela si impone quindi nell’analisi della componente medica di un autore in base alle coincidenze linguistiche con il Corpus [...]. Altrimenti vi è il rischio di affermare che Sofocle fosse un esperto di medicina solo perché parlando del dolore usava correttamente, nelle rispettive sfumature semantiche, i termini ὀδύνη e ἄλγος. Certo, l’uso corretto di ὀδύνη e ἄλγος non è in contraddizione con la competenza medica sofoclea, e anzi la corrobora, ma per pronunciarci con un minimo di fondatezza dovremmo individuare termini indubitabilmente tecnici».

localizzabile in una parte specifica del corpo: nei testi ginecologici, in particolare, è riferito ai dolori provocati dai movimenti dell’utero all’interno del ventre192. È proprio nei testi

ginecologici che πόνος compare con il significato specifico di «travaglio», sofferenza prolungata della partoriente nel dare alla luce il bambino, ed è associato al dolore delle doglie, detto ὠδίς (o, a volte, ὀδύνη)193.

Dunque, è nei testi medici che πόνος presenta la massima vicinanza con la sfera semantica del dolore fisico, fino ad essere identificato con quella forma di dolore prolungato e non localizzato, che può essere sia patologico (la sofferenza causata dalla malattia), che fisiologico: il travaglio, infatti è un dolore naturale, che la partoriente deve affrontare per poter dare alla luce il bambino.

Anche i tragediografi, ed in particolare Euripide, in alcune occasioni usano πόνος nel senso medico di «dolore del parto», e ciò è indice che questo termine era già in uso, nel V sec., con questa accezione, ed era facilmente comprensibile dal pubblico194. Πόνος può

addirittura diventare una metonimia per «figlio»: così Giocasta si riferisce ad Edipo nelle

Fenicie195.

Nicole Loraux, in un interessante articolo dedicato alla rappresentazione del maschile e del femminile nella Grecia antica, propone alcune considerazioni su cui è opportuno riflettere in questa sede: l’Autrice, infatti, tenta di mostrare l’esistenza di un complesso gioco analogico fra πόνος della battaglia e πόνος del parto196. Che la morte di parto della donna sia

valorizzata come morte eroica al pari di quella del guerriero in battaglia è chiaramente attestato nella tradizione spartana. Come riporta Plutarco nella Vita di Licurgo, le norme spartane riguardanti la sepoltura dei morti imponevano la massima sobrietà e permettevano di

192 Πόνος come sofferenza del malato: Morb. IV 36.2; 37.1; 38.2; 41.2; 44.3, 4; 46.4; 51.3. Nella stessa opera

ὀδύνη indica il dolore localizzato: cf. ad es. 36.2 (in questo caso, dolore al fegato). Πόνος come sofferenza della donna incinta e sforzo di portare il bambino in grembo: NatPuer. 15.1, 2, 5; Oct. 3.1; 4.2; NatMul. 35. Ὀδύνη provocata dai movimenti del feto nel grembo materno: Oct. 3.2. Fra le centinaia di occorrenze di questi termini nei testi del Corpus ho deciso di riportare in particolare le occorrenze di Malattie IV, La natura del bambino, e Il

feto di 8 mesi perché in questo caso la critica è abbastanza concorde nell’attribuirle ad uno stesso autore, sin dai

tempi dell’edizione curata da Littré (cf. Joly 20032, 9 ss.). In queste opere πόνος può significare sia la sofferenza

del malato, sia l’esercizio, sia il travaglio del parto (significato che è oggetto di interesse in questo capitolo), e ciò mi sembra avvalorare la tesi sopra proposta, ossia che non sia possibile vedere in πόνος un termine tecnico del vocabolario medico, ma che si tratti di un termine generale applicato a casi diversi, tutti legati, comunque, ad un significato primario di «sofferenza fisica prolungata». Per quanto riguarda ὀδύνη, nell’opera Natura della

donna, uno dei testi ginecologici più importanti, indica il dolore localizzato nel basso ventre, causato da

movimenti e torsioni dell’utero che comportano la dislocazione dell’organo dalla sua sede naturale (2, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 15, 18, 29a, 37, 38, 39, 40, 43, 44, 45, 46, 47, 49, 54, 79, 80). L’utero, infatti, era ritenuto un «vivente nel vivente», organo dotato di vita propria parzialmente indipendente dal resto del corpo femminile (cf. Andò 2000, 32-46), tesi poi ripresa anche da Platone (Tim. 91c).

193 Πόνος del parto: NatPuer. 18.2; 30.11; Oct. 2.2; 9.3; 12.2. Πόνος associato a ὠδίς: NatPuer. 18.2-3; 30.10-

11; Oct. 4.3. Ὀδύνη come dolore del parto: NatMul. 35 (in riferimento ad un aborto spontaneo).

194 Πόνος del parto: cf. ad es. Eur. Suppl. 920 (πόνους ἐνεγκουσ’ ἐν ὠδῖσι), 1135-1136, e le citazioni infra. 195 Eur. Ph. 30 (τὸν ἐμὸν ὠδίνων πόνον), 1434.

scrivere il nome del morto sulla lapide solo nel caso in cui si trattasse di un guerriero morto in battaglia o di una donna morta di parto197. Dunque, l’onore di essere ricordato dai posteri –

forma di immortalità cui aspirava già il guerriero omerico – spettava solo a chi si era sacrificato in battaglia per la difesa della patria, o a chi aveva sacrificato la propria vita per produrre nuova vita, che a sua volta avrebbe difeso Sparta in guerra. Il parto è dunque la battaglia della donna e lo stesso vocabolario è usato da Plutarco per descrivere entrambi: come il maschio spartano deve essere educato sin da giovane attraverso le fatiche fisiche (πόνοι) per irrobustire il corpo e prepararlo a sopportare la fatica della guerra (πόνος), così le donne devono esercitarsi (πονεῖν) negli stessi esercizi ginnici per irrobustire il corpo e prepararlo a sostenere il πόνος del parto. Poi, arrivato il momento della battaglia, il guerriero resiste (μένειν) e lotta contro il nemico, e allo stesso modo la donna resiste al dolore del parto (πόνος), sopportando le doglie (ὠδῖνες)198.

C’è dunque un’analogia fra i ruoli civici della madre e del guerriero, che Loraux rintraccia non solo nel contesto spartano, ma anche in quello ateniese. Nella πόλις la donna è madre di opliti e, come gli uomini donano la loro vita in guerra, così le donne donano i loro figli alla città, affinché la difendano: l’Autrice nota, non senza una certa vena sarcastica, che nei testi tragici sembra che le donne partoriscano solo uomini199. Medea, nell’omonima

tragedia, pensando a quale sarà la sorte dei suoi figli, lamenta di aver sofferto i πόνοι del parto invano:

inutilmente vi ho allevato, figli, e ho penato e sofferto, dopo aver patito i dolori crudeli del parto, inutilmente.

ἅλλως ἄρ’ ὑμᾶς, ὦ τέκν’, ἐξεθρεψάμην, ἄλλως δ’ ἐμόχθουν καὶ κατεξάνθην πόνοις,

197 Plut. Lic. 27, 3: «sulla sepoltura non si poteva scrivere il nome del morto, a meno che si trattasse di un uomo

morto in guerra o di una donna morta di parto». Tr. it. Manfredini – Piccirilli 1980. Come riportano i traduttori nella nota ad loc., ciò è anche documentato da epigrafi sepolcrali laconiche.

198 Ivi, 14, 3: «Egli [Licurgo] esercitò (διεπόνησεν) i corpi delle fanciulle con corse, lotte e lanci del disco e del

giavellotto, in modo che da un lato i loro figli, ricevendo fin da principio una radice robusta in corpi robusti, crescessero meglio, e dall’altro esse, sopportando con vigore i parti (μετὰ ῥώμης τοὺς τόκους ὑπομένουσαι), lottassero decorosamente e facilmente contro le doglie (καλῶς ἅμα καὶ ῥᾳδίως ἀγωνίζοιντο πρὸς τὰς ὠδῖνας)». Loraux 1981, 38, nota i molti parallelismi fra l’educazione fisica spartana e quella proposta nelle Leggi di Platone. Di quest’ultima si tratterà infra, Sezione II, Parte I, cap. 2.

199 Loraux 1981, 39-43, porta a sostegno prove archeologiche (un epitafio per una donna morta di parto, databile

alla metà del IV sec. a. C., dove si fa uso di un vocabolario epico-omerico e del dialetto dorico), linguistiche (la sposa è ἄλοχος, colei che condivide il letto, il λὀχος , e il vocabolario del parto – ad es. λοχεύω, Λόχια – dipende da questa radice; ma λὀχος può significare anche «imboscata», e già Chantraine notava che il verbo λέχεται è usato sia in riferimento al parto che alla guerra), e letterarie: Ar. Lys. 589-590 (le donne sono madri d’opliti); cf. anche Eur. Suppl. 955-960.

στερρὰς ἐνεγκουσ’ ἐν τόκοις ἀλγηδόνας200.

Queste sono le prove eroiche superate da Medea, che lamenta come la prova del parto sia ben più difficile e pericolosa di quella della guerra:

dicono che viviamo in casa, lontano dai pericoli, mentre loro vanno in guerra; che follia! È cento volte meglio imbracciare lo scudo piuttosto che partorire una volta sola201.

I pericoli e le sofferenze affrontate dagli uomini in guerra sarebbero nulla confronto ai πόνοι del parto: sia gli uomini che le donne hanno prove difficili da affrontare, in cui la vita stessa è a richio202. «Souffrir comme une femme, mourir comme un homme», così sintetizza

Loraux203. Il πόνος del parto è compreso in modo analogo a quello della battaglia e si inscrive

quindi nella stessa sfera di valori: come l’uomo soffre e muore per difendere la città, così la donna affronta pericoli e sofferenze, mettendo a rischio la sua stessa vita, per generare nuovi uomini e, nel caso morisse, le sono tributati gli stessi onori che spettano ai caduti per la difesa della città204.

Per quanto riguarda le restanti occorrenze nei testi tragici, πόνος e πονεῖν sono utilizzati con una vasta gamma di sfumature di significato, tutte riconducibili a quelle finora

200 Eur. Med. 1029-1031. Tr. it. Ciani – Susanetti 1997. Come chiosa Susanetti nella nota ad loc., il lamento per

la morte di un figlio, che vanifica i πόνοι sopportati per generarlo e crescerlo, è un topos: cf. Eur. Hip. 1144- 1145; Hec. 765-766; Tr. 758-760; Ph. 1434.

201 Eur. Med. 248-251. Ai vv. 187-188 Medea è paragonata ad una leonessa che ha appena partorito: come nota

Loraux 1981, 47, mentre la leonessa è madre, il leone, controparte maschile, è l’immagine del guerriero.

202 In realtà la lettura della Medea di Loraux è molto più sottile, perché Medea è anche il personaggio che supera

questo paradigma della donna madre di opliti, sacrificando i suoi stessi figli per vendicarsi di essere stata abbandonata. Non intendo però offrire in questa sede una lettura della figura di Medea: ciò che interessa ai fini di questa ricerca è solo soffermarsi sull’analogia fra πόνος eroico del guerriero e della madre.

203 Loraux 1981, 57.

204 Il lavoro di Loraux non si limita a queste conclusioni, ma indaga anche l’altra faccia della medaglia, ossia gli

eroi tragici che si rifiutano di riconoscere il ruolo della donna (ad es., Ippolito). Condivido, fino a questo punto, le conclusioni di Loraux, ma mi trovo in disaccordo con la lettura che offre delle Trachinie (p. 59 ss.). Secondo l’Autrice, alla fine di questa tragedia si assisterebbe ad un’inversione dei ruoli maschile e femminile. Eracle, infatti, muore fra atroci tormenti, che sarebbero descritti proprio come le doglie del parto: soffre dolori (πεπονημένος ἀλλήκτοις ὀδύναις, 985-986), contrazioni e spasmi. La lettura offerta dall’Autrice è invitante, e permetterebbe di rintracciare nel testo una sottile ironia tragica: Eracle, eroe donnaiolo e infedele, che vede nella donna solo un mezzo di riproduzione, morirebbe proprio provando i dolori femminili per antonomasia. Questa lettura, però, poggia su scarsi appigli testuali: Loraux legge in πεπονημένος ἀλλήκτοις ὀδύναις un riferimento ai dolori del parto, ma, come si è visto, questi termini non sono tecnici, e possono anche assumere valori diversi. Il contesto in cui sono inseriti, infatti, suggerisce una lettura diversa. Ceschi 2009, 198-207, ha dimostrato che questo passo è, insieme ad un passo del Filottete, il luogo in cui si concentrano il maggior numero di tecnicismi medici nelle tragedie sofoclee. Egli dimostra, attraverso un’accurata analisi filologica delle occorrenze di questi termini specialistici nelle opere mediche, che Sofocle sta descrivendo il quadro sintomatologico di una patologia polmonare, possibilmente causata dalla perforazione del polmone da parte di una freccia. L’ironia del passo sarebbe dunque da rintracciare nel fatto che, come il centauro Nesso è stato ucciso da Eracle con una freccia che ha trafitto il polmone, così ora la tunica intrisa del suo sangue costringe Eracle a morire di una morte analoga.

indagate.

Innanzitutto, possono indicare genericamente un compito laborioso, faticoso, difficile da portare a termine, sia che si tratti di un compito arduo e nobile, sia di una vana fatica205.

Merita di essere qui menzionato in particolare il πόνος della caccia, dal momento che l’attività venatoria non ha finora fatto la sua comparsa come forma del πόνος206. Questa ricorre sia in

Sofocle che in Eschilo. Nel prologo dell’Aiace Odisseo si sobbarca il compito, il πόνος (24, 38), di scoprire se Aiace abbia veramente trucidato la mandria, come affermano le guardie che l’hanno visto scappare brandendo la spada insanguinata. Odisseo, dunque, racconta di essersi dato da fare per seguire le tracce (ἴχνος, 32; ἰχνεύω, 20), braccandolo come una preda, ed Atena, giunta per aiutarlo, lo paragona ad una cagna della Laconia che insegue la preda con fiuto infallibile (6-7). Mentre nel prologo della tragedia sofoclea la caccia è metafora della ricerca condotta dall’eroe, una caccia vera e propria avviene nelle Eumenidi di Eschilo. Oreste, dopo aver ucciso la madre per vendicare la morte del padre, non deve cedere nel πόνος della sua fuga in direzione di Atene, ma deve resistere, perché solo lì potrà essere purificato. Però, è inseguito dalle Erinni, descritte da Eschilo come cagne da caccia che braccano il matricida: latrano, guaiscono, e mentre dormono, fiaccate dal πόνος della caccia, continuano ad inseguire Oreste in sogno, finché il fantasma di Clitemnestra non le sveglia, in modo che esse riprendano l’inseguimento della loro preda207.

Inoltre, πόνος è la fatica della battaglia, nella duplice accezione sopra evidenziata dell’attaccare e del subire l’attacco, e, più in generale, della guerra, con tutte le avversità che essa comporta: non solo il corpo a corpo con il nemico, ma anche la scarsità di vettovagliamento, il dover sopportare la calura e il gelo, il doversi ritirare in caso di

205 Πόνος come compito difficile, ma nobile, è, ad esempio, la fatica di Antigone ed Ismene, nell’Edipo a

Colono, per prendersi cura del padre Edipo, ormai vecchio e cieco (509, 1368). Nel Filottete, è la fatica da

sobbarcarsi per aiutare l’eroe ferito (525). Nell’Edipo Re, Edipo chiede a Tiresia di aiutarlo a trovare l’assassino di Laio, ricordandogli che πόνος κάλλιστος è aiutare gli altri (315). Con sottile ironia tragica, Edipo non è consapevole che il πόνος della ricerca dell’assassino gli porterà enormi sofferenze, πόνοι. Nell’Elettra, la protagonista ricorda alla sorella che nulla ha successo senza πόνος (945), e l’impresa che intende compiere è l’uccisione di Egisto. Nell’Aiace, è il compito del coro che cerca l’eroe dappertutto, senza successo (876, 888), e il compito gravoso di seppellirlo e tributargli gli onori che gli spettano, nonostante le azioni da lui compiute (1379-1380). Nell’Antigone, la protagonista incita Ismene a ξυμπονεῖν e ξυνεργάζειν per seppellire Polinice (42, cf. anche 907), nonostante l’editto di Creonte che lo impedisce (qui πόνος è sinonimo di ἔργον). Πόνος, però, è