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Affermare che un sistema deve essere ripensato non è, tuttavia, sufficiente se non ci si fa carico di avanzare delle proposte almeno sulla direzione del ripensamento A

Mario Stella Richter jr (*)

5. Affermare che un sistema deve essere ripensato non è, tuttavia, sufficiente se non ci si fa carico di avanzare delle proposte almeno sulla direzione del ripensamento A

mio avviso, esse dovrebbero essere, in coerenza con quanto appena detto, le seguenti.

Anzitutto, si devono isolare, nell’àmbito dello statuto speciale della società quotata, alcune regole su nomina e composizione del consiglio di amministrazione che valgano solo per le società a grande capitalizzazione e con compagine azionaria estremamente diffusa (in sostanza le blue chips o, per avere un riferimento più pre- ciso, le società del FTSE-Mib14). Solo per queste si giustificano molti degli istituti oggi inderogabilmente previsti in materia di composizione degli organi amministrativi.

Più in generale direi che deve diminuirsi il grado di rigidità e imperatività delle regole sulla composizione del consiglio, mentre vanno mantenute le disposizioni che impongono di rendere autonoma, nell’ambito del procedimento deliberativo, e anticipata nel tempo, rispetto alla data dell’assemblea, la fase di proposizione delle candidature. Con il ruolo predominante che oggi svolgono gli investitori professionali non è pensabile, pena la loro sostanziale emarginazione dalle dinamiche assembleari, che le proposte di voto siano fatte per la prima volta in assemblea. Benissimo quindi la tecnica delle liste e del voto di lista per la elezione delle cariche sociali, ma maggiore elasticità nella previsione della modalità di composizione dei consigli di amministrazione.

La restituzione di spazio all’autonomia statutaria naturalmente dovrà avve- nire in modo graduale e quindi, anzitutto, nel pieno rispetto degli affidamenti di chi ha investito in quelle società confidando in un certo sistema di governo societario fin qui inderogabilmente garantito da norme di legge (intendo cioè dire che la modifica-

13 Il fenomeno è recente, ma in via di diffusione grazie anche agli effetti combinati della record date e del maggior peso di investitori istituzionali stranieri nel capitale delle società italiane quotate.

14 Si tenga comunque presente che le società che compongono l’indice del FTSE-Mib capitalizzano oltre l’80% della intera capitalizzazione delle società quotate alla Borsa italiana (secondo i dati del maggio 2014, consultabili in http://www.borsaitaliana.it/borsaitaliana/statistiche/statistiche-storiche).

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

zione delle correlative regole statutarie dovrebbe essere, in ogni caso, presupposto per l’esercizio del diritto di recesso15).

Sempre in nome del suddetto passaggio graduale si potrà pensare di fare ricorso a norme bensì imperative ma temporanee, che mi pare abbiano dato buona prova quando fino ad ora utilizzate. Mi riferisco chiaramente alla disciplina delle quote di genere che tra non molto perderà il suo carattere imperativo, ma che ha indubbiamente fatto a tutti apprezzare il valore della diversità nell’àmbito di un organo collegiale anche con funzioni di composizione quale è definitivamente divenuto il consiglio di amministrazione16. Intendo dire che molte delle previsioni attualmente vigenti senza limiti di tempo, come quelle sugli amministratori “di minoranza” o indipendenti, potrebbero essere rese temporanee.

Inoltre, la esigenza di una maggiore flessibilità potrebbe essere soddisfatta in modi che comunque non si risolvano nella adozione di un sistema di elezione degli organi sociali schiettamente maggioritario. Intendo dire che è ben possibile pensare di affiancare al sistema del voto di lista con riserva necessaria di posti in consiglio per la minoranza altre possibili soluzioni che pure consentano di dare adeguata diversità al consiglio anche in punto di estrazione delle sue diverse componenti. Penso quindi al voto cumulativo o a meccanismi elettorali proporzionali (a cominciare dal diffu- sissimo metodo D’Hondt o dei quozienti interi), ma senza riserva necessaria per le minoranze ove non attingano le soglie richieste dal meccanismo stesso.

Una esigenza di “pluralismo” e di diversificazione nella composizione dell’organo amministrativo collegiale potrebbe essere anche perseguita e realizzata imponendo (sempre statutariamente) liste con un numero di persone più alto di quelle da eleggere e con possibilità quindi di valorizzare le preferenze della compa- gine sociale17. Anche qui molto dipende ovviamente dalle singole realtà societarie.

Ripensare una legislazione troppo minuta e cogente consentirebbe non solo di eliminare alcune previsioni che comportano difficili problemi interpretativi (quali quelli indicati nel 1° Rapporto sulla applicazione del codice di autodisciplina18, e cioè la eliminazione di una doppia definizione di indipendenza), ma di sanare delle vere e

15 A tale fine, sarebbe probabilmente opportuno prevedere espressamente per legge, in occasione della modificazione dell’art. 147-ter TUF, che la modificazione statutaria resa conseguentemente possibile sia presupposto del diritto di recesso. Infatti, potrebbe essere dubbia l’applicazione dell’art. 2437, comma 1, lett. g) cod. civ.

16 Ricordo che la stessa proposta di Direttiva comunitaria volta a promuovere l’equilibrio di genere negli organi amministrativi delle società quotate europee prevede norme di carattere temporaneo (destinate a scadere nel 2028). 17 È il già ricordato sistema del majority vote, propugnato da M. BELCREDI e L. CAPRIO, op. cit., i quali, tuttavia, auspicano – se ben comprendo – che esso sia previsto e inderogabilmente imposto dalla legge come soluzione necessaria, mentre, a mio avviso, all’attuale sistema dovrebbe sostituirsi un sistema più flessibile, con disposizioni di principio e variate a seconda delle diverse realtà societarie, nell’àmbito del quale questa potrebbe essere una delle soluzioni statutariamente realizzabili, ma non anche quella normativamente imposta. Nel medesimo senso va nella sostanza la recente (e forse troppo complessa) proposta di L. ENRIQUES, op. cit., secondo il quale, «fermo il sistema del voto di lista», si dovrebbe prevedere che i singoli candidati siano soggetti anche a un voto individuale e «in caso di mancato gradimento da parte della maggioranza» i componenti eletti dovrebbero «assoggettarsi a un voto individuale nell’assemblea annuale successiva» e, se anche in quella sede non raggiungessero la maggioranza, decadrebbero. 18 COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE, Relazione Annuale 2013. 1° Rapporto sull’applicazione del Codice di

Autodisciplina, p. 12: «Il Comitato si chiede se non siano maturi i tempi per tentare di ricondurre a un criterio unitario la definizione d’indipendenza. Questo approccio consentirebbe di superare la dicotomia tra “amministratori indipendenti da legge” e “amministratori indipendenti da autodisciplina”».

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

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proprie aporie legislative come quella che impone la presenza di un consigliere indipendente nei consigli di gestione con più di quattro componenti (art. 147-quater, comma 1, TUF).

Sempre a proposito del requisito della indipendenza, e nella misura in cui mantenga questa centralità, pare arrivato il momento di iniziare a pensare istituti di autodisciplina che ne consentano un controllo e una verifica anche a istanza di componenti endosocietarie.

Naturalmente, molto si attende dagli emittenti e dall’autodisciplina. Autonomia statutaria e raccomandazioni autodisciplinari sarebbero chiamate a riappropriarsi del fondamentale ruolo di innovazione e di traduzione in modelli adatti alle diverse realtà societarie dei principi che dovrebbero allora costituire il contenuto del futuro auspicato assetto normativo. In questo senso, gli statuti possono poi prendere in seria considerazione il ricorso a istituti negletti nella pratica, ma già oggi sicuramente utilizzabili; e, in questo senso, molto mi pare che si possa ancora fare a livello di Codice di autodisciplina per incoraggiare il ricorso a queste pratiche.

Penso anzitutto al riconoscimento da parte di clausole statutarie di una legittimazione concorrente del consiglio di amministrazione uscente alla proposizione di liste di candidati19. Candidature provenienti dal vecchio consiglio di amministra- zione (peraltro sistematicamente coerenti con l’istituto della cooptazione) avrebbero a mio avviso il grande pregio di essere viste con estremo favore dagli investitori istituzionali (soprattutto) stranieri, che sono adusi a tale prassi, e, inoltre, consenti- rebbe di dare effettività e concretezza a quella raccomandazione (che fin qui mi è parsa un esercizio un po’ di stile) in virtù della quale il consiglio di amministrazione, tenuto conto degli esiti dell’autovalutazione e prima del suo rinnovo, dovrebbe esprimere orientamenti sulla sua futura composizione20.

Sarebbe ormai opportuno che gli stessi statuti impongano la presentazione di liste complete di candidati21, quanto meno per l’organo di controllo22, posto che 19 Anche qui mi parrebbe inopportuno farne oggetto di obbligo (come invece auspicato da M. BELCREDI e L. CAPRIO, op.

cit.); potrebbe invece, in una prospettiva di riforma, prevedersi con norma dispositiva la legittimazione del consiglio a presentare liste di candidati per il suo rinnovo.

20 Codice di autodisciplina (2011), criterio applicativo 1.C.1, lett. h.

21 Mentre per L. ENRIQUES, op. cit., il rimedio dovrebbe consistere nell’imporre (normativamente, a quanto capisco) che «il socio presentatore di una lista debba contestualmente presentare le proposte conseguenti alla mancata elezione dell’intero consiglio, a pena di inammissibilità di proposte di candidati da parte sua o di soggetti a lui collegati in assemblea» (e al riguardo rilevo la inopportunità di riproporre a livello normativo una ulteriore ipotesi di collegamento rilevante, ipotesi di sempre incertissima interpretazione; d’altronde è facile osservare che qualsiasi socio, anche in nessun modo collegato, avrebbe comunque il potere in assemblea di proporre candidati “graditi” al socio presentatore della lista… a meno che non si ritenga che costituisca ipotesi di “collegamento” il fatto stesso di proporre nomi da quest’ultimo voluti).

22 Nel caso dell’organo di controllo, infatti, non viene comunque in rilievo la remora degli investitori istituzionali di fare proposte che possano portare, attraverso la nomina della eventuale maggioranza degli amministratori, a svolgere una influenza dominante sulle scelte di vertice relative alla gestione della società (e cioè anzitutto la scelta della maggioranza degli amministratori). Di tale remora si dovrebbe poi approfondire fondamento e ragionevolezza, che potrebbe risiedere anche nei maggiori costi e oneri che la presentazione di una lista (ma allora, ancora una volta, essenzialmente di amministratori) comporta in termini di selezione dei candidati, di condivisione del consenso sui loro nomi, ecc.

Nella pratica dei proxy contest statunitensi gli investitori attivisti hanno fatto negli ultimi anni largo ricorso alle così dette short (or minority) slates e sono state assai più raramente utilizzate le control (or majority) o le full slates.

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non ha molto senso pensare ex ante – almeno di fronte ad assetti proprietari poco concentrati – a liste di maggioranza o di minoranza.

Anche meccanismi di rinnovo parziale dell’organo amministrativo, come quello del c.d. staggered board, dovrebbero essere tenuti maggiormente presenti da quelle realtà societarie legittimamente in cerca di un assetto di controllo più stabile e di un profilo che per semplicità direi più istituzionale e manageriale.

Infine, una maggiore attenzione dovrebbe essere riposta nei requisiti di

professionalità, eventualmente prevedendosi, accanto a quelli di professionalità generica (valevoli per tutti gli amministratori), requisiti di professionalità specifica

per una componente del collegio. In questa prospettiva, al fine di valorizzare le specifiche competenze dei singoli componenti all’interno del consiglio, sarebbe pure possibile pensare alla previsione di un casting vote consiliare da riconoscersi in capo a singoli amministratori (individuati per il loro specifico requisito di professionalità) per specifiche deliberazioni.

6.

In realtà – e concludo – non c’è un unico modello di società quotata; così come

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