Parte II. Il πόνος della filosofia
4.1 Alcune riflessioni sul concetto di μίμησις nella Repubblica
Per comprendere il significato delle immagini eroiche ed agonistiche presenti nella
Repubblica è dunque necessario prima di tutto rendere almeno breve conto di alcuni aspetti
del rapporto tra Platone e la poesia, della «antica rivalità» tra filosofia e poesia427, che, come
accennato, non può essere ridotta ad una mera opposizione, ad una condanna dell’arte da parte della razionalità filosofica. D’altra parte, non è possibile trattare in modo compiuto in questa
423 Si veda Elias 1984, cap. 1.
424 Arieti 1991 ritiene che i dialoghi debbano essere letti come «work of art, of literature, of drama» (4, corsivi
dell’Autore), e «the philosophical arguments in them are subordinated to the drama» (5), traendo la conclusione che Platone miri «at an emotional reaction and not at discursive learning» (248).
425 Cf. Verdenius 1944, 123, nota 3.
426 I giudizi di Callimaco (fr. 589 Pfeiffer), di Duride (76 F 83 FgrHist) e Longino sono riportati da Giuliano
2005, 5. Essi si trovano citati in una pagina del commento di Proclo al Timeo platonico (I 90.16-28 Diehl).
427 Resp. 607c3. In realtà non è chiaro quale sia l’antica rivalità cui Platone si sta riferendo, dal momento che non
sembra esserci traccia di essa nella tradizione letteraria precedente. Murray 1996, 231, commenta che «one suspects that it was largely of his own making». Secondo Nightingale 1995, 60, non si tratta di una notizia storicamente attendibile, ma di una strategia retorica volta a definire la filosofia come antagonista della poesia e ad investirla di uno status quasi atemporale. Per un’accurata analisi del passo, si veda Most 2011.
sede un tema così ampio, che richiederebbe uno studio approfondito anche di altri dialoghi, come lo Ione, il Fedro e le Leggi, e una revisione di tutti i problemi metafisici ed etici legati alla poesia in tutte queste opere428. Una tale ricerca dovrebbe prendere in esame le diverse
sfaccettature secondo cui Platone affronta il tema: dal problema epistemologico dell’imitazione, al significato dell’ispirazione poetica inviata dalle Muse, al rapporto fra poesia e τέχνη, al ruolo della poesia nella vita politica della città429. Il presente capitolo
cercherà invece di enucleare solo uno dei tanti aspetti del tema: il ruolo educativo della poesia e come essa proponga dei modelli di riferimento a cui i suoi fruitori adeguano il proprio agire. Tali modelli sono, in particolar modo, dèi ed eroi. Dunque, il problema affrontato sarà di carattere eminentemente mimetico-paideutico. In questo modo si riuscirà a dimostrare che il ricorrere di immagini agonistiche, belliche ed eroiche nella Repubblica deve essere inteso come il modo in cui Platone rivaleggia con la tradizione poetica, proponendo dei modelli di comportamento alternativi a quelli cantati dai poeti, che ad un’attenta analisi si rivelano essere spesso immorali e fuorvianti. Queste considerazioni, per quanto basate sulla discussione della poesia che si trova nella Repubblica, non si limitano però a questo solo dialogo, ma riescono anche a rendere ragione della presenza di metafore belliche, agonistiche ed eroiche rinvenibili in tutto quanto il corpus, come è stato messo in luce nei paragrafi precedenti. Si riuscirà così a dimostrare che Platone intende sfruttare i mezzi comunicativi propri della sua cultura per riscrivere il modello di comportamento da seguire: non più l’eroe omerico – eroe che si rivela essere volubile, caratterialmente instabile – ma il filosofo, il cui compito è descritto – lo si è visto – come la più grande delle imprese eroiche, la più importante delle battaglie, lo sforzo agonistico supremo.
Il problema della poesia è affrontato da Platone nella Repubblica, com’è noto, in due sedi separate: i libri II-III e il libro X. Le critiche che egli muove alla tradizione poetica in queste due trattazioni sono state spesso lette come una condanna completa di tutta quanta la poesia in generale: Platone bandirebbe tutti i poeti dalla città ideale430. Questa interpretazione,
però, non solo è eccessivamente semplicistica, ma del tutto falsa, perché in entrambi i luoghi del testo platonico una tale condanna della poesia non può essere rintracciata: nel libro III,
428 Giuliano 2005, 7-17, offre una sintesi molto efficace, citando tutti i principali lavori sul tema. L’aspetto
interessante che emerge dalla sua revisione – e che mostra tutte le difficoltà che deve affrontare chi voglia occuparsi del tema – è che non si può parlare di una storia della critica che prosegua in modo evolutivo: idee espresse e poi trascurate riaffiorano periodicamente e, per parafrasare l’immagine usata da Giuliano stesso, la storia della critica non può essere rappresentata come una retta, ma come un circolo.
429 Tutti questi temi sono trattati in modo approfondito da Giuliano 2005, cui rimando per una bibliografia
esauriente. Per il rapporto fra poesia e τέχνη si veda l’approfondito studio di Levin 2001.
430 Cf. ad es. Partee 1970 (criticato da R. W. Hall 1974), Gulley 1977, Klein 1989. Si veda anche il giudizio di
Murphy 1951, 224. T. Gould 1964 ritiene che la concezione platonica della poesia sia del tutto assurda e afferma laconicamente: «Aristotle’s conclusions are right and Plato’s wrong. So much is certain» (75).
infatti, non tutta quanta la poesia è condannata, ma solo quella che propone dei modelli di comportamento scorretti; la μουσική continua ad essere parte fondamentale dell’educazione del guardiano, in quanto porta a provare naturalmente piacere per ciò che è bello e armonico – l’armonia della μουσική si traduce nell’armonia dell’anima. Anche nel libro X, dove Platone sferra alla poesia un feroce attacco di carattere ontologico, criticando il poeta perché egli si trova «a tre distanze dalla verità» (è imitatore dell’imitazione dell’idea), nonostante tutto una certa parte di essa è mantenuta all’interno della città: gli inni per gli dèi e gli encomi per gli uomini valorosi431.
Altri, invece, hanno ritenuto che Platone sia incoerente e che le trattazioni presenti nei due luoghi si contraddicano a vicenda432. Infatti, mentre nel libro III una qualche forma di
poesia imitativa è ammessa all’interno della città – la poesia che imita modelli buoni – la trattazione del libro X si apre con una condanna di tutta quanta la poesia imitativa433. Però,
non solo è Platone stesso a collegare tra di loro i libri III e X, affermando, all’inizio del libro X, di essere stato persuaso da quanto detto nel libro III, ma bisogna anche ricordare che questa posizione è già stata confutata, e si è dimostrato che le due trattazioni mostrano invece una coerenza concettuale di fondo434. Certamente si possono notare alcune discrepanze, ma si
può rendere conto di esse ricordando che il contesto dei due passi è diverso: infatti la discussione del libro X giunge dopo l’introduzione di elementi fondamentali non presenti nel libro III, come la tripartizione dell’anima e l’esistenza delle idee; è Platone stesso, infatti, a menzionare la tripartizione dell’anima come elemento che corrobora le constatazioni precedenti (595a5-b1) 435 . Il libro X costituisce dunque un approfondimento delle
problematiche già trattate, reso possibile dalla nuova cornice ontologica e gnoseologica
431 Resp. 607a4-5.
432 Questo è, ad esempio, il giudizio di Hwang 1981, Annas 1981, 336ss., Urmson 1982, Murray 1992, 41.
Annas 1982, 12, parla di una «split attitude» di Platone nei confronti della poesia, di una tensione fra il riconoscerne l’importanza educativa e il ridurla a mera trivialità.
433 Resp. 595a. Però, alla fine della trattazione, Socrate ammette all’interno della città «inni agli dei ed encomi
per gli uomini virtuosi» (607a4-5): così, il libro X sarebbe in contraddizione non solo con il libro III, ma anche con se stesso.
434 Belfiore 1984 ritiene che da essi si possa addirittura trarre una teoria coerente dell’imitazione, e che abbiano
una «structural and thematic unity» (123). La sua analisi si limita a soli due passi: 392c-398b per quanto riguarda il libro III, e 595a-608b per il libro X. Anche Levin 2001 ritiene che le due trattazioni siano coerenti. Tale opinione è condivisa anche da Untersteiner 1966, Griswold 1981, 141, Giuliano 2005, 71, e, su linee diverse, da Marušič 2011 (egli infatti non accetta la distinzione tra i due significati di imitazione che sarà a breve discussa). Nehamas 1998 [1982], 299-301, ritiene che, nonostante non sia possibile trovare una coerenza perfetta tra i due passi, essi non si contraddicano: il libro X costituisce un approfondimento dei libri II e III.
435 Nonostante ciò, nel libro X Platone sembrerebbe fare riferimento ad un modello bipartito dell’anima,
distinguendo solo una parte razionale e una non razionale. Tale incoerenza trova una semplice giustificazione nel fatto che la tripartizione dell’anima non è necessaria ai fini dell’argomentazione del libro X. Destrée 2011 e Singpurwalla 2011, invece, cercano di dimostrare che la tripartizione è rintracciabile, seppur implicitamente, anche nel libro X.
delineata nei libri centrali dell’opera436. Fra tutti gli argomenti portati a favore di questa tesi,
uno in particolare è di interesse per la presente ricerca. L’apparente contraddizione tra i due luoghi è dovuta al fatto che le due trattazioni rispondono ad esigenze diverse e trattano il problema della μίμησις da punti di vista diversi437.
Infatti, nel libro III la discussione verte intorno al concetto di μίμησις inteso come «impersonare», «comportarsi come», «riproduzione» di un uomo sia negli aspetti esteriori (voce, espressione), sia negli aspetti caratteriali e comportamentali. Il soggetto imitante assume su di sé le caratteristiche dell’oggetto imitato, arrivando ad emularlo, assimilandosi ad esso438. È proprio per questo motivo che la μίμησις ha rilevanza educativa: l’imitante,
attraverso l’emulazione di comportamenti, assume gli abiti, buoni o cattivi, delle persone che imita. È importante sottolineare il fatto che il rapporto di emulazione avviene su due livelli: ad un primo livello, è il poeta che emula e riproduce i personaggi di cui canta; ad un secondo livello, sono i fruitori della poesia ad essere calati in questo rapporto mimetico-emulativo. Invece, nel libro X si esplora il concetto di μίμησις come «rappresentazione», «creazione di una copia»439. La critica di Platone nel libro X si muove su due livelli, ontologico e
gnoseologico440. Per quanto riguarda l’aspetto ontologico, la discussione mira a trovare
l’essenza della μίμησις, problema rimasto inesplorato nel libro III, perché tale ricerca è resa ora possibile dall’introduzione della teoria delle idee nella parte centrale dell’opera. La poesia oggetto di critica non è imitazione, ma imitazione di imitazione, in quanto riproduce gli oggetti sensibli, che sono a loro volta imitazione delle idee. Essa si colloca così a tre gradi di
436 Questo tema è approfondito in particolar modo da Gastaldi 2007. Brisson 2005, 25, ritiene che sia proprio la
critica ontologica del libro X che permette di comprendere quella etico-politica dei libri II-III. Si vedano anche Asmis 1992, 350, e Halliwell 2005, 43.
437 Già Tate 1928 e 1932 aveva notato la non univocità del concetto di imitazione. Egli ritiene che si possano
distinguere in Platone due tipi di imitazione, una «buona» e una «cattiva». La buona imitazione è quella che imita il mondo ideale, ed è quella praticata dai filosofi, «pittori di costituzioni» (Resp. 500e-501c), che imitano le idee. La cattiva imitazione, invece, prende a modello gli oggetti che appaiono ai sensi e dunque non è fondata sulla conoscenza. I lavori di Tate hanno il pregio di dimostrare che la bontà dell’imitazione dipende dalla bontà del modello imitato, anche se egli sbaglia nel ritenere che il buon imitatore debba necessariamente conoscere in senso epistemico il modello che imita: infatti, nella Repubblica non sono i filosofi stessi a farsi poeti-imitatori, ma impongono le direttive che la poesia deve seguire (ad esempio, decidono quali favole debbano essere insegnate ai bambini, quali metri utilizzati, quali i contenuti: questo tema è affrontato nel libro III). Dunque, un bravo poeta potrebbe fare una buona imitazione seguendo il buon modello deciso dai filosofi. L’aspetto su cui non si può concordare con Tate è la distinzione di due tipi di imitazione. Infatti, in entrambi i casi si tratta di un
solo tipo di imitazione – imitazione intesa come rappresentazione, copia di un modello – che si rivolge a modelli
diversi, buoni e cattivi (la stessa critica a Tate è mossa anche da Nehamas 1998 [1982], 298 nota 9). Come si mostrerà subito, i due tipi di imitazione devono essere intesi in modo diverso, come due sensi in cui la parola imitazione viene utilizzata.
438 Giuliano 2005, 22, usa la definizione «mimesis di uomini»; Halliwell 2002, 51, parla di «emulation», «self-
likening», «psychological assimilation».
439 Giuliano 2005, 22, usa la definizione «mimesis di cose».
440 Gastaldi 2007 mette bene in luce questi due livelli e la loro relazione. Le riflessioni che seguono prendono
distanza dalla realtà441. Platone crea così una gerarchia ontologica discendente, dove al primo
livello si colloca la realtà ideale, al secondo il mondo sensibile, al terzo la riproduzione del sensibile. A livello gnoseologico, il poeta non conosce ciò che imita. L’argomentazione si fonda sulla distinzione fra tecniche d’uso e tecniche di produzione, esemplificata attraverso la semplice immagine del cavaliere, delle redini e del costruttore di redini442. Solo il cavaliere
conosce veramente le redini, perché sa come usarle; ad un livello inferiore si situa la tecnica dell’artigiano che lavora il cuoio, il quale segue le indicazioni del cavaliere per produrre buone redini, e ancora più in basso la tecnica del pittore che dipinge le redini, ma è privo sia della conoscenza propria del cavaliere, sia di quella posseduta dall’artigiano (601b ss.).
Nonostante il libro X si dilunghi su tali aspetti epistemologici e gnoseologici, bisogna notare che il problema educativo-mimetico non è assente da esso. Infatti, il bersaglio principale è proprio Omero – e in seconda battuta Esiodo – non in quanto produttore di immagini, ma proprio in quanto «educatore della Grecia» (606e1-3). Emerge così chiaramente, come si era già anticipato, che la critica ontologica e gnoseologica serve come base d’appoggio per approfondire la critica educativa. Il poeta imita modelli ontologicamente degradati e non conosce ciò che imita: non si può lasciare che sia la sua arte a trasmettere i valori fondanti della comunità. L’esempio del lutto del padre che perde il figlio, su cui si tornerà nel corso dell’argomentazione, mostra come anche nel libro X Platone si interessi degli effetti psicologici e pedagogici della poesia, e anche in esso si possa rintracciare il primo significato di μίμησις 443.
Questa duplice valenza del termine μίμησις non denota una mancanza di precisione o un’incoerenza da parte di Platone: non si tratta di un illecito slittamento semantico, ma di due aspetti coesistenti di un concetto molto complesso. Infatti, è stato ormai dimostrato che il concetto di μίμησις, già prima di Platone, non corrisponde al nostro concetto di «imitazione» nel senso di rappresentazione, ma ha una valenza semantica molto più ampia, che abbraccia,
441 Le pagine in cui Platone rivolge la critica ontologica alla poesia sono state ampiamente studiate. Per
approfondimenti, si vedano Annas 1981, 336-343; Janaway 1995, cap. 5; Nehamas 1998 [1982], il quale ritiene che l’attacco sia rivolto alla sola poesia, e non anche ad altre forme d’arte, come la pittura. Griswold 1981 propone una tesi che si distanzia dall’interpretazione più comune: l’attacco alla poesia sarebbe da leggere in chiave ironica e Socrate starebbe deridendo proprio il modo di esprimersi dei poeti, introducendo le idee di «letto» e «tavolo», che richiamano i piaceri del cibo e del sesso, propri della parte inferiore dell’anima; il suo discorso dovrebbe essere letto come una caricatura. Anche Halliwell 2002, 57, nota l’enfasi retorica ed ironica del passo, ma non ritiene che per questo esso debba essere interpretato come una caricatura. Il problema della rappresentazione mimetica è stato anche studiato in rapporto alla teoria dell’ἐνθουσιασμός poetico esposta nel
Fedro e nello Ione, cercando di enfatizzare il rapporto di vicinanza-distanza fra il poeta e la divinità: Verdenius
1962, 1-23; Murray 1992; Giuliano 2005, 191-204. Si noti, inoltre, che a Leg. 719c mimesi e ispirazione divina sono strettamente collegate.
442 Su questo tema resta fondamentale l’opera di Cambiano 1971, in particolare 158-172. 443 Gould 1990, 29-35; Vegetti 2007a, 14.
oltre all’aspetto rappresentativo e riproduttivo, l’impersonare e l’emulare444. Dunque,
l’apparente incoerenza dei due passi, spesso criticata negli studi accademici, è dovuta al fatto che la discussione si concentra su aspetti diversi dello stesso concetto.