Nei processi di comunicazione che le società occidentali hanno favorito risultano preminenti il controllo dell’opinione pubblica, il ruolo degli intellettuali o di élites, degli apparati mediatico e scolastico e l’identificazione del pubblico indottrinato attraverso i media. Esiste anche una limitazione più generale all’informazione nel mondo contemporaneo, denunciata da Stiglitz (2004), dovuta alla segretezza delle notizie attuata dai governi e dalle élites dei funzionari pubblici, che sminuisce o annulla la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e svuota la natura stessa della democrazia, basata essenzialmente sul diritto a ‘sapere’. Questa situazione corrisponde ai meccanismi della comunicazione globalizzata, totalmente parcellizzata
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(Bauman 2005b), all’organizzazione della società fortemente ‘individualizzata’ nel senso di Beck (2000) e alla concentrazione corporativa dei media. Elementi questi che sembrano caratterizzare nell’insieme il processo di comunicazione e specificamente l’informazione politica nei paesi occidentali. In effetti, a partire dalle società postindustriali che anticipano la società globalizzata, si affermano tecniche che dilatano l’impiego dell’informazione; quest’ultima, proprio in quanto legata a una sofisticata tecnocrazia e in quanto permette una conoscenza estesa e precisa sugli individui e sui gruppi, rappresenta un sistema di controllo di notevole efficacia, all’interno del quale i prodotti-notizie sono proposti sulla base della contaminazione di tecniche giornalistiche e di marketing (Ostellino 1995; De Mauro 2004a). In questa prospettiva il destinatario è analizzato esclusivamente nella sua qualità di consumatore; risulta pertanto preponderante una valutazione basata sullo status sociale, sulle condizioni economiche, sullo stile di vita, sulla capacità e abitudini d’acquisto e sugli interessi nei più disparati settori merceologici.
L’affermarsi dei nuovi media che caratterizzano la società globale ha determinato una ridefinizione in termini culturali, gestionali e organizzativi della comunicazione. Il rapporto tra nuove tecnologie e utenti è quello, noto ai sociologi delle comunicazioni di massa, per cui il moltiplicarsi dei mezzi e delle modalità di comunicazione non equivale immediatamente né ad un ampliarsi dell’accesso all’informazione, né a una proporzionale diffusione dell’informazione, cioè a una democratizzazione delle conoscenze; è tipico, anzi, l’effetto opposto. L’accesso a tecniche o tecnologie specialistiche implica infatti un maggiore e più sofisticato controllo sui mezzi di comunicazione e la padronanza dei diversi registri linguistici. Può essere interessante su questo punto considerare le condizioni di accesso a un mezzo di comunicazione antico come la scrittura. Come si è notato sopra, la scrittura, in particolare quella alfabetica, ha avuto l’effetto di rendere il sapere disponibile ad ampi strati della popolazione, inducendo capacità di rielaborazione critica (cf. Briggs e Burke 2002). D’altra parte la diffusione scritta delle conoscenze ha introdotto differenziazioni sociali più sottili di quelle delle società orali, dovute al diverso grado di fruizione dei testi scritti e di padronanza della lingua scritta e dei suoi contenuti, inclusa la capacità di orientarsi nell’enorme mole del sapere pubblicato e di potervi operare delle scelte. Più in generale la scrittura, e successivamente la stampa, implicano particolari condizioni cognitive e sociali e richiedono un addestramento mirato.
Sebbene la disponibilità di conoscenze sia oggi particolarmente ampia e fruibile, l’accesso risulta mediato da conoscenze sofisticate relative all’uso di programmi informatici (software) e sono lontani e irraggiungibili i luoghi di selezione e produzione di queste stesse conoscenze (Simone 2003). Le nuove tecnologie finiscono con l’accentuare le differenze tra i gruppi sociali che già possiedono l’informazione e quelli che, al contrario, non possono accedervi. Abbiamo visto, infatti, che il destinatario ha un ruolo attivo nel processo di selezione delle informazioni oggetto della propria attenzione. Le persone cioè possono associare ad uno stesso messaggio una costruzione di significato differente in relazione alle proprie conoscenze e alle proprie esperienze. È noto che il divario di conoscenza esistente rispetto alle informazioni di partenza delle persone risulta in diretta correlazione con la condizione sociale ed economica, da un lato, e con il grado d’istruzione, dall’altro. Un ulteriore incremento del divario è determinato dal fatto che le persone meno informate sono generalmente anche le meno interessate a esporsi alla comunicazione e, di conseguenza, una maggiore quantità d’informazione politica nei media andrebbe a beneficio di coloro i quali rappresentano la minoranza di pubblico competente (Baldi 2006, 2007, 2007a). La teoria del knowledge gap elaborata da Tichenor (Tichenor, Donohue, Olien 1970) sostiene infatti che i media svolgono una doppia funzione: da un lato, modificano le differenze di conoscenza derivanti dalle disuguaglianze di istruzione e posizione sociale, grazie alla loro capacità di garantire a tutti un flusso costante di informazione; dall’altro lato, la forbice tra i diversi settori del pubblico tende ad allargarsi a causa della richiesta di sempre maggiore qualificazione e competenza (tecnica, culturale, economica) per fruire di informazioni specializzate (nuove tecnologie, canali tematici, reti telematiche). Lo scarto si amplia, così, non a causa della disinformazione degli strati inferiori della società (classi socio-economiche basse come il sottoproletariato e la medio-piccola borghesia, gruppi isolati o emarginati, etc.) ma per la crescita esponenziale delle competenze negli strati sociali superiori. La
comunicazione potrebbe colmare il divario e tuttavia non è in grado di modificare la distribuzione stratificata delle conoscenze. È facile comprendere quindi come, ad esempio, l’esposizione alle medesime comunicazioni politiche di un pubblico informato e di un pubblico poco informato producano, di fatto, una differenza in ordine alla capacità di apprendimento e favoriscano l’accentuarsi dello scarto di conoscenza (Baldi 2006;2007; Baldi e Savoia 2006; 2007).
Una discriminante ampiamente trattata in letteratura riguarda i dati relativi al Digital Divide cioè l’accesso all’informazione digitale in rete. Lo scarto tra Occidente e resto del mondo è sintetizzato nel rapporto tra popolazione che accede alla rete e percentuale delle connessioni. La tabella in (5) riporta i dati relativi alla percentuale di penetrazione di internet nella popolazione aggiornati al 2009; tra parentesi è indicata la crescita percentuale rispetto al 2000.
(5) Percentuale di popolazione on line sul totale della popolazione (2009)
Nord America 74,4% (+ 135,2%) Sud America 29,9% (+ 860,9%) Asia Pacifico 17,4% (+ 474,9%) Europa Occidentale 48,9% (+ 274,3%) Medio Oriente 23,3% (+ 1296%) Africa 5,6% (+ 1100%) Oceania 60,4% (+ 172,7%) (la Repubblica 23.4.2009:35; fonte: Internetworldstats.com)
Le nuove tecnologie hanno l’effetto, pertanto, di accentuare le differenze tra i gruppi sociali che già possiedono l’informazione e quelli che, al contrario, non possono accedervi. A livello macrosociale, questo scarto nell’accesso all’informazione riflette un divario di ordine culturale più generale. Infatti, il processo di globalizzazione determina una nuova distribuzione di privilegi e di privazioni riguardo ai diritti, alle ricchezze, al potere e alle libertà (Baldi e Savoia 2005a).
Per quanto riguarda la situazione attuale nel nostro paese, i dati del Rapporto Censis sulla società italiana 2007, pur confermando la televisione come mezzo privilegiato dell’informazione, forniscono indicazioni relative ad un aumento generale dell’accesso alla carta stampata, alla lettura e ai nuovi media:
La televisione tradizionale risulta sempre il mezzo più usato, con il 92,1% di utenti complessivi, ma la tv satellitare raggiunge il 27,3% e la digitale terrestre il 13,4% degli italiani sopra i quattordici anni. Per la radio, al 56% di utenti da autoradio e al 53,7% di ascoltatori da apparecchi tradizionali vanno aggiunti il 13,6% di utenti da lettore Mp3 e il 7,6% da internet; per i quotidiani oltre al 67% di utenti che leggono un giornale tradizionale acquistato in edicola si deve considerare anche 34,7% di lettori di quotidiani gratuiti e il 21,1% di frequentatori delle pagine on line dei giornali via internet.
L’integrazione tra i media ne incrementa l’uso, coinvolgendo in questo aumento d’attenzione anche quelli tradizionali. Mai la lettura di libri e giornali in Italia aveva raggiunto punte così elevate. Il 59,4% di italiani che hanno letto almeno un libro nel corso dell’anno è un risultato confortante, ma il 52,9% ne ha letti almeno tre. La stessa tenuta di settimanali (40,3%) e mensili (26,7%) conferma che la società digitale non solo non segna la fine della circolazione della carta stampata, ma che anzi la sostiene. […] Nel 2007 gli utenti in generale di internet hanno raggiunto una quota pari al 45,3% della popolazione. Prendendo in considerazione solo gli utenti abituali, quelli cioè che si connettono almeno tre volte alla settimana alla rete, si è passati dal 28,5% del 2006 al 38,3% del 2007, con un indice di penetrazione che ha raggiunto tra i giovani il 68,3% e tra i più istruiti il 54,5%.
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In considerazione del fatto che il pubblico viene influenzato in maniera diversa dall’esposizione al messaggio, è utile distinguere la nozione di atteggiamento da quella di opinione (Berruto 1995:109 e sgg.). La prima corrisponde a comportamenti valutativi e a predisposizioni non manifeste e durature alla base delle relazioni sociali; una tipologia rilevante di atteggiamenti è rappresentata dal pregiudizio, cioè da una forma precostituita di valutazione degli eventi svincolata dalla realtà e costruita su stereotipi (Baroni 1983). Le opinioni, per contro, rappresentano formulazioni esplicite di costrutti concettuali relativi a situazioni specifiche, di breve durata e più esposte all’influenza da parte dei media e dei sondaggi d’opinione. Di conseguenza, il grado di familiarità e di coinvolgimento con le questioni presentate dai media (di contenuto politico o altro) gioca un ruolo decisivo nella suscettibilità alla persuasione a seconda che prevalgano o meno gli atteggiamenti radicati. Un altro elemento è rappresentato dalla ridotta autonomia di giudizio che induce molte persone a rapportarsi costantemente con quello che percepiscono come clima d’opinione dominante. Dall’interazione di questi fattori deriva la difficoltà di molti a esprimere liberamente il proprio pensiero e la tendenza a dissimularlo per paura di essere rifiutati dalla società.
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la variazione linguistica
code-switching, fenoMeni di convergenza in condizioni di contatto, variazione e facoltà di linguaggio.
La nozione di comunità linguistica (Gumperz 1973 [1968]) rinvia, come abbiamo visto, all’insieme di individui che hanno un’interazione linguistica regolare sulla base di conoscenze linguistiche (almeno in parte) condivise e (almeno in parte) differenti da quelle di altri gruppi. La variazione, cioè il passaggio da un tipo di mezzi verbali ad un altro, sia quella concepita come interna ad un sistema linguistico sia quella tra lingue/varietà diverse (interlinguistica), è normalmente correlata a fattori sociali, come il tipo di relazione tra interlocutori o la situazione della comunicazione (Fishman 1975[1972]). I vari domini e le specifiche situazioni in cui si realizza l’evento linguistico, insieme a fattori di ordine psicologico, danno luogo ai diversi modi di parlare, determinando le condizioni per l’alternanza tra lingue diverse o tra stili diversi di quella che generalmente viene concepita come la stessa lingua. In questo senso le scelte linguistiche concorrono a definire l’identità degli individui all’interno della società, cioè l’insieme delle caratteristiche, come l’età, il sesso, il gruppo etnico, l’estrazione sociale, la lingua, il grado di scolarizzazione, la religione, le convinzioni morali, le idee politiche, etc. che determinano la loro appartenenza ad un gruppo sociale. I fenomeni di
code-switching, cioè di commutazione tra due (o più) lingue diverse da parte di uno stesso parlante, sono la
manifestazione più nota della variazione linguistica e della conoscenza di più lingue.
All’interno dei fenomeni di code-switching Berruto (1990) distingue tra commutazione di codice, cioè il passaggio da una lingua ad un’altra all’interno di uno scambio linguistico, e il ricorso a enunciati mistilingui. Berruto (1990,1997) associa l’insieme dei fenomeni di code-switching (commutazione e alternanza) agli aspetti funzionali della situazione comunicativa, nel senso che la commutazione di codice sarebbe regolata dalla situazione comunicativa, e implicherebbe il cambio di evento e di interlocutore. All’opposto, il code-
mixing, cioè l’uso di enunciati mistilingui, sarebbe privo di effetti funzionali collegati all’evento linguistico
e all’interlocutore, di intenzionalità e di valore stilistico, e rifletterebbe la padronanza bilingue del parlante. Tutto sommato, questa classificazione per quanto rifletta le condizioni d’impiego parzialmente diverse tra commutazione di codice e enunciati mistilingui instaura un contrasto che sembra comunque troppo radicale. Anche gli enunciati mistilingui infatti non sono privi di risvolti funzionali e psicologici, su cui torneremo brevemente. Analogamente, non sembra opportuno concepire come qualitativamente diversa dai fenomeni di code-switching l’alternanza tra varietà stilistiche, di registro e situazionali; è infatti una questione empirica dove stabilire il confine tra lingue diverse e varietà di registro diverse. Questa difficoltà suggerisce di trattare anche quest’ultimo tipo di alternanza, che caratterizza qualsiasi parlante, come un fenomeno di bilinguismo, come del resto la letteratura generalmente assume (Mackey 1968, Romaine 1995).
Un aspetto della variazione messo in evidenza dalla sociolinguistica e dalla pragmatica è che la normale conoscenza linguistica di qualsiasi parlante sarà bilingue (Romaine 1995, Baldi e Savoia 2006, Savoia e Manzini 2007). Infatti, se il bi(/multi)linguismo corrisponde alla conoscenza di due (o più) varietà da parte di uno stesso parlante, non vi saranno parlanti monolingui in senso stretto, visto che qualsiasi parlante potrà se non altro alternare tra varietà stilistiche a seconda delle situazioni. Inoltre, il parlante bilingue può avere una diversa padronanza delle due (o più) varietà linguistiche. In particolare il grado di conoscenza di una varietà linguistica influenza la possibilità di usarla in certe circostanze (Romaine 1995). Altri fattori, come l’età, il sesso, l’intelligenza, la memoria, la facilità di apprendimento linguistico, la motivazione e la precocità dell’apprendimento (Mackey 1968, Romaine 1995) influenzano il bilinguismo. Inoltre, la conoscenza di L2 non è necessariamente uniforme in tutte le componenti della grammatica mentale (lessico, morfosintassi, fonetica).