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Lo spazio nella convivenza

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 86-91)

N. medio per anno dei contribut

5.1 Lo spazio nella convivenza

Il concetto di spazio, in sociologia, fa riferimento alla sfera dell’esperienza e a quella della conoscenza, che in questo ambito si trovano ad essere strettamente correlate tra di loro. Nel primo caso assume un carattere concreto, formato da punti e distanze; nel secondo è astratto e si realizza attraverso la forma mediante la quale si interpreta la realtà. Lo spazio interagisce inevitabilmente nella strutturazione della forma che assume un ambiente urbano. Tale forma, e lo stile di vita di chi lo abita, costituisce “l’immagine della città” (Cesareo 1998). Gli abitanti si confrontano con questa immagine e la adeguano alle proprie necessità, attraverso una modifica della sfera esperienziale e di quella conoscitiva. Lo spazio possiede quindi più dimensioni, in quanto permette di cogliere l’azione dell’attore sociale in un determinato luogo ed anche i rapporti che si creano con un sistema più vasto.

La città prende spesso un’accezione di “sfondo oggettivo”, da sfruttare in termini economici, ma in quest’ottica i luoghi svaniscono e perdendo la loro pregnanza (Mazzocchi, Villani 2003, p. 60). Secondo Sennet, come per l’ambito lavorativo, che diventa sempre più spezzato e frammentato, anche l’uso della città e del sistema economico, porta ad un utilizzo diverso degli spazi urbani (Sennet 1999a). Tutti quelli fissi, come i luoghi di culto e le piazze, nella società attuale perdono il loro interesse, lo acquistano, invece, tutto ciò che è breve e fugace,

87 come le fiere e gli alloggi temporanei. In un’epoca che vede i processi di globalizzazione al centro dei cambiamenti sociali, la città viene meno vissuta, e gli abitanti sostituiscono la produzione materiale con i servizi. Facendo riferimento alle categorie di Tonnies, si può vedere come la società prende il predominio sulla comunità e ciascun individuo tende a chiudersi nel privato, lasciando il sociale al di fuori (Tonnies 1979). Questo è uno dei motivi che rende difficile la creazione di spazi di socialità, vissuti con quel senso di appartenenza ad una comunità cittadina, che invece erano maggiormente presenti nelle epoche passate. Tale mutamento rende sempre più complessa la realizzazione di una partecipazione attiva alla vita di città. Nell’analisi di McLuhan, i mezzi di comunicazione di massa sono decisivi nella definizione del concetto si spazio in relazione alle organizzazioni sociali.

“I principali elementi d’impatto dei media sulle forme sociali esistenti sono l’accelerazione e lo sconvolgimento. L’accelerazione tende oggi alla totalità, e di conseguenza distrugge l’idea dello spazio come fattore principale delle organizzazioni sociali”. (McLuhan 1967, p. 19).

Alcuni autori hanno identificato tre aspetti fondamentali che definiscono la città nel senso di uno spazio. Il primo sta nella densità, ossia quante persone, istituzioni e servizi sono presenti in uno spazio definito; il secondo è l’eterogeneità degli esseri viventi che condividono lo stesso luogo; il terzo, ed ultimo, è composto dalle reti di comunicazione, che sono in grado di generare effetti sociali (Massey, Allen, Pile 1999). In quest’ottica lo spazio esiste nella misura in cui è abitato da un individuo. La sua descrizione è soggetta alla

situazione, ossia al modo in cui viene a trovarsi un corpo che lo occupa. Il

soggetto che ne dispone lo rende oggettivo rispetto a come appare, in questo modo acquista senso solo nel modo in cui viene percepito e costruito. Gli individui sono lo sfondo che rendono possibile la nascita di uno spazio e sono anche coloro che gli permettono di apparire. Le città accolgono una vasta molteplicità di vita urbana che è totalmente aggregata, anche se a distanza, e che rivoluziona il concetto di luogo, poiché al suo interno vi è un flusso di pratiche quotidiane. Ciò

88 può essere letto attraverso schemi fenomenologici ricorrenti, che permettono di considerare la città come un organismo da studiare al pari di un sistema olistico (Amin, Thrift 2005). Il legame tra individuo e società è un rapporto dinamico. Implica uno scambio continuo di condizionamenti, e struttura i processi cognitivi di apprendimento che, a loro volta, determinano l’adozione di uno stile di vita piuttosto che di un altro. Lo scambio che avviene tra il tutto (la società) e la parte (l’individuo), è racchiuso in una struttura relazionale, che coincide con il reciproco rapporto che si crea tra i soggetti e l’ambiente sociale in cui abitano.

“Il problema del darwinismo è che analizza l’animale come se fosse qualcosa che è a portata di mano, e quindi non vede più la «struttura relazionale» fra l’animale e il suo ambiente. Perciò non riesce a comprendere che «l’ambiente» è una caratteristica intrinseca del divenire del movimento dell’organismo. Nell’ambito di questo ripensamento del divenire della vita, il pensiero di Heidegger si avvicina molto all’enfasi di Deluze sull’etologia, sebbene l’analisi di Deluze abbia luogo a un livello molto più molecolare e meccanico, che rende il concetto di organismo ampiamente problematico in senso sia filosofico sia politico. Una lettura ispirata a Deluze della volontà di potenza metterebbe in evidenza il suo tentativo di concepire la realtà in termini dinamici e processuali in cui l’enfasi è posta su di un sistema centrale di forze, e in cui «l’evoluzione» ha luogo senza riferimento alle distinzioni di specie e generi.” (Ansell-Pearson 1997, p. 117).

Diversi autori insistono sul ribadire che lo studio della città deve partire dall’osservazione della vita di tutti i giorni, con un’indagine sulle pratiche umane ricorrenti (Lefebvre 1977; Ferrarotti 2009a). Queste pratiche sono in larga misura di circolazione e di scambio. Il primo elemento ad essere scambiato è il denaro che, confermando la tesi di Marx, viene utilizzato come un “acido” che corrode la socialità, riducendola in mercificazione (Simmel 1984; Amin, Thrift 2005). Il vivere diventa un accurato calcolo che abbassa la qualità dell’esperienza umana, in quanto resta indifferente alle relazioni, e si esprime solo attraverso un tornaconto economico. La quotidianità implica l’esperienza vissuta di tutti i giorni ed è questa pratica che consente la nascita della città, queste ultime sono teatri di partecipazione e confronto tra pubblico e privato, fra cittadini ed istituzioni.

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“Ma qual è il senso costitutivo di questa quotidianità? Sicuramente, questo senso non è propriamente senso quanto piuttosto sensibilità, una «conoscenza» interiorizzata e piuttosto automatica che funziona come visione periferica, non come contemplazione studiata, una conoscenza che è precognitiva e di buon senso piuttosto che concettuale. Come tale non mette in discussione solo l’intera pratica critica, a 360 gradi, delle discipline accademiche, ma è conoscenza che vive tanto negli oggetti e negli spazi di osservazione quanto nel corpo e nella mente dell’osservatore. Inoltre, questo senso ha una tendenza attivista e costruttivista; non è contemplativo così come è colto in medias res, continuando a lavorare, ricominciando, amalgamando, agendo e reagendo.” (Taussig 1992, p. 16).

La possibilità di progettare spazi che siano aperti ad un futuro da compiersi sulla base di scelte partecipate, e dettate anziché dalle logiche del mercato, dall’idea di rispondere ai reali bisogni della città, può essere spiegata utilizzando i concetti introdotti da Marc Augé rispetto ai termini di “rovine” e “macerie”. Le prime vengono prodotte dalla storia recente e creano difficoltà nella loro gestione, sono produzioni delle quali bisogna sbarazzarsi; mentre le seconde hanno il progetto intrinseco di divenire utili per qualcosa, sono aperte alla possibilità.

“Sulle macerie nate dagli scontri che inevitabilmente susciterà, si apriranno nondimeno dei cantieri e insieme ad essi, chissà, una possibilità di costruire qualche altra cosa.” (Augé 2004, p. 137).

Secondo l’antropologo francese le rovine non vengono più prodotte; esistono invece le macerie: queste, non essendo più legate al passato, contemplano una progettualità futura. Abitare uno spazio vuol dire attivare un progetto locale, dove il luogo acquista una sua identità, in questo senso:

“il locale non risponde necessariamente alla piccola dimensione, non è l’espressione di un ordine di grandezza; è piuttosto il principio di una teoria interpretativa, un punto di vista che privilegia gli elementi di peculiarità e

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irripetibilità di un soggetto anziché gli aspetti che connotano la tipicità, la ripetibilità e l’omogeneizzazione di un oggetto.” (Magnaghi 1991, p. 14).

Lo spazio diventa, sotto questo punto di vista, un territorio complesso dove si intrecciano diversi elementi quali l’ambiente fisico, quello costruito e quello antropico (Savoldi 2006). Gli attori sociali, che lo abitano, ne sono gli inventori e i fautori dei continui cambiamenti in corso. Gli elementi di cui è composto sono la cultura, le tradizioni, la lingua e le pratiche sociali. Su queste basi si costruisce la partecipazione come esperienza di relazioni tra gli abitanti, producendo uno sviluppo locale auto-sostenibile che si alimenta delle capacità di autorganizzazione e dell’autonomia degli abitanti.

“Alla base di questa visione ricompositiva, solidale, della frammentazione sociale della società degli esclusi, sta la rinascita dell’idea di comunità che si sviluppa dalle esperienze concrete di riappropriazione cooperativa di spazi per l’abitare e per il produrre che si pone soprattutto come «strumento per la creazione di un immaginario sociale. Naturalmente occorre selezionare l’analisi dei soggetti portatori di energie virtuose per lo scenario strategico, scartando utopie comunitarie di tipo regressivo (rischio di chiusura organicistica, rischio di comunità ´blindata´ e di localismo ´triste´) e valorizzando esperienze che alludono alla «comunità possibile» (…) aperta, costruita da identità differenziate: la comunità come prodotto di relazioni fra differenze che trovano riconoscimento reciproco e regole di convivenza; la comunità come accordo su un progetto.” (Magnaghi 2000, p. 109).

Attraverso il corpo è possibile vivere lo spazio poiché esso é nello spazio, ma oltre ad esserci, il corpo lo abita poiché percependolo e vivendolo, esso diventa parte della propria esperienza di vita (Merleau-Ponty 2003; Vitta 2008). A tracciare l’esperienza sono anche gli oggetti presenti, in una casa essi segnano il livello sociale dell’abitante a partire dal loro valore di mercato. Il possesso degli oggetti di arredo, dai divani ai sopramobili, è oggi più effimero che in passato. Nelle case gli oggetti restano ospiti sempre più a breve termine e vengono spesso sostituiti con nuovi contenuti. Il consumo di massa ha cambiato il valore attribuito agli oggetti del passato, quelli che “duravano tutta la vita”. Ora si rompono o

91 vengono sostituiti da quelli “più nuovi”. In questo modo sono state annullate anche le gerarchie sociali e si sono create nuove strategie di distinzione. Nell’arredamento odierno, ogni pezzo cambia di significato a seconda del posto che occupa e in un disegno più ampio, che investe la soggettività dell’abitante. L’arredo e gli oggetti che quotidianamente vengono utilizzati, propongono riti in apparenza sempre uguali, ma ogni volta diversi. Lo spazio delle azioni di tutti i giorni è un contenitore, che in un certo senso stabilisce dei comportamenti secondo uno schema preciso, istituzionalizzato. Le “cose” della casa “spiegano” a chi le possiede come devono essere utilizzate e “obbligano” l’individuo a determinati comportamenti.

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 86-91)