• Non ci sono risultati.

SITUAZIONISMO AD ABU GHRAIB

ABU GHRAIB: LA CORNICE

Abu Ghraib era una prigione tristemente famosa in Iraq già ai tempi di Saddam Hussein, che la utilizzava per torturare gli oppositori del suo regime dittatoriale. Si

118

trova 32 km a ovest di Baghdad, dove venne costruita da contractors britannici nel 1960 e si estende per più di un chilometro quadrato. Diversamente dalle prigioni americane, si trova molto vicino ad un quartiere abbastanza popolato. Ha da sempre una pessima fama, dato che inizialmente era utilizzata come manicomio, tant’è vero che il suo nome può essere tradotto con “Padre dello Strano”. Quando nel marzo del 2003 il regime di Saddam crollò, tutti i prigionieri vennero liberati, e il carcere venne razziato: le persone si portarono via tutto quello che poteva essere asportato, comprese porte e finestre. I media non riferirono, curiosamente, che anche lo zoo di Abu Ghraib City venne aperto, lasciando liberi leoni e tigri a girovagare per le strade! Gli ufficiali britannici di grado più alto suggerirono di demolire la struttura, ma gli americani decisero invece di ricostruirla e renderla nuovamente operativa il prima possibile. Lo scopo era di detenerci iracheni sospetti di attività contro la coalizione non meglio definite. Molti erano semplici civili iracheni catturati durante i rastrellamenti: secondo la Croce Rossa Internazionale, tra il 70 e il 90% degli internati ad Abu Ghraib non hanno commesso alcun delitto. Ma di questo non è convinto il Senatore Inhofe (membro del Comitato Servizi Armati) che poco dopo aver visto le foto delle torture, ebbe a dire: “Questi prigionieri, voi lo sapete, non sono là per violazioni del traffico. Se si trovano nel Blocco di celle 1A o 1B questi prigionieri sono assassini, sono terroristi, sono ribelli. Molti di loro probabilmente hanno sulle mani sangue Americano, e noi ora stiamo qui a preoccuparci di come vengono trattati…” (Zimbardo 2007, p.328). Questa frase ci rimanda ad alcune dichiarazioni delle guardie di Stanford che durante le fasi di “de-briefing”, al termine dell’esperimento, davano la colpa degli abusi ai

prigionieri stessi, che si rifiutavano di collaborare. Anche Milgram (1974, pp. 191-4)

dopo il suo esperimento chiese ai partecipanti di “distribuire” la colpa, e possiamo vedere i risultati nel grafico. I soggetti obbedienti (coloro che inflissero fino all’ultima scossa ordinata dallo scienziato) addossano più responsabilità alla vittima (e meno a se stessi) rispetto ai soggetti ribelli. Questi ultimi si sentono i principali responsabili per le sofferenze patite dall’allievo, mentre per gli obbedienti la colpa ricade maggiormente (anche se di poco) sullo sperimentatore che dava gli ordini. Il Senatore Inhofe, le guardie della prigione di Stanford e i soggetti obbedienti di

119

Milgram sono tutti esempi di individui sottoposti a quella dissonanza cognitiva di cui parlavamo prima. Non sentono la responsabilità delle proprie azioni, la delegano all’autorità. Si sentono responsabili nei confronti dell’autorità, ma non delle azioni che essa ordina di compiere.

Nel giugno 2003 venne nominato un nuovo ufficiale a capo della prigione di Abu Ghraib: l’Army Reserve Generale di Brigata Janis Karpinski. La “promozione” fu strana, dato che era l’unica donna e non aveva nessuna esperienza sulla gestione di un campo di prigionia. Avrebbe dovuto controllare, inoltre, non solo Abu Ghraib, ma 17 prigioni in tutto l’Iraq. Ben presto il Gen. Karpinski lasciò il suo posto ad Abu Ghraib, che era troppo pericoloso e sporco per le sue “esigenze”, lasciando quindi per la maggior parte del tempo i soldati senza controllo da parte di superiori. Avrebbe dovuto, settimanalmente, controllare gli interrogatori e rilasciare chi non aveva le informazioni utili (actionable intelligence) richieste dai vertici militari e coloro che non erano pericolosi (ricordiamo che praticamente nessuno degli internati aveva subito un processo). Ma questo compito venne alquanto tralasciato dal generale, e non venne liberato quasi nessuno, cosicché la prigione si sovraffollò incredibilmente nei primi sei mesi del suo mandato. Nel grande numero di prigionieri, all’epoca vi erano inclusi anche trenta ragazzini (tra i 10 e i 17 anni) che stagnarono per mesi ad Abu Ghraib, ovviamente senza programmi educativi né servizi separati dagli adulti, con delle conseguenze che possiamo soltanto immaginare.

In queste condizioni si consumarono le torture sui detenuti che tutti abbiamo visto. L’eroe della situazione si chiama Joe Darby. Possiamo definirlo “eroe” perché per costringere il governo a prendere atto di quello che succedeva in Iraq, dovette denunciare molti dei suoi compagni. Darby era uno specialista dell’Army Reserve, quindi al fondo della catena di comando. Ha dovuto sfidare apertamente l’omertà che ricopriva quello che succedeva nel campo e di cui tutti erano a conoscenza, compreso il “centro speciale di interrogazione” creato direttamente dal Segretario della Difesa Rumsfeld. Non è stato sicuramente facile per lui, ma riuscì a fare una

120

copia di un cd con le immagini e i video “incriminanti” e a renderlo di dominio pubblico.

I soldati che vivevano nel campo erano costretti a vivere nel cosiddetto “hard site”, cioè all’interno delle mura, qualche volta in condizioni simili a quelle dei detenuti stessi (le cui celle misuravano due metri per due…), ad una temperatura che arrivava anche a 45 gradi e con l’acqua razionata. In precedenza dormivano nel soft

site, cioè all’esterno delle mura in un campo di tende militari circondato da filo

spinato, ma essendo troppo esposti agli attentati e ai lanci di mortaio, furono obbligati a “ripiegare”. La vita ad Abu Ghraib quindi era estremamente noiosa, l’ambiente degradato e sporco: l’esatto contrario dei desideri di chiunque, soprattutto del Sergente “Chip” Frederick…