• Non ci sono risultati.

L’accesso alla lettura

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 46-52)

2.6. La questione dell’illetteratismo

2.6.1. L’accesso alla lettura

Quando ci avviciniamo alla questione dell’accesso alla lettura, tocchiamo problemi fondamentali dal punto di vista della storia sociale, cioè il ruolo della scrittura, la sua diffusione per mezzo della stampa e la funzione dell’istruzione. C’è infatti un nesso cruciale tra padronanza della lettura, comprensione di testi scritti e formazione scolastica. Più in generale la scrittura e successivamente la stampa implicano particolari condizioni cognitive e sociali e richiedono un addestramento mirato. Vi sono antropologi che sostengono che l’alfabetizzazione ha influenzato la maniera di organizzare le conoscenze dei popoli che in epoche diverse hanno adottato la scrittura. Goody e Watt (1973 [1962/63]) e Goody (1988) notano che nelle culture non alfabetizzate la trasmissione delle conoscenze e della tradizione culturale si basa unicamente sull’interazione orale, per cui il linguaggio si riferisce a significati interpretati in rapporto alla situazione e alle specifiche conoscenze degli interlocutori. Risulta impossibile cioè l’effetto tipico della trasmissione scritta, per cui i vocaboli possono ‘accumulare i diversi strati di significato storicamente legittimati’. Questi autori attribuiscono all’uso scritto anche effetti più strettamente legati al modo di pensare, nel senso che la scrittura realizza una relazione più ‘generale e astratta’ tra parola e referente. Goody e Watt (1973 [1962/63]) sottolineano peraltro che

[d]obbiamo rigettare ogni dicotomia basata sull’assunzione di radicali differenze tra gli attributi mentali dei popoli alfabeti e di quelli analfabeti e accettare l’opinione che le precedenti formulazioni della distinzione erano basate su premesse difettose e prove inadeguate. (Goody e Watt 1973 [1962/63]:379)

Le difficoltà di accesso alla comprensione dei testi scritti si correlano alla necessità di interpretare le intenzioni dell’autore al di là della meccanica decodifica delle sequenze di lettere e del riconoscimento delle singole parole. Interpretare un testo scritto vuol dire padroneggiare i diversi aspetti del significato di enunciati il cui rapporto con il contesto del discorso e le conoscenze implicate nell’interazione sono mediati da regole pragmatiche più sofisticate, legate al genere del testo e alle componenti concettuali, culturali e sociali a cui rinvia. A sua volta, l’introduzione della stampa amplifica le caratteristiche della scrittura, come la fissità del testo, e introduce la possibilità di moltiplicarne le copie e di diffonderlo (Briggs e Burke 2002).

Veniamo, a questo punto, al luogo nel quale il rapporto tra differenze sociali e capacità verbali e capacità di utilizzo dei testi gioca un ruolo particolarmente importante, cioè la scuola, che rappresenta anche il principale fattore di inserimento e di integrazione dei giovani immigrati nella società. Rispetto alle dinamiche di inserimento sociale degli immigrati, la scuola ha infatti un ruolo delicato e fondamentale influendo sulla formazione e lo status dei giovani immigrati. In Italia, stando ai dati del Ministero dell’Istruzione relativi al 2005, gli alunni stranieri sono il 4,2% della popolazione scolastica. Il confronto con la situazione degli altri paesi europei mostra che nello stesso 2005 la percentuale di studenti stranieri era generalmente più alta, come il 23,6% in Svizzera, il 15% in Gran Bretagna, il 13% in Olanda, il 10% in Germania, il 5,7% in Spagna e il 5% in Francia. In questo senso l’Italia è caratterizzata da un multiculturalismo ancora limitato, pur in un quadro di rapido adeguamento alla media europea. In particolare, il Rapporto annuale 2005 del Censis, sulla base di dati pubblicati dal MIUR, osserva quanto segue:

Nell’anno scolastico 2004-2005, gli alunni stranieri iscritti nelle scuole del nostro paese sono stati 361.576 con un’incidenza del 4,2% sul totale della popolazione scolastica (+0,7% rispetto all’a.s. 2003-2004). I due terzi degli iscritti (239.345 pari al 66,2%) si trovano nel Nord del Paese. Gli alunni stranieri in ritardo nella frequenza nella scuola primaria sono il 23% contro l’1,7% dei cittadini italiani, con un aumento progressivo nei vari anni di corso fino a raggiungere il 34,7% nel quinto anno, rispetto al 2,4% degli iscritti italiani. La mancata integrazione delle seconde generazioni di immigrati rischia di alimentare un serbatoio di esclusione sociale e di devianza. Dei 3.866 ingressi nei Centri di prima accoglienza nel 2004 in Italia, 2.279, pari al 59%, riguardano minori di nazionalità straniera. Il 79% proviene dall’Europa dell’Est (in particolare, dalla Romania e dall’ex Jugoslavia), mentre il 17% dai paesi del Nord Africa. L’80% dei reati sono contro il patrimonio, in particolare furti e rapina (382). Negli Istituti penali minorili nel 2004 vi sono stati 965 ingressi di minori con cittadinanza non italiana, pari al 60,5% del totale.

I dati dell’indagine 2007 del Censis confermano questo quadro:

In soli cinque anni, la presenza di alunni con cittadinanza non italiana nelle aule del nostro sistema scolastico è più che raddoppiata: erano 239.808 nell’anno scolastico 2002-2003 e nel 2006-2007 hanno superato le 500.000 unità […], con un’incidenza sul totale degli alunni pari al 5,6%. In particolare, tra il 2005-2006 ed il 2006-2007 il tasso di crescita è oscillato tra il 12,8% della scuola primaria ed il 23,8% della scuola secondaria di II grado. (A questi dati possiamo aggiungere quelli

riportati dai giornali per il 2007-2008, in base ai quali il numero degli studenti con cittadinanza non italiana è complessivamente di 604.133; La Repubblica, 15.10.2008).

LINGUAGGIo E FAttorI SoCIALI 45

Anche la discrepanza nel ritardo scolastico tra alunni stranieri e alunni italiani si mantiene, come illustrato in (30), che mette a confronto la percentuale del ritardo scolastico in alunni con cittadinanza non italiana (43,2%) rispetto alla media complessiva (13,2%). Dati come questi rappresentano un modo per esprimere percentualmente la questione dell’esclusione sociale, secondo un meccanismo a suo tempo già in opera nei confronti dei parlanti dialetto o lingua minoritaria. Naturalmente, possiamo pensare che la padronanza di una L1 diversa e eventualmente di una varietà di apprendimento, un’interlingua, più o meno distante dall’italiano scolastico giochino un ruolo determinante, insieme agli stereotipi negativi associati a varietà linguistiche e tratti culturali non standard.

(30)

Infine, (31) fornisce i fattori che determinano la problematicità nell’inserimento di alunni di origine immigrata. A parte i fattori organizzativi, peraltro spesso decisivi, come la necessità di mediatori culturali, le difficoltà linguistiche, etc. risultano importanti le componenti simboliche, sia quelle collegate all’atteggiamento verso chi è percepito o fatto percepire come ‘diverso’, come i pregiudizi delle famiglie italiane, delle famiglie immigrate, degli alunni tra di loro e sia quelle legate a credenze e tradizioni culturali.

(31) Peso delle problematicità nell’inserimento di alunni di origine immigrata, per livello scolastico (%

di molto + abbastanza problematico)

LIVELLO Scuola primaria Scuola secondaria 1° grado Toltale

Carenze del supporto esperti/mediatori 76,2 75,6 83,5 Assenza delle istituzioni locali e nazionali 83,5 83,9 80,0 Difficoltà di comunicazione/comprensione 80,9 73,5 78,4 Difficoltà a conciliare età e conoscenze dell’alunno 75,6 82,6 77,9 Scarsa preparazione degli inseganti verso culture diverse 46,2 46,3 75,9 Carenze strumentali di supporto alle attività degli inseganti 33,3 30,9 73,1 Carenze momenti di formazione e confronto per gli insegnanti 73,3 72,6 72,7 Difficoltà ad innovare il curriculum scolastico 69,4 79,3 56,6 Pregiudizi delle famiglie di alunni italiani verso immigrati 80,0 80,0 46,3 Pregiudizi reciproci tra allievi di diversa origine 32,9 37,6 34,5 Pregiudizi delle famiglie di alunni stranieri vrso italiani 58,7 52,2 32,5 Difficoltà di tener conto di abitudini alimentari e religiose 34,7 25,0 31,5 Difficoltà a inserire nelle classi alunne immigrate 21,4 17,9 20,3

Proprio nei giorni in cui scriviamo, il Parlamento italiano ha approvato una mozione della Lega, partito attualmente al governo, che prevede che gli studenti immigrati per iscriversi alla scuola debbano superare un test linguistico di ammissione e di valutazione generale e che coloro che non lo superano siano inseriti in classi differenziate, chiamate ‘classi di inserimento’ (La Repubblica, 15.10.2008:14,15). Se una tale linea verrà effettivamente applicata realizzerà gli orientamenti razzisti e la politica segregazionista elaborata in termini di psicologia elementare dal partito leghista. I fattori registrati in (31) corrispondono quindi fedelmente alle componenti simboliche alla base dell’organizzazione socio-economica di una società.

47

contenuti identitari

e ideologici del linguaggio

Nelle comunità linguistiche l’adesione alla propria varietà linguistica è sentita come segnale dell’appartenenza al gruppo sociale e alla sua cultura e come uno dei criteri principali di integrazione simbolica nel processo di autoriconoscimento della comunità (Pizzorusso 1993; Anderson 1996[1991]). Se applichiamo questo schema interpretativo alla società attuale emerge un quadro complesso e problematico. In primo luogo, in molti paesi esiste un contrasto tra lingua ufficiale, legalmente riconosciuta o meno, utilizzata nella vita pubblica, nella scuola, nei mezzi di comunicazione, e lingue di gruppi minoritari in corrispondenza di appartenenze diverse o plurime a comunità locali di minoranza. Questa situazione comprende ormai non solo la compresenza di una lingua standard e di varietà locali o regionali di minoranza di antica formazione, ma anche le nuove varietà dei gruppi di immigrati recenti.

Come discusso in Baldi e Savoia (2006), le forze politiche e i grandi interessi economici vedono nella lingua un fattore esterno di identità e quindi di possibile separazione. Non a caso la nuova questione linguistica che è emersa nelle società a forte immigrazione e quindi a forte presenza di comunità linguistiche minoritarie, negli Stati Uniti e in Europa, mette in gioco valori e atteggiamenti, anche contraddittori. In primo luogo, le forme ibride di linguaggio, che mescolano elementi della lingua nativa o di provenienza della comunità e elementi dello standard del paese ospitante, si scontrano col purismo sia della società di arrivo sia di quella di partenza. Scacchi (2005) discute questo punto in merito alla situazione linguistica degli Stati Uniti, dove il movimento English-Only chiede che l’inglese americano sia dichiarato lingua ufficiale della nazione. In realtà, l’alto ‘grado di assimilazione linguistica’ esistente oggi negli Stati Uniti non mette realmente in discussione il ruolo dominante e lo status di lingua nazionale dell’inglese. Tuttavia nell’opinione pubblica prevale una convinzione diversa. La questione, come nota Scacchi (2005), ha un sostrato socio-culturale e ideologico, nel senso che mette in gioco in sostanza tre grandi comunità linguistiche, la cui identità è marcata dall’adesione, rispettivamente, all’American English, al Black English e allo spagnolo.

La deviazione dallo standard linguistico viene interpretata come una misura della distanza dall’ideologia dominante e da ciò che essa considera ‘normale’ […] Non solo ci fornisce informazioni sulla classe sociale, il gruppo etnico, il genere cui il parlante appartiene, ma, attraverso la stereotipizzazione, aggiunge […] un plusvalore semantico […]: cultura, principi morali, qualità, difetti, e intelligenza. In un paese in cui la presenza di immigrati con una conoscenza imperfetta della lingua è numerosa, e la povertà ha una forte configurazione etnica, gli stereotipi […] riguardano […] anche i rapporti tra i nuovi arrivati e le istituzioni e influenzano l’accesso delle minoranze ai diritti civili. (Scacchi 2005:17)

Due recenti emendamenti approvati dal Senato degli Stati Uniti, l’uno che attribuisce al governo federale il compito di ‘preservare e intensificare il ruolo dell’inglese come la lingua nazionale degli Stati Uniti’ e l’altro che definisce l’inglese come ‘lingua unificante degli Stati Uniti’ (La Repubblica, 20.5.2006), danno la misura della forte ispirazione ideologica che investe anche in questo paese la questione linguistica. Non a caso i due emendamenti sono emersi nel dibattito sulla legge sull’immigrazione, di cui sembrano esprimere la tensione tra ideologia dominante e differenza culturale. In effetti, il parlare il vernacolo afroamericano o una varietà spagnola risulta collegato con l’adesione a valori e a condizioni di vita (emarginazione, povertà) associati a pericolosità e condanna sociali; questo, nonostante che lo stesso Black English sia alla base di una

3

rilevante produzione letteraria. Il punto è che anche tra gli ispanici è presente una sorta di purismo che tende a rifiutare le varietà ispaniche non standard parlate negli Stati Uniti, come lo spagnolo chicano del sudovest, o il cosiddetto Spanglish, ovvero la varietà mista che combina forme spagnole e inglesi. Nel complesso anche le comunità minoritarie condividono le stesse categorie concettuali della società in cui si inscrivono; ad esempio, Scacchi (2005) osserva che le comunità ispano-americane sviluppano a loro volta stereotipi negativi nei confronti di altri gruppi minoritari, come gli afroamericani.

Esaminiamo la situazione italiana. Il Rapporto dell’ISTAT ‘La popolazione straniera residente in Italia’ uscito nell’ottobre del 2008 fornisce la seguente raffigurazione (il testo è ripreso da La Repubblica in linea del 10.10.2008):

I cittadini stranieri residenti in Italia al primo gennaio 2008 sono 3 milioni 432mila 651, 493.729 in più rispetto all’anno precedente (+16,8%) […] L’istituto di statistica sottolinea che si tratta dell’incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell’immigrazione nel nostro Paese, da imputare al forte aumento degli immigrati di cittadinanza romena che sono cresciuti nell’ultimo anno di 283.078 unità (+82,7%). In un solo anno (2006-2007) i romeni in Italia sono passati da 342.200 unità a 625.278 (+82,7%), scalzando così il primato dell’Albania (da 375.947 a 401.949) che al momento si colloca al secondo posto. Al terzo posto c’è il Marocco con 365.908 unità (erano 343.228). I primi cinque paesi della graduatoria - Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina - rappresentano circa la metà di tutti gli immigrati residenti, con 1.682.000 unità, pari al 49% del totale. La popolazione straniera residente nel nostro paese corrisponde al 5,8% (un anno prima era il 5%) sul totale della popolazione complessiva. Un andamento del tutto in linea con i grandi paesi europei come Francia e Regno Unito. L’incremento registrato in Italia è analogo a quello spagnolo, anche se in questo paese gli stranieri sono l’11,3%. […] I dati dell’Istat confermano inoltre che l’aumento della popolazione italiana (da 59.131.287 a 59.619.290) è dovuto alla presenza di stranieri: il saldo naturale della popolazione straniera (+60.379) compensa quasi per intero il saldo naturale negativo di quella italiana (-67.247). […] L’insediamento dei residenti stranieri mostra, per la prima volta, una lieve ridistribuzione a favore delle regioni meridionali, a causa della presenza romena che in queste regioni è cresciuta più intensamente che altrove. Tuttavia, ciò non muta sostanzialmente la geografia del fenomeno: il 62,5% degli immigrati risiede nelle regioni del Nord, il 25% in quelle del Centro e il restante 12,5% in quelle del Mezzogiorno.

Ha un importante significato socio-culturale anche il fatto che sono sempre più numerosi i cittadini stranieri di seconda generazione così come aumenta il numero delle persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana:

Circa 457mila residenti di cittadinanza straniera sono nati in Italia, 64.049 nel solo anno 2007 (+10,9%), pari all’11,4% del totale dei nati. Questi costituiscono il 13,3% del totale dei residenti e rappresentano un segmento di popolazione in costante crescita […] Sono una ‘seconda generazione’, poiché non sono immigrati: la cittadinanza straniera, infatti, è dovuta unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri. Sono aumentati anche gli stranieri diventati italiani attraverso l’acquisizione della cittadinanza. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno si stima che siano stati 261mila gli stranieri diventati italiani, molti a seguito di matrimoni. Un numero importante - osserva l’Istat - visto che, ad esempio, in Francia nei soli anni 2005 e 2006 sono state concesse complessivamente 303mila cittadinanze.

Il Dossier Immigrazione 2008 di Caritas e Fondazione Migrantes, mette in luce altri dati rilevanti per una comprensione delle dinamiche che caratterizzano il formarsi di una società multietnica e multilinguistica: l’80% degli stranieri corrisponde a lavoratori sotto i 45 anni; sono 41.589 gli stranieri che studiano nelle università italiane. Inoltre è sempre più massiccia e evidente la presenza di differenti confessioni religiose, per cui dei 1.791.758 stranieri di fede cristiana il 51% sono ortodossi, mentre i musulmani sono 1.202.396,

CoNtENUtI IDENtItArI E IDEoLoGICI DEL LINGUAGGIo 49

e il 5% appartiene a culti orientali. La diversità linguistica crea ormai un complesso mosaico di 150 lingue, parlate da consistenti nuclei minoritari.

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 46-52)