3 Voto di lista e amministratori di minoranza in Italia 1 Evoluzione storica e sviluppi recent
3.4 La scelta dello strumento di policy più opportuno
Nell’ipotesi che i lineamenti di fondo del sistema proposto siano ritenuti meritevoli di essere promossi, ci sono più vie, dotate di diversa forza, affinché questo accada, e cioè:
(a) l’emanazione di una normativa inderogabile che preveda: (i) il dovere del CdA di presentare una lista completa di candidati e la facoltà di presentare candidature da parte degli azionisti; (ii) il voto open list da parte dell’assemblea; (iii) una riserva di posti a favore di candidature provenienti dagli azionisti di minoranza;
(b) il ridisegno della normativa in modo tale che il sistema proposto sia la soluzione di default, adottata in assenza di espressa deroga statuaria. Anche in tal caso, verosimilmente, sarebbe necessario prevedere alcuni elementi inderogabili, come ad esempio la riserva di posti alle candidature degli azionisti nonché la non escludibilità, da parte degli statuti societari, della presentazione di candidature da parte del CdA;
(c) la raccomandazione del sistema qui proposto come soluzione di best practice, che le società potrebbero non adottare, peraltro su base comply-or-explain; (d) il mero rinvio all’autonomia statutaria affinché ciascuna società scelga il
modello più adatto alla propria specifica situazione.
L’espressione di una preferenza tra le alternative delineate dipende da un giudizio di valore. Peraltro, in questa sede possono essere messi in luce alcuni aspetti di rilievo ai fini di un eventuale dibattito in materia.
Anzitutto, è verosimile che, anche nelle soluzioni (a) e (b), un eventuale intervento normativo cogente riguarderebbe solo i lineamenti fondamentali del sistema. Molti aspetti dovrebbero comunque essere rinviati alla normativa secondaria (regolamentazione Consob) e/o all’autonomia statutaria. Alla normativa secondaria andrebbero rinviate, almeno, le regole dirette ad evitare interferenze con l’elezione degli amministratori di minoranza da parte di soggetti collegati con l’azionista di maggioranza e/o con il CdA. All’autonomia statutaria potrebbero verosimilmente essere lasciati aspetti come i diritti di voto (N-X) collegati ad ogni azione e l’eventuale introduzione del majority voting, con la connessa individuazione delle previsioni applicabili nel caso di mancanza di maggioranza assoluta da parte dei candidati del CdA in un’elezione uncontested.
Un secondo punto cui merita accennare è che la strada della libertà statutaria presenta pro e contro. Tra i pro va sottolineata la possibilità di adattare il sistema elettorale alle caratteristiche della singola società; da un punto di vista economico, infatti, non è individuabile un sistema elettorale chiaramente preferibile
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
in ogni situazione. Tra i contro va menzionato il fatto che un’illimitata libertà statutaria potrebbe risultare costosa per gli operatori e complessa da gestire quanto alle inevitabili esigenze di regolamentazione e monitoraggio da parte delle autorità di vigilanza, soprattutto se il sistema accoglie tra i suoi obiettivi la tutela degli azionisti di minoranza.
Una completa liberalizzazione delle scelte delle società porterebbe infatti rapidamente a una proliferazione dei possibili modelli di governance, tanto più che le società potrebbero adottare una notevole gamma di altre regole (qui non considerate), che potrebbero complicare notevolmente il quadro. Sulla possibilità di modelli “ibridi”, che mantengano alcuni elementi del sistema oggi in vigore e li combinino con altri di cui si è qui discusso, si tornerà nel paragrafo successivo. Merita comunque porre subito la questione se non sia preferibile restringere la scelta a un numero limitato di standard applicabili – ad esempio il voto open vs. closed list – di cui si possa analizzare la concreta modalità di utilizzo.
Se è concesso a chi scrive di esplicitare un singolo giudizio di valore, suggeriremmo di considerare con particolare attenzione la necessità che sia il CdA a presentare le candidature, per lo meno quando nessun azionista possieda diritti di voto oltre una certa soglia. È infatti esperienza storica che nel nostro paese si è dimostrato infattibile il modello della società per azioni in grado di trovare al suo interno vitalità e capacità di programmazione strategica, senza appoggiarsi da un lato, ed essere condizionata dall’altro, a/da un azionista di riferimento che si riserva una serie di decisioni strategiche e le elabora al di fuori degli organi sociali. Invece il modello in cui il CdA è l’apice effettivo delle scelte gestionali prevale tra le società di maggiore dimensione, sia in paesi in cui la public company è statisticamente prevalente – come Stati Uniti, Regno Unito e in larga parte Giappone – sia nei paesi europei continentali – in cui molte società sono controllate da azionisti forti. In entrambi i sistemi, inoltre, le public companies di maggiore dimensione sono gli elementi trainanti del sistema-paese per capacità di innovazione tecnologica e proiezione internazionale. Se si pone mente ai punti deboli del nostro – pur ricco di altri punti di forza – sistema di imprese, riteniamo che questo punto vada attentamente considerato.
3.4.1. La fattibilità di regimi “ibridi”
Un ultimo punto meritevole di riflessione è la possibilità di adottare sistemi elettorali “ibridi”, che uniscano elementi dei due modelli fin qui contrapposti (nomination da parte del CdA e voto open list vs. iniziativa degli azionisti e voto
closed list).
Anzitutto, si può considerare un modello che preveda voto closed list e candidature formulate dal CdA. Tale modello rafforzerebbe la posizione del CdA nei confronti degli azionisti (salvo che dove esiste un azionista di controllo). Il meccanismo closed list costringe gli azionisti a un’alternativa “prendere o lasciare” e comprime eccessivamente il loro diritto di esprimersi sulla gestione societaria. Inoltre, il modello pare incompatibile con il majority voting, salvo che dove sia prodotta solo
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
la lista del CdA. Solo in questa fattispecie, infatti, il mancato raggiungimento della maggioranza può essere considerato un voto “di sfiducia”; negli altri casi, tale esito potrebbe essere frutto del frazionamento dei voti su più liste, pur in assenza di intenti polemici nei confronti dell’attuale gestione.
Più interessante è un modello che preveda il voto open list senza obbligare il CdA a presentare candidature. Il voto open list indurrebbe i proponenti a valutare approfonditamente il profilo dei candidati (e/o il rischio di conflitti d’interesse), per evitare manifestazioni di dissenso evidenti o la bocciatura di candidati ritenuti “impresentabili”.48 Il sistema pare, inoltre, compatibile con il majority voting, a patto di segmentare la votazione sui candidati che si presentano per i due scaglioni (“non riservato” vs. “riservato” agli azionisti di minoranza).
Tale sistema porterebbe, peraltro, a un minore affrancamento del CdA dall’influenza di azionisti “di riferimento” ma non di controllo. Sarebbe quindi importante, per limitarne il potere, accogliere il majority voting. Nel caso in cui i candidati dell’azionista “di riferimento” non ottenessero la maggioranza, potrebbe rientrare in gioco il potere discrezionale del CdA se, come appare probabile alla luce dell’esperienza americana, esso assumerebbe un ruolo importante dopo un voto “di sfiducia” degli azionisti.
4 Conclusioni
In questo scritto si sono svolte considerazioni su alcune evoluzioni che paiono auspicabili per il modello di governo societario delle società quotate italiane. In sintesi, le proposte formulate prevedono: a) l’eliminazione dalla legge dei requisiti di indipendenza a valutazione “discrezionale” e il ritorno a un sistema in cui l’indipendenza è rimessa all’autodisciplina, cui possono eventualmente essere collegate conseguenze legali o regolamentari, sulla falsariga del Regolamento OPC; b) il trapianto nel sistema italiano di elementi dei regimi di elezione degli amministratori prevalenti in alcuni paesi finanziariamente evoluti; si allude, in particolare, all’attribuzione al CdA (e al comitato nomine) di un ruolo attivo nella formulazione delle candidature, al voto su singoli candidati anziché per liste chiuse e, eventualmente, al voto a maggioranza. Si è argomentato che tali proposte, oltre ad essere desiderabili per ragioni discusse a lungo nei paragrafi precedenti, non presentano problemi insormontabili di compatibilità – salvo, parzialmente, il voto a maggioranza – con i punti-cardine dell’ordinamento italiano.
Certamente, le considerazioni qui svolte non rappresentano una riflessione completa sulle tematiche sollevate, le cui ramificate implicazioni meritano un più approfondito esame. Si pensi solo alla rilevanza di un particolare solo apparentemente secondario del processo di elezione degli amministratori, e cioè il
timing con cui le candidature devono essere rese note agli azionisti. Un ordinato
sistema, che permetta agli azionisti da un lato la possibilità di contestare le scelte del
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
CdA, e dall’altro di tenere conto dalla presentazione di candidature alternative, dovrebbe probabilmente prevedere un primo termine di presentazione della lista del CdA, un successivo termine per le eventuali presentazioni di candidature da parte degli azionisti, e un ultimo termine entro cui gli azionisti potrebbero eventualmente ritirare le candidature presentate.
A noi pare che le considerazioni, pur perfettibili, svolte nei precedenti paragrafi possano costituire un’utile base di riflessione per studiosi, operatori e
policy-makers, specialmente in un momento in cui sono riscontrabili, da un lato, una
ripresa del fenomeno delle IPOs e, possibilmente, del processo di privatizzazione delle imprese a proprietà pubblica (l’offerta di regole di governance appetibili per gli investitori internazionali è, anzitutto, nell’interesse del soggetto che, attraverso la vendita delle azioni, intende raccogliere nuovi capitali o smobilizzare parte del proprio investimento); dall’altro, una notevole effervescenza dell’attività legislativa, con particolare attenzione per innovazioni che impattano gli equilibri di governance (basti accennare alla possibilità di attribuire diritti di voto maggiorati agli azionisti che detengano i titoli per un periodo almeno biennale; alla reintroduzione delle azioni a voto multiplo, ostracizzate per quasi 40 anni; alla possibilità di introdurre cap ai diritti di voto oltre una determinata soglia di possesso azionario; alla possibilità di modificare in misura significativa la “soglia OPA”). Ci sarà tempo di riprendere e approfondire tali temi se, come speriamo, le nostre proposte troveranno attenzione nel dibattito.
Figura 1 – Numero medio e qualifica degli amministratori per segmento e settore di appartenenza
Fonte: Assonime-Emittenti Titoli (2013).
2.7 3 2.6 2.7 3.7 2.6 3.2 3.7 3.9 2.6 5.3 3 4 5.5 5.4 3.1 5.8 3.8 0 2 4 6 8 10 12 14 16 indipendenti non esecutivi esecutivi
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
Figura 2 – Numero totale di amministratori indipendenti "da Codice" a rischio, a causa di diversi fattori (2010-2013)
Fonte: Assonime-Emittenti Titoli (2013).
Figura 3 – Compensi degli amministratori indipendenti secondo la durata in carica (migliaia di euro)
composizione dei compensi totali (non equity-based) percepiti dagli amministratori indipendenti con distinzione tra banche e società non finanziarie
Fonte: Assonime-Emittenti Titoli (2013).
13 18 21 15 4 3 5 3 0 20 40 60 80 100 120 140 160 2010 2011 2012 2013 presidenti CdA finanziarie non finanziarie 71 91 89 108 44 48 47 38 0 20 40 60 80 100 120 140 160 2010 2011 2012 2013
in carica da più di 9 anni
26 42 29 38 19 22 11 5 0 20 40 60 80 100 120 140 160 2010 2011 2012 2013 retribuzione elevata 0 40 80 120 160 200 indipendenti in carica da < 9 anni indipendenti in carica da > 9 anni banche altri compensi compensi da controllate compensi per comitati compensi fissi 0 40 80 120 160 200 indipendenti in carica da < 9 anni indipendenti in carica da > 9 anni società non finanziarie
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
Figura 4 – Società dove sono state presentate liste di minoranza, per segmento, settore e anni (dati %) Con distinzione tra liste presentate da investitori istituzionali sotto l’egida di Assogestioni e altre liste
Fonte: Ns. Elaborazioni su verbali assembleari.
Figura 5 – Capitale detenuto da chi ha presentato le liste e voti ottenuti, per anni (dati %) Con distinzione tra liste di maggioranza e di minoranza (distinte poi tra liste Assogestioni e altre)
Fonte: Ns. Elaborazioni su verbali assembleari. 0 10 20 30 40 50 60 70 presentazione liste (2008-2010) altre Assogestioni 0 10 20 30 40 50 60 70 80 presentazione liste (2011-2013) 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%
maggioranza minoranza Assogestioni altri ante recepimento Shareholder Rights (2008-2010)
capitale voti ottenuti 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%
maggioranza minoranza Assogestioni altri post recepimento Shareholder Rights (2011-2013)
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Amministrazione e controllo nelle società quotate
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