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MICROANALISI DI ZIMBARDO E UNA PROSPETTIVA ETICO-POLITICA PIÙ AMPIA

SITUAZIONISMO AD ABU GHRAIB

MICROANALISI DI ZIMBARDO E UNA PROSPETTIVA ETICO-POLITICA PIÙ AMPIA

Zimbardo critica il rapporto di Human Rights Watch perché si ferma di fronte al Presidente e al suo Vice Cheney, non approfondendo le loro responsabilità. In realtà, però, neanche Zimbardo arriva alle estreme conclusioni del suo ragionamento. Essendo un americano e scrivendo un libro per americani, mostra evidentemente delle remore nello scoprire i “profondi” motivi di tutte le energie impiegate da Bush e dalla sua amministrazione per “liberare” l’Iraq e l’Afghanistan. L’ideologia della “War on Terror” e la difesa delle nazioni libere sono il mantello che copre l’ideale del Profitto. È impossibile cercare di leggere le guerre in Iraq e Afghanistan, madri delle torture non solo di Abu Ghraib, senza osservare che il Sistema di cui parla Zimbardo è quello dell’imperialismo americano. Per riuscire a convincere l’opinione pubblica statunitense della necessità di entrare in guerra è stato necessario creare un nuovo nemico, e l’11 settembre 2001 è stato la Pearl

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Harbour del nuovo secolo. Sulla tragedia di New York, Bush ha creato un nuovo nemico, tanto pericoloso quanto sfuggente: il Terrorismo. Il processo di “creazione del nemico” non è certo nuovo: nella Germania nazista, Hitler gettò tutta la colpa della crisi economica degli anni ’30 e della “calata di brache” tedesca della prima guerra mondiale sugli ebrei. Per far questo utilizzo la sua enorme macchina della propaganda comandata da Goebbels, e la rabbia dei cittadini tedeschi venne incanalata nei confronti degli ebrei, assimilati più a dei parassiti che a degli uomini. Questo processo di creazione di un nemico deumanizzato è fondamentale per qualunque Sistema desideroso di entrare in guerra: deve essere mostrato come una minaccia vicinissima ed estremamente pericolosa, deve indurre i cittadini ad avere paura. Non è quello che stanno facendo i media? Oggi la propaganda arriva direttamente nelle case attraverso la televisione, ed è in questa maniera che il Sistema prepara le menti dei suoi cittadini e dei soldati a odiare “il tuo nemico” (Zimbardo 2007, pp. 307-13).

La creazione dell’immagine del nemico va di pari passo con la ridefinizione della

situazione. Ogni situazione infatti può essere descritta (definita) in diversi modi.

Abbiamo già incontrato diverse situazioni ridefinite in modo artificiale: basta pensare all’esperimento di Milgram. Per eseguirlo, fu necessario far credere ai partecipanti di essere degli insegnanti che avevano di fronte a sé un allievo. Anche lo scopo dell’esperimento venne ridefinito descrivendolo come improntato ad una ricerca sull’apprendimento, quando in realtà lo studio osservava l’ubbidienza dei soggetti. Come è facile intuire, nel processo di ridefinizione è fondamentale il lessico. In questo, i nazisti erano dei maestri: avendo l’obiettivo di uccidere sistematicamente milioni di individui, era necessario nascondere la verità fino all’ultimo. Ecco quindi l’utilizzo di eufemismi come “trattamento speciale” e “soluzione finale”. In tempi più vicini a noi, con l’opinione pubblica più sensibile del passato nei confronti delle guerre, per guadagnarne l’approvazione è stato necessario parlare di “guerra umanitaria”, poi di “guerra preventiva”. Se l’avessero chiamata “guerra per il petrolio”, difficilmente Bush avrebbe ottenuto un secondo mandato. L’etichetta di “guerra preventiva” venne utilizzata anche per giustificare l’aggressione all’Iraq, in possesso di pericolosissime armi chimiche, che non sono

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mai state trovate. Gli unici ad usare armi chimiche sono stati gli americani durante la battaglia di Falluja, e come si giustificarono?75 Ridefinendo la situazione. Interpretarono la cruenta vicenda dicendo che avevano utilizzato il fosforo bianco (solitamente impiegato come tracciante, qui come arma chimica) perché le armi convenzionali avrebbero causato più morti tra i civili. Ma dato che il fosforo bianco ha la peculiarità di uccidere indiscriminatamente la vita in un raggio di 150 metri dal centro dell’esplosione, sia civili riparati in casa che guerriglieri nascosti, come potevano ammazzare più persone con armi convenzionali?

Per quanto riguarda la ridefinizione della situazione riguardante le torture di Abu Ghraib, l’ex-Presidente Bush è pienamente coinvolto. Si è circondato di legali, ha trovato delle scappatoie giuridiche fornite dal proprio Dipartimento di Giustizia e firmato dei documenti dichiaranti che i detenuti di Al-Qaeda non devono godere delle garanzie espresse nelle Convenzioni di Ginevra, in quanto non hanno mai

firmato la Convenzione, e perciò non devono essere considerati “prigionieri di

guerra” ma unlawful combatants (e quindi, in pratica, possono essere torturati…).76 Nelle reazioni dell’amministrazione Bush di fronte alla diffusione delle immagini, forse qualcuno ha notato che la parola “tortura” non è mai stata utilizzata: si parla di abusi o umiliazioni. Questo punto è stato fatto notare anche da Susan Sontag in un interessante articolo, in cui menziona alcuni passi della Convenzione contro la tortura del 1984 che abbiamo esaminato nel capitolo precedente, citando in parte la definizione giuridica di “tortura”: “qualsiasi atto che infligga intenzionalmente ad una persona grande dolore o sofferenza, sia fisica che mentale, per scopi come ottenere informazioni o confessioni dalla vittima o da terzi” (Sontag 2004). Oltre a questo riporta un altro passo importante della Convenzione: “Nessuna circostanza eccezionale di qualsiasi tipo, né uno stato di guerra né una minaccia di guerra,

75 Tra l’altro, la storia della battaglia di Falluja è simile a quella di Abu Ghraib. Giuliana Sgrena,

giornalista del Manifesto, stava indagando al riguardo quando venne rapita. Per molto tempo non si seppe niente della battaglia, fin quando non spuntarono fuori le prime fotografie di cadaveri bruciati

dall’interno su RaiNews24, molti dei quali civili. V. Di Francesco 2005 e Robecchi 2005.

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instabilità politica interna o qualsiasi altra emergenza pubblica, possono essere

invocate come giustificazione per la tortura”. Dalle fotografie di Abu Ghraib risulta

evidente che gli Stati Uniti sono venuti meno agli impegni che avevano preso firmando questa Convenzione. Ed il problema fondamentale sono proprio queste immagini, diffuse in tutto il mondo, che hanno prodotto grande imbarazzo alla Casa Bianca. Se non fossero state diffuse le foto ma si fosse comunque venuti a conoscenza degli abusi, le pene ai soldati sarebbero state le stesse? Difficilmente, se pensiamo che tra la fine del 2001 e il 2006 ci sono stati oltre 600 accuse di tortura (tra Iraq, Afghanistan e Guantanamo a Cuba) con il risultato che 190 sono state completamente ignorate e solo dieci imputati sono stati condannati a più di un anno di carcere (Zimbardo 2007, p. 404). Come fa notare ampiamente Susan Sontag, anche quando il Presidente è stato costretto a chiedere scusa, lo ha fatto come se il problema fosse il danno al proclama di superiorità americana in campo morale, e non la sofferenza patita dai detenuti. Ha detto che era preoccupato perché chi avesse visto quelle foto non avrebbe capito la vera natura del cuore dell’America. Slavoj Žižek (2005a, p.69), filosofo e psicanalista sloveno, su questo si unisce a Sontag per affermare esattamente il contrario:

“a chiunque conosca anche solo minimamente lo stile di vita americano contemporaneo, queste foto non possono non evocare i vari aspetti osceni del lato nascosto della cultura popolare statunitense, per esempio, i rituali iniziatici di tortura e umiliazione a cui ci si deve sottoporre per essere accettati da un circolo esclusivo… *qualche volta+ il rituale iniziatico è andato troppo in là e qualche soldato, o studente, ne è uscito malconcio, oltre la soglia che è considerata tollerabile (la vittima… ha dovuto portare a termine gesti degradanti – per esempio farsi penetrare analmente da una bottiglia di birra di fronte ai suoi compagni…). *Ricordiamo+ che lo stesso Bush è membro di “Skull and Bones”, la più esclusiva società segreta di Yale”.

L’ovvia differenza tra i rituali iniziatici di Yale e le torture di Abu Ghraib è che nel primo caso vi si sottopongono soggetti volontari, mentre le seconde sono state perpetrate con la forza. Inoltre, al contrario dei primi che sono riti di inclusione, effettuati con il preciso scopo di diventare membri di una certa società, ai detenuti

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di Abu Ghraib è stato dato un “assaggio” della sottocultura americana come simbolo della loro totale esclusione.

Per trovare punti in comune tra la cultura popolare americana e le torture di Abu Ghraib, possiamo anche pensare ad un film di Ely Roth sponsorizzato da Quentin Tarantino (che era uno dei produttori esecutivi): Hostel. Il successo di pubblico non è stato quello previsto, probabilmente perché era stato presentato troppo bene, e quando l’aspettativa è alta è facile rimanere delusi. La cosa interessante è che lo slogan principale, che ha fatto salire la febbre dell’attesa a temperature pericolose, era: il film con più sesso e violenza della storia del cinema. È stato questo che ha attirato l’interesse del pubblico, che è rimasto scontento quando si accorto che non era così… è interessante anche notare che la trama si basava su due giovani americani in viaggio per l’Europa alla ricerca dello “sballo totale”, attirati a Praga dove, in periferia, un ostello si rivela una trappola mortale. Infatti, i malcapitati dopo una notte in discoteca in cui vengono drogati, si ritrovano in un edificio in cui un’organizzazione segreta mette a disposizione degli esseri umani affinché possano essere torturati da miliardari annoiati in cerca di “brivido”. Ad Abu Ghraib le cose non sono andate poi molto diversamente… la cosa più triste, però, è che questo film è basato su una storia vera accaduta in Thailandia, dove venivano prodotti degli

snuff movies destinati a ricchi occidentali. Anche l’uso estensivo delle immagini fa

parte della cultura statunitense contemporanea. Ormai, tutti possiedono una fotocamera digitale o un video telefono, e quello che una volta era il campo dei giornalisti, dei reporter, oggi è di tutti (Sontag 2004).

Occorre comunque notare che spesso ciò che è specifico della cultura americana con il passare del tempo filtra in molta cultura occidentale, anche qui in Italia. Basta pensare a come si trasforma la televisione: telefilm, reality e altri show (notare anche i termini inglesi) che hanno successo in America vengono poi esportati ovunque, compresa la nostra penisola. Lo stesso vale per la “cultura dell’immagine”, nel senso che anche da noi ha preso piede la mania di filmare con il cellulare ogni cosa che faccia sorridere e postarlo su facebook. Un lato positivo in questa “globalizzazione dell’immagine”: grazie a Internet oggi è possibile avere una quantità di informazioni come mai prima, e per un censore è quasi impossibile

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controllare quello che viene immesso in rete. Le stesse immagini delle torture di Abu Ghraib sono state viste da più persone tramite Internet che in televisione. Un punto sollevato da Žižek che profuma di “analisi situazionista”, è la lettura dei prigionieri di Abu Ghraib e di Guantanamo come occupanti dello spazio “tra le due morti”. In un dibattito sulla NBC c’è stato chi tentava di giustificare la posizione etico-legale dei detenuti di Guantanamo (molti di loro sono ghost detainees, mai registrati, non esistono prove della loro detenzione) pensando che in fondo, sono quelli risparmiati dalle bombe (Zimbardo 2007, p. 427). Bombe legittime: avrebbero dovuto/potuto essere morti,

“hanno perso cioè il loro diritto a vivere perché erano gli obiettivi legittimi di bombardamenti assassini; non sono ormai altro che casi di ciò che Giorgio Agamben chiama homo sacer, colui che può essere ucciso impunemente visto che, agli occhi della legge, la sua vita non vale più nulla… Se, da un lato, i prigionieri di Guantanamo sono posti nello spazio “tra le due morti” e occupano così la posizione dell’homo sacer - legalmente morto (privato di un determinato statuto legale) ma biologicamente ancora vivo –, dall’altro le autorità statunitensi che li trattano in questo modo sono anch’esse una specie di “tra” legale che forma il complemento dell’homo sacer; esse agiscono come un potere legale, eppure i loro atti non sono più posti sotto l’egida e i controlli della legge… Il caso recente di Abu Ghraib non fa altro che fornirci maggiori dettagli su cosa implichi porre dei prigionieri in questo spazio “tra le due morti”” (il corsivo è mio).77

Žižek allarga poi il campo al capitalismo moderno, la cui forza economica sta nel delegare la produzione a paesi terzi in cui è più conveniente: la stessa cosa vale per gli affari sporchi come la tortura, affidata a paesi non democratici alleati degli Stati Uniti che la praticano senza problemi. Ciò avviene nel programma CIA delle cosiddette extraordinary renditions, in cui aerei dell’Intelligence americana

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rapiscono sospetti in tutto il mondo per recapitarli poi in paesi dove possono essere

legalmente torturati.78

Certo, anche la tortura può essere inflitta in diversi modi: Saddam Hussein ordinava torture fisicamente brutali, diversamente da quelle americane che mirano più a distruggere la psiche del detenuto (anche se abbiamo visto che in diversi casi le carte si mischiano). Quindi, dovremmo riformulare la scelta che, secondo l’amministrazione Bush, deve essere compiuta: non tra bene o male, ma fra “un tipo di tortura brutale e anonima e un’altra intesa come spettacolo mediatico in cui i corpi delle vittime servono da sfondo alle stupide facce sorridenti, da “americano innocente”, dei torturatori” (Žižek 2005, p. 77). Žižek cita anche Walter Benjamin: ogni scontro tra civiltà non è altro che uno scontro tra diversi modi di essere barbari. Dovremmo ricordarci questo la prossima volta che al telegiornale manderanno in onda l’orripilante decapitazione di un ostaggio in mano a qualche gruppo terrorista: è molto più civile bombardare città e villaggi da tremila metri?

Gli Stati Uniti vogliono farci credere che ci stanno proteggendo. Siamo in pericolo, i terroristi sono ovunque, sono pericolosi, hanno la barba, sono brutti e cattivi. Proprio la minaccia di questo nemico invisibile legittima la “guerra preventiva”: finché rimane una minaccia, siamo ancora in tempo per colpire! E questo comporta la violazione dei diritti umani in innumerevoli occasioni, oltre all’istituzione negli Stati Uniti di uno stato d’emergenza che viola la privacy dei cittadini. “Il risultato paradossale di questa spettralizzazione del nemico è un inaspettato rovesciamento riflessivo: in questo mondo a cui manca un Nemico chiaramente identificabile, sono gli Stati Uniti stessi, coloro che ci proteggono dalla minaccia, a emergere sempre più come nemico numero uno…” (Ib., p. 80).

78 In Italia è famoso il caso dell’Imam egiziano Abu Omar. Il suo rapimento è avvenuto con il

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PARTE SECONDA

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INTRODUZIONE

Il rifugiato è il portatore ideale dei diritti umani. Non avendo più una propria cittadinanza, essendogli impedito di usufruire dei suoi diritti nella società in cui è nato, si trova nella condizione dell’uomo ridotto a nuda vita (l’homo sacer di Agamben) ed è quindi spogliato di tutto tranne che dei diritti umani, cioè di quei diritti di cui gode (o dovrebbe godere) semplicemente in quanto essere umano. È curioso che, secondo la Arendt (1948, cap. IX) proprio la comparsa dei rifugiati, cioè di quelle persone che hanno perso tutte le loro qualità specifiche tranne la loro qualità umana, abbia portato al naufragio della concezione dei diritti umani. In effetti però, osservando da vicino il percorso violento e tortuoso di alcuni richiedenti asilo, possiamo comprendere il senso odierno dell’affermazione precedente.

In questa parte, basandosi prevalentemente su alcuni report di organizzazioni umanitarie come Amnesty International e Human Rights Watch nonché su alcune interviste a una decina di ragazzi tunisini fuggiti dopo la cosiddetta rivoluzione dei gelsomini, cercheremo di ripercorrere le tappe salienti dei viaggi di richiedenti asilo e migranti economici (dato che spesso i luoghi e le difficoltà attraversati sono gli stessi e che la differenza di status spesso non coincide con una differenza di “narrazioni” o storie di vita), dalle costrizioni che li spingono a partire alle condizioni che trovano nei paesi di transito, per arrivare nei paesi sviluppati come l’Italia nel tentativo di guadagnarsi una vita migliore, inseguendo quella ricerca della felicità presentata da Jefferson come uno dei diritti fondamentali.