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Standard di qualità e tutela degli utenti Il caso dell’arsenico

La competenza a definire standard minimi di qualità nell'erogazione dei servizi idrici è distribuita su più livelli istituzionali.

Lo Stato adotta gli indirizzi e fissa gli standard di qualità della risorsa ai sensi della Parte III del d.lgs. n. 152/06 e delle direttive dell'Unione europea.316

Tra le varie funzioni di regolazione e controllo assegnate invece all'AEEGSI, l’art. 3 lett. a) del DPCM 20 luglio 2012 ha previsto che essa «definisce i livelli minimi e gli obiettivi di qualità del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (…) e vigila sulle modalità di erogazione del servizio stesso».

La stessa disposizione mantiene poi ferma «la facoltà in capo agli enti affidanti (cioè gli enti di governo dell'ambito territoriale ottimale) di prevedere nei contratti di servizio livelli minimi ed obiettivi migliorativi rispetto a quelli previsti dall'Autorità che ne tiene conto ai fini della definizione della tariffa».

Già quest'ultima norma mette chiaramente in relazione la fissazione di standard minimi di qualità con le determinazioni tariffarie. Relazione - come si vedrà nel prosieguo - consistente nella possibilità per l'utenza di ottenere tutela in caso di non conformità agli standard soltanto ove i mezzi tecnici ed economici necessari per il raggiungimento del livello di qualità indicato sia stato previsto ed inserito tra le componenti di costo e dunque ne sia stata prevista la remunerazione mediante tariffa.

La qualità dei servizi idrici può essere collegata a svariati fattori che i soggetti preposti alla regolazione stabiliscono ed il cui mancato rispetto determina

316 Il decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, di attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla

qualità delle acque destinate al consumo umano, all'art. 11 prevede in particolare la competenza statale per: a) le modifiche degli allegati I, II e III, in relazione all'evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche o in esecuzione di disposizioni adottate in materia in sede comunitaria; b) la fissazione di valori per parametri aggiuntivi non riportati nell'allegato I qualora ciò sia necessario per tutelare la salute umana in una parte od in tutto il territorio nazionale; i valori fissati devono, al minimo, soddisfare i requisiti di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a); c) l'adozione di metodi analitici diversi da quelli indicati nell'allegato III, punto 1, previa verifica, da parte dell'Istituto superiore di sanità, che i risultati ottenuti siano affidabili almeno quanto quelli ottenuti con i metodi specificati; di tale riconoscimento deve esserne data completa informazione alla Commissione europea; d) l'adozione, previa predisposizione da parte dell'Istituto superiore di sanità, dei metodi analitici di riferimento da utilizzare per i parametri elencati nell'allegato III, punti 2 e 3, nel rispetto dei requisiti di cui allo stesso allegato; e) l'individuazione di acque utilizzate in imprese alimentari la cui qualità non può avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finale.

indennizzi automatici - quando previsto - a favore dell'utenza. Ciò ad esempio può valere per il caso di periodi prolungati di interruzione del servizio, per il mancato rispetto dei tempi massimi entro cui il gestore deve garantire gli allacci alla rete o l'attivazione delle nuove utenze.

Norma fondamentale per definire le caratteristiche minime di qualità che la risorsa idrica deve possedere è il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31,317con cui sono stabiliti i valori massimi di concentrazione nell'acqua di sostanze, microrganismi e parassiti, oltre i quali si ritiene che questi rappresentino un pericolo per la salute umana. Standard minimi in questo caso sono fissati a protezione della salute dei cittadini e pongono precisi obiettivi alle azioni poste in essere da regolatori e gestori del servizio idrico integrato.

Nella prospettiva di un servizio effettivamente di qualità e di una corretta fruibilità della risorsa idrica, ci si deve domandare se gli obiettivi minimi stabiliti a tutela della salute siano idonei a determinare le caratteristiche della prestazione attesa dall'utenza, rappresentando correlativamente un'obbligazione del gestore; ed in caso di mancata conformità ai valori di parametro stabiliti, quali forme di tutela siano riconosciute all'utenza dall'ente di governo dell'ambito o dall'AEEGSI, considerando che la eventuale non potabilità dell'acqua riduce notevolmente l'interesse dell'utenza alla sua fornitura.

Il problema si è verificato in molte regioni italiane a causa dello sforamento di alcuni valori massimi consentiti, riguardanti in particolare il fluoruro e l'arsenico, problema originato dalle caratteristiche geologiche del sottosuolo in varie zone del Paese.

Si noti che la direttiva 98/83/CE per il caso di non conformità ai valori di parametro, al fine di consentire la programmazione e la realizzazione delle opere e delle infrastrutture necessarie per assicurare il rispetto della normativa, aveva espressamente previsto la possibilità per le autorità nazionali di disporre fino ad un massimo di due deroghe triennali, mentre un'eventuale terza deroga avrebbe dovuto ottenere l'approvazione della Commissione europea.

Le autorità italiane hanno in effetti richiesto alla Commissione la concessione del terzo ed ultimo periodo di deroga, in particolare per la presenza di

317 Il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 ha attuato la direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle

arsenico nell'acqua, fino al limite massimo consentito dalla previgente disciplina nazionale, cioè da l0 μg/l fino a 50 μg/l, in relazione alle varie realtà territoriali.

Il 28 ottobre del 2010 la Commissione, in applicazione del principio di precauzione, evidenziando il pur solo potenziale rischio sanitario in relazione alla gravità delle conseguenze ed alla entità e tipologia dei soggetti esposti,318 ha impedito ogni ulteriore possibile deroga oltre la soglia di 20 μg/l, escludendola del tutto per i minori di tre anni, ed ha imposto un’attività sia di informazione, sia di progressivo adeguamento e monitoraggio con relazioni periodiche sui progressi compiuti.

A seguito della decisione della Commissione, i gestori del servizio idrico integrato dei comuni interessati si sono trovati improvvisamente a fornire acqua che, secondo i valori di legge risultanti dal tenore della nuova deroga (richiesta fino a 50 μg/l e concessa invece non oltre la soglia di 20 μg/l), non era più considerata salubre, cosicché i sindaci hanno provveduto mediante l'utilizzo dei poteri d’urgenza ex art. 32 l. 23 dicembre 1978, n. 833 con apposite ordinanze di non potabilità. Gli utenti, invece, pur avendo pagato per intero la tariffa del servizio idrico non hanno potuto utilizzare l'acqua fornita per molti degli usi a cui essa è normalmente destinata.

Alcune associazioni di consumatori ed utenti hanno impugnato dinanzi al giudice amministrativo le ordinanze sindacali emesse, in particolare nella misura in cui, unitamente al divieto di potabilità, non avevano anche provveduto a disporre la riduzione della tariffa del servizio ai sensi dell'art. 154 del decreto legislativo 152 del 2006. Tale norma dispone infatti che la tariffa del servizio idrico deve essere determinata tenendo conto anche della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito.

Il Tar del Lazio,319 nel rigettare sul punto la richiesta avanzata dai ricorrenti, ha ritenuto che i sindaci avessero correttamente operato, anzitutto perché l'ordinanza contingibile e urgente non poteva considerarsi il mezzo

318 La Commissione sulla base degli studi più recenti riguardanti i rischi legati all’esposizione

all’arsenico ha evidenziato il legame con talune forme di tumore, soprattutto per i neonati ed i bambini fino all’età di tre anni. In Italia il rischio sanitario ha coinvolto circa un milione di consumatori.

319 Tar Lazio, sez. II bis, sentenza 20 gennaio 2012, n. 664. Cons. stato, sez. VI, sentenza 21 giugno

opportuno per disporre eventuali determinazioni tariffarie del servizio idrico integrato. Il Tar nota che le determinazioni tariffarie in materia di servizi idrici non sono più di competenza dei comuni, competenza ormai trasferita agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali che, muniti di autonoma personalità giuridica, sono soggettivamente distinti dalle amministrazioni comunali che vi aderiscono.

In ultima analisi il giudice amministrativo evidenzia che, anche qualora il soggetto incaricato della regolazione tariffaria avesse voluto intervenire a tutela dell'utenza, non avrebbe comunque potuto stabilire delle riduzioni tariffarie, in quanto il metodo tariffario allora in vigore, il metodo normalizzato stabilito dal D.M. n. 243 del 1° agosto 1996, non include la qualità della risorsa idrica tra i criteri per definire la tariffa. Nel sottolineare tale aspetto il Tar del Lazio con un

obiter dicta evidenzia il possibile contrasto tra il decreto ministeriale recante il

metodo tariffario e l'art. 154 del codice dell'ambiente il quale, come detto, prescrive che la tariffa del servizio idrico sia definita anche tenendo conto della qualità della risorsa idrica.320

Se dunque alla luce del metodo tariffario allora in vigore321 non era possibile tener conto della qualità dell'acqua fornita per riconoscere eventuali restituzioni o diminuzioni tariffarie, occorre verificare se l'AEEGSI in casi simili ritiene di dover disporre indennizzi parametrati al minor uso della risorsa o ai costi aggiuntivi a carico dell'utenza per sopperire alla non potabilità dell'acqua.

Sulla vicenda dell'arsenico l'Autorità ha avviato un'apposita indagine322per acquisire elementi utili a valutare le ricadute in termini tariffari delle ordinanze di non potabilità sugli utenti finali coinvolti e per individuare eventuali misure di compensazione, legate alla distribuzione di acqua non idonea agli usi potabili.323

320

Al riguardo si deve aggiungere che anche il nuovo metodo tariffario approvato dall'AEEGSI con deliberazione 643/2013/R/IDR non ha incluso la qualità dell'acqua tra i criteri per le determinazioni tariffarie, pertanto sotto questo aspetto la situazione non è mutata.

321 Il metodo normalizzato di cui al D.M. n. 243 del 1° agosto 1996.

322 Con deliberazione 28 marzo 2013, 135/2013/E/IDR, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha

avviato un’istruttoria conoscitiva in merito all’erogazione del servizio di acquedotto nei comuni interessati da limitazioni all’uso di acque destinate al consumo umano ai sensi del d.lgs. n. 31/2001. L'istruttoria compiuta ha riguardato l'acquisizione di informazioni esclusivamente dagli ATO 1 e 2 del Lazio comprendenti rispettivamente il territorio del comune di Viterbo e provincia e del comune di Roma e provincia, uniche zone in cui alla scadenza della terza deroga concessa dalla Commissione europea i problemi non sono stati ancora del tutto risolti.

Tra le varie conclusioni cui è giunta, merita di essere sottolineato un primo dato riguardante il rilievo attribuito al mancato superamento della frammentazione gestionale, riconosciuto come la causa principale che non ha consentito di far fronte ai problemi di non potabilità. In riferimento all'ATO 1 Viterbo, rileva l'AEEGSI, la situazione gestionale è estremamente frammentata: il gestore Talete Spa, affidatario dal 2006, non è stato in grado, nel corso degli anni, di acquisire il servizio nell’intero ambito, risultando ad oggi operante in appena 28 comuni su 61. L’assetto gestionale è rimasto pressoché inalterato nonostante il susseguirsi di dichiarazioni programmatiche da parte della Conferenza dei sindaci, che auspicavano il superamento di tale situazione e nonostante l’impegno della regione Lazio di esercitare in tal senso i propri poteri sostitutivi nei confronti dei comuni che non conferivano gli impianti e la gestione del servizio. Il gestore si è quindi trovato ad operare al di sotto della soglia di economicità e nell’impossibilità di reperire dagli istituti di credito le risorse necessarie a fronteggiare la situazione emergenziale.

L'Autorità non ritiene poi di poter disporre riduzioni tariffarie o indennizzi a favore dell'utenza sulla scorta di tre motivi fondamentali attinenti: a) alla regolazione tariffaria; b) alla necessità di evitare incentivi distorti; c) alla necessità di promuovere la realizzazione delle opere necessarie al superamento delle criticità riscontrate.

a) Riguardo la regolazione tariffaria, l'Autorità sottolinea che i dati comunicati dalle gestioni operanti nelle aree in esame circa gli investimenti programmati per superare le problematiche di potabilità sono finalizzati alla definizione dei costi da ammettere al riconoscimento in tariffa. Ma proprio il mancato riconoscimento in tariffa di tali investimenti impedisce di stabilire indennizzi a favore degli utenti, i quali di fatto nulla hanno versato per la dearsenificazione dell'acqua. Infatti, specifica l'AEEGSI, sarebbe diverso il caso in cui, a fronte di costi che includono le attività di dearsenificazione o potabilizzazione, il risultato fosse comunque la fornitura di acqua priva dei

competenza volti a garantire un adeguato servizio sostitutivo della fornitura di acqua potabile, nel rispetto delle prescrizioni delle rispettive Regioni e a ricondurre le concentrazioni di arsenico e/o fluoro entro i valori previsti dalla normativa vigente.

necessari standard qualitativi: in tal caso, si tratterebbe di una evidente violazione che rientra nella sfera di competenza dell’Autorità.

b)Inoltre, al fine di evitare comportamenti opportunistici o distorsivi, si rileva che essendo la potabilità dell’acqua un requisito obbligatorio, definito e regolato da specifiche norme di legge a tutela della salute della cittadinanza, tale requisito non può essere valorizzato o monetizzato sul piano economico-tariffario dalla regolazione, senza correre il rischio che la fornitura di acqua potabile divenga il corollario di una valutazione di opportunità economica degli obiettivi industriali della gestione del servizio idrico.

c) Infine secondo l’AEEGSI la realizzazione degli interventi necessari a superare le criticità e a soddisfare le imprescindibili esigenze di tutela della salute dell’utenza potrebbe essere resa difficoltosa dall’eventuale riduzione del gettito tariffario, in assenza di adeguati contributi pubblici.

Le motivazioni sub a) e c) sono strettamente correlate in quanto concernono entrambe la modalità di applicazione del principio tariffario costituito dall'integrale copertura dei costi di esercizio ed investimento. Si tratta infatti di stabilire da un lato se un certo standard di qualità sia esigibile dall'utenza soltanto dopo il riconoscimento dei relativi costi in tariffa (punto a) e, sotto altro profilo, se possano essere inclusi in tariffa i corrispettivi per investimenti non ancora realizzati. Quanto sostenuto dall'Autorità in merito all'impossibilità di riconoscere indennizzi all'utenza poiché gli investimenti per la dearsenificazione non erano stati inclusi in tariffa mentre l’eventuale disposizione di indennizzi limiterebbe ulteriormente la disponibilità finanziaria per i necessari investimenti, appare in contrasto con la natura di corrispettivo della tariffa del servizio idrico integrato, affermata dalla Corte costituzionale 324 in riferimento alla voce tariffaria riguardante il servizio di depurazione. Al riguardo la legge325disponeva che nelle aree in cui non esistevano ancora gli impianti di depurazione, gli utenti fossero comunque obbligati al pagamento dell'intera tariffa nonostante la mancata prestazione dell'attività. La quota così corrisposta per il servizio di depurazione doveva essere versata in un apposito fondo costituito proprio per finanziare la realizzazione delle infrastrutture mancanti, necessarie alla depurazione delle acque

324 Corte cost., sent. 10 ottobre 2008, n. 335.

reflue. Sulla legittimità di questo sistema è stata chiamata a giudicare la Corte costituzionale la quale ha sottolineato che la disciplina vigente configura la tariffa come corrispettivo civilistico per la prestazione delle varie attività che compongono il servizio idrico integrato. Ciò si evince in particolare dalla necessità che la tariffa copra integralmente i costi del servizio. Non a caso poi, si afferma, la tariffa pagata dagli utenti è normalmente assoggettata ad IVA.

La tariffa pertanto è la controprestazione di quanto fornito dal gestore del servizio mentre le norme che ne impongono la corresponsione indipendentemente dall'effettiva disponibilità del servizio sono da considerarsi illegittime.

Al contrario, nella vicenda riguardante l'arsenico, pur partendo dal medesimo assunto, ovvero il principio dell'integrale copertura dei costi su cui si fonda il sistema tariffario, a fronte di un servizio non reso o non reso con la qualità attesa, il regolatore non ritiene di dover tutelare la posizione dell’utenza.

Riportando la questione all’interno del rapporto contrattuale di somministrazione di acqua potabile occorre stabilire se la prestazione a cui è tenuto il gestore trova una fonte esterna direttamente nella previsione legislativa che stabilisce i valori di parametro che devono essere rispettati, oppure l'obbligazione viene integrata soltanto dall'atto regolativo che include quello specifico connotato della prestazione (nel caso la dearsenificazione) tra i costi inclusi nella tariffa.

Le numerose sentenze del giudice ordinario che in caso di non potabilità dell’acqua hanno riconosciuto il diritto degli utenti al risarcimento del danno per inadempimento ed alla riduzione della tariffa, considerano il requisito della potabilità alla base dell’interesse degli utenti per la prestazione in quanto rivolta a «soddisfare esigenze alimentari primarie ed inerenti la vita quotidiana», mentre di fronte al superamento dei limiti delle concentrazioni d’arsenico il gestore «pur conoscendo l’inadeguatezza del servizio» non è stato in grado di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno né che il medesimo sia derivato da causa ad esso non imputabile.326Tali pronunce hanno riguardato ovviamente un numero limitato di utenti, mentre una tutela più estesa avrebbe richiesto l’intervento in via amministrativa dell’Autorità di regolazione.

326 Ex multis Giudice di pace di Viterbo, sent. n. 827 del 16.09.2014; Giudice di pace di Civita

Non vi è dubbio che la tutela prioritaria dell'utenza di fronte all'erogazione di acqua non potabile non si fonda su riconoscimenti di natura patrimoniale nei confronti del gestore, bensì trova risposta principalmente nell'individuazione dei rischi per la salute e nella programmazione e controllo dell'attività indirizzati al monitoraggio ed al superamento delle problematiche mediante gli appositi investimenti infrastrutturali.

L’approccio regolatorio pone gli obiettivi di qualità come obiettivi indiretti, considerati quale riflesso del perseguimento di altre finalità - in questa fase prioritarie - riguardanti il reperimento delle risorse finanziarie attraverso la leva tariffaria.

D'altronde la posizione dell'AEEGSI era già stata resa esplicita nelle considerazioni che hanno preceduto la deliberazione 585/2012/R/IDR. L'Autorità, svolgendo le proprie valutazioni circa le osservazioni pervenute a seguito della consultazione pubblica svolta in vista dell'approvazione del nuovo metodo tariffario, ha affermato che «pur condividendo le preoccupazioni inerenti all’opportunità di sviluppare una regolazione organica che, accanto alla regolazione tariffaria, affronti anche i temi relativi alla qualità del servizio fornito, tuttavia l’urgenza di fornire segnali positivi per favorire gli investimenti nel settore, superando le incertezze insite nelle procedure di definizione dei flussi di cassa, ha indotto a privilegiare un intervento urgente in termini tariffari, mantenendo in questa prima fase le vigenti regolamentazioni in tema di qualità del servizio».

CAPITOLO 4

Il trasporto pubblico locale

SOMMARIO: 1. L’evoluzione dell’assetto della governance. L’organizzazione in ambiti

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