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OBBLIGATI ALLA PARTENZA

EREDITA’ DOLOROSE IN ERITREA

Tra le fonti “obbligate” per conoscere la situazione dei diritti umani in un certo paese sono i report delle associazioni umanitarie: in particolare, io ho utilizzato quelli di due tra le principali di queste associazioni, ovvero Amnesty International e Human Rights Watch. Oltre ad una serie di pubblicazioni più brevi, ogni anno sia AI che HRW elaborano una serie di approfondimenti tematici sugli hot topics del momento e un rapporto annuale.

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Per quanto riguarda i rapporti annuali che ho consultato per avere un quadro generale sui paesi toccati nel mio lavoro, c’è da dire che la struttura di entrambi (sia quello di AI che l’altro di HRW) è, come era facilmente prevedibile, molto simile. La parte centrale di entrambi è costituita da delle brevi relazioni su ciascun paese analizzato, suddivisi in base alla regione di appartenenza. Ogni relazione ha una lunghezza variabile, ma mediamente non supera le 5-6 pagine. Le fonti principali per AI sono le numerose visite dei team dell’associazione nei vari stati, dove il loro scopo è generalmente quello di visitare carceri, parlare con le autorità, occuparsi di eventuali questioni di particolare urgenza o importanza. Solitamente da queste visite nascono dai report di approfondimento che vengono pubblicati da AI nel corso dell’anno e che vengono utilizzati anche per “compilare” le schede dei paesi nel report annuale. HRW, a differenza di AI, nel suo rapporto annuale non inserisce un report per ogni paese in cui lavora: nell’introduzione viene spiegato che questo non è dovuto a mancanza di interesse ma spesso semplicemente a staffing

limitations (Human Rights Watch 2011, p. 21). Viene comunque affermato che è

stato scelto di soffermarsi su quelle problematiche che riguardano il maggior numero di persone e le più gravi violazioni dei diritti umani. Il metodo di lavoro nella costruzione dei report di HRW non varia sostanzialmente da quello di AI: oltre alle già citate visite di team delle associazioni, infatti, entrambe fanno ampio uso di interviste a rifugiati o migranti come importanti fonti per conoscere le condizioni del loro paese di origine; le comunicazioni con reti di attivisti per i diritti umani e l’attenzione al lavoro di media indipendenti (tra cui i sempre più numerosi blogger) costituiscono fonti utilizzate per la realizzazione dei report di approfondimento e per le più brevi notizie pubblicate direttamente sul sito.

A proposito dei contenuti, dato che le fonti sono piuttosto simili non mi sarei stupito di trovare una certa similitudine tra i due rapporti, ma leggere praticamente le stesse frasi (almeno nel caso dell’Eritrea) un po’ mi ha sorpreso. Credo che sia dovuto innanzitutto allo stile asettico con cui sono scritti e che fa sì che nel caso vengano riportate notizie dalla stampa internazionale queste vengano riportate praticamente con il copia-incolla. Era abbastanza ovvio che invece la divisione in paragrafi tematici fosse praticamente la stessa: libertà religiosa, di espressione,

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tortura e abusi, servizio militare e così via. Amnesty antepone al tutto un paragrafo che descrive il contesto generale, la situazione in cui si trova il paese, che se per ovvie ragioni non è esaustivo fornisce almeno un’idea di com’è la situazione sociale e politica del luogo.

Alla fine, differenza più visibile nei report delle due associazioni alla fine credo sia semplicemente il fatto che mentre quello di AI contiene una breve introduzione del Segretario Generale Salil Shetty sul ruolo di internet nella lotta a favore dei diritti umani, un’appendice tabellare sui trattati internazionali in materia di diritti umani e alcune note sulle attività della sezione italiana, la parte iniziale del rapporto di HRW è sicuramente un po’ più “creativa”. Vi troviamo quattro articoli firmati tra cui spicca l’ultimo, un saggio fotografico sul Medio Oriente che ci fa capire come le immagini possano arrivare più in profondità delle parole, specie in un rapporto mondiale dove per oltre 600 pagine viene utilizzato un linguaggio volutamente molto scarno e relativamente piatto.

Un’altra piccola differenza ma che vale la pena di notare è che nel rapporto di AI per ogni paese vengono riportate delle brevi storie, diciamo dei casi specifici in relazione all’argomento trattato a livello generale nel paragrafo, che rendono concrete delle parole che, come nel rapporto di HRW, possono risultare un po’ troppo vuote. D’altronde, il linguaggio tecnico e asettico in pubblicazioni del genere non sorprende.

Secondo i report umanitari, in Eritrea purtroppo sono molteplici le possibilità di essere perseguitati e torturati: la situazione generale del paese, secondo i report delle associazioni umanitarie, non è affatto buona, anche se bisogna tenere a mente che in queste relazioni vengono riportate le principali violazioni dei diritti umani, e quindi la fotografia del paese “schedato” può risultare più scura della realtà. Ciò non toglie che le violazioni riportate sono reali e spesso documentate con brevi racconti di esperienze personali.

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In Eritrea, in ogni caso, sussistono delle condizioni strutturali che provocano gravi violazioni dei diritti umani, compreso l’utilizzo di tecniche di tortura. Secondo Amnesty International e Human Rights Watch i problemi maggiori sono causati dalla perenne militarizzazione della società eritrea: il servizio militare è obbligatorio e anche se dovrebbe durare 18 mesi, “è stato regolarmente esteso a tempo indefinito”. Quello che succede. Il governo ha limitato gli aiuti umanitari nonostante il calcolo delle nazioni unite secondo cui due terzi dei cittadini eritrei sono malnutriti.

Le persecuzioni religiose non mancano, dato che le uniche fedi accettate sono la Chiesa ortodossa eritrea, quella cattolica, quelle luterane e l’Islam: “membri di fedi religiose minoritarie hanno affrontato vessazioni, arresti, detenzioni in

incommunicado e torture”. Tra i più perseguitati ci sono i testimoni di Geova:

almeno tre di loro sono incarcerati dal 1994 senza che sia mai stato celebrato un processo e solo lo scorso anno ne sono stati catturati altri 60. Proprio la detenzione in incommunicado, ovvero la detenzione senza la possibilità di parlare con nessuno e senza che neanche le autorità comunichino l’avvenuto arresto, è molto diffusa soprattutto nei casi di persone arrestate per motivi di libertà di religione, di espressione o di idee politiche.

Nei centri di detenzione il ricorso alla tortura è ampio, e come risulta dall’ampia e sconcertante testimonianza riportata qui sotto, lo stesso vale per nei centri di addestramento militare. La testimonianza è stata ricevuta da Elsa Chyrum, un’attivista per i diritti umani e avvocato di molti rifugiati eritrei, che l’ha pubblicata sul sito ehrea.org (Eritrean Human Rights Electronic Archive). Nella traduzione dall’inglese ho cercato di mantenere la linearità e semplicità dell’originale, anche a costo di utilizzare alcune ripetizioni o forme un po’ faticose. L’autore della testimonianza vuole essere identificato come Mussie Hadgu (2008):

“Questo è un racconto di un testimone oculare del terrorismo, l'intimidazione, la detenzione, la tortura, la corruzione, gli omicidi e le varie altre atrocità commesse

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dal governo del PFDJ contro la povera, innocente gente dell'Eritrea. Il governo dell'Eritrea si sta comportando in un modo nel quale neanche un gruppo di banditi oserebbe comportarsi, per non parlare di un governo legittimo. Nella mia esperienza come prigioniero e durante l’addestramento militare, nelle carceri illegali e nei campi di concentramento dell’Eritrea ho vissuto e testimoniato molti atti inumani e barbari del governo. Oggi, ho deciso di condividere le mie esperienze con il pubblico dell’Eritrea e con la più ampia comunità internazionale, tra cui i gruppi e gli attivisti che lottano per i diritti umani. La popolazione eritrea si trova davvero di fronte ad un nemico feroce e spietato che è rimasto relativamente invisibile agli occhi della comunità internazionale e della diaspora eritrea. In qualità di testimone oculare, limiterò il mio rapporto a ciò che io ed altri in situazioni simili hanno osservato e sperimentato [e mi hanno riferito]. Saranno esclusi gli arresti e le detenzioni relative a ragioni politiche e alle famiglie delle persone in servizio militare (che io chiamerei “schiavitù” militare) *per evitare il rischio di rappresaglie+. A proposito di questo, penso a quelle famiglie che sono costrette a pagare 50.000 Nakfa (3.333 dollari) a testa per coloro che hanno lasciato il paese e 10.000 Nakfa (667 dollari) per ciascuno del quale non hanno riferito [la fuga] alla loro unità; questi sono fatti in una certa misura comunque noti al grande pubblico. Così, farò luce solo sui seguenti argomenti:

Servizio militare o “schiavitù militare”: un nascondiglio (una copertura) per il PFDJ e il dittatore

Dal 1994, sono passati 14 anni. Inizialmente, il servizio militare era destinato a durare per un periodo di un anno e mezzo e doveva riguardare gli adulti (sia uomini che donne) di età compresa tra i 18 e i 40 anni. Tuttavia, il servizio militare è ormai diventato senza fine e le persone che sono state reclutate nel 1994 hanno già scontato 14 anni e non si sa ancora quando verranno rilasciate.80 Dopo aver prestato servizio per tutti questi anni, se uno si assenta dalla sua unità, per qualsiasi

80 Il testimone, equiparando il servizio militare alla detenzione, interscambia continuamente il lessico

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motivo, viene imprigionato e torturato per un periodo pari al periodo di assenza. E anche se uno invecchia durante il servizio (per esempio di età superiore ai 50 anni), non viene rilasciato. Allo stesso modo, alle persone la cui salute peggiora durante il servizio militare, non viene fornita alcuna attenzione e poca assistenza medica. Ciò si verifica anche quando si sviluppano disabilità ben visibili. La loro supplica per il rilascio cade nel vuoto e sono costretti a rimanere in servizio fino alla loro morte.

Quello che è allarmante è che ora il servizio militare è divenuto sempre più indiscriminato e una grossa fetta della sua popolazione è costituita da bambini, minorenni, anziani e disabili. Un'altra cosa barbara è che ogni persona disabile deve comunque andare nei campi di addestramento prima di essere dichiarata disabile ed esentata. A molti di loro - e questo gruppo comprende anche coloro che hanno malattie mentali – tale disabilità non viene riconosciuta e vengono costretti ad andare nei centri di addestramento militare dove si soffre terribilmente per mano dei selvaggi e inumani membri del PFDJ. E nel caso dei minorenni, gli obiettivi preferiti del partito sono specialmente quelli di età compresa tra i 15 ei 17 anni, che vengono avviati alla formazione al comando... L'unica scusa di cui hanno bisogno per il loro reclutamento è che abbiano abbandonato la scuola, cosa che capita spesso a causa di problemi disciplinari, o che siano accusati di pianificare di lasciare il paese illegalmente. Ci sono anche molti casi in cui bambini di età compresa tra 11 e 14 anni sono stati portati nei campi di addestramento per ragioni analoghe.

Come risultato di questa politica illegale e ingiusta rivolta principalmente alla popolazione adulta (vengono escluse solo le persone molto anziane) tutto il popolo eritreo ne rimane vittima direttamente o indirettamente. Intere masse sono state trasformate, minimo, in persone improduttive, mentre non viene lasciato nessuno a prendersi cura di coloro che hanno bisogno di cibo, cure mediche e altre necessità di base. Chi sta svolgendo il servizio militare ha 30 giorni di ferie all'anno, se è fortunato; ma se non lo è (se si trova nella Dankalia, per esempio), ha solo 45 giorni di ferie in due o tre anni. Come risultato, il tasso di fertilità è calato ad un ritmo allarmante – un’incombente catastrofe demografica. E quelli che svolgono il servizio militare sono trattati come schiavi senza diritti di sorta, vengono obbligati a lavorare

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picchiandoli e con altre forme di punizione che possono arrivare fino al punto di ucciderli, se mostrano il minimo segno di opposizione all'ingiustizia e alle atrocità commesse contro di loro o altri.

Tutti coloro che sono stati rastrellati e obbligati a scontare pene detentive arbitrarie devono passare attraverso un'altra fase tragica e difficile, l'addestramento militare a quello che io chiamo “prigione o campo di concentramento”, perché, in generale, la maniera spaventosa con la quale gli allievi vengono gestiti non è in alcun modo diversa dal caso dei prigionieri. Le varie fasi di tortura fisica e altre forme di atrocità a cui questi poveri innocenti vengono sottoposto sono presentati qui di seguito: