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Gli studenti e i giovani precar

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 111-115)

N. medio per anno dei contribut

5.5 Categorie a rischio casa

5.5.2 Gli studenti e i giovani precar

Quella dei giovani è diventata una questione molto controversa, l’attuale crisi economica mina profondamente la vita, le aspettative ed il futuro dei ragazzi di oggi. Molti di loro si vedono negata la possibilità di avere un lavoro stabile, di fare progetti e di perseguire degli obiettivi a lungo termine. La disoccupazione è salita a livelli altissimi, questo dato allarmante non dista di tanto dagli altri Paesi europei, molti dei quali vedono anch’essi salire il tasso degli inoccupati in modo vertiginoso e rapido, ma l’Italia, insieme con la Spagna e la Grecia, sono gli Stati che ne soffrono maggiormente. I ragazzi italiani sono consapevoli che non

112 potranno percepire una pensione in vecchiaia, poiché non vi saranno i fondi ed anche questo rappresenta un altro fattore di rischio che genera malumore e paura. I giovani sono preoccupati per il loro futuro, non possono costruirsi una famiglia perché non possiedono i mezzi per farlo e si sentono dei cittadini fragili, in uno Stato che non fornisce garanzie o tutele per nessuno.

La situazione delle donne giovani è ancora più a rischio, esse hanno ottenuto nel corso degli anni passati un maggiore riconoscimento sociale, ma, di contro, devono seguire le regole del mercato e questo vale ancora di più per le mamme. I bambini vanno affidati agli asili, peraltro scarsi, in particolare nella città di Roma, e perlopiù a pagamento. Questo obbliga a versare una parte considerevole dello stipendio ad una struttura privata. Le donne hanno sì conquistato un certo grado di libertà e indipendenza rispetto al passato, ma a discapito dei bambini e questo a causa della scarsità di servizi per l’infanzia e per l’adolescenza presenti sul territorio ed ai prezzi considerevoli che essi richiedono. I giovani fidanzati si vedono negata la possibilità di diventare adulti, di andare a vivere insieme, di progettare la loro vita e un figlio. Il mercato immobiliare è anch’esso responsabile del calo demografico. La diffusione di questi modelli ha creato una “città incerta”, nella quale crescono i fenomeni di marginalità ed esclusione sociale (Paone 2008). Anche qualora in una coppia entrambi i partner abbiano un impiego, occorre fare i conti con un rischio noto come “la trappola dei due redditi”. Con la nascita di un figlio, se entrambi i genitori lavorano, si dovrà fare i conti con i costi aggiuntivi relativi alla carenza di servizi pubblici di sostegno. Per questo motivo i coniugi lavoratori, prima di diventare genitori, devono aspettare di ottenere occupazioni stabili ed abbastanza remunerative da consentire di far fronte a questi costi aggiuntivi (Negri, Filandri 2010).

La formazione accademica e professionale non garantisce un futuro stabile e non restituisce quella sicurezza che si percepiva nelle generazioni degli anni Ottanta, dove le famiglie erano più numerose e conducevano una vita mediamente serena. Attualmente la possibilità di formare una famiglia è diventata una lontana chimera, l’età media in cui si diventa genitori è aumentata ed il numero dei figli è diminuito, uno dei più bassi a livello europeo. Non è un caso che i Paesi con il più

113 alto tasso di figli per famiglia sono quelli del Nord Europa, dove i servizi sociali sono più efficienti e vantano di un’offerta sociale maggiore. I giovani italiani si sentono soli, devono sempre di più fare affidamento ai risparmi delle loro famiglie, anch’esse instabili, sono consapevoli che, per loro, l’acquisto di una casa è un’aspettativa improbabile.

Il precariato lavorativo non permette di fare progetti. Spesso i giovani vanno incontro a mesi di disoccupazione, durante i quali non si può fare affidamento ai risparmi, perché non è stato possibile risparmiare. Il tempo che si trascorre tra la perdita del lavoro e l’arrivo di una nuova occupazione tende ad aumentare (Bergamaschi 1999), la conseguente condizione di disoccupazione determina una perdita di identità. Quest’ultima è infatti legata e sorretta dalla struttura della mente e non vi è identità senza una forma di identificazione. Nelle grandi città italiane, dove le spese per la casa sono elevate, è difficile poter abbandonare la casa dei genitori, il lavoro instabile non permette di perseguire tale obiettivo e la formazione di un’identità propria si raggiunge con non poche difficoltà. Alcuni autori considerano la residenza autonoma come il primo evento realmente indipendente del corso della vita, il passo che consente di acquisire ruoli e doveri tipici dell’età adulta (Nomisma 2007; Negri, Filandri 2010).

Per gli studenti, soprattutto se fuori sede, la situazione è ancor più drammatica. La possibilità di mantenersi agli studi e affittare un alloggio, anche solo una stanza, comporta enormi sacrifici per loro e per le famiglie. I contributi pubblici sono inferiori che nel passato: ogni anno vengono stanziati meno fondi agli alloggi universitari e mentre i posti letto diminuiscono, i prezzi salgono e le garanzie richieste fanno sì che il mercato del “nero” si allarghi. Negli ultimi anni si registra una crescente scarsità di alloggi per gli studenti non residenti e non pendolari. A questo problema dovrebbero rispondere diversi soggetti come le istituzioni pubbliche e private, il privato sociale, il no profit e il volontariato. Una delle soluzioni che si sta affermando è quella di ospitare studenti universitari nelle case delle persone anziane, sia perché è più probabile che questi dispongano di spazio sufficiente per accogliere i giovani, sia perché è possibile instaurare una relazione con l’anziano che diventi un’esperienza positiva per entrambi.

114 Per i giovani è quindi difficile lasciare la casa dei genitori in un Paese come l’Italia. In luoghi come la Svezia, le persone tra i diciotto ed i trentacinque anni che vivono in famiglia, sono solo il 10 per cento, tra il 15 e il 30 per cento quelle dei Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Scendendo ancora al Sud la percentuale sale al 50 per cento, ma il record lo detiene l’Italia con il 60 per cento (Baldini 2010). Le difficoltà dei giovani a trovare lavoro, e quindi la non possibilità di lasciare la casa dei genitori, provocano un disadattamento sociale e culturale che, in alcuni casi, possono sfociare in comportamenti devianti e in percorsi di marginalità. Lo Stato non si è fin ora mai preoccupato di postulare un’offerta abitativa specifica per i giovani, l’aspirazione alla casa è concepita solo per chi si sposa o per chi deve cambiare città. Secondo diversi studi, condotti nei vari Paesi europei e riportati nel testo di Baldini La casa degli italiani, un’abbondante offerta di abitazioni in affitto favorirebbe l’uscita dalla casa familiare per andare a vivere in alloggi in locazione e, qualora si tratti di case pubbliche o sociali, la possibilità di lasciare la casa della famiglia aumenta ancora di più. Sempre lo stesso studio rileva che in Italia i figli di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti hanno, nel maggior numero dei casi, accesso alla casa di proprietà, mentre non è così per i figli degli operai. Emerge anche che la più alta origine sociale, diminuisce la probabilità di uscire dalla casa della famiglia per convivere con il proprio partner, nella maggioranza dei casi i figli dei ceti alti prediligono la convivenza con amici o coetanei. Non è così per sei Paesi, quali: Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Francia e Austria. In questi Stati il modello di autonomia è strutturato diversamente per condizioni economiche e culturali, non risulta per i giovani essere influenzato dalla classe sociale della famiglia di origine. Negli altri Paesi europei la classe sociale di provenienza incide sulle modalità di uscita da casa, ma solo per chi proviene dalla classe superiore e dalla classe operaia. In breve si regista che i Paesi del Nord e del Centro Europa si caratterizzano per una più rapida uscita dei giovani dalla casa dei genitori, mentre quelli del Sud Europa lasciano più tardi la famiglia e solitamente lo fanno per formare un’unione di coppia stabile (Negri, Filandri 2010).

115 L’emergenza giovanile, dovuta alla prolungata permanenza in famiglia, determina difficoltà nel percorso di costruzione di una propria collocazione sociale. La “coabitazione forzata” si trasforma in un ostacolo all’entrata nella vita adulta. I giovani sono quindi fortemente penalizzati dalla recessione in atto, queste barriere generano condizioni che minacciano la possibilità di sviluppare capacità personali secondo le proprie esigenze e desideri. Il passaggio alla vita adulta è segnato da una progressiva autonomia dalla famiglia di origine e dall’assunzione di ruoli e responsabilità verso altri individui, come accade con la nascita dei figli. Tali eventi sono fortemente condizionati dai sistemi di stratificazione sociale della società in cui si abita. L’Italia è caratterizzata da una forte instabilità lavorativa e tale fenomeno contribuisce a ritardare i processi di autonomia. I lunghi tempi che impiegano i giovani per uscire dalla famiglia di origine e per far nascere i figli, sono utili a proteggersi dai rischi conseguenti all’instabilità economica. Per ovviare a ciò sono necessarie politiche sociali in grado di sostenere i giovani nello studio, nella ricerca del lavoro e nei periodi di disoccupazione o di bassa remunerazione. Dovrebbero essere incentivati i servizi di mobilità, in modo da ridurre i tempi e i costi degli spostamenti, che incidono sulla possibilità di conciliare il lavoro con la vita familiare, infine, si dovrebbero promuovere politiche di sviluppo nei compiti di cura dei bambini e degli anziani.

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 111-115)