Parte II. Il πόνος della filosofia
3.2 Il mare del ragionamento
Per il momento tralasciamo la discesa del filosofo nella caverna (su di essa si tornerà in seguito) e soffermiamoci sull’impresa compiuta da Socrate nella casa di Cefalo. Infatti, l’immagine della catabasi non è l’unica immagine attraverso cui Platone descrive l’impresa di Socrate in termini eroici. Nel libro V egli introduce la metafora del viaggio pericoloso attraverso il mare381. Si tratta di un’altra reminiscenza odissiaca: il «mare» da affrontare, però,
è il mare del λόγος, del ragionamento e del dialogo. Socrate si mostra riluttante a discutere tre problemi spinosi: l’educazione delle donne, la struttura della famiglia e il governo dei filosofi. Tuttavia, la difficoltà nell’affrontare tali problemi non è motivo sufficiente per tralasciarli. Quando Glaucone, dopo aver invitato Socrate ad offrire risposte a questi problemi che è restio ad affrontare, nota che si tratta di un argomento per niente semplice, Socrate ribatte:
[So.] Non lo è, infatti – confermai –. E tuttavia vale pur sempre il principio che sia che uno cada in una piccola vasca, sia che cada nel bel mezzo del vasto mare, deve pur sempre nuotare allo stesso modo.
[Gl.] Questo è certo.
[So.] Dunque, per cercare di uscire indenni da un tale ragionamento non ci resta che nuotare, a meno che non si speri che un qualche delfino ci prenda sul dorso, o in qualche altra impossibile via di salvezza (ἄπορον σωτηρίαν)382.
La difficoltà dell’affrontare questi problemi non può essere aggirata: non c’è una via di salvezza che permetta di evitare la faticosa traversata del mare del ragionamento, non c’è un aiuto divino, come il delfino che salva Arione, che salvi Socrate dalla difficoltà di argomentare a favore delle sue posizioni, così inusuali e, per questo motivo, facilmente aperte a critiche. L’illusione della possibilità di un miracoloso aiuto esterno è una via di salvezza impossibile, anzi, letteralmente una via di salvezza non percorribile (ἄπορον σωτηρίαν).
381 Come nota Segal 1978, 334, «the metaphors are familiar, almost trite».
382 Resp. 453d5-11. L’immagine del delfino rinvia al mito di Arione di Lesbo, figlio di Poseidone e della ninfa
Onea (si veda Her. 1.24). Abile suonatore di lira, aveva vinto un prezioso trofeo in una competizione in Sicilia. Mentre si trova sulla nave di ritorno dalla Sicilia a Corinto, i marinai cercano di ucciderlo per impossessarsi del trofeo. Egli per salvarsi si getta in mare ed è soccorso da un delfino che lo riporta sano e salvo a terra. Halliwell 1993, 146, nota che ci potrebbero essere anche altri riferimenti: ad esempio, nel Crizia compare l’immagine delle Nereidi che cavalcano delfini (116e2). Inoltre, egli ricorda che la dialettica è descritta attraverso la metafora del nuoto e della navigazione anche a Resp. 441c4, 394d8-9; Phaedr. 264a5; Parm. 137a5-6. Quest’ultimo riferimento è particolarmente interessante perché l’espressione usata è esplicitamente «navigare il mare dei ragionamenti» (διανεῦσαι ... τοσοῦτον πέλαγος λόγων). Si veda anche Phaed. 85c-d, in cui il λόγος δυσεξελεγκτότατος è la zattera su cui affrontare la traversata del mare della vita (διαπλεῦσαι τὸν βίον, 85d1).
Πόρος, infatti, nel suo significato primario indica la rotta marina. La particolarità della rotta marina, rispetto alle vie di terra, è che essa non è tracciata, non consente di seguire la via già data. Essa deve essere ritrovata, tracciata e percorsa ogni volta dal navigante, il quale deve orientarsi in mezzo al mare e tracciare da sé la propria strada383. Πόνος e πόρος: Socrate deve
assumere su di sé il πόνος del ragionamento e attraversare questo mare nuotando con le sole proprie forze, trovando lui stesso la giusta rotta, cioè gli argomenti per sostenere le proprie posizioni così inusuali riguardo il ruolo delle donne, la comunione dei beni, il governo dei filosofi. Infatti, egli dichiara di non avere una risposta pronta e di non essere sicuro di ciò che dice (450e-451a): deve dunque faticare nel ragionamento e tale fatica è acuita dal fatto che, per affrontare questi problemi, è necessario ricominciare daccapo tutto il discorso sulla costituzione della città, cosa che solleva nuovi problemi, nuove difficoltà da superare (450a- b). Ciascuno dei tre problemi è paragonato ad un «flutto», un’onda che si abbatte sulla persona che si assume la responsabilità di guidare il ragionamento sulla giusta rotta384. Come,
durante un viaggio in mare, il navigante deve affrontare i pericoli della tempesta ed evitare che la nave venga rovesciata dalle onde (in particolare dalla terza, reputata la più pericolosa), mantenendo nel frattempo sempre la giusta rotta, così il filosofo che affronta il pericoloso mare del ragionamento deve riuscire a superare le difficoltà che gli si parano davanti ed evitare che il suo ragionamento sia «rovesciato» dalle obiezioni.
La metafora del flutto da superare è talmente importante nella struttura del libro V da essere richiamata ogni volta nei momenti in cui si dichiara un problema risolto e si apre il successivo. Dopo aver dimostrato che le donne possono governare come gli uomini, Socrate commenta:
[So.] Potremmo allora affermare che, nel trattare della legge sulle donne, almeno a questo primo flutto siamo scampati. In effetti, senza esserne totalmente travolti, siamo riusciti a stabilire che i nostri custodi devono fare tutto in comune con le rispettive donne [...].
[Gl.] In verità – osservò – non era piccolo il flutto da cui sei scampato.
383 Su questo tema si vedano le riflessioni di Napolitano 2014, 152 ss. Cf. anche Kofman 1988, in particolare 8-
13.
384 Secondo Planinc 1991, 275-285, il riferimento esplicito sarebbe al naufragio di Odisseo sull’isola dei Feaci
narrato in Od. V, 233-494. Egli ritiene che si possa trovare una corrispondenza perfetta tra ciascuna delle onde affrontate da Odisseo e ciascuna delle onde affrontate da Socrate. Halliwell 1993, 196, non è convinto di questa interpretazione, che forza il testo platonico cercando a tutti i costi analogie fantasiose. Nonostante il ragionamento di Planinc sia fuori misura, il motivo delle tre onde è certamente una reminiscenza odissiaca. Planinc 2013, inoltre, ritiene che anche nel libro VI si trovino riferimenti all’Odissea: in particolare le immagini della via più lunga, del Sole e della Linea richiamerebbero l’episodio dell’isola di Trinacria raccontato in Od. XII, 260 ss.
[So.] Aspetta a dirlo – replicai –, quando avrai visto quello che segue385.
Ciascuno dei tre flutti è più grande e difficile da superare del precedente386. Dopo aver
argomentato per dimostrare la necessità della comunione dei figli e dei beni per la classe dei custodi, in modo che nessuno abbia alcuna proprietà privata che possa distrarlo dal suo compito di governo per il bene dell’intera città, Socrate commenta nuovamente:
Quando meno me l’aspettavo – risposi – tu hai fatto un’incursione contro il mio ragionamento, senza alcun riguardo per uno che è nei guai. Forse non ti rendi conto che sono appena scampato da un duplice flutto ed ecco che me ne scagli addosso un altro che dei tre è di certo il più violento e anche il più pericoloso387.
Glaucone infatti è convinto che la città descritta da Socrate sia la migliore possibile, ma ora chiede a Socrate di dimostrarne la realizzabilità, e ciò porta a discutere lo spinoso problema del governo dei filosofi – e a dover innanzitutto a dover chiarire chi sia il filosofo.
Eccomi alle prese – risposi – con quel problema che abbiamo paragonato all’onda più violenta. Nonostante tutto, però, parlerò, anche se questo, come flutto che si apra in una fragorosa risata, dovesse sommergermi senza scampo nel ridicolo e nella vergogna388.
Socrate affronta le difficoltà del ragionamento senza lasciarsi intimorire dalla possibilità di essere sommerso dallo stesso «flutto» che cerca di affrontare. La discussione che egli affronta nella casa di Cefalo, in particolar modo per quanto riguarda le proposte avanzate nel libro V, è descritta dunque nei termini di un’«Odissea del λόγος», una difficile impresa eroica in cui Socrate, nuovo Odisseo, deve appunto affrontare il «mare del ragionamento»389. 3.3 Eracle
Un altro eroe emerge dalle pagine della Repubblica: Eracle. Nonostante l’ormai ampia
385 Resp. 457b7-c6.
386 Come nota Halliwell 1993, 196, il motivo della τρικυμία, dei tre flutti che si susseguono l’un l’altro, aveva
uno status proverbiale: cf. Euthyd. 293a3 (τρικυμίας τοῦ λόγου); Aesch. Prom. 1015; Eur. Hipp. 1213, Tr. 83.
387 Resp. 472a3-4. È da notare che nel passo Socrate usa due metafore: quella del flutto e la metafora bellica
dell’incursione (καταδρομή) contro i nemici.
388 Ivi, 473c6-9.
bibliografia sulle molte immagini che arricchiscono l’opera, la presenza di questo eroe è stata scarsamente notata e commentata. Però, i pochi riferimenti ad Eracle sono importanti per la comprensione dell’insieme di immagini eroiche che qui si sta trattando.
La stessa posizione del problema della giustizia e dell’ingiustizia da parte di Glaucone ed Adimanto nel libro II è descritta in termini che ricordano da vicino la difficile scelta di Eracle al bivio nel mito narrato da Prodico390. Innanzitutto, si tratta di un problema di scelta di
vita: a più riprese Glaucone ed Adimanto ricordano a Socrate che, pur essendo loro convinti della bontà della giustizia (368a), si avvicendano in una difesa della vita ingiusta, per fare in modo che Socrate possa difendere la vita giusta. Sono in particolar modo le parole di Adimanto a richiamare da vicino il mito di Eracle al bivio. Egli ricorda che anche chi loda la giustizia, spesso non la loda in sé, ma solo per la buona nomea che da essa deriva (363a). La vera giustizia, infatti, è difficile da acquisire e richiede sforzo e fatica, mentre la via del vizio è facile da seguire. Allora, secondo i più, è meglio sembrare giusti ma essere ingiusti, disegnare intorno a sé «un’immagine dipinta della virtù (σκιαγραφίαν ἀρετῆς)» (365d4), per ottenere facilmente sia i piaceri dell’ingiustizia che la buona fama della giustizia. Sono i poeti stessi a rinforzare queste opinioni:
trattando del vizio, ed evidenziando la facilità con cui si realizza, usano questi termini:
anche in massa la malvagità la si può prendere, con facilità. La sua strada, infatti, è senza inciampo e la sua casa molto vicina;
invece, dinanzi alla virtù gli dèi posero il sudore
e una via lunga, accidentata e scoscesa (ὁδὸν μακράν τε καὶ τραχεῖαν καὶ ἀνάντης)391.
I versi citati sono quelli tratti da Le opere e i giorni di Esiodo (287-289) già visti in precedenza392. Vi sono due possibili vie da scegliere: quella facile e rapida del vizio, o quella
aspra e difficile della virtù, che richiede fatica. A questo punto, è utile un’anticipazione
390 I pochi articoli che si soffermano sulla figura di Eracle nella Repubblica e, più in generale, nel corpus
platonicum (Brann 1967, Loraux 1985, Patterson 1997) non segnalano questa importante analogia.
391 Resp. 364c6-d3.
392 Cf. supra, Sezione I, Parte I, cap. 2.1 e 2.5. È chiaro che qui il motivo esiodeo della scelta della via è mediato
da Prodico: come nel racconto del sofista, πόνος è scelta responsabile del soggetto agente e la via della virtù (o del vizio) su cui egli decide di incamminarsi è intesa in senso morale. Comunque, la Repubblica è ricca di riferimenti ad Esiodo, in particolar modo a Le opere e i giorni: rimando a Van Noorden 2015, cap. 3, per un’analisi che si concentra in particolar modo sui libri III e VIII.
riguardo ad un tema che sarà trattato in modo più approfondito successivamente. Le parole con cui Socrate descrive la via della virtù in questo passo (ὁδὸν μακράν τε καὶ τραχεῖαν καὶ ἀνάντης) sono scelte con molta cura393: «accidentata e scoscesa», infatti, è la via d’uscita dalla
caverna (τραχείας τῆς ἀναβάσεως καὶ ἀνάντους, 515e7), e le parole ὁδὸν μακράν sembrano richiamare la μακροτέρα ὁδός del libro VI (504b2, c9): la via della virtù è la via della filosofia, difficile da intraprendere e faticosa. Ma è proprio questa difficoltà che potrebbe far desistere chi si trova al bivio tra virtù e vizio e debba scegliere, proprio come Eracle, quale delle due vie seguire. Adimanto chiede retoricamente a Socrate:
Orbene, caro Socrate, quale effetto credi che abbiano tutti questi discorsi di un tal tenore che riguardano la virtù e il vizio e la considerazione in cui son tenuti dagli dèi e dagli uomini, quando ad ascoltarli siano anime di giovani (νέων ψυχάς) di buona natura e capaci di volar alti su questi argomenti e di dedurre (συλλογίσασθαι) da essi quale sia il tipo di uomo e quale la via su cui incamminarsi, per trascorrere la vita nel modo migliore possibile (πῇ πορευθεὶς τὸν βίον ὡς ἄριστα διέλθοι)?394.
Il riferimento alla scelta di Eracle al bivio è chiaro. Anche in questo passo un giovane si trova a dover scegliere su quale via incamminarsi: quella del vizio gli è presentata come facile e piacevole, quella della virtù come difficile e faticosa. Si potrebbe affermare che Glaucone e Adimanto si impegnano ad impersonare la donna imbellettata che incita il giovane ad imboccare la via del vizio, proponendo due successive difese dell’ingiustizia. Tali difese sono particolarmente efficaci perché trattano l’ingiustizia su due piani diversi: il discorso di Glaucone difende l’ingiustizia in sé, mentre il discorso di Adimanto afferma che, anche se la giustizia fosse migliore in sé, sarebbe comunque meglio seguire la via dell’ingiustizia per i vantaggi che da essa derivano. A questo punto, e vero tutto ciò, quali motivi potrebbe avere un giovane per non scegliere questa strada? È dunque compito di Socrate – compito che occuperà tutto il resto del dialogo – porsi nella posizione di chi difende la via della vita giusta. Proprio come Virtù del mito di Prodico, egli non nasconderà che tale via è difficile e faticosa. Nei capitoli successivi si chiarirà in che cosa consista allora il πόνος della vita virtuosa di cui
393 Il traduttore, Radice 2009, giustamente fa concludere la citazione diretta di Esiodo al verso 289, ma, come
nota giustamente Adam 1902, nota ad loc., anche le parole successive di Socrate richiamano i versi esiodei. Nei versi successivi, infatti, Esiodo descrive la via della virtù come μακρός (290) e τρηχύς (291).
Socrate è il difensore395.
Se nel libro II Socrate impersona Virtù che incita il giovane Eracle a seguire la vita faticosa della virtù, in altri passi del dialogo è Socrate stesso ad essere paragonato ad Eracle. In primo luogo, Eracle è un eroe fondatore di città, proprio come Socrate, il quale si impegna a costruire una città – non una città fisica, ma una città costruita «attraverso il ragionamento» (ἐν λόγῳ, 369c9)396. Inoltre, nel corso del dialogo si trovano riferimenti alle più famose
fatiche di Eracle: l’uccisione del leone Nemeo, dell’Idra, e la discesa nell’Ade per catturare Cerbero397. Trasimaco è paragonato ad una fiera per la sua aggressività nello scagliarsi contro
Socrate (336b). Poche pagine dopo, questa fiera diventa un leone: è Socrate stesso ad affermare ironicamente di non essere «così incosciente da tosare un leone e da gareggiare in sofismi con Trasimaco» (341c1-2). Ironicamente, perché invece Socrate si impegna proprio nella confutazione di Trasimaco, e riesce a «tosare» questo leone, che alla fine del primo libro è ormai soggiogato e ridotto al silenzio. Nel libro IV, Socrate tratta dell’educazione come principio di coesione della città (424b ss.). Affinché la città sia unita, è necessario che non si modifichino le leggi riguardanti l’educazione dei guardiani. Uomini così educati, infatti, sapranno dare alla città il corretto assetto legislativo (425d7-e1), un assetto stabile e non mutevole: la stabilità della legge garantisce la coesione della città. Invece, nelle città esistenti i legislatori fanno e cancellano le leggi, modificandole di continuo, nella speranza che le novità apportate riescano a risolvere i problemi presenti. Accade però tutto il contrario: nella speranza di trovare la norma risolutiva, essi creano nuovi problemi. Non si rendono conto che «ciò equivale a tagliare la testa all’Idra» (426e8). L’implicazione di questo commento è che Socrate è l’eroe che riesce a sconfiggere davvero il mostro Idra, tagliandone le teste una volta per tutte attraverso la fondazione della città giusta. Infine, l’ultimo riferimento è alla discesa nell’Ade, di cui in parte si è già parlato. Eracle scende nell’Ade per riportare in superficie il cane a tre teste Cerbero. Ciò che Socrate riporta a sua volta alla luce da quell’Ade che è la casa di Cefalo è un modello dell’anima «sul tipo della Chimera, di Scilla e di Cerbero» (588c3-4). Egli dunque è l’Eracle filosofico che affronta il πόνος, l’impresa eroica, di scendere nell’Ade e risalire, dopo aver superato molte difficoltà, portando alla luce la struttura dell’anima umana398.
395 È bene sottolineare che Glaucone ed Adimanto non richiedono una definizione della giustizia, ma una difesa
della vita più giusta. Questa ricerca si concluderà proprio affrontando il tema del πόνος della scelta di vita (infra, cap. 7) nel mito di Er, che conclude il dialogo.
396 Brann 1967, 4. Su Eracle fondatore di città, si veda Stafford 2012, 156-160: molte città portano il nome di
Herakleia in onore del mitico eroe fondatore.
397 Le riflessioni che seguono prendono spunto da Brann 1967, 5-6.
398 Così Brann 1967, 7-8, che, però, porta anche oltre l’analogia fra Eracle e Socrate. Infatti, nel corso