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La risorsa idrica come bene comune L'abolizione del criterio della remunerazione del capitale investito e la rilevanza economica del servizio

Natura demaniale delle risorse idriche ed acqua come bene comune

Per quanto riguarda la natura giuridica pubblica delle risorse idriche - aspetto che si ritiene ostacoli l'instaurazione di un regime concorrenziale, la piena

243 Inoltre, nelle more del raggiungimento della percentuale del 25%, l'ente competente, nel rispetto della

normativa vigente, alla scadenza delle gestioni esistenti nell'ambito territoriale i cui bacini affidati siano complessivamente inferiori al 25 per cento della popolazione ricadente nell'ambito territoriale ottimale di riferimento, dispone l'affidamento del relativo servizio per una durata in ogni caso non superiore a quella necessaria al raggiungimento di detta soglia, ovvero per una durata non superiore alla durata residua delle menzionate gestioni esistenti, la cui scadenza sia cronologicamente antecedente alle altre, ed il cui bacino affidato, sommato a quello delle gestioni oggetto di affidamento, sia almeno pari al 25 per cento della popolazione ricadente nell'ambito territoriale ottimale di riferimento.

liberalizzazione e l'industrializzazione del settore244 - la gestione del servizio idrico si realizza in un ambito demaniale caratterizzato dall'indisponibilità del bene, ossia dalla sua necessaria appartenenza ad un ente territoriale e da un vincolo di destinazione all'uso pubblico. Già l'art. 1 del r.d. 1775/1933 (c.d. Testo unico sulle acque) aveva stabilito la proprietà pubblica di tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, le quali sia se considerate isolatamente, sia in relazione al sistema idrografico, avessero l'attitudine ad un uso di interesse pubblico generale. Anche l'art. 822 del codice civile ricomprende le acque nel demanio necessario, considerandole beni che, per loro intrinseca natura, non possono che appartenere allo Stato o ad altro ente territoriale ed il cui regime è finalizzato ad assicurare l'utilizzo collettivo della risorsa.245

Occorre però segnalare il recente orientamento246 che prospetta una riconduzione delle risorse idriche tra i cc.dd. beni comuni, categoria tratta dalle

res communes omnium del diritto romano e riferibile a beni che presentano

l'attitudine di soddisfare bisogni collegati all'esercizio di diritti fondamentali, oggetto non di titolarità dello Stato o di altro ente pubblico bensì di una titolarità diffusa.247 Rispetto ai beni comuni la funzione delle autorità pubbliche si

244

Sul tema, R. Caselli, P. Peruzzi, Servizi idrici tra regolazione e mercato, CSR-Proaqua, 1998, Paper n. 19. M. Bianco, P. Sestito, I servizi pubblici locali. Liberalizzazione regolazione e sviluppo industriale, cit., p. 145, ove si evidenzia che nell’atto del suo utilizzo, l’acqua presenta le caratteristiche di un bene privato come ad esempio la rivalità e l'escludibilità. Tuttavia, essendo un bene destinato a soddisfare bisogni primari, caratterizzato da rilevanti esternalità, risulterebbe preclusa la piena liberalizzazione del settore.

245 In base all'art. 823 cod. civ. tali beni sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a

favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano e sono sottoposti ad una vigilanza pubblica per assicurarne un uso corretto. In seguito anche l'art. 1 comma 1° della legge 5 gennaio 1994, n. 36 ha stabilito che tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare ed utilizzare secondo criteri di solidarietà. Tale definizione è stata poi ripresa anche dall'art. 144 del D. lgs. 152/2006. A differenza delle previsioni precedenti, ciò ha comportato l'affermazione ex lege della natura pubblica dell'acqua senza necessità di una dimostrazione caso per caso in base alle caratteristiche fisiche ed al contesto della risorsa. Sul punto, M. Gigante (a cura di), L'acqua e la sua gestione. Un approccio multidisciplinare, Napoli, 2012; V. Parisio, La gestione del servizio idrico integrato: valorizzazione della specialità e vuoto normativo, in P. Dell'Anno, E. Picozza (diretto da) Trattato di diritto dell'ambiente, vol. II, Padova, 2013, p. 125 ss.

246 Fatto proprio dai vari movimenti e comitati contrari ad ogni forma di privatizzazione ed

industrializzazione del settore e che, in particolare in occasione della promozione dei referendum del 2011, si sono aggregati sotto la sigla del Forum dei movimenti per l'acqua pubblica.

247 Lo Stato e gli altri enti territoriali non sarebbero proprietari dei beni comuni ma soltanto meri custodi.

Si veda sull'argomento, P. Maddalena, I beni comuni nel diritto romano: qualche valida idea per gli studiosi moderni, in www.federalismi.it, 11 luglio 2012.

esaurirebbe nella vigilanza sul loro corretto utilizzo affinché sia assicurata la loro trasmissione alle generazioni future.248

Dalla considerazione dell'acqua come bene comune e dall'esistenza di interessi diffusi collegati al suo utilizzo tutelabili in forza del tentativo di

universalizzare la loro soggettivazione,249 come nelle azioni popolari, anziché

accentrando la soggettivazione mediante l'imputazione di tutti gli interessi in capo

ad un ente specifico, deriverebbero i seguenti corollari incidenti sia sul versante

delle tutele che su quello ideologico relativo al governo ed alla gestione delle risorse idriche:

a) sul piano delle tutele, l'estensione generalizzata della legittimazione ad agire contro gli atti della pubblica amministrazione concernenti l’utilizzo della risorsa, anche in assenza di un interesse diretto e differenziato;

b) la necessaria predisposizione di meccanismi di governo democratici e partecipativi, in ragione dell'asserita esistenza di interessi diffusi tutelabili facenti capo direttamente ed indistintamente su tutta la collettività;

248 Sul tema, S. Rodotà, Il terribilediritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, 2013;

A. Di Porto, Res in usu publico e ‘beni comuni’. Il nodo della tutela, Torino, 2013. M. Esposito, I beni pubblici, in M. Bessone (diretto da) Trattato di diritto privato, VII, Torino, 2008, p. 1 ss.; R. Petrella, Res publica e beni comuni: pensare le rivoluzioni del XXI secolo, Verona, 2010;I beni pubblici. Dal governo democratico dell’economia alla riforma del Codice civile, a cura di U. Mattei, E. Reviglio, S. Rodotà, Roma, 2010; M. Fiorentini, L'acqua da bene economico a "res communis omnium" a bene collettivo, in Analisi giuridica dell'economia, I, 2010, p.39 ss.; U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Bari, 2011. Si veda inoltre, E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, cit., p. 227 ss.

249 A livello teorico si afferma che gli interessi diffusi sarebbero costituiti da interessi «adespoti», non

riferibili ad un soggetto determinato e dunque privi di un proprio portatore. Invece gli interessi collettivi sarebbero costituiti da interessi pur sempre di carattere sovraindividuale, ma distinguibili da quelli diffusi in forza di un criterio soggettivo. Il realizzarsi di un fenomeno di aggregazione organizzatoria degli interessi condurrebbe alla nascita dell’interesse collettivo. Il momento organizzatorio dando luogo a strutture associative preposte alla tutela degli interessi del gruppo e capaci di porsi all’esterno come enti rappresentativi di tali interessi, condurrebbe alla coagulazione degli interessi attorno all’ente portatore. In ragione di tale processo di soggettivazione, tali interessi acquisterebbero la rilevanza giuridica negata in ragione del loro preteso carattere adesposta. Secondo un criterio oggettivo invece la differenza tra interessi diffusi e collettivi si apprezzerebbe in ragione delle caratteristiche del soggetto cui viene attribuita la titolarità. Interessi collettivi farebbero capo a gruppi non occasionali, ma stabili, facilmente determinati o comunque determinabili, propri di una collettività più ristretta e ben delimitabile all’interno dell’indifferenziata collettività generale. M.S. Giannini, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, Atti del convegno di studio, Pavia 11-12 giugno 1974, Padova, 1976, p. 23 ss.; M. Cappelletti, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 192 ss.

c) la necessaria gestione pubblica del servizio, dovuta sia all'asserita impossibilità di ricavare un utile dalla gestione, sia alla necessità di favorire l'effettività dei meccanismi di partecipazione civica.

Tutela processuale e governo partecipativo

In realtà alcuni di questi principi hanno già fatto ingresso nel nostro ordinamento, in particolare con l'adesione dell'Italia 250 alla «Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale», nota come Convenzione di Aarhus, rivolta a garantire ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione ai processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l'ambiente.

La Convenzione prevede che il pubblico interessato abbia diritto a partecipare ai processi decisionali relativi all’autorizzazione di specifiche attività elencate o di attività che possono avere effetti significativi sull'ambiente (art. 6), all’elaborazione di piani, programmi e politiche ambientali (art. 7), all'adozione di regolamenti e altri atti normativi (art. 8).

Affinché le modalità di partecipazione possano consentire un miglioramento dei processi decisionali ed un effettivo coinvolgimento, occorre che il pubblico sia anzitutto informato in modo adeguato, tempestivo ed efficace, già nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale. Oltre alla diffusione delle informazioni, anche la partecipazione del pubblico deve avvenire in una fase iniziale, quando ancora tutte le alternative sono possibili e la partecipazione può influenzare effettivamente la decisione. Inoltre al momento dell'adozione della decisione, deve darsi atto dei risultati della partecipazione ed il pubblico deve essere prontamente informato della decisione.

250 La Convenzione è stata ratificata in Italia con la legge n. 108 del 16 marzo 2001. Oggi vi ha aderito

anche l'Unione europea che già con la direttiva 2003/4/CE «sull’accesso all’informazione ambientale» aveva attuato quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus in materia di informazione ambientale, estendendo l'applicazione sia sotto il profilo soggettivo - ampliando la definizione di autorità pubbliche - che sotto il profilo oggettivo, con riferimento alla nozione di informazione ambientale da rendere accessibile o diffondere. Cfr. E. Croci, La Convenzione di Aarhus: verso il cittadino consapevole, in Arpa Rivista, 2, 2004, p. 23 ss. Per quanto riguarda la partecipazione pubblica, l’adeguamento ai requisiti della Convenzione di Aarhus è stato realizzato con la Direttiva 2003/35/CE relativa alla «partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale».

Riguardo l'accesso alla giustizia, la Convenzione intende primariamente garantire che i cittadini possano ricorrere a procedure di revisione amministrativa e giurisdizionale qualora ritengano violati i propri diritti in materia di accesso all'informazione o partecipazione. Inoltre in base a quanto disposto dall'art. 9 par. 3, il pubblico deve poter promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale.

In riferimento a quest'ultimo punto, cioè alla necessità di apprestare mezzi che consentano a qualunque persona di agire contro atti o omissioni della pubblica autorità, il sistema di tutele esistente nel nostro ordinamento non è stato modificato in attuazione della Convenzione. Oltre chi lamenta la lesione diretta di un proprio diritto o interesse legittimo e le associazioni di protezione ambientale, altri non hanno la possibilità di ricorrere contro gli atti della pubblica amministrazione.251

Secondo alcuni il superamento dell'ordinario criterio di individuazione della legittimazione ad agire, rappresentato dalla titolarità della posizione soggettiva che si assume lesa e che viene dedotta in giudizio, potrebbe aversi con l'introduzione dell'azione popolare di origine romanistica, garantendo con essa la possibilità per i singoli di ottenere tutela per la lesione di diritti o interessi meta- individuali, collegati all'utilizzazione di un bene comune.252

Al medesimo risultato intende giungere quella giurisprudenza che, muovendo dalla prevista partecipazione dei cittadini ai procedimenti

251 Si sostiene invece che in presenza di atti ricadenti su beni ambientali si dovrebbe ammettere

l'estensione della legittimazione ad agire per la tutela di interessi diffusi, anche oltre il solo riconoscimento alle sole associazioni ambientaliste, già affermata in giurisprudenza in presenza dell'accertamento della loro effettiva rappresentatività. Ex multis, Tar Lombardia, 22 ottobre 2013, n. 2336, in cui l'attribuzione della legittimazione processuale in sede amministrativa alle associazioni ambientaliste viene ricondotta anche alla capacità delle associazioni di cogliere, in misura maggiore del singolo, la dimensione superindividuale degli interessi tutelati e delle relative lesioni ascrivibili ad atti amministrativi illegittimi.

252 A. Saccoccio, La tutela dei beni comuni per il recupero delle azioni popolari romane come mezzo di

difesa delle res communes omnium e delle res in usu publico, in www.dirittoestoria.it, 2013, il quale, a tal fine, sostiene la necessità di superare la contrapposizione tra interessi privati ed interessi pubblici, retaggio dell'individualismo sotteso al concetto di diritto soggettivo di matrice liberale. Infatti quelli connessi alla tutela di beni comuni non sono né interessi privati, tutelabili con vindicationes o condictiones o altro, né interessi pubblici, che riguardano la collettività come tale. «Non sono pubblici, perché la reazione è affidata comunque ai singoli; non sono privati, perché in ogni caso il privato non viene in considerazione uti singulus, ma come parte del popolo o di una più limitata o diversa collettività, come dimostra anche il fatto che l’azione popolare non entra nel patrimonio del potenziale attore».

amministrativi concernenti la destinazione dei beni pubblici, secondo le previsioni del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, ha riconosciuto la legittimazione ad agire per interessi non strettamente individuali relativi all'uso di beni demaniali.253

Il d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85 recante «Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio in attuazione dell'art. 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42» ha trasferito dallo Stato agli enti territoriali, a titolo non oneroso, vari beni demaniali, tra cui il demanio idrico. Al contempo ha previsto norme in materia di partecipazione dei cittadini ai procedimenti amministrativi riguardanti la destinazione dei beni pubblici.254In particolare, l'art. 2 comma 4 prescrive che l'ente territoriale debba disporre del bene «nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata».255

Ampliando l’analisi al tema dell’istituzione di meccanismi di governo partecipativo dei beni ambientali, ci si potrebbe domandare quanto la disciplina sul federalismo demaniale possa incidere direttamente sulle scelte in merito alla gestione ed organizzazione dei servizi idrici.

La portata effettivamente precettiva di tale norma, sia circa la legittimità delle scelte in merito all'utilizzazione dei beni demaniali in funzione dell'interesse della collettività, sia riguardo l'attribuzione della legittimazione ad agire è tuttavia controversa. Il Consiglio di Stato ha ritenuto al riguardo che «essa non contiene veri e propri precetti giuridici bensì la semplice raccomandazione ad attenersi a

253 Cfr. Tar Liguria, 31 ottobre 2012, n. 1348. 254

Nella stessa direzione, intendendo istituire il governo partecipativo del servizio idrico integrato, l'art. 8 comma 1 della legge regione Lazio 4 aprile 2014, n. 5 prevede che: «al fine di assicurare un governo democratico della gestione del servizio idrico integrato, anche in attuazione dei principi di cui alla convenzione di Aarhus, gli enti locali adottano forme di democrazia partecipativa che conferiscano strumenti di partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione, gestione e controllo ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Regione definisce, attraverso una normativa di indirizzo, le forme e le modalità più idonee ad assicurare l’esercizio di questo diritto».

255 Sul tema del federalismo demaniale, A. Police, Federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o

dismissioni locali? in Giorn. dir. amm., 2010, 12, p. 1233 secondo cui le disposizioni del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85 conterrebbero principi contraddittori: la vera finalità del trasferimenti dei beni agli enti territoriali consisterebbe più che nella loro valorizzazione funzionale, nella prevista facoltà della loro alienazione per consentire un risanamento finanziario degli enti territoriali. Nello stesso senso, P. Zerman, Il federalismo demaniale, tra interesse della comunità e risanamento del debito, in www.giustizia-amministrativa.it.

generici e ben noti canoni di buona amministrazione».256 Riguardo lo scarso ricorso a sistemi partecipativi è significativo quanto evidenziato nel «Rapporto nazionale sull'attuazione della Convenzione di Aarhus», redatto dalla Direzione Ricerca ambientale e sviluppo del Ministero dell’Ambiente.257

Con riferimento all'attuazione dell'art. 7 della Convenzione riguardante la partecipazione civica a piani, programmi e politiche, viene osservato come a livello locale siano previsti meccanismi di partecipazione del pubblico, in base a disposizioni normative e/o statutarie a livello di regione, provincia o comune. «Il D. Lgs. 267/2000258sancisce l’obbligo per comuni e province di disciplinare nei propri statuti la promozione della partecipazione del pubblico e l’accesso alle informazioni. Esempi sporadici di coinvolgimento del pubblico in processi decisionali a livello locale in materia ambientale possono essere nominati in tema di piani su gestione di acque reflue (...). Uno degli strumenti utilizzati è la creazione di forum con i cittadini. In alcuni casi sono attivate consultazioni pubbliche o procedure simili, in particolar modo a livello comunale, in merito a pianificazione urbana, interventi strutturali, piani territoriali, ATO (ambiti territoriali ottimali) e in generale sviluppo locale».

Allo stato attuale può dirsi che si è ancora ben lontani da un'estensione della legittimazione ad agire per la tutela dei beni ambientali e dalla creazione di sistemi di governo fondati su un'effettiva partecipazione del pubblico. Le istanze di partecipazione democratica alle decisioni riguardanti l'utilizzo delle risorse idriche, la tutela di interessi meta individuali e la proposta riconduzione dell'acqua tra i cc.dd. beni comuni, dimostrano comunque la fondamentale rilevanza sociale del settore idrico e l'eterogeneità degli interessi sottesi alla sua gestione. Gli obiettivi da raggiungere con la gestione del servizio idrico riguardano infatti sia la qualità che l'efficienza del servizio, legate ai forti tratti di universalità che lo caratterizzano, nonché a rilevanti esternalità che accentuano l'importanza degli

256 Cons. Stato, sent. 8 settembre 2011, n. 5063. 257

Il rapporto italiano, così come quello degli altri Stati firmatari della Convenzione è stato presentato alla Conferenza tenutasi in Kazakhstan nel maggio 2005.

258 Cfr. Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. In riferimento al contenuto degli statuti

interessi pubblici perseguiti con le politiche di programmazione e regolazione del settore.259

L'abrogazione del criterio tariffario della remunerazione del capitale investito e la rilevanza economica del servizio

Oltre alle istanze partecipative ed all’estensione soggettiva delle tutele processuali, i promotori dei comitati per l’acqua pubblica sostengono anche la necessaria gestione pubblica dei servizi idrici quale conseguenzadell'esclusione di ogni forma di profitto dalla gestione di beni pubblici, ancor più dopo l'esito del referendum del giugno 2011.

Dopo l'abrogazione referendaria dell'art 154 comma 1 del d.lgs. 152 del 2006260 nella parte in cui prevedeva che la tariffa del servizio idrico fosse determinata anche sulla base del criterio dell'adeguata remunerazione del capitale investito, l'AEEGSI è intervenuta disponendo la restituzione all'utenza delle somme già percepite dai gestori in applicazione del suddetto criterio, per il periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011, successivo alla consultazione referendaria che ha abrogato questa voce della composizione tariffaria.261

Con la deliberazione 273/2013/R/IDR, l’autorità ha definito la procedura per assicurarne la restituzione agli utenti finali e con le deliberazioni 561/2013/R/IDR e 163/2014/R/IDR, sono stati puntualmente approvati, con riferimento a ciascun ambito territoriale, gli importi da restituire e le correlate tempistiche e modalità.

Circa le conseguenze dell'abrogazione referendaria, secondo la Corte costituzionale il venir meno del criterio dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito ha avuto «la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto

259 Sulla molteplicità degli interessi sottesi alla gestione dei servizi idrici, M. Bianco, P. Sestito, I servizi

pubblici locali. Liberalizzazione regolazione e sviluppo industriale, cit.,. p. 144 ss. Per un'analisi dei principali strumenti di programmazione dei servizi idrici e la complessità dell'organizzazione, E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, cit.; A. Fioritto, I servizi idrici, cit., p. 2525.

260 Articolo parzialmente abrogato dal d.P.R. n. 116 del 2011, a seguito del referendum popolare del 12-

13 giugno 2011.

261

In ciò l'autorità è stata confortata dal parere del Consiglio di stato n. 267 del 2013 il quale ha affermato che «il criterio dell’adeguatezza della remunerazione dell’investimento, ha avuto applicazione nel periodo compreso tra il 21 luglio e il 31 dicembre 2011 in contrasto con gli effetti del referendum del 12 e 13 giugno del 2011».

il governo e la gestione dell’acqua»,262 ciò tuttavia non muterebbe la natura economica del servizio idrico integrato. Infatti il carattere remunerativo della tariffa non sarebbe da considerare elemento caratterizzante la nozione di rilevanza economica che invece deve porsi in relazione all’esercizio dell’attività con metodo economico, «nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli

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