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I disturbi della lettura e della scrittura

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 173-176)

Il danno specifico che colpisce tipicamente le abilità scolastiche, come appunto la lettura, la scrittura ed il calcolo si etichetta Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA); stando ad alcune stime recenti, la sua incidenza può arrivare fino al 3-4% dei bambini in età evolutiva (Cornoldi 1991). Un aspetto discusso nella letteratura scientifica è se i disturbi relativi alla lettura, dislessia, e alla scrittura, disortografia, possono essere trattati in termini di ritardo nell’apprendimento o di apprendimento deviato (Tressoldi 1991). L’ipotesi del

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ritardo è confermata nella misura in cui gli errori dei dislessici non sono distinguibili da quelli di soggetti più giovani o comunque di pari età di lettura. L’ipotesi della deviazione corrisponde all’osservazione di un diverso e ridotto uso delle informazioni sintattiche e semantiche del contesto. Come i Disturbi Specifici del Linguaggio anche i disturbi evolutivi relativi alla lettura e alla scrittura (dislessia evolutiva, disortografia) appaiono in soggetti che non hanno patologie di tipo neurologico, come il ritardo mentale, di tipo uditivo e visivo, o emotivo. Al pari di altri disturbi cognitivi a base genetica, anche i DSA sono soggetti a familiarità, cioè a trasmissione ereditaria con una possibilità di trasmissione dai genitori ai figli che va dal 35% al 40%.

Il modello di lettura in (1) di Sartori (1984) permette di caratterizzare i diversi tipi di dislessia a seconda del componente interessato dal disturbo, visto che i disturbi della lettura possono colpire selettivamente la via visiva-lessicale o quella fonologica (cf. Brizzolara e Stella 1995). Vi sono dislessici che pur riconoscendo le parole non sono in grado di identificarne le lettere; analogamente vi sono disturbi nei quali il paziente pur leggendo le parole non le capisce, non avendo quindi accesso al sistema semantico. Le disortografie comportano errori che ricorrono in proporzione nettamente più alta di quella normalmente attesa per l’età del bambino. Esse comprendono difficoltà nella segmentazione, nella memorizzazione della sequenza di lettere e nella conversione dal suono al segno grafico, oltre che in una ridotta conoscenza lessicale. È importante notare che le disortografie riguardano la codifica scritta della struttura fonologica delle parole; non devono essere confuse cioè con disturbi prassici riguardanti il coordinamento motorio (Cornoldi 1991).

Si distinguono diversi tipi di dislessie. La dislessia superficiale corrisponde ad un disturbo della via visiva- lessicale, per cui essendo attivata preferibilmente la via fonologica risulta difficile distinguere stringhe omofone, come l’ago rispetto a lago, o in inglese eye ‘occhio’ e I ‘io’, entrambe con pronuncia [ai]. Come nota McShane (1994[1991]) è questo percorso che determina più difficoltà nell’apprendimento della lettura da parte dei bambini e che differenzia i lettori scadenti dai buoni lettori. La dislessia fonologica al contrario porta ad una lettura difficoltosa di sequenze di lettere prive di significato mentre lascia intatta la lettura di parole regolari o irregolari, quindi il riconoscimento visivo-lessicale. La dislessia profonda compromette entrambe le vie, per cui il bambino avrà difficoltà a leggere sia le parole regolari, sia quelle irregolari e le non-parole, e porterà a errori di vario tipo (semantici, morfologici e visivi) detti paralessie. Per capire in che cosa consistono, in concreto, le difficoltà dei bambini con DSA, può essere utile considerare brevemente un esempio. Nel caso illustrato da Martini (1999-2000), S è un bambino che frequenta la 2a elementare e che si distacca dagli altri compagni di classe per una ridotta abilità di lettura e scrittura. Ad esempio commette molti errori nella lettura, sia morfologici, come vecchia invece di vecchio, suonavano invece di suoniamo, sia visivi, per cui abbandonato è letto come abbastanza, quattro come quando, venti come veneti, etc. Anche la lettura di non-parole comporta sostituzioni ed errori, come nel caso di diminio letto biminio, forconto letto

forcondo, etc. Inoltre la sua lettura, sia di brani, che di parole e non-parole è molto più lenta e faticosa dei

suoi coetanei. Anche la scrittura di S è disturbata, mostrando vari tipi di errori fonologici, come scambi di lettere (gresta per cresta), aggiunte e inversioni (imbirrazzito per imbizzarrito).

Abbiamo visto che l’apprendimento spontaneo della scrittura implica una fase sillabica e una fonologica che mettono in gioco la conoscenza implicita che il bambino ha di proprietà fonologiche degli elementi lessicali come i segmenti fonologici e la sillaba. In particolare, il fatto che i parlanti padroneggino la scrittura alfabetica significa che essi sono in grado di segmentare la catena fonetica e di riconoscerne le unità fonologiche. Inoltre abbiamo visto che le procedure di lettura e di scrittura utilizzano queste conoscenze e rinviano alla caratterizzazione delle unità lessicali come combinazioni di un livello di significato e di un livello fonologico. I disturbi a loro volta corrispondono a difficoltà che prendono di mira sia l’accesso fonologico sia l’accesso lessicale, implicando non a caso la compresenza di disturbi specifici del linguaggio. Analogamente, la prova più evidente della via basata sull’analisi fonologica è fornita dalla lettura di non-parole.

Gli studi psicolinguistici e neurolinguistici sulla lettura e la scrittura mostrano che sia il processo di acquisizione, sia l’uso di queste abilità, sia i disturbi sono correlati in maniera interessante con proprietà della facoltà di

linguaggio. In particolare è noto nella letteratura afasiologica e neurolinguistica che i disturbi linguistici possono interessare solo una delle modalità di produzione, orale o scritta. Ad esempio, vi sono pazienti che presentano disturbi selettivi nel produrre parole di una categoria grammaticale (nomi o verbi) limitatamente ad una modalità, per quanto le parole interessate siano le stesse nelle due modalità. Shapiro e Caramazza (2003:203) osservano che dati di questo tipo hanno un importante ruolo nel suggerire la maniera in cui è fatto il sistema di produzione del linguaggio. In primo luogo, infatti, indicano che le forme delle parole orali e scritte devono avere rappresentazioni separate, ugualmente sensibili alla differente processazione di nomi e verbi e accessibili dalla semantica. Inoltre, come sottolineano Shapiro e Caramazza (2003:203), questa dissociazione suggerirebbe che le categorie grammaticali sono rappresentate al livello delle forme di parola piuttosto che a livello semantico. Questa seconda soluzione, apparentemente esclusa proprio dal fatto che una modalità la preserva, può essere presa in considerazione se ammettiamo che il sistema semantico ‘riflette grossolanamente la distinzione nome-verbo, sia lungo le linee di azione e oggetti o concetti astratti e concetti concreti’. Con questa soluzione è possibile pensare che vi possa essere una disconnessione relativa ad una sola categoria tra le rappresentazioni semantiche e la produzione in una sola modalità. Vi è quindi una ‘difficoltà a distinguere tra una spiegazione lessicale e una spiegazione basata sulla disconnessione semantica dei deficit specifici di modalità’ che corrisponde alla difficoltà generale a determinare ‘quale genere di informazione riguardante le categorie grammaticali’ deve essere rappresentato. La tabella in (5), ripresa da Shapiro e Caramazza (2003) mostra come la diversa modalità possa corrispondere a evoluzioni diverse del danno selettivo. In particolare il diagramma rappresenta il rendimento longitudinale del paziente con afasia primaria progressiva MML in compiti che coinvolgono la produzione scritta e orale di nomi e verbi da 8 a 10,5 anni dopo la diagnosi. In questo periodo, ‘la produzione orale di verbi si è deteriorata continuamente (linea rossa), mentre la produzione di verbi scritti e di nomi in entrambe le modalità è rimasta non influenzata’.

(5) (da Shapiro e Caramazza 2003:203)

[…] Longitudinal performance of primary progressive aphasic patient MML in tasks involving the written and oral naming of nouns and verbs, from,8 years to 10.5 years following diagnosis. Oral naming of verbs deteriorated steadily (purple plot), whereas the production of written verbs and nouns in both modalities remained unaffected. […]

Nei modelli tradizionali la rappresentazione ortografica di un messaggio richiede il recupero preventivo della rappresentazione fonologica, come schematizzato in (6a). Rapp e Caramazza (1997) affrontano questo punto analizzando il caso di un uomo colpito da ictus con le aree parietale, post-frontale e temporale dell’emisfero di sinistra danneggiate. La sua produzione orale è caratterizzata da difficoltà con praticamente tutte le parole salvo gli elementi del vocabolario di classe chiusa (preposizioni, articoli, ausiliari, etc.); al contrario, la produzione scritta mostra un danno complementare che comporta l’omissione delle forme del vocabolario di classe chiusa e la relativa conservazione dei nomi: negli esempi di enunciati prodotti

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come descrizioni di immagini dal paziente esaminato, le produzioni orali sono poco comprensibili ma contengono in particolare articoli e ausiliari, mentre le forme scritte corrispondenti sono prive di articoli (the, a) e ausiliari (are, was, etc.). Nuovamente, la dissociazione tra classe aperta e classe chiusa conferma ‘(1) che le categorie grammaticali costituiscono un parametro di organizzazione della rappresentazione e/o processazione per ciascuno dei lessici indipendenti, specifici per la modalità (orale/scritta); (2) che queste osservazioni contribuiscono ad accrescere l’evidenza che l’accesso alle forme ortografiche e fonologiche delle parole può occorrere indipendentemente’ (Rapp e Caramazza 1997:248), come in (6b).

(6) (da Rapp e Caramazza 1997: 255)

a. messaggio b. ↓ rappresentazioni fonologiche messaggio ↓ ↓ ↓ rappresentazioni

ortografiche rappresentazioni fonologiche rappresentazioni ortografiche

Schema di processazione

con mediazione fonologica Schema di processazione ortografica autonoma

La documentazione relativa ai deficit afasici assume generalmente che lo stesso deficit interessi entrambe le modalità, sostenendo quindi l’idea che i disturbi relativi alle categorie grammaticali implichino un deficit dei processi sintattici alla base della struttura di frase. Rapp e Caramazza (1997) osservano che la produzione di questo afasico mette in discussione tale quadro, in quanto la dissociazione tra modalità suggerisce non solo l’indipendenza delle due vie di accesso, ma anche che un danno selettivo come questo non riguarda i processi sintattici profondi, visto che il deficit relativo al vocabolario funzionale interessa solo una modalità. Si tratta, quindi, di un deficit che si determina ‘a valle rispetto ai processi sintattici’.

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 173-176)