• Non ci sono risultati.

Platone e l’uso delle immagin

Nel documento Ponos. Platone e le fatiche della filosofia (pagine 135-142)

Parte II. Il πόνος della filosofia

2.1 Platone e l’uso delle immagin

La ricerca, nei prossimi capitoli, si concentrerà dunque sulle metafore del πόνος. Per questo motivo è necessaria qualche riflessione preliminare sull’uso del linguaggio metaforico nei dialoghi. Vista la vastità dell’argomento e l’enorme bibliografia disponibile, non si avrà pretesa di esaustività, ma si cercherà solo di delineare alcune linee interpretative generali, usando come supporto alcuni ottimi lavori già disponibili sul ruolo delle immagini nel corpus. Già le poche parole introduttive pongono un problema terminologico: si è parlato sia di «metafore» che di «immagini», usando le due parole quasi come sinonimi, e si potrebbe dubitare della liceità di questa variazione. Si nota, innanzitutto, che Platone non usa mai nei dialoghi la parola «metafora» (μεταφορά). Ciò non significa che, già dall’antichità, non si riconoscesse a Platone la capacità di usare un linguaggio metaforico. Infatti, il suo allievo

Aristotele lo accusava di parlare attraverso metafore che ostacolano la comprensione del λόγος filosofico. Ad esempio, nella Metafisica uno degli attacchi mossi alla teoria delle idee è proprio che il modo in cui esse comunicano con il mondo sensibile è descritto attraverso metafore che, ad un’analisi attenta, si rivelano essere prive di senso: «dire che le Forme sono modelli e che le cose sensibili partecipano di esse, significa parlare a vuoto e fare uso di mere immagini poetiche (μεταφοράς ... ποιητικάς)» (1079b25-26).

Questa testimonianza di Aristotele è particolarmente significativa, sia perché riconosce la pervasività delle metafore nelle opere del maestro, tanto che esse sono utilizzate anche nell’affrontare i temi metafisici più complessi, sia perché al tempo stesso ne critica l’uso. Esse, infatti, secondo Aristotele, non hanno un valore né descrittivo (perché parlare di «partecipazione» delle forme alle cose sensibili è una formula vuota), né tantomeno conoscitivo (perché, come Aristotele mostra negli argomenti successivi, se si cerca di sciogliere la metafora e di spiegarla, si scopre che in realtà nulla di esatto si sa sul modo di comunicazione effettivo fra sensibili e forme). Su questi due valori dell’uso della metafora, descrittivo e conoscitivo, si tornerà a breve.

La traduzione del passo dela Metafisica appena citato, di G. Reale (2000e), mostra una sensibilità tutta platonica nel tradurre μεταφοράς con «immagini» invece di «metafore», evitando una traduzione che rischierebbe di essere di essere troppo precisa355. Infatti, metafore

vere e proprie non sono l’unica strategia argomentativa di Platone che si avvale dell’uso di immagini: egli usa anche miti, allegorie, paragoni, analogie, e non parla mai di μεταφοραί, ma di μῦθοι, εἴδολα, εἰκῶνες, o παραδείγματα. Proprio per questo motivo, molti platonisti mettono in guardia contro il tentativo di distinguere nettamente allegorie, miti, metafore e paragoni nel corpus dei dialoghi, perché in questo modo si applicherebbero rigide categorie di pensiero estranee a Platone, e preferiscono parlare, più in generale, di «immagini», termine molto ampio che serve ad indicare tutte le parti non argomentative dei dialoghi356.

355 Aristotele definisce la μεταφορά nella Poetica come «l’imposizione di una parola estranea, o da genere a

specie, o da specie a genere, o da specie a specie o per analogia» (1457b6-9). Tr. it. Lanza 1987. Il traduttore precisa in nota che sarebbe preferibile tradurre μεταφορά con «traslato», perché «metafora» ai giorni nostri ha un significato più specifico, che Aristotele qui definisce «per analogia».

356 In particolare Napolitano 2007, VII, si sofferma sull’inutilità di operare distinzioni precise secondo categorie

contemporanee, che nulla aggiungono alla comprensione filosofica del testo. Anche Petraki 2011, 69 ss., riprendendo i lavori di Silk e Pender 2000, preferisce usare l’espressione «imagery» per indicare tutte le forme di analogia, paragone, similitudine, metafora presenti nei dialoghi. Inoltre, propone una distinzione fra diversi tipi di immagine (vedi 137, nota 358), ma si tratta di una semplice distinzione formale, che non ha ripercussioni sulle modalità secondo cui leggere l’immagine stessa. L’unica forma di «immagine» che è definita in modo esplicito nei dialoghi è l’analogia, che nel Timeo è intesa in senso matematico. Come notava però già Grenet 1948, nel classico studio sull’origine dell’analogia filosofica in Platone, il senso matematico di «analogia» è solo uno dei sensi possibili; più avanti, Lloyd 1966, altro caposaldo della letteratura critica riguardante le forme del pensiero greco, nell’indagare le forme del pensiero «analogico» userà il termine «analogia» nel senso ampio oggi comunemente accettato, senza soffermarsi solo ed esclusivamente sul senso ristretto, matematico.

Anche Elizabeth Pender, autrice di uno degli studi più completi sull’uso delle immagini nei dialoghi (in particolare, quelle con cui si descrivono gli dèi e l’anima), si affatica in lunghe riflessioni metodologiche introduttive attraverso cui, con il supporto delle teorie letterarie contemporanee, offre le definizioni di diverse figure retoriche, come metafora, analogia, allegoria357. Ciò le permette di stabilire, di volta in volta, nel resto della ricerca, se

l’immagine usata da Platone in un luogo determinato debba essere classificata come metafora, piuttosto che analogia, e via dicendo. Però, queste precise distinzioni terminologiche non sono rilevanti ai fini della comprensione del significato dell’immagine stessa e della sua funzione all’interno della discussione in cui è usata dai dialoganti. Così, l’Autrice studia tutte le diverse forme di immagine precedentemente separate in rigide classificazioni, e solo in questo modo arriva a chiarire quali informazioni esse offrano riguardo all’anima e agli dèi. Dunque, utilizzare come criterio di lettura la distinzione fra diverse figure retoriche non è utile per la comprensione del significato filosofico delle immagini presenti nei dialoghi.

Inoltre, non sempre le immagini sono presentate in modo esplicito nei dialoghi come tali. In alcuni casi chi parla afferma esplicitamente di stare per utilizzare un’immagine: ad esempio, l’immagine dell’anima umana proposta nel libro IX è detta da Socrate essere una εἰκών (588b10); egli introduce l’immagine della caverna invitando gli interlocutori ad immaginarsi (ἀπείκασον, 514a1) una tale situazione. In altri casi, invece, la transizione dall’argomentazione all’immagine avviene ex abrupto e senza esplicitazioni. Inoltre, in alcune occasioni si segnala la presenza di un’immagine attraverso l’uso di alcune espressioni, come ὡς e ὥσπερ: ad esempio, il dialettico deve affrontare la confutazione «come in battaglia» (ὥσπερ ἐν μάχῃ, 534c1). Infine, possono essere qualificate come «immagini» anche solo brevi sentenze o addirittura singole parole che presuppongono un paragone: così sarà, come si vedrà più avanti (cap. 5.1), il riferimento ai γυμνάσια dell’anima, che impone all’ascoltatore di paragonare l’esercizio dell’anima a quello del corpo358.

Se dunque né le distinzioni contemporanee fra diverse figure retoriche, né criteri meramente linguistici, possono assere d’aiuto nello stabilire criteri metodologici per leggere le immagini dei dialoghi, quali criteri possono invece essere utili? Linda Napolitano ne ha

357 Cf. Pender 2000, cap. 1.

358 Così Petraki 2011, 61: «the Republic is also laden with imagery that is not labelled as eikones in the dialogue.

These images are introduced by means of certain linguistic markers (such as ὡς or ὥσπερ), demonstrating the author’s intention of bringing together into a single conceptual environment two different themes or ideas. Finally, there is also one last category of imagery which the term “imagistic diction” describes most accurately. From a structural perspective, these can be identified as shorter linguistic units, often restricted to short sentences or even mere words, also of traditional and poetic origin, whose adoption and adaptation in the Republic requires that the audience be fully engaged in a constant act of visualisation and comparison». Corsivi dell’Autrice.

individuati tre: contesto, scopo e coerenza359. Innanzitutto, il significato dell’immagine

dipende dal contesto in cui essa è inserita: contesti dialogici diversi possono richiedere l’uso di immagini diverse, e, d’altra parte, la stessa immagine potrebbe essere utilizzata in modi diversi in contesti diversi. Per questo motivo bisogna valutare, di volta in volta, quale sia lo

scopo dell’uso dell’immagine, che chiaramente dipende dal contesto dialogico360. Dunque,

leggere un’immagine platonica richiede la capacità di comprendere quali siano le motivazioni che spingono il parlante a fare uso di questo particolare tipo di forma del discorso, piuttosto che dell’argomentazione razionale, e perché, nel contesto, scelga proprio quell’immagine. Inoltre, ogni immagine ha una propria coerenza, sia interna, rispetto a se stessa, sia esterna, cioè in relazione al contesto in cui è inserita.

Stabiliti dunque questi criteri di base per leggere l’immagine platonica, bisogna chiedersi quale possa essere la sua funzione. Infatti, molto spesso, in particolar modo nella letteratura critica di stampo analitico, si vede nell’immagine un mero ornamento stilistico; anzi, l’uso di questa forma discorsiva sarebbe addirittura d’intralcio alla comprensione delle argomentazioni filosofiche: il λόγος filosofico può, e dovrebbe, fare a meno di essa perché

359 Napolitano 2007, Introduzione.

360 Si prendano in esame, ad esempio, le metafore agonistiche. Spesso lo scontro descritto in termini agonistici è

quello fra le tesi opposte degli interlocutori: il dialogo, dunque, si configura come competizione. Nell’Eutidemo, il sofista che dà il nome al dialogo assale Clinia con le sue argomentazioni, e Socrate incoraggia Clinia a resistere al terzo assalto e a non soccombere, come accade nella lotta: per riportare la vittoria, infatti, bisognava atterrare l’avversario per tre volte (Euthyd. 277d). Gli interlocutori lottano corpo a corpo per ottenere la vittoria nell’agone dialettico. Questo dialogo è particolarmente ricco di immagini agonistiche: l’arte praticata dai due sofisti Dionisodoro ed Eutidemo è paragonata al pancrazio, in cui essi non hanno rivali (271c), e le loro argomentazioni ai colpi del pugile (303a). Nel Protagora Socrate e l’omonimo sofista si sfidano nell’interpretazione di un carme di Simonide e Socrate rimane colpito dall’esegesi di Protagora come dal colpo di un pugile (Prot. 339e). È Protagora stesso a vantarsi di aver vinto molte gare di discorsi (335a, ἀγὼν λόγων), che lo hanno reso famoso in tutta la Grecia. Metafore agonistiche ricorrono anche nel corso della discussione con altri grandi sofisti dell’epoca, come Gorgia (Gorg. 456d-457c, 460d) e Ippia: Hipp. Maj. 304a, e Hipp. Min. 364a (Anderson 1981 nota il ricorrere di analogie sportive nell’Ippia Minore, ma ritiene che esse siano utilizzate per dimostrare la non validità delle metafore agonistiche nel contesto etico – posizione assai debole, sia perché si basa su un solo argomento, la critica di Aristotele in Met. 1025a, sovrapponendo così Aristotele al testo platonico, sia perché non rende ragione del fatto che il ragionamento analogico è una costante dell’argomentare platonico; si vedano le critiche di Fox 1982).

Questo catalogo potrebbe far pensare che l’agone ginnico sia utilizzato solo per descrivere lo scontro eristico così come concepito dai sofisti, in quanto il contesto, in tutti e tre i dialoghi, è di una discussione con un sofista, il quale, è noto, non ha di mira la verità, ma la vittoria. Questo aspetto agonistico della discussione dialettica, però, non è assente dagli altri dialoghi, dove però è assente l’elemento di competizione aggressiva ed eristica con il sofista: cf. ad es. Phaedr. 245b; Theaet. 162b, 169a; Phil. 28b. Dunque, lo stesso tipo di metafora può essere utilizzato sia per esprimere la competizione con l’erista, che mira alla vittoria, che quella con un interlocutore ben disposto, che mira alla verità. Però, vista la netta prevalenza di immagini agonistico-competitive in dialoghi in cui si affronta la discussione con un sofista, si potrebbe ipotizzare che esse siano usate per descrivere il modo in cui la discussione è concepita dai sofisti tessi (per approfondimenti rimando a Capra 2001, elegante studio sul

Protagora, in cui l’Autore dimostra come Socrate usi le stesse armi dei sofisti nel discutere con loro). Infatti, nei

dialoghi tardi prevalgono metafore ginniche che non hanno a che fare con la competizione agonistica, ma con l’allenarsi insieme: cf. ad es. Theaet. 164c-d, e i passi di Parm., Pol. e Soph. analizzati infra, cap. 5.2. Per lo studio di tutte le diverse sfumature assunte, in contesti diversi, dalla metafora della battaglia, rimando a Canino 1998a.

non può veicolare contenuti di conoscenza361. In fondo, i miti, le analogie, i paragoni, le

metafore di cui i dialoghi di Platone sono ricchi rappresenterebbero solo un cedimento del filosofo nei confronti del suo amore giovanile per la poesia, da ripudiare in quanto anti- filosofico362. Una presa di posizione così duramente univoca, però, non riesce a comprendere

che l’uso di immagini da parte di Platone, pur riprendendo certamente temi propri della tradizione letteraria greca, non si limita a ripetere tale tradizione, ma si pone in un continuo confronto critico con essa. Platone, dunque, accoglie il materiale che la sua tradizione culturale mette a disposizione e lo rielabora per i propri fini filosofici. Ciò risulterà chiaro quando, nei capitoli che seguono, si vedrà il modo in cui egli sfrutta le immagini eroiche per proporre il filosofo come nuovo modello di eroe, superiore rispetto a quelli della tradizione omerica (cap. 4), e come rielabora i motivi delle due vie (cap. 3.3) e dell’età dell’oro di Esiodo (cap. 6), dando loro un nuovo significato filosofico (che, per quanto riguarda l’immagine del bivio, si era già visto emergere nel mito di Prodico)363.

Le immagini, perciò, hanno sicuramente una funzione nell’economia argomentativa dei dialoghi. Sarebbe però riduttivo affermare che questa sia solo ed esclusivamente

descrittiva. Non si può negare che, almeno in alcuni casi, l’immagine abbia questo tipo di

funzione e che dunque si limiti ad esprimere ciò che potrebbe facilmente essere detto in altri termini. Ad esempio, l’immagine dell’anima umana narrata nel libro IX della Repubblica (588b ss.) riprende temi che sono già stati affrontati nel corso del dialogo, descrivendo in modo vivido la struttura dell’anima stessa, ma non è strettamente necessaria ai fini dell’argomentazione: si limita, infatti, a ricapitolare i risultati già raggiunti nella discussione. In questo caso, l’immagine è un utile strumento illustrativo-descrittivo che permette di offrire informazioni in modo preciso e facile da ricordare, ma potrebbe facilmente essere rimpiazzata da altri strumenti argomentativi.

Il ruolo delle immagini nei dialoghi, però, va ben oltre: oltre ad essere meramente descrittivo, esso appare anche conoscitivo. Alcune immagini non si limitano ad esprimere per via metaforica ciò che potrebbe essere espresso in altro modo, ma hanno un ruolo importante nell’elucidazione delle teorie filosofiche espresse. In particolare Elizabeth Pender ha approfondito lo studio di questo aspetto dell’uso delle metafore nei dialoghi: esse hanno «the

361 Ad esempio, anche Annas 1981 lamenta a più riprese, nel corso della sua analisi della Repubblica, che le

immagini di cui essa è ricca rappresenterebbero un ostacolo alla comprensione del contenuto filosofico dell’opera.

362 Si vedano i giudizi espressi infra, cap. 4, 161, nota 419.

363 Per approfondimenti su questo tema rimando a K. A. Morgan 2000, interessante e dettagliato studio che

prende in esame le modalità in cui Platone rielabora il materiale tradizionale per la composizione dei suoi miti filosofici.

special power to express the inexpressible»364, sono non solo utili strumenti per chiarire tesi

filosofiche altrimenti espresse, ma parte stessa dell’argomentazione filosofica. Si tratta dunque in molti casi di una forma argomentativa altra rispetto a quella razionale, ma non per questo inferiore o comunque meno degna di essere presa in seria considerazione da parte dei filosofi365. Le immagini, mettendo in relazione ciò che è meno noto, e da spiegare, con ciò

che è più noto, permettono la comprensione e la concettualizzazione dell’elemento meno noto che è oggetto di indagine. Dunque, non si limitano a sostituire ciò che potrebbe essere detto in altro modo, ma offrono un accesso epistemico all’oggetto d’indagine diverso rispetto a quello offerto dal linguaggio ordinario. Esse sono dunque modalità che permettono di organizzare un concetto366. Come si vedrà più avanti, ciò risulta evidente dall’uso che Platone fa delle

metafore ginniche ed eroiche nei libri centrali della Repubblica: queste non permettono solo di illustrare l’educazione del filosofo descrivendola nei termini di una ginnastica dell’anima, ma affermano che l’educazione è una ginnastica dell’anima, concettualizzandola proprio in questi termini367.

Elizabeth Pender argomenta queste posizioni facendo leva in particolar modo sull’analisi della nozione di παράδειγμα nel Politico368. Non c’è modo di soffermarsi in questa

sede su questo passo di grande complessità, ma si può notare che nella Repubblica, dialogo che sarà oggetto del resto della ricerca, per ragioni che saranno a breve spiegate, lo stesso strumento concettuale è utilizzato per comprendere le struttura dell’anima. Infatti, dal momento che trovare la giustizia nell’individuo risulta essere difficile, Socrate propone di indagare prima che cosa sia la giustizia nella città, come se una persona debole di vista,

364 Pender 2000, 1.

365 Su questo punto insiste particolarmente Napolitano 2007, ma si veda già Napolitano 1994. Non possono non

venire in mente le celebri parole di Socrate nel Fedone: egli invita, in attesa dell’esecuzione della condanna a morte, a «indagare con la ragione e discorrere con miti (διασκοπεῖν τε καὶ μυθολογεῖν) su questo viaggio verso l’altro mondo e dire come crediamo che sia» (61e1-2, tr. it. Reale 2000c). Le due forme di indagine, attraverso l’argomentazione razionale (διασκοπεῖν) e la narrazione mitica (μυθολογεῖν), sono poste sullo stesso piano come ugualmente degne dell’attenzione del filosofo.

366 Pender 2000, 20. L’Autrice si sofferma a discutere le conclusioni di diversi autori contemporanei che hanno

studiato questo tema, in particolare Lakoff – Johnson (1980), Black (1962), Boyd (1993) e Kittay (1987), condividendo le posizioni di Kittay. Infatti, autori come Lakoff – Johnson, Black e Boyd, probabilmente influenzati da una certa filosofia del linguaggio di stampo wittgensteiniano, difendono una posizione molto netta: la metafora crea nuova realtà e tutto il linguaggio è intrinsecamente metaforico. Chiaramente, questi autori resistono all’idea dell’esistenza di una realtà esterna rispetto al soggetto conoscente. La posizione di Kittay è più sfumata: la metafora non crea realtà, ma genera nuova conoscenza riguardo la realtà applicando termini di un dominio linguistico ad un altro dominio; non si limita a sostituire ciò che potrebbe essere detto in un altro modo, ma offre un accesso epistemico che il linguaggio ordinario non permette (21-22). Ciò rende la metafora uno strumento conoscitivo insostituibile per la concettualizzazione dell’esperienza. Cf. anche la citazione infra, 141, nota 373.

367 Anche Goldschmidt 1947, nel suo importante, sebbene datato, studio sulla nozione di παράδειγμα nella

dialettica platonica, dimostra che il paradigma, procedendo per analogia, permette di comprendere la struttura di ciò che è oggetto di indagine (cf. in particolare 36-37).

faticando a leggere lettere scritte in caratteri piccoli e poste a grande distanza, spostasse lo sguardo su la stessa cosa scritta in lettere più vicine a caratteri più grandi: in questo modo, risulta più facile mettere a fuoco le lettere grandi, per poterle confrontare poi con quelle più piccole369. Una volta trovata la giustizia nella città, la si può confrontare con quella

nell’individuo, per controllare se effettivamente siano la stessa, e procedere dunque in questa continua operazione di analogia per scoprire che cosa sia la giustizia nell’uomo370.

Come ha messo bene in luce Mario Vegetti in più studi sull’analogia fra anima e città nella Repubblica, questa operazione non ha un fine meramente descrittivo, ma conoscitivo: la «giustizia in grande» nella città non è solo un modo per illustrare che cosa sia la giustizia nell’individuo, ma serve alla concettualizzazione stessa della giustizia nell’anima. Infatti, il libro IV è radicalmente politico: il problema affrontato è quello del potere, sia a livello intrapsichico, sia a livello della città. Dunque, i rapporti che si instaurano all’interno della città sono usati per concettualizzare i rapporti all’interno dell’anima, e servono alla comprensione di quest’ultimi. L’anima è compresa nei termini dei rapporti gerarchici di potere che si instaurano fra elementi diversi, proprio come accade nella città371. L’analogia è

certamente imperfetta, ma apre una prospettiva che rende l’esperienza interiore del conflitto dell’anima comprensibile e descrivibile372. È in questo senso che si può dire che l’immagine

abbia una funzione conoscitiva373.

369 Resp. 368d1-369a3: «mi pare che la ricerca debba essere impostata come se a persone deboli di vista si

volessero far leggere, a grande distanza, parole scritte in caratteri minuti finché a un certo punto a qualcuno non venisse in mente che le stesse parole comparivano anche in altro luogo in scrittura più grande e su uno spazio maggiore. Direi proprio che costui riterrebbe un vero e proprio colpo di fortuna poter leggere prima quelle parole e poi andare a controllare quelle più piccole, per vedere se per caso non siano le stesse. [...] È quindi verosimile

Nel documento Ponos. Platone e le fatiche della filosofia (pagine 135-142)