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Abusivismo edilizio e residenziale

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 65-69)

N. medio per anno dei contribut

4.2 Abusivismo edilizio e residenziale

Le forme e le modalità di espansione della città, nelle varie sfaccettature di differenziazione urbana, occupano una posizione di rilievo rispetto al tema dell’abusivismo edilizio. Gli anni in cui la costruzione illecita è stata più praticata, come soluzione per ottenere un alloggio, è stato il periodo tra il 1972 ed il 1975 (Cutillo, Calvosa 1989), un’indagine cooperativa dell’epoca rivela che tra il 1973 ed il 1975 i nuovi alloggi illegali ammontavano a 43.512 (CIRS 1981). In questo contesto i riferimenti all’abusivismo edilizio e residenziale sono da riferirsi in relazione ai fenomeni di autocostruzione e non di appropriazione indebita di proprietà privata. Una necessaria premessa, utile a comprendere questo fenomeno, riguarda l’aspetto speculativo dell’azione. Le ricerche condotte negli anni in cui l’abusivismo era un fenomeno praticato da un numero consistente di nuclei familiari, dimostrano che anche potendo scegliere le dimensioni dell’alloggio da auto-costruire, le famiglie non edificavano più di quanto non fosse necessario in relazione al numero dei componenti della famiglia (Cutillo, Calvosa 1989). La pratica dell’auto-costruzione illecita, nella città di Roma, non aveva lo scopo di speculare, nel modo di costruire case per poi rivenderle una volta che venivano

66 sanate, ma solo di rispondere alla necessità di riparo e protezione degli abitanti. Le caratteristiche che presentavano le costruzioni abusive erano le stesse delle abitazioni ufficiali (Martinelli 1988), a dimostrazione che esse rispondevano solo ad un’esigenza di bisogno di riparo, senza celare attività a fini lucrativi.

Perché l’attuale scarsità degli alloggi si collega al fenomeno dell’abusivismo? Nelle grandi aree urbane si sono sviluppate numerose organizzazioni che segnalano gli appartamenti sfitti e li smistano dietro ricompensa. Alcune famiglie in stato di bisogno arrivano a “vendere” la propria casa a queste organizzazioni, riducendosi a vivere in strada pur di ottenere del denaro. E’ difficile stimare questo fenomeno, perché è solo in occasione delle sanatorie che diventa possibile conoscere le dinamiche che si creano. L’abusivismo edilizio nasce come risposta a tante difformi domande, tese alla produzione di abitazioni diverse da quelle dominanti negli anni Settanta e Ottanta (Zanfi 2008). La variabile del numero dei dipendenti pubblici di Roma, è significativa per l’interpretazione dello sviluppo storico, perché hanno rafforzato l’immagine di stabilità abitativa in alcune zone centrali della città.

“Così tenendo presente l’epoca di costruzione degli alloggi e le caratteristiche socio-economiche di espansione e crescita della popolazione urbana, è possibile riconoscere situazioni insediative e parametri localizzativi che riguardano figure e nuclei sociali che sono andati via via consolidandosi all’interno della stratificazione della città.

Se si tiene presente il modo in cui storicamente si è sviluppata Roma, per espansioni successive, si individua una città borghese che, passando per il centro, si espande essenzialmente verso nord-ovest da una parte in direttrice sud dall’altra inglobando in epoche successive i quartieri di Prati, Parioli, Nomentano (nell’epoca tra le due guerre), Montesacro, Montemario, Monteverde (negli anni della ricostruzione post-bellica), Eur, Colombo, Portuense, Aurelio, Vigna Clara (dagli anni ’60 in poi) e parallelamente una espansione della città popolare, che muovendo dal centro (Testaccio) si estende in direzione prevalentemente verso est, con aree quali Prenestino, Ostiense-Mandrione (tra le due guerre), Centocelle, Torpignattara (negli anni della ricostruzione), Tiburtino, Don Bosco e Primavalle (dopo gli anni ’60). Queste aree si presentano con alcune caratteristiche costanti in qualche modo

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polarizzate fino agli anni ’70, dando così ragione delle interpretazioni dicotomiche della realtà romana dell’epoca.” (Cutillo, Calvosa 1989, p.32).

La costruzione illecita ha creato nuove zone di Roma, ha “allargato” i confini della città a partire da ciò che già esisteva. Durante gli anni Settanta vennero costruiti i quartieri di Nuovo Salario, Cassia, Colli Portuensi e Pineta Sacchetti, che si caratterizzavano per avere alloggi sia in affitto che di proprietà, con una stratificazione sociale mista, uno standard abitativo ed un reddito di medio livello. Nei quartieri i cui insediamenti abitativi risalgono agli anni Sessanta e Settanta, vi sono appartamenti piccoli rispetto al numero di persone che li abitano, le quali si sono dimostrate predisposte a far crescere la natalità. Al contrario, nelle zone centrali della città, sia prestigiose che popolari, sono rimasti gli abitanti ormai anziani e soli, che quindi riducono le proprie dimensioni, ma che hanno a disposizione grandi dimensioni di alloggi.

Nel 1985, con la legge 47 “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, chiamata anche “legge sul condono edilizio”, si fornì una risposta alla questione dell’edilizia extranorma e si modificarono alcuni punti della normativa urbanistica. La normativa si poneva principalmente l’obiettivo di ottenere un consenso politico ed una pacificazione sociale (Zanfi 2008) attraverso il conferimento ai sindaci di poteri di demolizione e di confisca degli edifici abusivi. Sugli immobili senza concessione, sancì la nullità degli atti di compravendita e stabilì nuove sanzioni sulla costruzione illegale. Il passo fondamentale è stato quello di ricomprendere l’abuso esistente all’interno del Piano urbanistico, impegnando i Comuni a mettere a punto i programmi di recupero, da attuare in linea con gli standard del Piano, in questo modo gli oneri degli abusivi vennero investiti in cambio della concessione in sanatoria. I problemi e le contraddizioni scaturiti dalla normativa sono stati molteplici:

“A cinque anni dall’approvazione della L. 47/1985 si iniziano ad intravedere i primi spiragli di gestione da parte degli enti locali presi d’assalto da un evento tanto atteso quanto straordinario. Non sembra esagerato sostenere che in

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questi cinque anni i Comuni d’Italia non sono stati in grado di impostare una strategia, ma hanno subito questo avvenimento affrontando semplicemente le emergenze che esso ha prodotto. La lentezza, i ritardi e le difficoltà incontrate sono da attribuire fondamentalmente ad un vizio originario della Legge, ovvero al fatto che il legislatore ha privilegiato l’aspetto del prelievo fiscale senza tenere conto delle interazioni inevitabili con le norme e i regolamenti edilizio-urbanistici e con le strutture. A dimostrazione basta considerare l’andirivieni di «note esplicative», «circolari interpretative», «precisazioni e chiarimenti» ed altre simili amenità che ministeri, pretori e comuni si sono affannati a diramare col risultato spesso di confondere anche quelle poche cose che apparivano chiare.” (Rosi 1989, p. 58).

Questa linea politica, in cui le istituzioni “lasciano fare”, ottenne come risultato una crescita del mercato “nero” e dell’evasione fiscale, che venne poi “sistemata” con un continuo aggiustamento dei piani urbanistici e ambientali, i quali poi risolsero il tutto con il condono (Clementi 1997). In questo modo l’abuso edilizio è diventato un modo abbastanza sicuro di soddisfare i propri bisogni, non necessariamente di vera e propria emergenza, per poi avere la certezza che non si incorrerà in sanzioni, ma anzi che la propria posizione verrà regolarizzata in un secondo momento. Strategia che tende a favorire tutte quelle scorciatoie informali che rendono il percorso più rapido. Vi è infine un’ulteriore tipologia di abusivismo, relativo alle ristrutturazioni interne, che si può presentare come ristrutturazioni volte ad ottenere particolari cambiamenti di lusso e comfort, indotte dalla necessità di rispondere a nuove esigenze abitative rispetto alle dimensioni, con lo scopo di evitare l’onere insostenibile del cambio di alloggio.

Il tema dell’abusivismo edilizio è stato ampiamente affrontato durante gli anni Settanta e Ottanta, ma ora è stato abbandonato come oggetto di indagine. Il dibattito si è affacciato in Italia per la prima volta negli anni Sessanta, a causa della crescita incontrollata dell’inurbamento di alcune città, le trasformazioni dell’epoca talvolta prescindevano dagli strumenti che i governi avevano messo a disposizione, poiché vi era una scarsa cultura urbanistica (Zanfi 2008). Terminati gli anni Ottanta, si è parlato di abusivismo edilizio solo in occasione di qualche disastro o catastrofe ambientale, ma il fenomeno ha continuato a proliferare sommerso. Nel 2003 le Regioni si lamentarono fortemente per la riapertura del

69 condono edilizio e questo fu uno dei segnali che esprimevano la crisi in cui versa l’urbanistica degli ultimi trent’anni, segnata da una linea politica ambigua, perché rigida e permissiva allo stesso tempo.

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