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Il cambiamento come risultato di dinamiche sociali

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 160-164)

Atkinson et al. (2008) propongono un modello di analisi che tratta il processo di cambiamento linguistico come un’evoluzione di tipo ‘puntuazionale’ a salti netti, nei termini cioè del modello dell’evoluzione biologica di Gould e Eldredge. Come è noto, Stephen Jay Gould e Niles Eldredge in alcuni lavori degli anni ‘70 hanno elaborato sulla base di prove fossili un modello evolutivo, detto dell’‘equilibrio punteggiato’, nel quale l’emergere di nuove specie è prodotto dalla ramificazione e non da una lenta trasformazione di un’unica linea (cf. Stewart 2002: 166; Gould 2008 [2007]). In altre parole, l’isolamento di popolazioni dà luogo a gruppi di organismi con differenze nel patrimonio genetico (ramificazione); la compresenza di popolazioni diverse può dar luogo all’affermazione di una sull’altra.

Atkinson et al. (2008) esaminano l’evoluzione punteggiata negli ‘alberi filogenetici’ di quattro grandi famiglie linguistiche, quella bantu (B), quella indoeuropea (IE), quella austronesiana (A) e quella polinesiana (P), ricorrendo a loro volta ai materiali lessicali disponibili nelle liste di Swadesh. Atkinson et al. (2008) applicano i metodi computazionali della biologia evolutiva alla ricostruzione dei percorsi storici che portano dalle rispettive lingue antenate all’‘insieme osservato di lingue ancora esistenti’. Come indicato nel grafico B in (23) i singoli nodi corrispondono a eventi di formazione di una nuova lingua (‘split’), e la lunghezza dei singoli rami registra la quantità delle divergenze, cioè delle sostituzioni di elementi lessicali, rispetto alla lingua antenata. Nelle lingue bantu la divergenza al momento degli eventi di separazione di una lingua equivale ad una media del 31% di sostituzioni, nelle lingue indoeuropee al 21%, nelle lingue austronesiane al 9,5% e nelle lingue polinesiane al 33%, come indicato dall’istogramma in (23C). Il modello computazionale utilizzato dagli autori implica che se il processo di ‘divergenza lessicale’ fosse graduale allora la distanza dalla radice dell’albero alle lingue sulla cima deve essere indipendente dal numero di eventi di separazione di lingue diverse.

(23) (da Atkinson et al. 2008: 588)

[…] Inferring punctuational language evolution. (A) Tree of four languages. If language-splitting events (red nodes) cause bursts of change, the paths from the root to a and b should be longest, followed by c then d […]; here, they are all equal. (B) Root-to-tip path length plotted against number of nodes along each path for punctuational trees in Bantu […], Indo-European […], Austronesian […], and Polynesian […]. Fitted lines show the relationship between path length and nodes after controlling for phylogeny […]. A positive slope is indicative of punctuational evolution. Path lengths for each data set were scaled to account for the number of characters examined. (C) Histogram showing the percentage of lexical evolution attributable to punctuational bursts at language- splitting events (mean ± SD) for Bantu (B […]), Indo-European (IE […]), Austronesian (A […]), and Polynesian (P […]) […]. For comparison, the percentage of molecular evolution attributable to punctuational effects in biological species is also shown (S, yellow) […]

Come suggeriscono Atkinson et al. (2008) l’applicazione di questo modello di spiegazione della differenziazione linguistica ha interessanti corrispondenze nelle applicazioni al calcolo della percentuale di evoluzione molecolare attribuibile agli effetti puntuazionali nelle specie biologiche, che si aggira su una percentuale del 22% di cambi genetici (come indicato da S in (23C)). Gli autori concludono che:

In each language family, we found significantly more lexical change along paths in which more new languages have emerged, the signature of punctuational evolution (cf. (23B)). These results take into account the phylogenetic relationships among languages, control for a well-known artifact of phylogenetic reconstruction […], and cannot be attributed to borrowing of vocabulary […]. The punctuational effects account for a surprising amount of the total lexical divergence among the languages [cf. (23C)]. (Atkinson et al. 2008: 588).

In merito alla tipologia evolutiva ricostruibile per le lingue naturali, Dixon (2002) osserva che l’ipotesi di un’evoluzione continua a partire da una proto-lingua darebbe risultati totalmente incoerenti con i dati empirici noti. Infatti, possiamo calcolare in maniera approssimativa il ritmo di evoluzione delle lingue ricorrendo a ciò che sappiamo della famiglia indoeuropea. Considerato che le lingue indoeuropee assommano a un centinaio, e che la lingua ancestrale risalirebbe a circa 7.000 anni fa, possiamo applicare questo ritmo di proliferazione linguistica (102 ogni 7.000 anni) al periodo di presenza del linguaggio, che, Dixon (2002: 31) fa risalire a circa 100.000 anni fa. Poiché, questo lasso di tempo contiene circa sedici volte il periodo di evoluzione delle lingue indoeuropee, Dixon nota che il numero di differenti lingue che si dovrebbero essere sviluppate corrisponderebbe a qualcosa come 102x16 = 1032, e comunque, anche assumendo parametri più ridotti, ad un numero enorme di lingue diverse. Sappiamo invece che le differenti lingue parlate sulla terra arrivano tutt’al più a 5.000 lingue. Questa conclusione è confermata dai dati di un dominio linguistico diverso da quello indoeuropeo, come la famiglia delle lingue dell’Australia/Nuova Guinea, che stando all’epoca di

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colonizzazione di queste terre, risalente a 50.000 anni fa, dovrebbe ammontare a 1012 lingue diverse, mentre arriva a circa 250 varietà in Australia e 700 in Nuova Guinea. Questa ricostruzione scarta dunque come inadeguata una spiegazione della differenziazione linguistica in termini di un ‘continuing process’ inducendo ad assumere un modello che permetta di integrare ‘the family-tree metaphor […] with the well-ricognised facts of linguistic diffusion […] – a Punctuated Equilibrium model’ (Dixon 2002: 31).

[…] over most human history there has been an equilibrium situation, of peoples and languages. From time to time this state of equilibrium is punctuated by some significant happening: we then do get expansion and split of peoples and languages. During the long periods of equilibrium there is steady diffusion of linguistic features between languages within a given geographical region – the languages slowly converge towards a common prototype. During the shorter periods of punctuation a family-tree diagram is an appropriate model as political groups, each with their own language, expand and split; in this situation languages rapidly diverge from a single proto-language. In a given geographical region there could be an equilibrium situation for tens of thousands of years, then a period of punctuation that latest for just a few hundred – or maybe a few thousand – years, before merging back into equilibrium. (Dixon 2002: 31-32)

L’evoluzione linguistica riflette cioè fasi di rapido e tumultuoso cambiamento intervallate da periodi di sostanziale continuità, pur in presenza di graduali ma non violente trasformazioni. Questa ipotesi permette di spiegare il cambiamento correlandolo a eventi extralinguistici che modificano le condizioni socio-culturali e lo spazio della comunicazione sociale dei parlanti e che fissano le differenze linguistiche, originate nel processo di acquisizione o comunque in dipendenza da altri fattori cognitivi, nelle interazioni all’interno di una comunità linguistica e le correlano a significati socio-stilistici. Secondo il modello di Atkinson et al. (2008) il carattere intenso e puntuazionale dei cambiamenti di lingua sarebbe determinato da processi identitari e simbolici:

Our results, representing thousands of years of language evolution, identify a general tendency for newly formed sister languages to diverge in their fundamental vocabulary initially at a rapid pace, followed by longer periods of slower and gradual divergence. Punctuational bursts in phonology, morphology, and syntax, or at later times of language contact, may also occur. Linguistic founder effects could cause these rapid changes if newly formed languages emerge in small groups, such as in Austronesian. Alternatively, as the example of American English illustrates, speakers often use language not just as a means of communication but as a tool with social functions, including promoting cohesion and group identity. Punctuational language change may thus reflect a human capacity to rapidly adjust languages at critical times of cultural evolution, such as during the emergence of new and rival groups. (Atkinson et al. 2008: 588)

A questo quadro può essere riconnessa l’ipotesi formulata da Baker (2003), che vede nella differenziazione linguistica il manifestarsi di una particolare forma di libertà, che chiama ‘pluralismo linguistico’. In effetti il pluralismo linguistico risponde agli aspetti identitari richiamati da Atkinson et al. (2008) implicandone però i risvolti di pacifica convivenza e gli atteggiamenti di tolleranza e comprensione necessariamente associati al pluralismo linguistico (cf. pff. 3.2, 7.3.1, 7.3.2). Dixon (2002: 20-21 [traduzione degli autori]) propone alcune generalizzazioni sulla maniera in cui si attuano la differenziazione e il cambiamento linguistici, schematizzate qui di seguito:

1. Ogni lingua e ogni dialetto all’interno di una lingua sono sempre in uno stato di cambiamento. La lingua di una generazione è sempre leggermente diversa da quella della generazione precedente.

2. La velocità del cambiamento non è costante e non è predicibile: dipende infatti da molti fattori, come l’esistenza di lingue di contatto, l’atteggiamento dei parlanti verso la propria lingua e verso le altre lingue.

3. Le forme grammaticali cambiano invariabilmente a un ritmo più lento delle forme lessicali.

4. In molte parti del mondo è possibile distinguere un piccolo nucleo lessicale che è rimpiazzato a un ritmo più lento che non il resto del lessico. In molte lingue, inoltre, i verbi sono sostituiti più lentamente dei nomi. Tuttavia, non sembrano valere principi universali su quale parte del vocabolario è più propensa a cambiare. 5. Nel normale corso dell’evoluzione linguistica spontanea, ogni lingua ha un singolo genitore. In altre parole,

quando due popolazioni, ciascuna con una lingua distinta, si fondono in un’unica comunità con un’unica lingua, quest’ultima discenderà di una sola delle lingue originarie, non di entrambe in maniera uguale. La diffusione di prestiti in situazioni di bilinguismo (parziale) è il processo più tipico del cambiamento, in base al quale elementi lessicali, categorie e forme grammaticali passano da una grammatica all’altra portando le due lingue ad essere più simili. È questo il meccanismo che determina l’assimilazione progressiva di lingue diverse all’interno di un’area geografica. Sia i periodi di equilibrio che i periodi di differenziazione puntuazionale sono ricollegabili a fattori extralinguistici. Nel primo scenario le comunità rilevanti avranno un’identità socio- linguistica forte sufficiente a creare condizioni di equilibrio nei rapporti reciproci; i periodi di differenziazione linguistica corrisponderebbero a fasi di cambiamento socio-culturale legato, nel passato come nel presente, allo sviluppo tecnologico, a cambiamenti politici e all’espansione territoriale di gruppi. Se la variazione e il cambiamento sono sospinti da fattori di natura sociologica e psicologica come l’asimmetria di potere, l’identità e la coesione della comunità, ciò significa che l’atteggiamento e quindi l’autocoscienza linguistica del parlante sono a loro volta cruciali. Il cambiamento della cultura materiale, dei valori e delle credenze della comunità può dar luogo all’introduzione di nuovi termini e a nuovi modi di parlare, associati alle diverse condizioni di vita e alla diversa organizzazione sociale (cf. capp 7, 8). In questi casi hanno un ruolo decisivo gli equilibri e i rapporti di potere, politico e economico, a cui sono riconducibili in ultima analisi i meccanismi del prestigio e dell’influsso culturale. Esempi di processi di questo tipo sono forniti dalla diffusione del latino nell’impero romano e dal contatto tra francese e anglosassone dopo la conquista normanna dell’Inghilterra.

Così, il latino sostituì tutte le lingue anticamente parlate in Italia (l’etrusco, l’osco, l’umbro, le varietà celtiche, etc.) e quelle parlate in molte parti d’Europa, come le lingue celtiche, durante il periodo del dominio di Roma in Italia e nei territori dell’impero. Nel caso dell’inglese antico, il periodo di dominazione normanna dell’Inghilterra a partire dalla conquista da parte di Guglielmo duca di Normandia nel 1066 creò le condizioni che portarono ad una trasformazione dell’anglo-sassone sotto l’influenza del francese parlato dai normanni. Hughes (2000) connette l’imporsi di forme di origine francese con i nuovi rapporti di potere instaurati dall’avvento della dominazione normanna:

[…] the Norman Conquest heralded a shift of power as complete as the Anglo-Saxon invasions, though without a mass demographic upheaval […] Most significantly the Normans established their rule in their own tongue, which became the new language of power and prestige […] The Norman Conquest led to an enormous enrichment of English vocabulary. This was because the French loan- words differed greatly in reference and in focus from the Anglo-Saxon stock and the loans from the Vikings […] dealing with everyday objects and experience. The Norman vocabulary came down the hierarchy of power from a ruling caste speaking a foreign Romance language quite alien to a population speaking two relate Germanic languages, Anglo-Saxon and Old Norse. (Hughes 2000: 110, 111, 112)

La mescolanza tra anglo-sassone e francese rimanda quindi a particolari condizioni di asimmetria di potere. I parlanti francese normanno, per quanto in minoranza rispetto alla massa della popolazione, rivestivano ruoli di comando e di prestigio che motivano il grande numero di prestiti di origine francese che entrano nel lessico dell’inglese antico. I prestiti si concentrano sia negli spazi concettuali nei quali mancavano termini indigeni, come alcuni titoli, cf. baron ‘barone, court ‘corte’, crown ‘corona’, marquess ‘marchese’, prince ‘principe, l’organizzazione dello stato, cf. government ‘governo’, justice ‘giustizia’, parliament ‘parlamento’, la caccia,

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cf. sport ‘diporto’, falcon ‘falcone’, l’arte, cf. beauty ‘bellezza’, paint ‘pittura’, romance ‘romanzo’, la religione, cf. faith ‘fede’, saint ‘santo’, sia in campi dove introducono un contrasto stilistico con termini anglosassoni, come nell’alimentazione, cf. mutton ‘montone’, pork ‘porco’, venison ‘carne di cervo’, etc. Prestiti riguardano comunque i diversi ambiti di conoscenza, cf. people ‘gente’, peace ‘pace’, uncle ‘zio’, voice ‘voce’, etc.

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