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La desiderabilità di una correzione di rotta

3 Voto di lista e amministratori di minoranza in Italia 1 Evoluzione storica e sviluppi recent

3.3 La desiderabilità di una correzione di rotta

I regimi dei paesi esaminati presentano alcune caratteristiche desiderabili: a) il coinvolgimento del CdA nel processo di definizione delle candidature. Esso consente a chi è direttamente coinvolto nella gestione di formulare proposte sui soggetti più indicati per gestire l’azienda.

D’altronde ciò è coerente con le raccomandazioni di best practice che prevedono, anche in Italia, l’istituzione in seno al CdA di un Comitato per le proposte di nomina (ancorché dalle funzioni limitate) e lo svolgimento di un’autovalutazione del board che dovrebbe trovare sbocco finale nella formulazione di “orientamenti sulle figure professionali la cui presenza in consiglio sia ritenuta opportuna” (criteri

26 Si osservano statuti in cui si rinvia alle regole ordinarie di deliberazione dell’assemblea degli azionisti, ed in questo caso si rende necessaria la maggioranza assoluta dei soci presenti, con i problemi che questo comporta (cui si è già accennato in precedenza); in altri statuti si precisa invece che l’assemblea, in questo ruolo integrativo, delibera a maggioranza relativa, il che rende ovviamente più agevole il completamento del Consiglio di Amministrazione. Le considerazioni che verranno svolte nel seguito individuano altre possibili soluzioni al rischio di stallo; ulteriori diverse proposte sono delineate da ENRIQUES (2014).

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1.C.1. lett. g) e h) e principio 5.P.1. Codice di Autodisciplina). Merita anzi segnalare che Banca d’Italia, nelle recenti Disposizioni di vigilanza per le banche (Circolare 285 del 17/12/2013, 1° aggiornamento del 6 maggio 2014), prevede un ruolo attivo del CdA (e del comitato nomine, dove costituito) nell’identificazione delle candidature. Tanto da imporre, addirittura, ai soci che intendano “svolgere proprie valutazioni sulla composizione ottimale degli organi e (…) presentare candidature coerenti con queste” l’obbligo di motivare “eventuali differenze rispetto alle analisi svolte dal consiglio”, nonché quello di trasmettere i risultati delle analisi svolte e gli eventuali pareri del comitato nomine.27 Tra l’altro, il coinvolgimento del CdA nel processo consente di affidare la formulazione delle candidature a soggetti professionalmente qualificati e tenuti (al contrario dei soci) ad obblighi di diligenza.28 Mentre il rischio che il CdA si

svincoli dal controllo dei soci (come nel sistema americano) pare limitato e controllabile attraverso opportuni accorgimenti nel processo di votazione (vedi infra). b) La votazione su singoli candidati (open list). Lo spacchettamento delle liste aumenta i gradi di libertà a disposizione degli azionisti, consentendo di esprimere il loro (eventuale scarso) gradimento nei confronti di ciascun singolo candidato. Tale meccanismo permetterebbe agli azionisti di esercitare una maggiore pressione sulla qualità delle candidature.

Il voto closed list è coerente con l’esistenza (e favorisce il mantenimento) di diversi “partiti” tra gli azionisti, con la conseguenza che sussiste un condizionamento ambientale, ampiamente diffuso, a che gli amministratori tengano presenti le aspettative e gli interessi del “partito” che li ha eletti. Siccome le liste sono presentate esclusivamente dagli azionisti, nel sistema maggioritario si generano un “partito dell’azionista di maggioranza” e un “partito degli azionisti di minoranza”; nel sistema proporzionale, si formano più “partiti” facenti capo ai diversi soggetti che riescono ad avere rappresentanza. All’appartenenza degli amministratori, nei fatti, a uno di questi “partiti” si sovrappone la tematica che alcuni di essi devono essere

27 Merita riportare per esteso le Linee Applicative 2.1. lett. c) e d) ivi contenute: “Ai fini delle nomine o della cooptazione dei consiglieri, il consiglio (…) identifica preventivamente la propria composizione quali-quantitativa considerata ottimale (…), individuando e motivando il profilo teorico (ivi comprese caratteristiche di professionalità e di eventuale indipendenza) dei candidati ritenuto opportuno (…) Le attività svolte dal consiglio (…) devono essere il frutto di un esame approfondito e formalizzato: nelle banche di maggiori dimensioni o complessità operativa esse sono svolte con il contributo fattivo del comitato nomine (…) Il comitato nomine (…) è chiamato ad esprimere il proprio parere sull’idoneità dei candidati che, in base all’analisi svolta in via preventiva, il consiglio abbia identificato per ricoprire le cariche. Se la nomina deve essere effettuata dall’assemblea, i risultati delle analisi (…) devono essere portati a conoscenza dei soci in tempo utile affinché la scelta dei candidati da presentare possa tenere conto delle professionalità richieste; agli stessi fini, è opportuno che la proposta di candidati avanzata dai soci o dal consiglio venga corredata di un curriculum volto a identificare per quale profilo teorico ciascuno di essi risulta adeguato e dell’eventuale parere del comitato nomine (…) Resta ovviamente salva la possibilità per gli azionisti di svolgere proprie valutazioni sulla composizione ottimale degli organi e di presentare candidature coerenti con queste, motivando eventuali differenze rispetto alle analisi svolte dal consiglio. I risultati delle analisi svolte, e gli eventuali pareri del comitato nomine, sono trasmessi alla Banca d’Italia” (enfasi aggiunte). Merita anche sottolineare che l’intervento di Banca d’Italia è tanto più sorprendente in quanto la nuova disposizione è dettata nell’ambito dell’aggiornamento della regolamentazione nazionale alla CRD IV. Tuttavia la direttiva europea prevedeva (all’art.88) la disapplicazione tout court delle norme in materia dove l’organo amministrativo non ha competenze dettate dalla legge in materia di nomina dei nuovi amministratori (“Where, under national law, the management body does not have any competence in the process of selection and appointment of any of its members, this paragraph shall not apply”).

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“indipendenti”, con esiti non sempre felici per la concreta possibilità, in tale contesto, di esserlo effettivamente.

Il voto open list, al contrario, allenta il legame tra l’amministratore e chi ha presentato la sua candidatura. Se la lista è proposta dal CdA, il consigliere non è eletto da chi lo propone; ma, anche se fosse presentato da azionisti, il consigliere potrebbe essere eletto con il concorso (talvolta determinante) di diversi gruppi di soci. Ad esempio, gli azionisti potrebbero, in opposizione ai candidati del CdA, far convergere i propri voti su candidati presentati disgiuntamente da diversi tra loro, più facilmente che non con il voto closed list.

Vi sono poi altre differenze evidenti rispetto all’esito atteso del voto. Nel caso del modello “maggioritario”, basta pensare al caso ipotetico in cui fossero presenti tre liste, la prima sostenuta dal 34% degli azionisti, le restanti due dal 33% ciascuna, fossero da eleggere 10 amministratori, e ogni lista proponesse 10 candidati. Ipotizzando che lo statuto preveda che alla lista di maggioranza relativa siano assegnati i quattro quinti dei posti a disposizione, la prima lista otterrebbe 8 posti su 10, e le restanti 1 posto ciascuna. Tale esito potrebbe essere completamente ribaltato in un voto open list, in quanto i due gruppi di azionisti con il 33% potrebbero eleggere, con relativa facilità, 5 candidati presentati da ciascun gruppo senza stringere preventivamente accordi formali (verosimilmente inevitabili nel sistema

closed list, dove spodestare l’azionista col 34% richiederebbe la presentazione di una

lista comune).

c) Il principio maggioritario. Richiedere che l’elezione dei singoli amministratori debba avvenire a maggioranza assoluta (non solo relativa) o comunque imporre un quorum per la sua validità assicura che gli amministratori godano di ampio consenso. Chiaramente, si pone il problema del rischio di stallo: si tornerà diffusamente sul punto più avanti.

A noi pare che valga la pena considerare la possibilità di favorire anche nel nostro paese, o eventualmente provocare per via normativa, una convergenza verso almeno due dei tratti comuni dei regimi dei paesi precedentemente considerati:

 la presentazione delle candidature ad amministratore da parte del CdA;

 il voto open list (per singolo candidato, anziché per liste chiuse) da parte dell’assemblea.

Più problematica, ma comunque non priva di aspetti positivi, è la possibilità di adottare un meccanismo di voto a maggioranza (o l’istituzione di quorum minimi).

Tali elementi appaiono desiderabili anche perché – in un mondo di mercati finanziari globalizzati – offrire agli investitori esteri (soprattutto agli istituzionali) un sistema di regole simile a quello con cui essi sono già familiari è comunque utile: la standardizzazione può cioè servire da strumento di marketing dei titoli delle società quotate (e quotande). È però necessario valutare eventuali limiti e problemi a ciò connessi.

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3.3.1. Lista del CdA e struttura dell’azionariato

Anzitutto è bene esaminare gli effetti dell’attribuzione al CdA del dovere di presentare una lista (completa) di candidati in presenza di diverse strutture proprietarie e domandarsi se essa non rischi di dare troppo potere al CdA. Dove esiste un azionista di maggioranza, il suo peso decisionale non ne risulterebbe compromesso – come è d’altronde desiderabile che sia. Un CdA che non tenesse conto delle aspettative dell’azionista di maggioranza potrebbe essere disciplinato semplicemente tramite la presentazione di una lista alternativa, destinata a successo certo. Nelle società ad azionariato frazionato, invece, gli assetti di potere potrebbero cambiare sensibilmente, soprattutto se il dovere del CdA di presentare una lista completa fosse stabilito da una norma di portata generale, anziché essere demandato agli statuti societari.

Le società senza un vero azionista di maggioranza possono essere ricondotte a due diversi casi. In un primo caso (la public company vera e propria) il CdA si confronta con un oceano di azionisti atomistici, con scarsa possibilità di coordinamento, a causa dei costi di transazione connessi. In tale situazione, attribuire al CdA un potere di formulare candidature è quasi inevitabile per superare i problemi di free riding evidenziati in letteratura29, che rischierebbero di portare a rilevanti

impasse del processo decisionale. Il potere del CdA in questo caso nasce a causa della

struttura proprietaria stessa. D’altra parte, il sistema di regole qui delineato (open list ed eventualmente majority voting) aumenterebbe la contendibilità del board rispetto all’attuale regime (closed list e senza quorum minimo).

Il secondo caso è quello della “quasi-public company”, in cui mancano azionisti di controllo ma è comunque presente un azionista (o un gruppo di soci) “di riferimento”, che può risultare pivotale per le decisioni, pur rappresentando una minoranza del capitale in assemblea. Tale soggetto ha un vantaggio di posizione difficilmente scalfibile, che espone la società a significativi rischi di conflitto d’interesse, tanto più gravi quanto più bassa è la quota di capitale detenuta. Oggi, un’autonoma decisione del CdA di presentare una propria lista in competizione con quella di tale azionista, ove previsto dallo statuto, costituirebbe l’inizio di una contesa esplicita per il controllo non priva di costi e dall’esito non scontato.

Nella “quasi-public company”, obbligare il CdA a formulare una sua lista limiterebbe il potere dell’“azionista pivotale di asservire la società a scopi diversi dalla creazione di valore. Quest’ultimo potrebbe proporre proprie candidature, ma non disporrebbe di un’influenza paragonabile a quella che avrebbe se fosse azionista di maggioranza. Se infatti proponesse una lista alternativa, non disponendo della maggioranza in assemblea, sarebbe lui a sfidare il CdA con esito incerto, e non il contrario.

Pare d’altronde difficile pensare che l’obbligo del CdA di formulare proprie candidature lo svincoli dagli azionisti, particolarmente con un voto open list su ogni

29 Non a caso, nell’unica italiana oggi riconducibile a tale modello (Prysmian), il CdA già dispone – per disposizione statutaria – del potere di formulare candidature.

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singolo candidato, e ancor più intensamente con majority voting. A maggior ragione ciò vale se esistono azionisti forti, in grado di esercitare un controllo sulle sue proposte. In un certo senso, l’attribuzione di un ruolo più attivo al board incentiverebbe l’azionista “di riferimento” a convertirsi dal ruolo di patron, che spesso oggi ricopre pur detenendo una minoranza di azioni, a quello di monitor del management nell’interesse della generalità degli investitori.

Non è questa la sede per valutare approfonditamente se gli elementi dei sistemi esteri sopra evidenziati (obbligo del CdA di presentare una lista completa di candidati, voto open list e approvazione a maggioranza) siano già oggi importabili nelle società quotate italiane o se, come a noi appare verosimile, richiedano modifiche sostanziali della normativa oggi vigente. A noi pare che la correzione di rotta sopra delineata sia possibile, in generale, senza grosso sforzo. Peraltro, la loro compatibilità con alcuni punti del sistema italiano deve essere attentamente vagliata.

3.3.2. La compatibilità con il sistema proporzionale e con quello maggioritario

Come già osservato, il voto closed list ha dato luogo nelle società italiane a due modelli distinti, etichettabili rispettivamente come “maggioritario” (di gran lunga prevalente) e “proporzionale”.

I sistemi esteri in esame sono fondati su presupposti scarsamente compati- bili con il sistema proporzionale. Il loro obiettivo è garantire che gli amministratori siano eletti con il consenso più ampio possibile (al limite, della maggioranza degli azionisti). Viene depotenziato il ruolo dei singoli azionisti nella proposta delle candidature (normalmente rimessa al CdA) e il legame tra chi candida e chi è eletto è ulteriormente affievolito per effetto della votazione – a maggioranza – sui singoli.

Il sistema proporzionale, al contrario, mira a garantire una rappresentanza nel board a ciascun azionista che detenga una quota sufficiente. Il legame tra amministratori e soci che li hanno presentati ne risulta rafforzato. Questa distinzione “filosofica”, più ancora delle tecnicalità comunque presenti, rende poco compatibile il sistema alternativo con il meccanismo proporzionale.

Il sistema sarebbe invece compatibile con il modello maggioritario. La presentazione di una lista da parte del CdA uscente è già oggi praticata da alcune società; il passaggio al voto open list sarebbe tecnicamente facile (anche se potrebbe richiedere interventi normativi o regolamentari); l’adozione di quorum per l’elezione non causerebbe problemi insormontabili, se non quelli relativi al rischio di stallo (su cui si dirà meglio più avanti).

3.3.3. La compatibilità con la rappresentanza delle minoranze

Il modello alternativo (open list, con proposta di default da parte del CdA e possibilmente maggioritario) può facilmente incorporare molte delle garanzie previste nel sistema italiano oggi vigente: ad esempio, oltre a prevedere la possibilità per gli

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azionisti di presentare candidature alternative a quelle formulate dal CdA può prevedere una riserva di posti per consiglieri candidati dagli azionisti, eventualmente anche dagli azionisti di minoranza (ad esempio, prevedendo che una parte delle candidature proposte dal CdA siano “di backup” e decadano prima dell’assemblea laddove gli azionisti ne presentino di proprie); può perfino prevedere che la riserva sia a favore di candidati espressi da liste non “collegate” alla lista di maggioranza (o a chi l’ha presentata o votata).30

Esiste però un altro punto originale del sistema italiano (Belcredi-Bozzi-Di Noia 2013) con cui il modello alternativo può entrare in conflitto: la previsione di una rappresentanza in CdA per gli azionisti di minoranza. Il punto fondamentale è che, in assenza di vincoli che impediscano tale risultato, se il voto è open list, un azionista che detenga la maggioranza delle azioni in assemblea potrà votare ed eleggere, uno per uno, tutti i consiglieri (eventualmente presentati dal board uscente su sua segnalazione).

Da un certo punto di vista, ciò potrebbe essere giudicato non del tutto incoerente con le premesse filosofiche del sistema: si avrebbero candidati ammi- nistratori proposti dal board e votati (tutti) a maggioranza. Tuttavia, non si può negare che la presenza di rappresentanti delle minoranze sia un aspetto importante del sistema italiano attuale, che inizia – almeno nelle società maggiori – ad essere sfruttato dagli investitori istituzionali e può svolgere un ruolo di rilievo in un paese dove la tutela degli investitori è, nei fatti, generalmente considerata bassa (a causa meno della qualità della normativa che del suo scarso enforcement) e, di conseguenza, lo sfruttamento dei benefici privati da parte degli azionisti di controllo è considerato elevato, su base comparativa. D’altronde, recenti studi empirici paiono testimoniare dell’efficacia degli amministratori di minoranza come strumento di controllo dell’estrazione di benefici privati.31 La rappresentanza delle minoranze è quindi un aspetto che difficilmente può essere abbandonato a cuor leggero.

Bisogna pertanto valutare se e in che misura il modello alternativo sia compatibile con la possibilità di eleggere amministratori di minoranza. Come si vedrà, non si presentano problemi di compatibilità particolari con la presentazione di liste da parte del CdA, esistono limitati problemi, superabili con alcuni accorgimenti tecnici, rispetto al voto open list, mentre si presentano problemi considerevoli riguardo all’adozione del principio maggioritario. A tale proposito si manifestano veri e propri trade-off che paiono risolubili solo in base a giudizi di valore.

30 Illuminante in proposito l’esempio dell’elezione 2011 del collegio sindacale delle Assicurazioni Generali, in cui la mera richiesta di informazioni sull’eventuale presenza di collegamenti tra Mediobanca (azionista di maggioranza relativa delle Generali, con il 14,05% del capitale) e Edizione Holding (azionista di Generali con l’1% del capitale, e socio pattista di Mediobanca) ha portato al ritiro prima dell’assemblea della lista presentata da Edizione Holding; la lista poi risultata di maggioranza era stata proposta dal CdA di Generali (BELCREDI-ENRIQUES 2014).

31 Cfr. BIANCHI-CIAVARELLA-ENRIQUES-NOVEMBRE-SIGNORETTI (2014), in materia di approvazione delle procedure per le Operazioni con Parti Correlate. Più articolato il giudizio in materia di Say-On-Pay: cfr. BELCREDI-BOZZI-CIAVARELLA- NOVEMBRE (2014).

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3.3.3.1. Un (semplice) modello formalizzato

Il tema della compatibilità tra voto open list e rappresentanza delle minoranze può diventare tecnicamente assai complesso. Per dare concretezza all’analisi (e tenere la discussione in termini semplici) è opportuno fare riferimento a un modello semplice ma formalizzato:

- Regola 1 (lista del CdA): il CdA è tenuto a presentare un numero di candidature pari al numero N di amministratori da eleggere. Un numero pari o inferiore a X (X < N/2) di tali candidati, preventivamente indicato, decade prima della votazione se sono presentate candidature dagli azionisti ai sensi della Regola 2. Il numero di candidati che decadono è funzione del numero di candidati presentati dagli azionisti (se quest’ultimo è pari o superiore a X decadono tutti gli X candidati del CdA; se è invece inferiore a X, decade un numero di candidati del CdA pari a quello dei candidati degli azionisti).32

- Regola 2 (presentazione delle candidature): ciascun azionista (o gruppo di azionisti) che detenga una determinata quota minima Y del capitale sociale con diritto di voto può presentare candidati in numero pari o inferiore al numero N di amministratori da eleggere.

- Regola 3 (voto open list): l’assemblea degli azionisti vota separatamente sui singoli candidati presentati secondo le Regole 1 e 2; ciascun azionista dispone di N voti, che può indirizzare su N candidati tra quelli presentati; l’azionista può attribuire uno e un solo voto per azione a ogni candidato: non può quindi cumulare i voti su un candidato,33 né dirigerli su più di N candidati (frazionando i diritti di voto delle sue azioni).

- Regola 4 (ordine di elezione): sono eletti, nell’ordine, i candidati che ottengono il maggior numero di voti a favore, fino al riempimento dei posti disponibili, salvo quanto disposto alla Regola 5.34

- Regola 5 (riserva alle minoranze): un numero X di posti nel board è riservato a candidati presentati da azionisti. Se la maggioranza dei posti è già ottenuta da candidati presentati da un singolo azionista (o da un gruppo di azionisti legati da patto di sindacato o che comunque agiscono di concerto), gli ultimi X posti sono riservati a candidati presentati da altri azionisti non “collegati” ad esso. In ogni caso, se un azionista (o un gruppo di azionisti operanti di concerto) detiene diritti di voto superiori alla soglia dello Z%,35 le candidature da questi presentate non concorrono,

32 Facendo riferimento al modello di board di molte società privatizzate (9 consiglieri, di cui 3 di minoranza), il CdA presenterebbe una lista di 6 candidati + 3 di backup, destinati a decadere se gli azionisti presentano loro candidature.

33 Quest’ultima previsione impedirebbe un regime di cumulative voting. Il cumulative voting è un sistema sovente adottato – soprattutto in passato – da molte società americane, ma ora in chiaro declino. Ascesa e declino del cumulative voting sono descritti in Gordon (1994).

34 Non si prevede, per il momento, la richiesta che i singoli candidati ottengano la maggioranza dei voti espressi. Sul punto si tornerà più avanti.

35 Ad esempio il 30%, valore che nel nostro ordinamento (in base alla normativa OPA vigente al momento in cui si scrive) è già implicitamente considerato come una probabile soglia di controllo di fatto.

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in presenza di candidature di altri azionisti, all’assegnazione del numero X di posti

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