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Lo studio del cambiamento linguistico

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 111-133)

Il multilinguismo, il contatto linguistico e i fenomeni di mescolanza e pidginizzazione linguistica hanno accompagnato il funzionamento e l’uso delle lingue fin dalla diffusione della nostra specie nelle diverse regioni della terra. Possiamo pensare che uno dei fattori che hanno concorso fin dall’inizio alla variazione linguistica siano proprio il bilinguismo e la mescolanza. Più concretamente, processi come la diffusione e la differenziazione delle lingue indoeuropee in Europa e in Asia (Renfrew 1989, Villar 1997; cf. pf. 5.6), e la stessa formazione delle varietà romanze dal latino o delle lingue germaniche moderne, rinviano alla mescolanza linguistica e ai processi che ne sono alla base. In effetti anche il cambiamento linguistico, cioè il processo di formazione di nuove lingue normalmente riconoscibile in una prospettiva temporale, non rappresenta altro che il risultato sedimentato della variazione linguistica.

La comparazione e la ricostruzione indoeuropee hanno rappresentano uno dei più precoci e più importanti campi di prova delle metodologie linguistiche a partire dal diciannovesimo secolo. L’esistenza di somiglianze fonetiche e morfolessicali non casuali tra le lingue europee e tra queste, il sanscrito (la lingua in cui sono scritti gli antichi testi sacri indiani a partire dal II millennio a. C.) e il persiano era già stata oggetto di studio da parte della linguistica settecentesca. Tradizionalmente si collega l’inizio della comparazione indoeuropea al discorso tenuto da Sir William Jones presso la Società Asiatica di Calcutta nel 1786, che aveva messo in evidenza le affinità tra il latino, il greco, il gotico, il celtico, il persiano e il sanscrito. Tuttavia l’ipotesi di un’origine comune fra queste lingue era già presente nella letteratura scientifica del tempo. Le prove di un’affinità tra lingue come il greco e il latino, o tra le lingue europee e il persiano erano diffuse nel secondo settecento, e alimentavano l’idea che queste corrispondenze derivassero dal fatto che questi popoli e le loro lingue avessero un’origine comune. In particolare queste lingue si facevano discendere da quella dell’antico popolo degli Sciti, di cui parla lo storico greco Erodoto, come suggerisce De Brosses (1765):

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On n’est pas étonné de trouver du rapport entre l’anglois et le persan: car on sait que le fond de la langue angloise est saxon, et qu’il y a une quantité d’exemples qui montrent une affinité marquée entre l’allemand et le persan. Mais d’où peut-elle naître, si ce n’est d’une émanation de la langue scythique sur les peuples des deux régions […]. (De Brosses 1765, v.II: 74-75)

Nello studio della variazione e della differenziazione linguistiche la prospettiva che è apparsa inizialmente rilevante ai paradigmi scientifici della linguistica del settecento e dell’ottocento è stata quella storico-evolutiva. Emersero subito alcune questioni: da che cosa nasce il cambiamento linguistico? come si realizza?

A questo proposito, è interessante notare che gli autori del settecento inseriscono la trattazione del cambiamento e della differenziazione linguistica all’interno di una vera e propria teoria del linguaggio, la

Grammatica generale che riporta le diverse lingue a un unico insieme di principi organizzativi, sia logico-

sintattici sia fonetici. Questi autori si rendono conto che sulla base di una concezione precisa della struttura delle lingue è possibile sviluppare ipotesi sui loro rapporti di parentela, oltre che un’ipotesi sull’origine del linguaggio. Due fondamentali strumenti di analisi della linguistica settecentesca sono la teoria agglutinativa delle forme verbali, scomposte in una radice nominale e una parte propriamente verbale identificabile con essere, e l’individuazione delle leggi del cambiamento fonetico. Si tratta di strumenti euristici che a loro volta hanno alle spalle una lunga tradizione; in particolare l’analisi logico-componenziale del verbo riprende le idee della Grammaire générale et raisonnée di Arnauld e Lancelot (1660). L’interesse verso la grammatica universale non impedisce agli autori del settecento di applicare i loro schemi di analisi ai fenomeni di corrispondenza che individuano nella fonetica e nella morfologia di lingue affini, come le lingue neolatine e, appunto, le lingue che poi saranno caratterizzate come indoeuropee. Anzi, proprio il carattere sistematico di queste corrispondenze permette a questi autori di mettere alla prova e di adeguare i propri strumenti di analisi; nello stesso tempo emerge o viene confermata la possibile ricostruzione di un legame storico originario tra lingue affini. Questo complesso di idee viene elaborato in particolare nel Traité da De Brosses (De Brosses 1765), nelle ‘Loix’ proposte in Origine du langage et de l’Écriture da Court de Gébelin (Court de Gébelin 1773-1789) e nella voce Étymologie da Turgot (Turgot 1756), dove Turgot suggerisce il criterio della regolarità delle corrispondenze come strumento euristico della ricostruzione etimologica:

La rassemblance dans les sons suffit pour supposer des étymologies […] On ne s’arrête pas même lorsqu’il y a quelque différence entre les consonnes, purvu qu’il reste entr’elles quelqu’analogie, et que les consonnes correspondantes dans le dérivé et dans le primitif, se forment par des mouvemens semblables des organes […] D’après les observations faites sur les changemens habituels de certaines consonnes en d’autres, les Grammariens les ont rangées par classes, relatives aux differens organes qui servent à les former […]. (Turgot 1756: 97)

I Tableaux di Court de Gébelin illustrano le corrispondenze fonetiche fra lingue, viste come esempio delle leggi, Loix, del cambiamento fonetico, come nel caso del rapporto tra il latino e alcune varietà romanze, esemplificato dalle parti riportate in (1):

(1) De Latin en François Amarus, amer, Carus, cher, Mare, mer, Nasu, nez, Sal, sel, […]

L’I des Latins se change souvent en OI en François Pix, poix,

Pisum, pois, Frigidus, froid, […]

(da Origine du langage et de l’Écriture, III volume di Monde primitif 1773-1782: 156, 171)

Questi studi spingono a precisare i procedimenti di analisi, in particolare l’etimologia, cioè il procedimento che individua l’origine o la forma originaria di una parola. Dalla fine del Settecento cresce l’interesse verso le lingue esotiche, e soprattutto quelle antiche; vengono compilate grammatiche di lingue poco note, nonché dizionari contenenti varie espressioni a confronto fra lingue diverse, gettando le basi per la comparazione linguistica che caratterizzerà il secolo successivo. All’inizio dell’Ottocento, il riconoscimento della stretta affinità del sanscrito con le lingue europee, e in particolare con il greco e il latino, già notato nel Settecento, fu uno dei principali fattori dello sviluppo del metodo comparativo.

In Über die Sprache und Weisheit der Indier (1808) Friedrich Schlegel mette in evidenza la stretta affinità del sanscrito con il greco, il latino, il persiano e le lingue germaniche, nonché ulteriori connessioni non casuali anche con l’armeno e le lingue celtiche e slave. È fondamentale inoltre l’importanza data da Schlegel ai criteri per stabilire la parentela linguistica: le lingue imparentate devono avere in comune corrispondenze sistematiche e dimostrabili relative alla struttura fonetica delle parole e alla flessione, e non soltanto elementi lessicali, che possono essere dovuti al contatto fra due lingue o a casi fortuiti. Schlegel vide nel sanscrito, cioè la più antica fra le lingue conosciute, la lingua madre dalla quale erano derivate le lingue ad esso imparentate. In Undersøgelse om det gamle Nordiske eller Islandske Sprogs Oprindelse ‘Ricerche sull’origine dell’antica lingua nordica o islandese’ (1818), Rasmus Rask compara l’islandese con i ceppi linguistici europei, con l’arabo e l’ebraico. Rask applica per molti aspetti le idee degli enciclopedisti e dei filosofi del linguaggio del secondo settecento, ai quali fra l’altro rinvia esplicitamente; in Rask tuttavia è esplicito l’intento di dimostrare e ricostruire le relazioni di parentela esistenti tra l’islandese e le lingue germaniche (gotiche) rispetto ad altre lingue, specificamente il latino e il greco. Per poter dimostrare la parentela linguistica occorre individuare corrispondenze fonetiche e morfologiche sistematiche fra le lingue indagate, come illustrato dai passi seguenti:

Una lingua, per mescolata che possa essere, appartiene alla stessa classe linguistica di un’altra, quando ha in comune con la stessa le più fondamentali, concrete, indispensabili e prime parole, la base della lingua […]

Quando in tali parole si trovano concordanze fra due lingue, e così numerose che si può trarre regole per i cambiamenti delle lettere dall’una all’altra, allora esiste una parentela di fondo fra queste lingue; specialmente quando corrispondono le somiglianze nella struttura e nel meccanismo delle lingue; per esempio

phêmê in Lat. fama e holkos in sulcus mêtêr mater bolbos -- bulbus ….

Di qui si vede che il greco ê in latino spesso diventa a e o u […]. (Rask 1818: 35, 36)

Nel 1816, Franz Bopp, pubblicò uno studio sul sistema della coniugazione sanscrita comparato con quello di greco, latino, persiano e germanico, Über das Conjugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem

der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache (1816), generalmente considerato come il

punto di svolta rispetto alla linguistica illuministica (cf. Savoia 1981, Morpurgo Davis 1994). In particolare, a differenza di Schlegel, Bopp ipotizza la possibilità che le lingue imparentate, sanscrito compreso, siano derivate da una diversa antica lingua. Nel lavoro di Bopp uno schema di analisi fondamentale ai fini della comparazione fra le lingue esaminate è la teoria dell’agglutinazione, cioè l’idea che le forme del verbo derivino dalla combinazione di una di una radice attributiva, cioè nominale, con le forme del verbo essere, e che la flessione di persona derivi dalla combinazione di forme pronominali col verbo. Questa teoria viene utilizzata come procedimento di scoperta e criterio ricostruttivo, come illustrato dal passo seguente:

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[…] Das erste Futurum der Griechen ist wie das indische, die Verbindung des Futurum des verb. astract. mit der Stammsylbe. makh-ésô, ol-ésô gleichen den lateinischen Futuren pot-ero, fac-so […] (Bopp 1816: 66)

[…] Amaris, glaube ich, steht für Ama-sis oder sus, amatur fü ama-sut. Sut würde die dritte Person des praes., seyn, […] und su-s hiesse demnach die zweyte Person […]. (Bopp 1816: 103)

Non è possibile evitare il confronto fra l’analisi di Bopp e l’analisi delle forme verbali in greco e latino proposta da Court de Gébelin nella Grammaire Universelle:

La seconde méthode est celle des Grecs et des Latins … Par celle-ci, le Verbe ÉTRE avec toutes ses personnes, se place à la suite du nom radical qui devient ainsi un Verbe. Donnons-en un exemple. PHIL désigne en Grec toute idée relative à l’amitié, et à l’union de deux personnes ce mot devient un Verbe elliptique, en se faisant suivre du Verbe ÉTRE: et l’on dit:

PHIL-ei, il aime; mot-à-mot, il est uni à l’amitié PHIL-eis, tu aimes, tu es uni etc.

L’on voit le meme usage dans la Langue Persanne. Le Verbe EST se joint à la suite de ses noms, pour en faire des Verbes […] (Court de Gébelin 1773-1789, Monde prinitif analisé et comparé avec le

monde moderne, Grammaire Universelle: 234-235)

Dal punto di vista concettuale, a differenza di Court de Gébelin, Bopp colloca i suoi dati in una cornice empirica storicamente motivata, quella di lingue che condividono un’origine storica comune. Questo tipo di analisi morfologica risulta quindi motivata dall’ipotesi che il processo di affissazione del materiale lessicale abbia avuto dei passaggi ricostruibili nel corso della storia e che le lingue messe a confronto condividano un’origine comune.

Un impianto storico-ricostruttivo caratterizza il trattamento delle corrispondenze fonetiche all’interno della famiglia germanica nella Deutsche Grammatik (1819, 1822) di Jakob Grimm: con il nome di Legge di Grimm o Rotazione consonantica si indicano i mutamenti fonetici avvenuti dalla fase indoeuropea a quella germanica, e dalla fase del germanico comune all’antico alto tedesco e al gotico. In particolare, Grimm mise in luce un importante sistema di corrispondenze fonetiche relativo alle occlusive che collega i vari gruppi indoeuropei, esemplificabile con i seguenti confronti ripresi da Szemerényi (1985 [1970]): p, cf. le forme per ‘piede’ πους greco, pad sanscrito, pes latino, fōtus gotico; bh, cf. le forme per ‘portare’ bhar- scr., φέρω gr., ferō lat., bairan got.; t, cf. le forme per ‘volare, muoversi/penna’, petō/penna lat., πέτομαι gr., patati/patra scr.,

feDer ‘penna’ antico inglese; d, cf. le forme per la base ‘mangiare’, edō at., έδοντι gr., ad-mi scr., itan got.; k,

cf. le forme per ‘cuore’, kor lat., καρδία gr., hairtō got.; g, cf. le forme per ‘ginocchio’, genu lat., γονυ gr., jānu scr.; g, cf. le forme per ‘campo’, αγρός greco’, ager lat., akrs got., ajras scr.; etc. Sistemi di corrispondenze di questo tipo permettono di individuare all’interno della famiglia indoeuropea, sottogruppi di lingue fra di loro più vicine. Ad esempio, nel caso appena visto, risulta chiaro che le lingue germaniche, rappresentate qui dal gotico o dall’antico inglese, si distaccano dalle altre lingue considerate; presentano infatti f, D, h dove le altre lingue considerate hanno esiti occlusivi, b in confronto a f, gli esiti t, k in confronto a d, g, occlusive non sonore in corrispondenza di occlusive rispettivamente greche, latine, sanscrite. In altre parole, rispetto a questi fenomeni, le lingue germaniche hanno esiti comuni che si distaccano da quelli delle altre lingue indoeuropee; questo suggerisce che le lingue germaniche costituiscano un sottogruppo che da un certo momento in poi si è separato dalle altre lingue indoeuropee.

Il metodo comparativo, basato su corrispondenze fonetiche (e morfologiche) sistematiche e regolari tra lingue affini e sulla ricostruzione della base etimologica comune, ha l’effetto di trattare il cambiamento e la differenziazione linguistica come un fenomeno lineare che a cui corrisponde una successione di lingue diverse separate nel tempo e nello spazio. In questa prospettiva possiamo inserire la teoria genealogica messa a punto da August Schleicher nel Compendium der Vergleichende Grammatik der Indogermanischen Sprache

(1861). Le corrispondenze del tipo appena discusso giustificano una classificazione dei materiali linguistici indoeuropei ispirato alla teoria darwiniana. In base ad esso le lingue sono ordinate in un albero genealogico, con una lingua madre da cui discendono lingue figlie. Il trattamento dei rapporti tra lingue è riportato a tre principi: esiste una lingua madre per ogni famiglia linguistica e per ogni gruppo e sottogruppo; esistono leggi – essenzialmente fonetiche – secondo le quali le lingue mutano nel tempo; è necessario indagare i processi per cui da una lingua madre si giunge a una certa lingua attestata, seguendo le diramazioni dell’albero genealogico. Poiché la lingua madre è andata perduta, l’indagine dovrà partire dalle lingue attestate; sulla base di queste verrà ricostruita la lingua madre di un gruppo o sottogruppo, anch’essa perduta (ad esempio il germanico comune), e così via fino alla lingua madre dell’intera famiglia, o indoeuropeo comune. Come osserva Tagliavini (1963), nella teoria di Schleicher:

[…] si immaginavano le relazioni linguistiche come quelle familiari e si costruiva una specie di albero genealogico che si ramificava a destra e a sinistra […] Secondo una tale visione del problema della parentela linguistica, si immaginava che da un tronco unico (la Ursprache [lingua originaria]) si staccassero dei rami e così via. La ricerca, quindi, di rapporti spaziali fra Germanico e Baltoslavo, fra Greco e Italico, ecc., aveva la sua ragione d’essere nella opinione che alcune delle singole famiglie indoeuropee avessero avuto un periodo comune di unità (ramo principale staccatosi dal tronco). (Tagliavini 1963: 407)

Il risultato di questa impostazione è che la differenziazione è trattata da Schleicher (1861) come un processo storico lineare, a cui corrispondono sistemi linguistici nettamente diversificati, senza residui o situazioni intermedie di mescolanza linguistica, rappresentabili nei termini di un albero genealogico, come in (2). (2) (da Schleicher 1861: 7)

deutʃch. keltiʃch. alban

eʃi ch. eraniʃch. indiʃch. gri echiʃch. italiʃch. lita uiʃch. ʃlawiʃch. ʃlaw oli tauiʃch. italok eltiʃch. graec oitalok eltiʃch. italok eltiʃch. ariograec o- ʃlaw od eutʃch. in dogermaniʃch e urʃprach e. ariʃch.

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Il fatto che i parlanti presentassero più o meno regolarmente differenze di pronuncia, di lessico e di morfosintassi pur usando quella che veniva considerata una stessa lingua fu studiato in un primo momento in relazione al cambiamento linguistico. I linguisti cercarono di capire come avvenisse il passaggio da una lingua a un’altra, o comunque da uno stadio di lingua ad un altro, tramite un procedimento comparativo. La spiegazione del cambiamento linguistico e in generale della variazione osservata in lingue vive si basò in sostanza sul criterio adottato nella ricostruzione delle lingue più antiche, cioè sull’idea che le corrispondenze tra stadi di lingua differenti devono essere sistematiche e regolari e devono corrispondere a sistemi linguistici separati. Gli studiosi del secondo ottocento assumono quindi che i cambiamenti linguistici sono regolari, tanto da poter parlare di ‘leggi fonetiche’, tuttavia, rendendosi conto che vi sono fenomeni che non possono essere ricondotti a questo schema interpretativo, arricchiscono l’analisi linguistica di altri strumenti di indagine. Ad esempio Osthoff e Brugmann (1878) nelle Morphologische Untersuchungen auf dem Gebiete der

indogermanischen Sprachen pur assegnando un ruolo fondamentale alle leggi fonetiche come principio che

spiega la maniera in cui le lingue cambiano, ammettono l’importanza della componente psichica alla base degli sviluppi analogici, cioè del principio di uniformità dei paradigmi. In particolare ne sottolinenano il ruolo esplicativo per le lingue attuali come per quelle antiche:

Der menschliche sprechmechanismus hat eine doppelte seite, eine psychische und eine leibliche […] Da sich klar herausstellt, dass die formassociation, d. h. die neubildung von sprachformen auf dem wege der analogie, im leben der neueren sprachen eine sehr bedeutende rolle spielt, so ist diese art von sprachneureung unbedenklich auch für die älteren und ältesten perioden anzuerkennen, […], sondern es ist dieses erklärungsprincip in derselben weise zu verwerten […]. (Osthoff e Brugmann 1878: III, XIII, XIV)1

La nozione di legge fonetica quindi i cambiamenti regolari, come per esempio il passaggio dal latino ǒ tonico in sillaba aperta a [wɔ] dell’italiano, cf. [mwɔvo] ‘io muovo’; l’analogia e l’uniformità del paradigma spiega perché la sequenza [wo] può comparire in posizione atona, come in [mwoveva] ‘muoveva/moveva’, dove, su basi di evoluzione fonetica non ce la aspetteremmo. Un esempio relativo al consonantismo può riguardare il processo in forza del quale le occlusive *k, g del latino davanti a una vocale palatale, i e, sono diventate affricate palatali in italiano, e comunque sono diventate fricative in altre lingue romanze, come il francese e lo spagnolo. Così, al latino centum pronunciato [k]entum corrisponde l’italiano cento pronunciato [tʃ]ento; la palatalizzazione ha dato luogo ad alternanze come di[tʃ]e vs. di[k]o, dove l’antica occlusiva velare *k è stata sostituita da [tʃ] davanti a [e]. Peraltro in molti paradigmi nominali, invece dell’alternanza tra forma palatalizzata nel contesto –i del plurale e forma con occlusiva velare, compare un paradigma uniforme, come in fi[k]o-fi[k]i, luo[g]o-luo[g]i, sarcofa[g]o-sarcofa[g]i.

La storia delle ricerche etimologiche e del formarsi del metodo etimologico non possono essere separati dalla storia delle idee. È noto infatti che l’affermarsi di prospettive metodologiche è almeno in parte funzionale alle dinamiche culturali che caratterizzano una società in determinati momenti storici. Ciò sembra valere in generale per le idee e gli schemi interpretativi della scienza, e si estende ad esempio anche ai paradigmi interpretativi applicati ai fenomeni naturali. Così, la formazione dei procedimenti etimologici e della ricostruzione linguistica che caratterizzano gli studi linguistici nell’Europa dell’800 appare collegata alle istanze romantiche di cui contiene elementi ideologici evidenti, come la ricerca delle radici storiche e

1 ‘Il meccanismo del linguaggio umano ha un duplice aspetto, psichico e fisico […] Poiché è evidente che l’associazione formale, cioè la composizione di nuove forme linguistiche per mezzo dell’analogia, svolge una parte importantissima nella vita delle lingue moderne, anche per i secoli più antichi si deve ammettere senza esitazione questo tipo d’innovazione linguistica […] ma anche far valere in tale campo questo principio esplicativo […].’ (Osthoff e Brugmann 1878, in Bolelli 1965: 163, 172)

dell’identità originaria. Ad esempio, Rotsaert (1979) mostra che gli studi etimologici tedeschi della prima parte dell’800 si ricollegano alla ‘riabilitazione’ del tedesco operata dalla ricostruzione indoeuropea. In ambito lessicografico una metodologia basata sulla comparazione indoeuropea. Così, nel caso di un’opera lessicografica come l’Althochdeutscher Sprachschatz oder Wörterbuch der althochdeutschen Sprache (1834-46) di Graff la lemmatizzazione per radici mette in evidenza l’apparentamento del tedesco con le altre lingue indoeuropee. Come sottolinea Rotsaert (1979: 311), ‘Scoprire l’etimologia delle parole significa in effetti per Graff ritrovare l’espressione originale dell’anima e dello spirito del popolo tedesco [‘Der Geist des Volkes’]’. Lo schema interpretativo fissato in (2) esclude che le ramificazioni si possano intersecare, non prevedendo quindi rapporti fra i singoli membri di gruppi diversi. In effetti le stesse lingue antiche mostrano rapporti reciproci non riportabili ai requisiti dell’albero genealogico. Un caso ben noto è quello dell’aumento, cioè

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