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La crisi finanziaria e la cattiva gestione dei rischi da parte dell’organo amministrativo delle società quotate

Nelle principali economie occidentali ai consigli di amministrazione delle società quotate1, in particolare delle banche e delle imprese di investimento protagoniste della crisi finanziaria, viene imputata l’assunzione di rischi eccessivi – favorita anche dalla creazione di particolari sistemi di remunerazione – e, soprattutto, la loro cattiva gestione.

Nella letteratura americana ROBERT MILLER ha denunciato i “significativi

cedimenti registrati dai sistemi di gestione dei rischi di tali imprese”2, alcune delle quali addirittura prive di tali sistemi. Più recentemente, nel suo approfondito studio sulla corporate governance dopo la crisi, STEPHEN BAINBRIDGE ha parlato di “enormi

responsabilità”3 dell’organo amministrativo.

Ma tra le più efficaci descrizioni di quanto sia avvenuto nei consigli di amministrazione di alcune grandi istituzioni finanziarie vi è quella di RENEE JONES e MICHELLE WELSH4, i quali scrivono: “Indagini pubbliche relative al cedimento di Bear Stearns, Lehman Brothers, e Citigroup diffusamente dipingono gli amministratori all’oscuro della portata dei rischi che le loro imprese avevano assunto. Essi sono rimasti ciechi rispetto a significativi discostamenti dalle linee guida approvate in materia di riskmanagement”.

Anche nella letteratura italiana si è preso atto che il cedimento dei sistemi di gestione dei rischi sia stata “una delle principali cause dell’instabilità delle banche e

degli altri intermediari finanziari”5.

(*) Università degli Studi di Napoli Federico II.

1 Alle quali sono dedicate le riflessioni che seguono, acquisendo il problema della gestione del rischio, come si vedrà, una configurazione del tutto diversa nelle società non quotate.

2 Così R. T. MILLER, Oversight liability for risk-management failures at financial firms, in Southern California Law Rev., 2010, v. 84, p. 47.

3 Corporate governance after the financial crisis, New York, 2012, p. 67.

4 Toward a public enforcement model for directors’ duty of oversight, in Vanderbilt Journal of Transnational Law, 2012, v. 45, p. 346.

5 G. FERRARINI, Funzione del consiglio di amministrazione, ruolo degli indipendenti e doveri fiduciari, in I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di M. BIANCHINI, C. DI NOIA, Milano, 2010, p. 51. Per una disamina

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Amministrazione e controllo nelle società quotate

La relazione DE LAROSIÈRE, scritta su incarico della Commissione Europea, ha constatato che “spesso i consigli di amministrazione non hanno compreso né la natura

né l'entità dei rischi che dovevano affrontare […]; l'assenza di reali meccanismi di controllo ha pesantemente contribuito all'eccessiva assunzione di rischi da parte degli istituti finanziari"6.

Nel Libro Verde del 2010 della Commissione Europea si legge che “i consigli

di amministrazione degli istituti finanziari non sono stati in grado di esercitare un controllo effettivo sulla direzione. L'incapacità di individuare, comprendere e controllare i rischi a cui erano esposti i loro istituti finanziari è stata al centro dell'origine della crisi finanziaria”7.

Se nel contesto europeo i due appena citati sono tra i documenti pubblici che hanno meglio messo in luce le dinamiche della crisi e l’analisi delle sue ragioni, sul fronte del mercato finanziario americano il Rapporto della FINANCIAL CRISIS INQUIRY COMMISSION del 20118 è il documento omologo, benché le sue 662 pagine lo rendano assolutamente unico. La Commissione - nominata dall’Amministrazione Obama ai sensi dell’art. 5 del FRAUD ENFORCEMENT AND RECOVERY ACT - può paragonarsi alla celebre PECORA COMMISSION che, negli anni trenta del secolo scorso, investigò sulla Grande Crisi del ‘29.

Nella premessa la Commissione dichiara che le “drammatiche disfunzioni del

governo societario e della gestione dei rischi” sono state una causa determinante della

crisi. Nelle sue conclusioni è interessante prendere atto del numero di volte in cui la Commissione denuncia le disfunzioni in materia di gestione dei rischi. Ne cito solo alcune:

 CONCLUSIONI AL CAPITOLO 14, “La Commissione ha ritenuto che talune grandi

banche di investimento, holding finanziarie, compagnie assicurative, incluse

accurata della “scienza del risk management”, del c.d. “risk reporting” e degli approcci al riguardo adottati nei principali ordinamenti, cfr. S. FORTUNATO, Il controllo dei rischi: informativa del mercato e revisione contabile, in Riv. soc., 2009, p. 1100 e ss.

6 “Questa constatazione di carattere generale è tanto più inquietante in quanto il governo societario, negli ultimi dieci anni, è assurto a simbolo di numerose virtù, per la sua funzione regolatrice della vita delle imprese. Pertanto, o il regime di governo societario adottato dagli istituti finanziari non era adeguato, oppure non è stato correttamente applicato. Spetta quindi al consiglio di amministrazione - - sotto il controllo degli azionisti, dare il la e definire la strategia, il profilo di rischio e la propensione al rischio dell'istituto che esso dirige”.

7 La Commissione UE ha individuato le principali ragioni che avrebbero contribuito alla cattivo funzionamento dei CdA, i cui componenti:

“1) soprattutto gli amministratori senza incarichi esecutivi, non hanno dedicato allo svolgimento dei propri compiti né le risorse né il tempo necessari” (punti che, come vedremo tra poco, riecheggiano considerazioni critiche che nell’ordinamento americano si formulavano 40 anni fa);

2) non provenivano da ambienti sufficientemente diversificati. La Commissione, come molte autorità nazionali, constata una carenza di diversità ed eterogeneità in termini di equilibrio uomo-donna, di origine sociale e culturale e di istruzione; - i consigli di amministrazione, in particolare i loro presidenti, non hanno effettuato una seria valutazione né delle prestazioni dei propri membri, né di quelle del consiglio di amministrazione nel suo insieme; 3) non hanno saputo, o voluto, vigilare sull'adeguatezza del quadro di gestione dei rischi e dell'appetito di rischio dei propri istituti finanziari; - i consigli di amministrazione non hanno saputo riconoscere il carattere sistemico di alcuni rischi e di conseguenza non sono stati capaci di informare opportunamente, a monte, le proprie autorità di vigilanza. D'altro canto, anche nei casi in cui si osservava un effettivo dialogo, raramente le questioni legate al governo societario comparivano all'ordine del giorno”, p. 6-7.

55 Vigilanza, gestione dei rischi e responsabilità degli amministratori

Amministrazione e controllo nelle società quotate

Merrill Lynch, Citigroup, and AIG, abbiano sperimentato perdite massicce legate al mercato dei mutui subprime a causa di significative disfunzioni della loro corp. gov., inclusa la gestione del rischio”.

 CONCLUSIONI AL CAPITOLO 18, “Il crollo della Lehman è in parte stato

determinato da significativi problemi della sua corp. governance, incluso il risk management, aggravato dalle tecniche di remunerazione dei managers fondate prevalentemente sui profitti di breve periodo”.

 CONCLUSIONI AL CAPITOLO 19, “A proposito di AIG la Commissione ritiene che la

società andò in dissesto anzitutto perché le sue rilevanti vendite di CDS erano state fatte senza la costituzione iniziale di garanzia, senza la costituzione di apposite riserve o di altre tecniche di protezione dell’esposizione: un profondo cedimento del governo societario, particolarmente del risk management”.

Insomma, alla luce del rapporto di questa Commissione emerge, in tutta evidenza e gravità, che le disfunzioni del governo societario, legate all’errata valutazione dei rischi, portino sulle loro spalle buona parte della responsabilità della crisi finanziaria.

Trattasi di pesanti e concordi valutazioni critiche che mettono in risalto il ruolo esiziale che la gestione non efficiente dei rischi ha assunto nella crisi. Rischi9

legati alla scarsa comprensione della complessità dei nuovi strumenti finanziari – segnatamente di quelli poi rivelatisi tossici10 - e dei sofisticati modelli matematici che ne erano a base, imputabili ad un vero e proprio deficit conoscitivo delle conseguenze derivanti dalla diffusione di tali strumenti, accompagnato da un’ecces- siva fiducia nella razionalità delle scelte umane.

Gli scandali del 2001/2002 e la crisi finanziaria del 2008 hanno reso evidente che gli amministratori hanno omesso il loro fondamentale obbligo di vigilanza con riguardo ad una componente relativamente nuova, ma decisiva, della gestione dell’impresa, costituita appunto dalla gestione dei rischi11. Nuova nel senso che solo recentemente di essa si è andata acquisendo piena consapevolezza, pur essendo il profilo storicamente connaturato all’esercizio dell’impresa12 e la sua best

practice in piena evoluzione13. Nessun modello è ad oggi emerso come dominante.

9 Cfr. F. VELLA, Rischio questo sconosciuto, in AGE, 2009, p. 161.

10 Tra molti, cfr. M. RESCIGNO, Il prodotto è tossico: tenere lontano dalla portata dei bambini, in AGE, 2009, p. 145. 11 S. BAINBRIDGE, Corporate governance after the financial crisis, cit., p. 167.

12 Come osservano B. SIMKINS, S. A. RAMIREZ, Enterprise-wide risk management and corporate governance, in Loyola Univ. Chicago Law Journ., 2008, vol. 39, p. 577 ss., che puntualmente delineano lo sviluppo di tale funzione ed il suo non agevole raccordo con i più diffusi principi del governo societario. Rilevando, tuttavia, come soltanto negli anni ’50 del secolo scorso si siano registrate le grandi innovazioni ed i progressi delle scienze matematiche applicate alla gestione del rischio finanziario “beginning with Harry Markowitz’s mean-variance theory of portfolio selection” (p. 579), passando attraverso gli studi dei premi Nobel (1997) R. Merton e M. Scholes che fornirono metodi di quantificazione dei rischi ritenuti rivoluzionari in materia di finanza ed economia.

13 L’elaborazione di efficienti programmi di gestione del rischio ha costituito una sfida notevole per gli organi amministrativi di complesse organizzazioni concepite per l’assunzione dei rischi, come le banche, le imprese di investimento, le imprese assicurative e le imprese energetiche. Circostanza che, come vedremo, ha inciso nella valutazione che della cattiva gestione del rischio ha dato la giurisprudenza. B. Simkins, S. A. Ramirez, op. ult. cit., p. 579, descrivono il passaggio, negli anni ’90, dalla visione frammentata del risk management (stando alla quale la gestione dei diversi rischi avveniva in modo separato ed indipendente) alla visione del c.d., enterprise-wide risk management, “a more sophisticated approach to managing risk” (p. 580-581), in grado di offrire un sistema

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Amministrazione e controllo nelle società quotate

Penso al ruolo dei principi di Basilea II, concepiti per le banche e le imprese di investimento, tuttavia modello di riferimento anche per la gestione del rischio di imprese diverse, così come alle raccomandazioni COSO’s 2004, per quanto controversa sia la loro specifica efficacia nell’implementazione di tecniche affidabili di gestione del rischio. Ulteriori indagini14 hanno evidenziato l’assenza di qualsiasi

sistema di gestione dei rischi ed una notevole impreparazione in materia da parte degli organi di amministrazione. È stata, in particolare, la complessità della finanza strutturata ad aver messo a nudo l’inadeguatezza dei modelli esistenti di gestione dei rischi implicati da determinati strumenti finanziari o, comunque, la difficoltà della loro implementazione.

2 L’esclusività della funzione gestoria del CdA nel diritto

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