N. medio per anno dei contribut
6.3 Le ragioni della ricerca
Perché compiere una ricerca sull’emergenza abitativa? Gli studiosi delle dinamiche del mercato immobiliare non mancano di certo. Le prime a compiere approfonditi e dettagliati studi in quest’ambito sono le banche, che promuovono finanziamenti ed erogano mutui. Anche i costruttori conoscono bene le dimensioni del fenomeno. Tutti questi numeri e dati statistici non sono però in grado di fornire un quadro sociale del fenomeno, non dicono nulla sulle persone e sulla loro storia di vita. E’ risaputo che in un momento di crisi, come quello odierno, molte famiglie hanno difficoltà a pagare il mutuo o a trovare appartamenti in affitto a prezzi accessibili ed è nota anche la paura con la quale convivono. Quello che non si conosce è dove vanno a finire tutte quelle famiglie che la casa la perdono e non riescono più a trovarne un’altra. Chi le aiuta? Dove vanno ad abitare? A chi si rivolgono? Gli italiani sono abituati a concepire la proprietà immobiliare come un traguardo da raggiungere con fatica e sacrificio, ma in altri Paesi europei questa non rappresenta una preoccupazione. Trovare casa o cambiarla per esigenze di famiglia o di lavoro è una prassi normale, non costituisce fonte di stress e di angoscia. Perché avere un alloggio deve essere un problema così grande? Eppure tutti lo considerano un mezzo essenziale e necessario all’esistenza. Non dovrebbe allora essere scontato che tutti vi possano accedere?
Ogni fenomeno sociale deriva dal ripetersi di pratiche svolte da attori sociali che agiscono in particolari condizioni e che si rapportano con un determinato ambiente (Mela 2010). Sulla base di questi presupposti si sono creati
139 i movimenti di lotta, nati per rispondere a un bisogno essenziale e per protestare contro un sistema ingiusto. La ricerca sociologica è la scienza chiamata in causa per studiare questi particolari fenomeni urbani. L’azione dei comitati è una modalità di presenza civica, funzionale a risolvere problemi come questo (Bonvecchio 1999). Quando la casa, da bisogno, viene percepita come diritto, si innesca un processo di cambiamento. E’ la legge, dice S. Paolo, che crea il peccato (Sartre, 1972). Abitare è un concetto complesso, per farlo bisogna vivere i muri. L’abitazione ha un’utilità sì pratica e concreta, di riparo ed intimità, ma anche di rappresentazione simbolica. Rispetto a questo secondo aspetto la casa, diventa un proseguimento di chi la abita, una protesi dell’individuo. Essa è il filtro di osservazione e di interpretazione della realtà. Viceversa la casa è anche uno strumento di giudizio sullo status sociale degli individui, a partire dall’oggetto- casa si arriva a postulare ipotesi sul soggetto-individuo che vi abita. In pratica l’alloggio ed il modo, in cui si abita un determinato spazio, forniscono una rappresentazione identitaria ai loro ospiti ed anche agli osservatori esterni, ossia strutturano il modo in cui gli Altri osservano e giudicano i singoli individui ed una società. L’Abitare è un concetto multiforme che si concretizza in forme specifiche, è una prassi umana, un modello che appartiene alla natura umana e che si concretizza nell’artificio: “abitare è come venire al mondo, e venire al mondo è già abitare” (Vitta 2008, p. 3). A questa prassi gli esseri umani hanno imposto l’abitare all’ambiente, trasformandolo in vari modi a seconda delle vicende culturali e sociali tipiche di ogni luogo specifico. Un radicale cambiamento culturale, del concetto di abitare, è stato fornito dalla società francese: quando con la rivoluzione cadde la nobiltà, la cittadinanza venne riconosciuta solo a coloro che erano proprietari di un lembo di terra. D’altronde per avere un documento di identità è necessario dichiarare una residenza. L’abitazione rivela agli Altri l’esistenza degli individui, il loro posto e lo spazio che occupano.
“Abitare indica il possesso di qualcosa che è nello stesso tempo in noi e fuori di noi. E’ in noi, in quanto è un dato della nostra natura, fa parte della nostra stessa corporeità, ci è necessario per vivere; è fuori di noi, nella dura e aspra realtà del mondo che ci circonda, in quanto spazio d’azione, oggetto d’intervento, finalità,
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progetto, opera. Protagonista dell’abitare è dunque un Io che in quanto corpo si definisce per il suo situarsi in uno spazio che possiede e al quale, in pari tempo, appartiene: un io che si distacca da ciò che lo circonda grazie alla sua capacità di pensarlo, ma in pari tempo vi si immerge e vi si dissolve in virtù della sua fisicità, vitalità, materia” (Vitta 2008, p. 11).
E’ difficile stimare quante siano le famiglie romane in condizione di occupazione abusiva, secondo alcune rilevazioni si aggirano attorno alle 8.000 (Franchetto 2004). Il processo attraverso il quale si muovono le trame dell’azione collettiva parte dal riconoscimento di un bisogno, continua con l’affermazione di un diritto ed arriva a svilupparsi come motore di un cambiamento sociale. Una forma di impegno nell’azione collettiva è costituita dalla militanza. Questa può essere paragonata al pellegrinaggio, si costituisce attraverso il calore dei rapporti tra i militanti e si rivela come un’anticipazione del risultato, a riprova della sua realizzabilità (Cassano 2004). La volontà di rivendicare il diritto alla casa, è un’azione dotata di una straordinaria e febbrile vitalità, di un’energia che irradia il “valore dell’autonomia, della libertà, dello sforzo e della lotta” (Levi 2003, p. 17). Tutti questi concetti relazionali rientrano nell’ambito della socialità, ne fanno parte: fiducia, reciprocità, capacità associativa e cooperazione. Il percorso che gli individui compiono nei movimenti di lotta per la casa non solo aiutano a creare nuove relazioni sociali tra gli individui, ma generano risorse a partire dalle relazioni ottenute. In questo modo è possibile ridurre le diseguaglianze, rafforzare i legami di un gruppo e mobilitarli verso iniziative prese di comune accordo. In altre parole le energie utilizzate nello sviluppo dei movimenti di lotta per la casa, sono in grado di generare quello che gli studiosi delle scienze sociali definiscono come “cittadinanza societaria” (Donati 2000) o “capitale sociale” (Pendenza 2008; Andreotti 2009). Legami tra i consociati di una comunità, che si sviluppano attraverso processi di differenzazione ed integrazione, dando vita ad una rete di relazioni in grado di generare risorse vantaggiose per la collettività. L’uguaglianza sociale non si realizza nel modo in cui tutti gli individui vengono considerati uguali di fronte allo Stato, ma come riconoscimento ed inclusione delle differenze, come mezzo per promuovere una cittadinanza che risponda alle
141 esigenze di ogni specifica condizione sociale. In molti Paesi europei il diritto all’abitare è riconosciuto come principio fondamentale alla cittadinanza sociale. L’Italia riserva invece uno spazio molto marginale a questa tematica, sia in ambito finanziario, che simbolico. Gli interventi sono sempre stati a carattere “riparatore”, caratterizzati da successive regolarizzazioni di situazioni illegali. La casa dovrebbe essere un punto di partenza, non di arrivo.
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Il vissuto