• Non ci sono risultati.

Condizioni abitative nella città metropolitane

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 95-99)

N. medio per anno dei contribut

5.3 Condizioni abitative nella città metropolitane

L’Unione Europea ha individuato alcuni principi generali di qualità che definiscono, misurano, valutano e migliorano la vita dei cittadini. Prendono in considerazione le caratteristiche dell’alloggio per grandezza e comfort, e quelle ambientali per i servizi e il territorio. La presenza o meno dei servizi sanitari è indicativa della condizione sociale di una famiglia, ma lo è anche il numero di questi, che può variare ed identificare un differente pregio abitativo. Vi sono poi altri attributi come l’esistenza del posto macchina o di spazi esterni privati, ma è anche importante osservare lo stato di manutenzione e di qualità dei materiali utilizzati nelle costruzioni e nelle rifiniture. Ulteriori criteri si possono rilevare osservando aspetti del fabbricato relativi agli annessi dell’abitazione stessa, quali cantina, soffitta, garage, balconi, terrazzi. Rispetto agli spazi ad uso condominiale, vi sono caratteristiche come il portierato, il citofono, il videocitofono. L’ubicazione risponde al criterio di qualità quando, ad esempio, non è collocata su strade di transito a traffico intenso, dove è alta la sofferenza di inquinamento. Inoltre, la presenza di verde pubblico o di arredo urbano è rilevante, come anche la presenza o meno di marciapiedi e di mezzi pubblici. Nel caso di edilizia abitativa sociale, le condizioni di vivibilità alloggiativa devono rispondere ad alcuni standard di qualità, sia “tecnici” che “sociali”. Solo alcuni Stati europei hanno adottato un regolamento specifico, per il settore dell’edilizia sociale, che ne stabilisce gli standard. L’Italia si distingue dagli altri Stati

96 dell’unione, per non aver mai adottato dei regolamenti che determinino la qualità degli alloggi destinati ad un uso sociale, per la sua drammatica carenza di alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la reticenza dello Stato nel fornire politiche pubbliche che favoriscano il diritto alla casa (CECODHAS 2008c). Di seguito sono elencati alcuni degli indicatori più rilevanti rispetto alla struttura della famiglia, della popolazione, delle abitazioni e della città.

Struttura della famiglia e della popolazione

Strutture dell’abitazione e delle città

Tasso di affollamento (famiglie/abitazioni; abitanti/stanze)

Qualità

dell’abitazione Dimensione (mq)

Tipologia della famiglia (1, 2, 3, …, numero componenti; capofamiglia + numero figli; capofamiglia + altri membri)

Numero di stanze

Storia abitativa Servizi di base (acqua, elettricità,

riscaldamento, bagno) Spazi non coperti (terrazze, giardini)

Pertinenze dell’abitazione (garage, cantina, soffitta)

Stato di manutenzione e conservazione

Titolo di godimento

Caratteristiche dell’immobile in cui si trova l’abitazione

Destinazione d’uso degli immobili Indice di vecchiaia nell’area dell’abitare Qualità Servizi pubblici

Percentuale di giovani Servizi commerciali

Distribuzione della popolazione per livelli

di istruzione Strutture protettive

Situazione occupazionale Viabilità

Saldo dei trasferimenti abitativi % di superficie edificata sull’area totale

Mobilità delle persone (pendolarismo) % di superficie stradale sull’area totale

% di superficie verde attrezzato % di superficie verde non attrezzato

Saldo naturale Vivibilità

urbana

Dati relativi a salute e salubrità (tasso d’inquinamento, tasso di magnetismo, tasso di rumorosità) Immigrati non inseriti

Accessibilità alla centralità (congestione, rete di collegamento urbana)

97

Marginalità Tossicodipendenza Tasso di disoccupazione

Fonte: Cutillo, Calvosa 1989, p. 24.

Per indagare sulle condizioni abitative, è necessario ricercare quei processi dinamici che mettono in relazione la qualità ambientale, la differenziazione sociale e l’intervento pubblico. Secondo una ricerca condotta prevalentemente sulla base di condizioni di tipo strutturali, i fattori centrali della trasformazione demografica nella città di Roma sono il fenomeno migratorio, l’invecchiamento della popolazione e le caratteristiche dello status sociale. Da questo studio è emerso che il fenomeno migratorio ha cambiato, oltre che l’incremento demografico, anche la cultura e la società romana (Cutillo, Calvosa 1989). La popolazione che vive nelle grandi aree urbane del Paese è pari a 20.000.000, ossia il 35 per cento, ed è anche nelle medesime zone che si concentrano la maggior parte delle situazioni di povertà e di disagio (Guerrieri, Villani 2006). Nelle grandi città si trovano la maggioranza degli sfratti, dei provvedimenti di espulsione e la risposta alle domande di assegnazione di alloggi è particolarmente difficoltosa da soddisfare. Da un’elaborazione di dati, ancora incompleti rispetto ad alcune aree territoriali, provenienti dal Ministero dell’Interno e dal Sunia, emerge che a Roma, nel 2011, gli sfratti emessi sono stati 6.686, di cui 5.330 per morosità, i più alti d’Italia. In tutto il Paese risultano essere 63.846, di cui 55.543 per morosità. Nella capitale le richieste di sfratto sono state 7.206, quelle eseguite 2.343; Milano conta 22.146 richieste, di queste ne sono state eseguite 741. Da altri studi condotti dal Sunia CGIL emerge che nel 2008, in Italia, i provvedimenti di sfratti esecutivi sono stati 52.033, il 18,6 per cento in più che nel 2007. Quelli eseguiti sono stati 24.959, l’11,1 per cento in più rispetto all’anno precedente e le richieste di esecuzione 138.443, il 25,5 per cento in più. Di questi provvedimenti il 51 per cento è stato emesso nei capoluoghi di Provincia, il restante 49 per cento riguarda gli altri Comuni. Le cause degli sfratti emessi sono state: per 41.008 casi, morosità o altra causa; per 10.486 casi, finita locazione; per 539 casi, necessità del locatore (Sunia CGIL 2009). Ne emerge che, il forte aumento degli sfratti, è

98 dovuto alla morosità, il problema dell’insostenibilità delle spese per l’abitazione e dell’incompatibilità con i redditi delle famiglie, è un fenomeno che si sta diffondendo in tutto il territorio nazionale. Senza adeguate misure di sostegno al reddito, è facile prevedere che molte famiglie continueranno a perdere la propria abitazione anche nei prossimi anni.

Negli anni Cinquanta e Sessanta sono state costruite in Italia oltre 8.000.000 abitazioni, che superano il 40 per cento dell’intero patrimonio edilizio nazionale (Cresme). Di quegli alloggi, 680.000 si possono definire “a rischio” e la causa risiede nei materiali poveri utilizzati in fase di costruzione, nella fretta con cui sono stati edificati e nelle scarse verifiche progettuali (Censis). I dati del Censimento ISTAT, relativi al 2001, rilevano che 13 grandi Comuni italiani stanno vivendo una consistente riduzione della popolazione residente. Molte famiglie, in particolare quelle con redditi medi, preferiscono spostarsi nei Comuni limitrofi all’area metropolitana, per avere prezzi inferiori e migliori condizioni di vita. Sono anche in crescita le abitazioni improprie, come quelle formatesi a seguito di calamità naturali, come ad esempio i terremoti. Fenomeno che interessa in particolare le Regioni del Centro Italia. L’indagine ISTAT registra il 68,3 per cento di abitazioni di proprietà, il 20,9 per cento di affitti, lo 0,7 per cento di alloggi occupati e il 10,1 per cento di abitazioni occupate ad altro titolo. Nel 69,2 per cento dei casi, per le famiglie in affitto, il proprietario è un privato e nel 23,1 per cento, un ente pubblico. Questi dati cambiano molto a seconda del territorio: nel Centro-Nord si trovano percentuali più alte di proprietari come ente pubblico, mentre al Sud e nelle Isole sono in numero più elevato i proprietari privati. In totale nel 2001 si trovano 2.915.362 di famiglie che vivono in affitto e 973.000 in alloggi pubblici, i quali erano 1.000.000 nel Censimento del 1991. La Banca d’Italia conferma questo dato, rilevando che, la proprietà alloggiativa pubblica, contava nel 1998 il 6,3 per cento del totale dello stock occupato e nel 2000 è scesa al 5,3 per cento (Guerrieri, Villani 2006). Questo andamento aiuta a comprendere come le condizioni abitative, per i loro eccessivi costi, stiano riducendo le famiglie italiane a situazioni di povertà ed a grandi sacrifici in termini di ridotta qualità della vita. Sono state individuate 4 dimensioni che concorrono a

99 determinare situazioni di disagio abitativo: a) la mancanza della casa o il rischi di sfratto; b) la carenza di dotazioni di base; c) le ridotte dimensioni degli spazi rispetto al numero dei componenti familiari; d) gli elevati costi in rapporto al reddito disponibile (Baldini 2010).

Il primo servizio essenziale alla vita degli individui è la casa e la mancanza di questa, o il suo degrado, contribuisce ai processi di emarginazione e di esclusione sociale. La variabilità delle condizioni abitative non dipendono solo dalla vivibilità del quartiere, dalle caratteristiche dell’alloggio in sé, dalla dislocazione dei servizi e dalla praticabilità dei trasporti. Un elemento importante è il fattore di integrazione nel quartiere, delle condizioni soggettive e della identificazione sociale (Caudo 2005b). La percezione che gli abitanti hanno della vivibilità della propria abitazione, va misurata in un contesto più ampio e più complesso dell’abitazione stessa. Oltre all’occupazione, le dimensioni e la fruibilità dei servizi collettivi, bisogna considerare gli elementi che Lefebvre definiva come “transfunzionali”, che vanno al di là delle loro specifiche funzioni e che si traducono nella necessità di una vita sociale, della possibilità di trasformare gli spazi in simboli e delle funzioni ludiche di un territorio (Lefebvre 1973). Questi elementi permettono al cittadino di riconoscere il diritto alla città (Sebastianelli 2009b), di costruirsi un’unità spazio temporale rifiutando la frammentazione. La vivibilità è la percezione della propria sicurezza e di quella dei propri figli, in un contesto che permette al cittadino di identificarsi con lo spazio urbano, attraverso la rappresentazioni di elementi simbolici, spesso assenti nelle nuove aree residenziali (Cutillo, Calvosa 1989).

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 95-99)