• Non ci sono risultati.

Costruire insieme la città

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 142-147)

N. medio per anno dei contribut

7.1 Costruire insieme la città

L’attenzione all’urbanistica si è sviluppata a seguito degli sconvolgimenti successivi alla rivoluzione industriale, in quell’occasione fu reso necessario individuare nuovi percorsi nel rapporto tra società e territorio (Elia 1983). La sociologia entrò in quell’occasione a far parte delle discipline utilizzate nelle scelte urbanistiche. In Italia, come è già stato evidenziato, il processo di industrializzazione si è avviato in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, e ciò ha comportato un rallentamento dei processi di urbanizzazione. Tali processi hanno inoltre provocato un stretto legame tra i vertici del potere politico e lo sviluppo dell’architettura, generando consenso e determinando la nascita di Facoltà universitarie, riviste e concorsi. La pianificazione territoriale si connota, negli anni successivi ai processi di urbanizzazione, per il suo carattere politico, viene promossa e controllata dai poteri politici ed amministrativi. I rapporti tra potere e proprietà si sono affermati come dominanti nelle scelte di costruzione della città e forniscono sempre maggiori opportunità politiche. In apparenza, l’urbanistica, si presenta come disciplina volta a migliorare la qualità di vita dei cittadini, ma essa propone una precisa ideologia politica, imposta dallo Stato e sostenuta da tecnici e professionisti (Elia 1983). E’ uno strumento spesso utilizzato delle classi agiate affinché possano dominare il territorio. La sociologia entra a far parte di questa disciplina anche per cercare di sciogliere questo legame di potere, e di liberare

143 l’urbanistica dalla sua condizione di subordinazione alla politica. La stessa definizione di “città”, che denota un “centro” che supera un certo numero di abitanti, è scorretta; la città è un insediamento che non solo ha determinate dimensioni, ma che si struttura in modo tale da permettere una limitata conoscenza degli abitanti (Weber 1979; Petrillo 2001). Lo “spazio” ed il “sociale” sono discipline interconnesse, insieme possono restituire la città ai suoi abitanti e scioglierla dal suo sfruttamento politico. La sociologia urbana, grazie al rapporto che si instaura tra gli studiosi del territorio e le scienze sociali, impara ad interrogarsi su se stessa. Promuove pratiche che a loro volta producono azioni, con lo scopo di progettare forme urbane che possano accogliere le varie dinamiche sociali.

Nel corso degli anni Novanta, in Italia, si avviò una vasta gamma di pratiche di sperimentazione in ambito di riqualificazione urbana, facenti riferimento alla legge Botta-Ferrarini. Prevedevano la riconversione del tessuto territoriale attraverso la promozione e la formazione di programmi integrati attuati dai Comuni. Tali programmi, attualmente ancora utilizzati, assolvono a più funzioni, tra cui le opere di inurbamento: in questo modo è possibile far concorrere diversi operatori e risorse finanziarie, sia pubbliche che private. Questa normativa è stata il cavallo di battaglia per le successive novità in ambito di politiche integrate di recupero. Un altro strumento è quello dei Programmi di Recupero Urbano (PRU), che riguardano solamente i quartieri di proprietà pubblica e non altre zone che il Comune intende riqualificare. Il fine è quello della manutenzione e dell’ammodernamento, dell’assicurare accessibilità agli impianti, di integrazione dei complessi urbanistici esistenti, di inserire elementi di arredo urbano, di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e ristrutturazione edilizia degli edifici. L’obiettivo è quello di rivolgere le azioni prevalentemente all’edilizia residenziale pubblica, e per far questo è richiesto un sostanziale intervento del settore privato, per circa un terzo del totale degli investimenti. Le proposte dei Comuni devono poi poter rientrare nei livelli istituzionali stabiliti dalle Regioni.

144 Un’esperienza che ha rivoluzionato i servizi sociali è stata quella successiva all’introduzione del Piano di zona. Con esso è possibile sintetizzare gli interventi e le politiche dei settori unendo i programmi ed i finanziamenti, attraverso provvedimenti flessibili e stimolando le risorse della comunità locale (Gori 2004). Il Piano di zona sancisce il passaggio che vede la programmazione non più incentrata su azioni di government, dove la funzione amministrativa era esclusiva dello Stato, ma in una prospettiva di governance, dove le attività di comando vengono svolte attraverso il lavoro incrociato di soggetti pubblici, privato sociale e società civile. In tale prospettiva si promuove uno sviluppo locale in ambito territoriale, accompagnato da vari soggetti che concorrono alla pianificazione in modo congiunto e non più in qualità di delegati. In quest’ottica i partecipanti, che costruiscono le politiche sociali, sono gli stessi autori del Piano che negoziano le risorse disponibili in relazione ai bisogni ed alle esigenze specifiche di ciascuna zona (Battistella, De Ambrogio, Ranci Ortigosa 2004). La novità del Piano è quella di allargare la sfera di competenza dei livelli di governo subnazionali in un ottica di “rafforzamento” (Gelli 2005), mediante il decentramento amministrativo. In questo modo le amministrazioni non hanno più il “monopolio” nella tutela dell’interesse pubblico: l’assunto di base è che gli individui non sono solo portatori di bisogni, ma protagonisti in grado di sviluppare capacità e competenze, in grado di rispondere alle esigenze della collettività (Arena 2006). Le competenze vengono così devolute dallo Stato ad altri livelli di governo attraverso un processo “dall’alto verso il basso”, che vede la diffusione di nuove modalità e pratiche di cooperazione.

Durante il processo di unificazione europea, sviluppatosi negli anni Novanta, allo scopo di fronteggiare la disoccupazione ed il degrado urbano, sono stati promossi dall’Unione i programmi URBAN (Rivitalizzazione economica e sociale delle città e delle zone adiacenti in crisi, per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile), e 4 città italiane hanno ottenuto i finanziamenti necessari allo loro attuazione: le città erano Torino, Milano, Brindisi e Napoli. I programmi sono stati finanziati dagli Stati Membri mediante i Fondi strutturali. Lo scopo era quello della rigenerazione urbana tramite interventi complessi ed integrati per

145 ottenere azioni personalizzate e per favorire le pari opportunità nell’ambito dei servizi sociali. I progetti URBAN erano volti al miglioramento delle condizioni di vita delle città, con particolare attenzione ai quartieri più poveri e degradati, attraverso il recupero edilizio e lo sviluppo del campo del mercato del lavoro. Le iniziative presero forma grazie ad un partenariato locale che ripartiva risorse e definiva le problematiche attraverso adeguate strategie di intervento e mediante partecipazione di sfere economiche e sociali, associazioni, ONG e organismi che operano nel settore dell’ambiente.

Un esempio è quello del Piemonte, che ha indicato, come riferimento metodologico per l’attuazione dei Programmi di Recupero Urbano, la direttiva dell’Unione Europea URBAN. Questa direttiva si impegna appunto a contrastare il disagio sociale nei quartieri popolari, e si prefigge di ottenere, oltre al recupero edilizio, anche quello sociale ed ambientale. Tali programmi hanno una forte valenza innovativa, vengono finanziati dai vari livelli di governo, godono del contributo degli abitanti rispetto alle scelte di riqualificazione del quartiere, si prefiggono di tutelare i soggetti deboli, favoriscono l’occupazione della popolazione inattiva e coinvolgono le associazioni no profit. La città di Torino, per assicurare la piena attuazione di questi indirizzi di programma, ha creato i Piani di Accompagnamento Sociale (PAS). Gli obiettivi sono contenuti all’interno di un documento elaborato per il Comune di Torino, con lo scopo di promuovere il confronto con gli abitanti, in modo da accogliere le loro proposte ed utilizzare la loro competenza. La Regione Toscana sperimenta, attraverso il PREP, strumenti volti a reperire e recuperare abitazioni da assegnare in locazione a canone controllato. La Liguria ed il Piemonte hanno creato agenzie che favoriscono l’incontro tra domanda alloggiativa e mercato privato. Il Lazio promuove il recupero di sottotetti da destinare alla locazione a canone concordato. La Campania sperimenta il co-housing attraverso contratti di locazione a breve periodo ed insieme alle Marche ed alla Toscana facilita la sperimentazione in ambito di sostenibilità ambientale e risparmio energetico (CREL 2009). Le ricerche dimostrano che i progetti di trasformazione urbana, dettati dalla sola logica del mercato, hanno avuto come effetto un aumento delle diseguaglianze

146 sociali (Nuvolati, Piselli 2009). Le future azioni di inurbamento dovranno quindi accettare la sfida di dover coniugare la crescita economica all’equità ed alla giustizia sociale.

Per integrare elementi urbanistico-edilizi a contenuti sociali, sono stati creati i contratti di quartiere. Anch’essi rivolti prevalentemente all’edilizia residenziale pubblica, si prefiggono di promuovere interventi di ecologia urbana e di risparmio di risorse energetiche. Hanno una natura negoziale in quanto richiedono accordi tra più soggetti pubblici quali lo Stato, le Regioni ed i Comuni, tra il pubblico e il privato e tra le associazioni e i soggetti no profit, nonché la popolazione stessa. I contratti di quartiere sono un accordo tra la popolazione e i suoi interlocutori sia pubblici che privati. La Gran Bretagna adopera esperienze di progettazione partecipata, ormai già da alcuni anni, in diversi quartieri delle città, la gestione è affidata a soggetti terzi che tramite appalto conducono i lavori in

équipe. In Italia sono invece i funzionari delle amministrazioni a gestire e

progettare i programmi di recupero urbano. Le esperienze della Gran Bretagna dimostrano che l’agire pubblico, guidato da un’adeguata metodologia e professionalità, è in grado di promuovere progetti di riqualificazione partecipati, che all’opposto vengono spesso inibiti o preclusi in Paesi come l’Italia. La concezione anglosassone ha come assunto che una pluralità di protagonisti, nelle gestione delle attività di interesse collettivo, comporti un vantaggio e sia indispensabile nelle scelte che guidano l’azione pubblica.

Le forme di autogestione e auto-organizzazione di gruppi che si caratterizzano per una forte base sociale, tra cui anche i centri sociali e le occupazioni a scopo abitativo, si configurano come ultimo livello di quel processo “dall’alto verso il basso” accennato in precedenza. I movimenti collettivi ed i comitati costruiscono delle proposte, talvolta avanzate mediante azioni di protesta, che racchiudono un insieme di valori sociali. Attraverso soprattutto la sensibilizzazione pubblica e la ricerca di sempre maggiore visibilità, tali gruppi promuovono un cambiamento che crea nuove forme di agire sociale. Ciò in risposta al fatto che, di fronte a politiche sbagliate o insufficienti, i cittadini sono in grado di fornire risposte vicine alle esigenze della collettività. L’insolvenza

147 degli organi di governo, nella gestione delle politiche sociali per l’abitazione, ha portato alla creazione di gruppi di individui che hanno elaborato strategie ed azioni volte al raggiungimento del loro diritto a vivere in un abitazione dignitosa. Il raggiungimento di questo obiettivo si realizza, per il suo carattere eversivo e fuori dalle regole, nella necessità di contravvenire alle leggi imposte dallo Stato. Autogestione e auto-organizzazione sono libere iniziative dei cittadini, che si presentano come una particolare forma di impresa, al pari di un’attività imprenditoriale (Borzaga, Ianes 2006). Si realizzano mediante iniziative comuni e come strumenti di lotta all’esclusione sociale, promuovendo il benessere della collettività in un modo in cui non era stato pensato prima. La formazione dei comitati di lotta, è efficace nel cogliere l’emergere del bisogno abitativo e nel fornirvi una risposta che il soggetto pubblico non è stato ancora in grado di realizzare. In questo senso essi sono frutto di un processo evolutivo, un adattamento sociale sperimentato direttamente sul campo, attraverso l’impegno di chi vi è personalmente coinvolto. Il coraggio nel portare avanti un tale progetto è altresì evidente dall’operazione di rottura con i modelli passati, ormai insufficienti e non più applicabili alla società attuale.

Nel documento Diritto alla casa e forme dell'abitare (pagine 142-147)