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Storia abitativa del soggett

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 149-156)

N. medio per anno dei contribut

7.3 Storia abitativa del soggett

Dalle interviste condotte emerge una grande varietà di racconti rispetto alla storia di ognuno di loro. Non è quindi possibile individuare prassi o esperienze ricorrenti a tutti o alla maggior parte degli individui. Gli elementi che possono aver determinato la perdita dell’alloggio, e quelli che hanno condizionato la scelta di vivere in un occupazione, sono i fattori che si individuano come le forme del disagio. Questo si manifesta in modo peculiare nelle diverse storie di vita, e risulta essere l’unico fattore davvero ricorrente in tutti gli intervistati. E’ possibile effettuare una distinzione tra gli occupanti autoctoni e quelli immigrati. Per gli italiani è frequente, soprattutto nelle donne sopra i quarant’anni, il fattore di perdita del lavoro.

“Dopo aver perso il lavoro non potevo più pagare l’affitto e in breve tempo persi anche la casa. Sono stata ospite da amici, passavo da una casa all’altra, non potevo stare a lungo da nessuno di loro. Col tempo ho ripreso a lavorare, non ho garanzie, ma un piccolo appartamento potrei anche permettermelo, il problema è che non ho soldi da parte e vogliono tutti una cauzione, oltre che delle garanzie che non ho.” (Martina, vive in un’occupazione a scopo abitativo a Roma).

150 Molte di queste donne, non potendo contare sull’aiuto della famiglia, si sono rivolte ad amici e conoscenti, ricorrendo alla loro ospitalità finché possibile e successivamente, non riuscendo a trovare un altro lavoro, hanno chiesto aiuto ai comitati di lotta per l’abitazione. Si tratta di donne single e di mamme sole con figli a carico, per le quali la necessità di un’abitazione, come anche la possibilità di risiedere ospiti da amici e conoscenti, è più complessa.

“Quando morì mio figlio non mi sono potuta permettere nemmeno un giorno di riposo dal lavoro, ma quando non gli servivo più non hanno esitato a mandarmi via.” (Chara, africana, vive in un’occupazione a scopo abitativo a Roma).

Le donne hanno un passato spesso segnato da lavori a retribuzione appena sufficiente alla conduzione di uno stile di vita medio-basso, quindi la perdita del lavoro segna quella frattura che non permette di contare su risparmi per sopperire a periodi di mancato stipendio. Non è raro trovare donne con titoli di studio alti, corrispondenti alla laurea. L’impossibilità di trovare un lavoro uguale o simile a quello precedente e la mancata capacità di flessibilità, rispetto alla richiesta di mercato delle nuove figure professionali che, in questo caso, favoriscono i giovani in quanto maggiormente malleabili allo sviluppo di nuove competenze, ha comportato un ripiego professionale talvolta frustante, come quello di addette alle pulizie o di badanti.

“Facevo la sarta, ma ora questo lavoro non esiste più, alla mia età che cosa posso fare?” (Miriam, vive in occupazione a scopo abitativo a Roma).

Per queste persone vi sono ulteriori difficoltà dovute spesso alla presenza di figli minori, che comportano un minor tempo disponibile da dedicare all’attività lavorativa. Il periodo precedente alla perdita dell’alloggio può essere segnato da esperienze di vita negative, come la violenza domestica ed i maltrattamenti. Eventi dai quali queste donne sono fuggite, ove possibile, sottraendo anche i propri figli. Non è per tutti così, altri casi riguardano donne

151 single che perdono il lavoro, anche se solo quello principale, ma che si vedono impossibilitate a continuare a sostenere le spese della casa (Sebastianelli 2004). Nel caso di donne straniere è frequente il lamentarsi per i bassi salari, nella maggior parte dei casi in “nero”. Stipendi che si aggirano attorno ai 5 euro l’ora, senza contributi e senza ferie, per lavori di badanti o di domestiche. Per poter vivere nella città di Roma, con un simile stipendio, non basterebbe lavorare tutta la giornata e tutti i giorni. Abitare in un’occupazione permette di eliminare le spese per la casa e di riuscire a provvedere ai propri consumi e a quelli degli eventuali figli a carico.

“Faccio le pulizie nelle case delle signore, prendo cinque euro l’ora e se mi lamento mi dicono che mi licenziano perché ci sono tante altre donne che possono venire al posto mio agli stessi soldi. Con questi soldi e i bambini non posso permettermi una casa.” (Abelina, rumena, vive in un’occupazione a scopo abitativo a Roma).

Molte donne, prima di rivolgersi ai comitati di lotta per la casa, sono state ospiti in centri di accoglienza ed istituti religiosi. Tutti luoghi che permettono un’ospitalità a breve termine. Dopo esperienze come lo sfratto, la perdita del lavoro o episodi di violenza domestica, consegue un periodo di forte stress emotivo. E’ necessario consentire alle persone di avere del tempo per ritrovare la serenità. Ciò è necessario affinché si possano convogliare le energie volte ad emanciparsi ed a ricominciare un nuovo percorso di vita. Questo periodo di tempo non è sempre concesso, nella maggior parte dei casi la possibilità di recuperare le forze non c’è e accade che ad un forte stress se ne accumuli altro, provocando un crollo emotivo, seguito da periodi di forte depressione. Nelle occupazioni a scopo abitativo questo fenomeno è contemplato: per questo motivo è frequente che il primo mese, o i primi due, il nuovo ospite abbia necessità di calore ed accoglienza. Questa modalità permette anche di far sì che ci si abitui al nuovo stile di vita ed alle regole della comunità. In seguito, ritrovata la serenità, inizia un percorso di emancipazione, dove l’occupante comincia a cercare un nuovo lavoro, a creare legami relazionali con i vicini ed a tessere nuove reti sociali.

152 La situazione è diversa per coloro che si sono dovuti confrontare con trasformazioni d’uso dei loro quartieri di residenza. In molte zone di Roma si è vissuto questo dramma: luoghi che si sono trasformati da zone popolari a quartieri di lusso, i cui abitanti si sono visti gradatamente espulsi. Nel quartiere S. Lorenzo di Roma, situato fra le Mura Aureliane, dagli anni Settanta in poi, vi è stato un lungo processo di trasformazione urbana che lo ha portato oggi ad essere una zona ambita dalla fascia di popolazione formata dagli studenti fuori sede. Essi sono costretti a pagare alte somme di denaro per avere una stanza da condividere con altri loro coetanei e poter risiedere vicino alle università. Storicamente S. Lorenzo, zona di vecchia tradizione operaia (Cutillo, Calvosa 1989), era nota per la sua chiara identità culturale, ideologica e politica, in parte paragonabile al quartiere Testaccio di Roma. Il quartiere ospitava in larga parte giovani militanti, era il luogo fulcro delle contestazioni studentesche e sede di una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, il movimento di Lotta Continua, nato a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. Il 19 luglio del 1943, durante la seconda guerra mondiale, il quartiere fu bombardato, in parte distrutto e poi ricostruito. Molti degli abitanti “storici” di questa zona vivono ancora lì, ma si sono dovuti scontrare con i drastici cambiamenti che ha subìto il mercato immobiliare.

“Sono nato qui, ho dal fruttivendolo al dottore tutto sotto casa e ora questi dicono che me ne devo andare, ma io non conosco nessuno. Dove vado? Non ho nessuno. Se mi sfrattano vado a vivere sotto un ponte.” (Marco, sotto sfratto nel quartiere S. Lorenzo di Roma).

S. Lorenzo vuole essere solo un esempio, rappresenta un fenomeno che ha trasformato molti altri quartieri della capitale. Questa zona è anche conosciuta per essere sede della vicina università “La Sapienza” e per ospitare numerosi artisti ed intellettuali. Oggi S. Lorenzo è un luogo comodo per gli studenti universitari fuori sede e per coloro che desiderano vivere in un quartiere caratteristico della storia della città. A causa di tutti questi fattori, la zona è diventata molto costosa, sia rispetto al passato e sia in proporzione all’aumento dei prezzi (Franchetto 2004).

153 Anche i servizi e le attività commerciali si sono adeguate ai nuovi costi. I vecchi abitanti, ormai anziani, si sono visti alzare il prezzo dei beni di consumo e delle locazioni in modo vertiginoso, al punto che non possono più sostenerli. I proprietari preferiscono locare gli immobili agli studenti, piuttosto che ai vecchi abitanti, ed hanno progressivamente preso provvedimenti in tal senso. Molti dei residenti si sono visti espulsi a causa di queste trasformazioni d’uso.

A differenza del quartiere S. Lorenzo, vi sono altre zone della periferia romana che si caratterizzano per i recenti insediamenti, seguiti alle nuove costruzioni (Ferrarotti 1979; Ferrarotti 1981b). E’ questo il caso, per citare un esempio, del quartiere della Bufalotta, dove negli ultimi anni vi è stato un vero e proprio boom della edificabilità. In questa zona il fattore identità e vita condivisa è manchevole. Le difficoltà al consolidamento del sentimento di vita associata di quartiere, è dovuto alla difficoltà degli abitanti a costituirsi come eterogenei nelle opportunità e nelle condizioni di vita, essendo caratterizzati talvolta da notevoli differenze sociali, l’unico elemento comune è l’abitazione contigua (Cutillo, Calvosa 1989).

Altri elementi ricorrenti nel passato degli occupanti riguardano la situazione familiare. E’ frequente per gli uomini l’aver vissuto una separazione, la casa coniugale nella maggior parte dei casi viene assegnata alla coniuge cui si affidano i figli. I mariti hanno l’obbligo di versare un mantenimento per i figli e talvolta anche per l’ex coniuge: se a questo si aggiungono le spese per l’affitto di una nuova casa, quello che resta è ben poco per chi percepisce uno stipendio in linea con la media nazionale. Può accadere che l’unica soluzione possibile resti quella dello spostarsi fuori città dove i prezzi sono più bassi, ma di contro aumentano i costi ed i tempi degli spostamenti. Si è già scritto, nei capitoli precedenti, quali sono le aree limitrofe alla capitale che ospitano sempre più individui, sia singoli che famiglie.

Come arriva, colui che è in emergenza abitativa, a rivolgersi ai comitati di lotta per la casa? Quali strade si tentano generalmente in precedenza? Perché si contattano tali strutture? Il primo passo, di solito, è di ricorrere al segretariato sociale competente del proprio Municipio di appartenenza, il quale, a sua volta,

154 rimanda agli assistenti sociali che prendono in carico i singoli casi. Va premesso che, a Roma, le richieste che pervengono sono numerose, ed i fondi disponibili sono limitati; inoltre le situazioni di disagio sono delle più varie ed a seconda della gravità di ognuna, viene assegnata una certa precedenza nella presa in carico dei singoli utenti. La possibilità di aiuto è quindi relativa alle disponibilità esistenti e queste si rivelano puntualmente insufficienti a fornire un sostegno seppur minimo. L’assistente sociale, che prende in carico l’utente, attiva un progetto personale attraverso le proprie capacità professionali, le disponibilità economiche (nello stanziamento di eventuali sostegni economici), e lo mette in comunicazione con la rete di enti, istituzioni, cooperative, associazioni, parrocchie, volontariato e centri sociali che concorrono, in linea con le disposizioni di legge 328/00, al raggiungimento del benessere dell’individuo. Come si è spiegato, i servizi disponibili prendono in carico molti utenti e, per tanti di loro, l’aiuto che possono fornire non risulta sufficiente a migliorare le condizioni di vita di chi vi accede. Basti pensare che per richiedere una casa di edilizia residenziale pubblica ci sono tempi lunghissimi, circa 10 anni di attesa prima dell’eventuale assegnazione. E’ chiaro che tempi del genere sono improponibili per chi è in emergenza abitativa. Gli utenti iniziano così un lungo e tortuoso percorso tra i cavilli della burocrazia istituzionale, passando da un centro all’altro, da un dormitorio in zona Roma Nord, ad uno sito a Roma Sud, dall’altra parte della città. Questi spostamenti continui, legati alle incertezze, procurano un forte stress, in situazioni come queste è difficile creare dei legami col territorio, portare i figli a scuola, cercare un lavoro. Un sostegno del genere non può chiamarsi “aiuto”.

Accade poi, ad un certo punto di questo “pellegrinaggio”, o meglio di questo “vagabondaggio”, che si incontri qualcuno che indirizza l’utente presso una delle undici sedi, sparse nel territorio di Roma, delle agenzie del diritto (Franchetto 2004), gestite e coordinate da volontari afferenti ai movimenti di lotta per la casa, i quali a loro volta prendono in carico l’utente. Dopo aver ascoltato la storia e la situazione dei singoli individui, questi vengono nuovamente messi in comunicazione con associazioni (sia formali che informali), e quant’altro possa

155 essere utile. Le strutture sono in contatto diretto ed immediato con altre istituzioni presenti nel territorio. Gli utenti in emergenza abitativa necessitano come prima cosa di un luogo ove poter dimorare e vengono così inseriti in un percorso e in una lista per accedere ad una delle circa 50 occupazioni, gestite dai comitati di lotta per la casa, presenti a Roma. Come è stato già detto, a causa dell’informalità di queste strutture, non è stato possibile rintracciarne il numero esatto. Il percorso comporta l’accettazione delle regole di convivenza di ogni singola occupazione, molto simili ad un regolamento condominiale e l’attesa per l’alloggio va da qualche giorno a qualche mese. Per le situazioni più gravi, quelle in cui ad esempio siano presenti figli minori, persone anziane e disabili, la risposta è immediata e provvisoria. Gli utenti in condizione di emergenza abitativa immediata, vengono infatti accolti in appartamenti o stanze predisposte appositamente per questo utilizzo, fintanto che non venga trovato un appartamento più a lungo termine.

Questa modalità è informale oltre che illegale, l’occupazione indebita di un edificio, come si è già detto, viola l’articolo 633 del codice penale, ma senza dubbio fornisce una risposta immediata ed ha una forte valenza sociale. Dalle interviste condotte emerge un fattore molto importante da sottolineare: talvolta sono le stesse strutture istituzionali (pubbliche e non), a consigliare gli utenti ed indirizzarli verso un’occupazione a scopo abitativo! Molti degli occupanti attuali, hanno dichiarato di essere venuti a conoscenza degli edifici occupati e autogestiti per merito dei loro stessi operatori sociali e professionisti di vario tipo, ossia proprio coloro che precedentemente li avevano preso in carico, quali ad esempio assistenti sociali, educatori e psicologi. Queste figure professionali, vedendosi impossibilitati ad accogliere nuovi utenti nelle proprie strutture di ricovero o di fornire qualsiasi altro tipo di sostegno, che potesse essere utile al benessere dell’utente, hanno fornito l’indirizzo degli edifici occupati, affinché i destinatari provassero, presso di quelle, a richiedere ospitalità e aiuto. In pratica si è arrivati al paradosso: il soggetto pubblico, incapace di fornire ricovero e sostegno ai bisognosi, rimanda per via informale ad altri luoghi di accoglienza che hanno un carattere illegale. Le istituzioni, in questo modo, non solo ammettono la loro

156 sconfitta, in quanto incapaci di erogare un servizio essenziale e costituzionalmente garantito, ma suggeriscono percorsi illeciti.

Una volta che gli utenti trovano riparo presso un luogo occupato, il percorso prosegue con procedure di accoglienza, di ascolto e di messa in comunicazione con la rete di servizi e strutture, come scuole e parrocchie, disponibili sul territorio o limitrofe ad esso. Tale percorso avviene affinché l’ospite/occupante possa facilmente integrarsi e fruire dei servizi disponibili. L’alloggio che viene fornito cerca il più possibile di rispondere alle esigenze di spazio, abitabilità e vicinanza con il Municipio di appartenenza. Ecco come una soluzione che va contro le regole si riveli maggiormente efficace rispetto alle risposte inefficienti del soggetto pubblico, che dovrebbe essere il garante della salute e del benessere degli individui. Tale modalità è un approccio che si considera troppo spesso, dalle sfere politiche, solo come un’attività illegale e, in quanto tale, viene condannata a priori senza analizzarne il forte valore sociale che porta con sé. Questa soluzione è solo un modo di affrontare l’emergenza abitativa, ma non è certo l’unico possibile. I comitati sono attivi affinché si possa stabilire un dialogo con i vertici politici ed economici; l’obiettivo di tali azioni non è quello di violare la legge a scopi di profitto personale, ma di rispondere ad una mancata tutela di uno dei diritti essenziali alla vita: il diritto all’abitare.

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 149-156)