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Le lingue secondarie e i fenomeni di pidginizzazione

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 94-98)

4.1. Aspetti della mescolanza linguistica

4.1.2. Le lingue secondarie e i fenomeni di pidginizzazione

Nella comunicazione tra parlanti con lingua madre diversa emerge usualmente il ricorso a interlingue, cioè a varietà secondarie/d’apprendimento. In particolare gli immigrati adulti provenienti da paesi a basso sviluppo economico, che costituiscono il nucleo della società multiculturale, sviluppano normalmente la conoscenza dell’italiano in maniera spontanea, cioè tramite l’interazione quotidiana con i nativi, e non in contesti di scolarizzazione, e inizialmente come livello di lingua necessario al soddisfacimento delle necessità primarie. In un secondo momento, quando subentra l’esigenza di una maggiore integrazione socio-culturale, l’apprendimento della lingua del paese ospitante acquista una motivazione forte (Giacalone Ramat 1986, Banfi 1993). Banfi (1993) individua alcuni tratti morfosintattici tipici delle varietà di apprendimento: riduzione degli elementi grammaticali (articoli, copule, ausiliari, clitici, preposizioni); fenomeni di sovraestensione della flessione verbale e nominale per cui una forma è assunta come forma di base, come per quanto riguarda il verbo, la 3ps al presente indicativo oppure, in maniera minoritaria, la 2ps dell’imperativo o del presente indicativo; uso casuale degli ausiliari essere e avere nelle forme composte con valore temporale/aspettuale; omissione dei pronomi clitici, che compaiono progressivamente sulla base della loro salienza semantica, per cui la comparsa di mi risulta la più precoce, anche con funzione

di pronome soggetto. Inoltre emerge un fenomeno, noto per i pidgin e i creoli, per cui contenuti di tipo aspettuale, temporale e modale sono espressi da elementi lessicali distinti, come in io prima sapere (Banfi 1993:55; cf. Giacalone Ramat 1990).

Un contesto di comparsa di varietà di apprendimento è la scuola, dove la presenza di una forte concentrazione di bambini di L1 diversa crea le condizioni per il formarsi di interlingue italiane. Ad esempio, le varietà di L2 parlate da bambini cinesi e rom di età scolare di area fiorentina indagate in Cocchi et al. (1996) mostrano i fenomeni morfosintattici tipici di queste varietà di apprendimento, come l’inserimento di forme infinitivali e participiali come verbi principali. La letteratura sull’acquisizione spontanea di lingue seconde mostra che i tratti e le modalità rilevati per l’apprendimento dell’italiano L2 hanno strette corrispondenze con quelli caratterizzanti L2 diverse dall’italiano. In particolare, in tutti i casi in cui sono state condotte osservazioni parallele su gruppi di adulti e non-adulti sono emerse sequenze di sviluppo molto simili (Dulay et al. 1985 [1982]). In ultima analisi, le diverse varietà di apprendimento, indipendentemente dalla loro vicinanza con la lingua bersaglio (qui, l’italiano) saranno l’attuazione di potenzialità strutturali inscritte nel sistema cognitivo che costituisce la nostra facoltà di linguaggio (Grammatica Universale). Rappresenteranno quindi lingue possibili al pari di ogni altra varietà linguistica e saranno riportabili alla problematica generale della variazione linguistica.

Forme pidginizzate d’italiano nell’interazione tra immigrati con lingue native diverse in condizioni di apprendimento spontaneo di italiano L2 sono in realtà normalmente impiegate in interazioni nelle quali l’assenza di un parlante nativo mette in evidenza l’esistenza di competenze diversificate in un quadro di variabilità linguistica. Baldi e Savoia (2006) esaminano una conversazione (svoltasi presso la sede dell’Associazione ‘Cieli Aperti’ di Prato; il testo è riportato nella trascrizione fornita dall’Associazione) tra due immigrati di sesso maschile che vivono in area fiorentina con lingue native diverse: A, pakistano, di L1 (prima lingua/lingua materna) urdu con conoscenza dell’inglese e dell’arabo; B, senegalese, di L1 woloff, con conoscenza del francese, dell’inglese, del tedesco e dell’arabo. Il testo, esemplificato in (9), mostra alcune caratteristiche di una lingua di apprendimento, in particolare nel caso del parlante A:

(9) […]

A: Mai crisi?

B: Crisi un po’ sc’è, però perché proprio manca lavoro, ma… per il momento no. Te invesce che lavoro fa?

A: Io lavoro filatura sa… però perso giornata ogni tanto perché… tessile sempre peggio qui Prato, tutto via, lavoro non lo so, devo rubare… quarcuno…

B: Speriamo che trovarrai

A: Prima quando venuto qui sempre lavorando sabato, domenica lavorare lavorare, ora invece anche perso giornata qualche volta.

B: Sai anche l’Italia sechondo me è diversa dall’Italia primo, perché tante coze era cambiate, tante coze è cambiate, poi da otto anni parecchie coze hanno cambiate, sicchè è diffiscile per trovare un lavoro anche per gli italiani un lavoro fisso.

A: Tu venuto qui contento o no?

B: Ehh… contento, diffiscile da judicare perché… ti posso dire cc, contento scento per scento no, perché comunqiue io mi dico sto bene, voio dire sto bene, eee…sto bene…mmm… comunqiue sto bene, come posso dire… sto bene.

A: La vita…qui facile o laggiù facile?

B: La via…da me? in Senegal? Di là è fascile perché… normale, hai visto, perché rispetto alla vita che che… che si fa qui in Italia…

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B: lajjù tranquillo perché guadagni pochi soldi poi anche farti una vita…

A: no… laggiù guadagnare pochi soldi, noi sbaliato venuto qui, perché laggiù il lavoro poco, perché se laggiù non lavorare… ogni mese, se qualche mese già perso niente problema, l’acqua no pagare, solo pagare luce e basta, vita molto tranquilla, qui invece molto cuorrere, sempre cuorrere.

B: Sì ma sechondo me è normale…

A: sì però ora non posso andare torno indietro perché… B: da quanto tempo che non sei andato a casa?

A: Io… due anni

Le varietà parlate dai due immigrati configurano condizioni linguistiche eterogenee che si richiamano a variabili socio-culturali e motivazionali, e ad atteggiamenti diversi dei parlanti. La lingua parlata da B è molto più simile all’italiano di tipo fiorentino che non la lingua di A, caratterizzata da un sistema sintattico piuttosto diverso. Il parlante B mostra una competenza linguistica più completa e caratterizzata da una fonologia e da una morfosintassi con caratteristiche della varietà fiorentino-pratese. Inoltre compaiono forme e costrutti di tipo fiorentino, come i’ ché in tutto i’ che li sci vole ‘tutto quello che gli ci vuole’, l’accordo parziale tra verbo e soggetto di 3a persona plurale e le formazioni di 1a persona singolare del tipo si – verbo

di 3ps, come nei contesti sottolineati negli enunciati riportati in (10):

(10) B: Sai anche l’Italia sechondo me è diversa dall’Italia primo, perché tante coze era cambiate, tante coze è cambiate, poi da otto anni parecchie coze hanno cambiate, sicchè è diffiscile per trovare un lavoro

anche per gli italiani un lavoro fisso. […]

B: Sì mi piace molto, a me mi piasce mandgia la pasta, poi sc’è… anche sc’è la pizza italiana che mi piasce molto, poi… e vabbè, poi si mandgia particolari che non so, non so bene, alcuni non so i nomi,

Il parlante A presenta un sistema verbale prevalentemente organizzato su forme verbali non flesse, cioè infinito, gerundio, participio, associate a un’interpretazione di tipo aspettuale basata sul contrasto tra indefinito/durativo (gerundio e infinito) e definito/risultativo (participio), come esemplificato nella frase in (11a); i costrutti predicativi nominali non prevedono generalmente la copula, come in (11b). Affiorano forme flesse con riferimento non specializzato, come in (11c), dove la morfologia di 1a ps si accorda con un soggetto di 3ps.

(11) a. A. Prima quando venuto qui sempre lavorando sabato, domenica lavorare lavorare, ora invece anche perso giornata qualche volta.

b. A: iooo… trovato… bbastanza bene, qualcuno male qualcuno bene, no tutto uguale, qualcuno molto bravi, qualcuno cattivi, sì quello tutte le parte è uguale

c. A: […] ognuno non posso prendere la casa […]

La sintassi di A prevede formazioni che richiamano strutture verbali seriali con denotazione di eventi complessi, come in (12), dove posso andare torno corrisponde a posso andare di ritorno:

(12) A: sì però ora non posso andare torno indietro perché…

La variazione linguistica collegata alla presenza di immigrati in comunità di lingua diversa può sovrapporre meccanismi di code-switching e code–mixing all’interno di lingue secondarie. Un caso discusso in letteratura (Loi Corvetto 2000) riguarda le varietà di apprendimento degli immigrati in Sardegna, che

pur essendo a base italiana introducono in maniera più o meno sistematica la commutazione italiano (secondario) – sardo. I materiali analizzati da Loi Corvetto (2000) e Casula (2000) confermano le caratteristiche morfosintattiche generali già notate sopra a proposito di queste varietà, come il ricorso nelle frasi principali all’infinito e al participio con interpretazioni aspettuali, l’omissione di articoli e altri elementi funzionali, etc. La presenza di code-switching/mixing rispetto al sardo, come in (13), prodotta da un parlante senegalese (le forme in corsivo sono nella varietà sarda), suggerisce che il ricorso alla commutazione riflette i meccanismi di adattamento del proprio modo di parlare a quello degli interlocutori, in contesti di asimmetria di potere.

(13) Q.: No, bellissimo davvero, se no prendi se li vuoi io lieli sconto, pigandeddu, ragazze, dona innoi,

anda bene, davvero

(Loi Corvetto: 2000:61)

Un approccio tradizionale spesso implicito nell’opinione corrente è che l’apprendimento linguistico si basi essenzialmente sull’imitazione e consista in un accumulo di abitudini linguistiche tramite la ripetizione e il rinforzo offerto dal contesto. In questo quadro, le varietà di L2 (seconda lingua) degli immigrati corrisponderebbero soltanto a un apprendimento limitato e imperfetto o errato della lingua standard, cioè ad una cattiva imitazione. Questo modello ha caratterizzato per molti anni gli studi sul rapporto tra italiano e dialetto/lingua di minoranza. L’analisi degli italiani regionali o dialettali si è concentrata su metodologie funzionaliste, di tipo contrastivo, e sulla nozione di interferenza, cioè sull’affiorare delle caratteristiche di un sistema negli enunciati prodotti nell’altro. Le abitudini linguistiche associate a L1 interferirebbero quindi con l’apprendimento di L2 nel senso che la somiglianza tra le strutture corrispondenti in L1 e L2 favorirebbe l’apprendimento mentre la loro discrepanza lo renderebbe più difficile. Il compito della linguistica consisterebbe quindi nel confrontare le strutture delle due lingue (analisi contrastiva) e nello stabilire fino a che punto L1 interferisce con L2 in un processo di apprendimento. È noto che le varietà acquisite spontaneamente parlate dagli immigrati costituiscono una sorta di continuum, da quelle iniziali, più semplici e ridotte, a quelle che si fissano su parametri identici o comunque molto vicini a quelli della lingua parlata dai nativi.

Come già suggerito, le proprietà morfosintattiche della varietà secondarie ci permettono di chiarire alcuni punti rilevanti tanto sul piano teorico che delle caratteristiche d’uso. Infatti, pensiamo che anche le varietà apparentemente più diverse dalla lingua obiettivo e semplificate sono dotate di una specifica organizzazione grammaticale. Rifacendoci al quadro mentalista di Chomsky (cf. Cook e Newson 1996, Jackendoff 1998 [1993]) possiamo pensare che la padronanza di una lingua, compresa quella di L2 e le varianti pidginizzate di italiano L2, debba essere interpretata come un particolare sistema di conoscenza che l’individuo sviluppa sulla base di una facoltà specializzata della sua mente, e non come il risultato di un procedimento per prove ed errori o di dispositivi finalizzati alla comunicazione. In altre parole, gli errori commessi dall’apprendente corrispondono alla costruzione di sistemi intermedi, detti interlingue (Eubank 1991). L’influenza delle strutture di L1 sul progressivo apprendimento di quelle di L2 non è quindi il fattore principale. In questa prospettiva, produzioni linguistiche come quelle del parlante A, pur distanziandosi dalla lingua bersaglio (l’italiano standard/regionale), non possono essere considerate come arbitrarie o semplici deviazioni dallo standard, ma si conformeranno a loro volta a una specifica grammatica mentale (Dulay, Burt, Krashen 1985 [1982]). Questa conclusione è avvalorata dagli stessi fenomeni notati sopra per A: la lessicalizzazione dell’aspetto, l’uso di particolare forme flesse (forme cosiddette non finite), le strutture seriali, concorrono a definire un particolare sistema grammaticale organizzato sulla base di un lessico dotato di specifiche proprietà.

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Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 94-98)