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Stadi precoci dell’acquisizione (normale, disturbata, L2) e variazione

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 107-111)

Il mancato accordo tra soggetto lessicale di 3pp e verbo caratterizza, come è noto, anche certi disturbi del linguaggio. In particolare è stato osservato nel caso di Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL). Dati di questo tipo relativi a bambini con DSL italiani e inglesi di età compresa tra i 4;6 anni e i 6 anni sono stati studiati ad esempio in Leonard et al. (1990, 1992). Questi lavori tra l’altro mettono in luce l’esistenza di un particolare tipo di disturbo riguardante l’accordo del verbo col sintagma lessicale soggetto nei bambini italiani. Essi infatti presentano in maniera accentuata nella produzione accordo verbale di 3ps con soggetti plurali; queste condizioni richiamano quelle osservate in gruppi di apprendenti normali di età assai più giovane ma con lunghezza media dell’enunciato confrontabile. Dati analoghi sono noti per l’acquisizione dell’italiano come L2 (cf. per apprendenti cinesi e rom di età scolare Cocchi et al. 1996).

Dobbiamo escludere che il complesso di sintomi che caratterizza il disturbo specifico del linguaggio possa essere spiegato come un deficit cognitivo. Infatti, come ricordano Rice e Wexler (1996: 215), si tratta di bambini i quali, per definizione, non hanno disturbi di udito o disartrie, e presentano normali capacità cognitive generali e normale sviluppo psicosociale. Leonard et al. (1992:360-361) sostengono l’ipotesi per cui “le caratteristiche percettive e articolatorie, quindi superficiali” dei morfemi “influenzano il processi di costruzione del paradigma di una parola”. Gopnik (1990) mette in discussione l’ipotesi percettiva in quanto quest’ultima dovrebbe richiedere un’omissione completa di elementi quali /-s/nel plurale inglese o l’articolo o il clitico in lingue come l’italiano o il francese, mentre invece questo non avviene. Ad esempio i dati stessi di Leonard et al. (1990) riportano il contrasto tra la flessione del nome, molto più regolarmente realizzata, e quella del verbo. Lavori più recenti (Ullman e Gopnik 1994) mettono in discussione anche il dato sostenuto da Leonard (Leonard et al. 1990, 1992) che i perfetti irregolari in inglese siano più facili da produrre rispetto ai corrispondenti regolari, in quanto questi ultimi presentano elementi deboli in posizione finale. Gopnik (1990) e Gopnik e Crago (1991) spiegano le caratteristiche della produzione verbale associate al DSL come il risultato di una grammatica mancante dei tratti nominali, come numero, genere, animatezza, persona e numerabilità che sono alla base delle relazioni di accordo e di altre relazioni strutturali. Con questa ipotesi, il deficit linguistico è attribuito specificamente alla facoltà di linguaggio, e non al sistema percettivo o cognitivo generali. In questo senso il sistema computazionale di individui con DSL sarebbe diverso da quella di individui non disturbati.

Il punto cruciale è che il mancato accordo di plurale del verbo affiora in lingue naturali, come abbiamo visto in (24)-(29), suggerendo che esso corrisponde ad una possibilità strutturale disponibile, quindi predicibile da parte di una teoria adeguata. Un’ipotesi interessante è che l’accordo del verbo possa essere di due tipi, a seconda che registri il riferimento alle proprietà del nome, in particolare quelle quantificazionali (di numero), oppure registri il solo riferimento nominale (classe nominale). Nel primo caso cioè lessicalizza nella sua flessione tutte le proprietà referenziali del sintagma nominale compresa la specificazione dei tratti di numero mentre nel secondo caso lessicalizza la sola flessione di classe nominale. I pronomi di persona, che per loro natura non implicano la classe nominale, obbligano comunque l’accordo referenziale. Le lingue esaminate variano a seconda che ammettano l’accordo di classe nominale in contesti indefiniti come quelle in (27),

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(29c), che lo richiedano regolarmente con soggetto postverbale, come quelle in (26), (28), (29a) o infine che lo escludano comunque, come l’italiano standard.

Anche le produzioni dei bambini con DSL considerati prima possono essere riportate a questo schema di spiegazione, assumendo quindi che il disturbo si realizzi sotto forma di un’opzione parametrica, l’accordo di classe nominale (‘impersonale’), che l’italiano standard degli adulti non prevede. Supponiamo quindi che i bambini affetti da DSL abbiano semplicemente mancato di fissare il parametro sul tipo di accordo referenziale e ammettano anche l’altro accordo. Cosa ci dice questo sui processi di acquisizione, disturbati o meno? Hyams (1986) suggerisce che è sbagliato guardare ai primi stadi dell’acquisizione in una prospettiva teleologica riferita alla lingua adulta; in tal modo naturalmente essi non possono che essere descritti come pieni di ‘errori’, ‘omissioni’, etc. Al contrario tali primi stadi devono essere visti come lingue autonomamente definite all’interno della Grammatica Universale in una prospettiva di variazione parametrica. L’analisi appena proposta per l’accordo referenziale e non nell’apprendimento col suo riscontro nella variazione linguistica sembra sostenere l’approccio di Hyams (1986).

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i MeccanisMi esterni

del caMBiaMento linguistico

Il modo di parlare cambia con il trascorrere degli anni e dei secoli. A questo processo corrisponde l’emergere della differenziazione linguistica nello spazio, cioè all’interno delle comunità di parlanti. Come abbiamo visto al cap. 6, normalmente le comunità linguistiche non sono omogenee, ma includono differenti modi di parlare associati ai fattori demografici e sociali, alle situazioni dell’interazione, alle intenzioni e ai contenuti della comunicazione (registri, livelli, generi). In effetti, la spiegazione del cambiamento linguistico e in generale della variazione linguistica ha rappresentato un oggetto di studio privilegiato a partire dalla riflessione dei linguisti del Settecento e dai modelli di linguistica storica dell’Ottocento. Tuttavia individuare le cause della variazione e i meccanismi che la determinano risulta per la linguistica settecentesca, che per prima cerca di riportare la differenziazione tra le lingue a modelli esplicativi, un problema irrisolvibile. La molteplicità e l’apparente eterogeneità delle variazioni che le lingue mostrano non sembra interpretabile nei termini di uno schema di tendenze universali e regolari, tanto da indurre Turgot nella voce Étymologie dell’Encyclopédie a concludere che l’unica cosa possibile è darne un resoconto di tipo storico:

On verra que chaque langue et dans chaque langue chaque dialecte, chaque peuple, chaque siecle, changent constamment certaines lettres en d’autres lettres et se refusent à d’autres changemens aussi constamment usités chez leur voisins […] ne cherchons donc point à remener à une loi fixe des variations multipliés à l’infini dont les causes nous échappent: étudions-en seulement la succession comme on étudie les faits historiques. (Turgot 1756: 97)

E in effetti la linguistica ottocentesca ha elaborato un modello di spiegazione nel quale il cambiamento linguistico è stato trattato nei termini di una serie di passaggi successivi, in una prospettiva storico- ricostruttiva.

È nelle nuove prospettive teoriche e metodologiche della linguistica del Novecento che lo studio del cambiamento ha assunto uno statuto teorico via via più rilevante. Il punto più difficile da spiegare è come mai e sulla base di quali meccanismi si creano differenze linguistiche tra i parlanti nonostante che le esigenze della comunicazione sembrerebbero favorire l’uniformità linguistica tra i parlanti stessi. Così Sapir (1969[1921]:148), constatato che ‘la lingua è qualcosa di variabile’, cerca di spiegare come mai questa variabilità, pur legata ai singoli individui, non dà luogo a una sorta di disintegrazione della lingua stessa, ma si indirizza verso una certa direzione, che Sapir chiama ‘deriva’, e che determina il reale cambiamento linguistico. L’insieme delle variazioni individuali, caratterizzate come fortuite, resta comunque fuori della portata di un approccio scientifico. L’idea che il mutamento in atto, cioè la variazione presente all’interno di una comunità linguistica, non sia assoggettabile alle procedure di analisi dell’indagine linguistica è ribadita da Bloomfield (1933:347), che nota come ‘The process of linguistic change has never been directly observed; we shall see that such observation, with our present facilities, is inconceivable’. Il punto è che quando parliamo di variazione linguistica e di differenziazione linguistica, da una parte parliamo di un fenomeno intrinseco al linguaggio, che si determina nel sistema mentale acquisito dal parlante, mentre dall’altra ci riferiamo a meccanismi esterni, che riguardano le scelte adottate dal parlante nelle diverse situazioni comunicative. Dobbiamo distinguere quindi il meccanismo esterno, di tipo socio-stilistico, che regola l’impiego delle differenze fonologiche, lessicali, morfosintattiche tra i parlanti, dal meccanismo interno al sistema linguistico, che crea le forme differenti. I fenomeni indagati nei pff. precedenti, cioè il bilinguismo (e la mescolanza ad

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esso associata), e l’acquisizione sono strettamente connessi alla variazione linguistica. Vi sono motivi per pensare che l’acquisizione linguistica, da parte del bambino e da parte del parlante adulto, in condizioni di mescolanza linguistica, abbia un ruolo cruciale nell’emergere di nuove forme, nuovi elementi lessicali, nuove grammatiche. Labov (2002) sintetizza così l’origine dei cambiamenti linguistici:

The triggering event that leads to extensive systematic change is the insertion or removal of a category from a sub-system in a direction determined by unidirectional constraints on linguistic change. The principle of maximal dispersion then applies within that sub-system as a driving force for continued change. Sociolinguistic variation is parasitic upon such linguistic variation. It is an opportunistic process that reinforces social distinctions by associating them with particular linguistic variants. Though in principle any social category may be associated with linguistic change in progress, it is the culturally dominant groups of society that are normally in the lead. The use of linguistic forms to increase distinctiveness of particular groups is a driving force for the acceleration of change The diffusion of linguistic change to neighboring. (Labov 2002: 22).

Le varianti fonologiche, morfosintattiche o lessicali sono determinate dalle restrizioni della facoltà di linguaggio, cioè da restrizioni di struttura fonologica (sillaba, organizzazione prosodica, spazio acustico, etc.) e da restrizioni di tipo computazionale e concettuale (spazio concettuale, proprietà lessicali). L’emergere di queste differenze linguistiche si collega a condizioni di bilinguismo, associato sia alla fase di acquisizione sia alle normali condizioni dell’interazione linguistica (processi interpretativi, riconoscimento delle proprietà fonetiche, etc.). La variazione sociolinguistica è quindi parassitica, come dice Labov, rispetto alle differenze linguistiche che si generano nella lingua interna del parlante; queste ultime acquistano un significato psicologico o sociale che le correla al sistema sociale e alla vita materiale.

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 107-111)