• Non ci sono risultati.

Differenze nelle abilità linguistiche: codice elaborato e codice ristretto

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 39-41)

Il contrasto tra modi di parlare assume uno statuto di particolare importanza nei processi educativi. Bernstein (1971) notò che la scuola richiedeva uno specifico modo di esporre i fatti o le informazioni con la conseguenza di privilegiare i parlanti provenienti dalle classi più elevate e più scolarizzate. In altre parole, il rendimento dei ragazzi appartenenti alle classi medie e medio-alte risultava adeguato alle richieste della scuola mentre il rendimento dei bambini provenienti da ambienti sociali più bassi, meno scolarizzati e parlanti varietà non-standard era sistematicamente inadeguato, portando all’insuccesso scolastico. Questo meccanismo ha quindi l’effetto di confermare e perpetuare le differenze sociali alla base delle differenze linguistiche. Bernstein distinse i due modi di parlare come ‘codice elaborato’ e ‘codice ristretto’ (Bernstein 1971; 1973 [1971]; 1987). I ragazzi appartenenti alle classi medie e medio- alte presentano infatti le modalità discorsive generalmente associate all’uso della lingua standard, e in particolare alla possibilità di organizzare verbalmente l’esperienza e le conoscenze in accordo con le

LINGUAGGIo E FAttorI SoCIALI 37

modalità dell’esposizione scritta, in sintonia con le richieste della scuola. I ragazzi provenienti da ambienti sociali più bassi utilizzano un processo interpretativo basato sul contesto del discorso e sui saperi condivisi all’interno del gruppo sociale. Il loro modo di esprimersi ha inoltre i tratti tipici della comunicazione orale ed è generalmente associato a scelte linguistiche non standard, ad esempio al dialetto o a varietà substandard, col risultato di portare all’insuccesso scolastico e di confermare le differenze sociali alla base delle differenze linguistiche. La teoria dell’insuccesso scolastico elaborata nelle ricerche di Bernstein sull’inglese substandard mette in luce non tanto una differenza di tipo cognitivo o concettuale quanto una differenza dei modelli culturali, come ad esempio il modo di esprimersi, collegati alla stratificazione sociale. In altre parole si tratta di modi diversi di elaborare le informazioni legati a regole e abitudini comunicative diverse, con valore sociale.

È importante sottolineare che nel considerare le potenzialità comunicative degli studenti, e in generale dei parlanti, è concettualmente e scientificamente scorretto identificare la ridotta padronanza dei codici standard con livelli cognitivi più bassi, nei termini cioè dei più diffusi stereotipi negativi (Romaine 1995). Gli studi sociolinguistici e psicolinguistici hanno sfatato il mito che l’uso di una varietà non standard corrisponda a un’organizzazione cognitiva diversa. In particolare, la convinzione che parlare una lingua non standard, un dialetto o un vernacolo, sia di impedimento all’apprendimento viene dimostrata come inconsistente dalle indagini di Labov (1972a) sul Black English, che conclude:

Non c’è nessuna ragione per credere che un vernacolo non standard sia in sé un ostacolo ad apprendere. Il problema cruciale è l’ignoranza su tutto ciò che riguarda il linguaggio. Il nostro compito di linguisti è rimediare a questa ignoranza […]. (Labov 1972a:239; trad. degli autori)

In realtà, la scuola tende a trattare le differenze socio-stilistiche come imperfezioni nella competenza linguistica o addirittura nelle capacità cognitive. In realtà, quando si parla di errori linguistici ci si riferisce in molti casi non tanto a limitazioni sul piano della grammaticalità degli enunciati, quanto a scelte non appropriate in rapporto ai requisiti di tipo formale, cioè al modello di argomentazione e di organizzazione del testo imposti alla lingua insegnata e usata a scuola. Un esempio può chiarire questo punto, visto che nelle diverse aree regionali italiane sono riscontrabili tipi di errori particolari, connessi al primo sviluppo linguistico del bambino. In area toscana e fiorentina è usuale il mancato accordo tra verbo e soggetto posposto. Frasi come c’è tanti bambini, gli piace le caramelle, mi duole le spalle sono normalmente considerate errori; tuttavia questa costruzione è comune nel parlato, addirittura sistematica nella varietà dialettale di Firenze. Il bambino quindi non fa che ‘conservare’ una proprietà sintattica di livello colloquiale. Quindi, mentre l’italiano standard richiede l’accordo tra verbo e soggetto posposto, il fiorentino, al pari di altre varietà settentrionali, ammette o richiede che il verbo si realizzi alla terza persona singolare anche se il soggetto postposto è plurale. Il mancato accordo del verbo col soggetto posposto in fiorentino corrisponde quindi ad una regola della grammatica mentale del fiorentino, diversa da quella dell’italiano e non certo a un errore grammaticale.

I veri errori linguistici nella lingua materna includeranno (Pit Corder 1973) cambiamenti nel piano del discorso (false partenze, frasi non finite), usi non accettabili di forme lessicali, processi di tipo fonetico (anticipazioni, metatesi, assimilazioni), anche se la comunicazione può essere ugualmente realizzata (cf. la discussione ai pff. 1.1, 1.2 e in Baldi e Savoia 2009). Così, la scuola nei casi più tipici non interviene su disturbi al normale funzionamento del sistema linguistico, né su limitazioni di tipo cognitivo, bensì sull’allontanamento da scelte considerate appropriate (grafica/fonetica, morfologica, sintattica, lessicale e testuale) su basi extralinguistiche. Peraltro, la lingua acquisita dal bambino nel suo ambiente di provenien- za costituisce il punto di partenza di ogni successivo apprendimento linguistico. La scuola interferisce con queste condizioni in diversi modi: amplia la gamma di varianti linguistiche socio-stilistiche del bambino, eventualmente adeguandone le condizioni di appropriatezza a funzioni nuove o diverse; insegna al

bambino una L2 più o meno lontana dalla sua lingua materna, e contemporaneamente regole comunicative specifiche.

Per quanto riguarda l’uso della lingua materna di minoranza nella scuola, la letteratura scientifica ha messo in luce che per un bambino è più facile imparare a leggere e scrivere nella sua lingua materna (Bratt Paulston 1998) e che ‘una rivalutazione esplicita dei modelli linguistici già posseduti dall’alunno non può che incrementare […] la motivazione all’apprendimento in generale’ (Maturi e Risolo 2001:102). Un’educazione in lingua materna favorisce quindi l’alfabetizzazione, e di conseguenza è favorevole anche allo sviluppo socio-economico, visto che esso è basato sul grado di alfabetizzazione della società. L’educazione linguistica rappresenta una delle componenti essenziali dei programmi scolastici della scuola primaria e media, ponendo il problema di un modello di scuola adeguato a una società multiculturale, e in particolare di una società in cui si parlano varietà linguistiche diverse da quella standard, dell’uso scolastico. In effetti una scuola sensibile ai valori di un’educazione rispettosa della persona deve riconoscere l’importanza pedagogica della varietà delle lingue, come indicato da De Mauro (1977:133,134):

La varietà delle lingue […] discende da una capacità creativa propria in alto grado del cervello dell’uomo […] L’esperienza della varietà delle lingue è importante per educarsi alla tolleranza e intelligenza delle possibilità comunicative ed espressive […].

Nel documento Lingua e società. La lingua e i parlanti (pagine 39-41)