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L’obbligo di vigilanza degli amministratori nell’ordinamento italiano

Spostando ora l’attenzione all’ordinamento italiano, non mi pare, anzitutto, che la disciplina codicistica valorizzi la funzione di controllo/vigilanza degli ammini- stratori. Che tale sia l’impostazione lo si deve probabilmente anche alla struttura complessiva dell’impianto normativo italiano il quale presenta, in parte, quella stessa discrasia che si registrava nell’ordinamento americano settant’anni or sono, tra attribuzioni formali del potere di gestione all’organo amministrativo ed esercizio effettivo del medesimo da parte del management.

Non credo, infatti, che la disciplina di cui all’art. 2381 c.c. e la relativa articolazione dei poteri esercitabili dagli amministratori deleganti (non esecutivi) nei confronti degli amministratori delegati (esecutivi) possa rappresentare, come pure si è ritenuto55, il recepimento del modello del “monitoring board”. E ciò per la semplice ragione che gli amministratori esecutivi sono, pur sempre, componenti del CdA. Non vi è alcuno spazio di gestione riservato al management. Impostazione del tutto diversa - più in linea con il ruolo effettivo svolto dagli amministratori nella grande impresa moderna - è quella delle Raccomandazioni del Codice di Autodisciplina per le quali, come si è opportunamente notato, le funzioni del CdA “hanno assunto una

prevalente connotazione di supervisione e monitoraggio sull’attività degli ammini- stratori esecutivi”56.

La nozione di oversight del board americano – ferme restando le diversità genetiche di tale organo rispetto al CdA nel modello di gestione tradizionale - aiuta forse ad interpretare (ed è questo un profilo di comparazione particolarmente interessante) l’accezione di controllo che dovrebbe competere anche al nostro CdA,

53 JOY V. NORTH, 692 F.2d 880, 885 (2d Cir. 1982), citata da S. M. BAINBRIDGE, Caremark, cit., p. 23, nota 143, 144. 54 Osserva S. M. BAINBRIDGE, Caremark, cit., p. 23, che ci sono solo quattro modi per gestire il rischio: a) evitarlo,

evitando attività rischiose; b) trasferirlo attraverso l’assicurazione o l’hedging; c) accettarlo come inevitabile. Opzioni che implicano scelte di assunzione del rischio che - come osserva M. MAUGERI, Note in tema di doveri, cit., p. 16 – se oggetto di “adeguata istruttoria” non possono diventare oggetto di alcuno scrutinio giudiziale, anche ove la decisione “si risolva nella decisione di non adottare specifici presidi per la minimizzazione del rischio finanziario”. 55 G. FERRARINI, Funzione del consiglio di amministrazione, ruolo degli indipendenti e doveri fiduciari, cit., p. 52. 56 G. GASPARRI, I controlli interni nelle società quotate, Quaderni Giuridici Consob, 2013, p. 35.

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Amministrazione e controllo nelle società quotate

attorno al quale autorevole dottrina italiana57 si interrogava, opportunamente par-

lando di “zona grigia”58. Essa non mi pare che corrisponda alla verifica della regolarità

degli atti già compiuti per l’accertamento delle eventuali violazioni di legge, al controllo inteso come “riscontro, come verifica di regolarità di una funzione o di

giudizio di conformità a regole”, per richiamare un recente accurato approfon-

dimento59 sulle varie nozioni di controllo e sul ruolo esercitato al riguardo dal CdA. Piuttosto, credo che essa si possa identificare col concetto di vigilanza preventiva o contestuale all’atto, essendo indirizzata sia alla legittimità che al merito della gestione. Vigilanza come autorizzazione, approvazione di un’operazione, cioè “parte-

cipazione all’atto”60. “Controllo - scrive Montalenti61 - che si emancipa dall'accezione

tradizionale di “verifica ex post” (derivato del diritto amministrativo) e si evolve in elemento coessenziale dell'esercizio dell'impresa e del potere amministrativo”. Una

concezione del controllo, prosegue tale Autore, “come funzione fisiologica della

gestione, che si innesta cioè nell'esercizio del potere amministrativo come strumento di indirizzo e di correzione permanente della direzione degli affari”.

Ciò premesso, nella disciplina comune e speciale dell’organo di gestione della S.p.a. vi sono, a mio avviso, due dati degni di attenzione. Il primo è che non v’è traccia – anzi non ve ne è più, vista l’abrogazione del secondo comma dell’art. 2392 c.c. – di alcuna funzione riconducibile al CdA che corrisponda alla vigilanza così intesa, cioè di “supervisione, di sindacato del merito e della correttezza della gestione,

di vigilanza sull’attuazione della gestione secondo contratto e nell’interesse della società”62. Fatta eccezione per la ben diversa previsione della “valutazione del

generale andamento della gestione”, di cui al terzo comma dell’art. 2381 c.c. che non

credo possegga la stessa portata semantica dell’abrogata “vigilanza sul generale

andamento della gestione”, di cui al previgente testo dell’art. 2392 c.c., punto che

temo insuperabile63.

Benché, dottrina accreditata64, escludendo una tale “radicale conclusione”, abbia proposto di leggere l’obbligo di valutazione come vero e proprio obbligo di

57 P. FERRO-LUZZI, Riflessioni in tema di controllo, in Diritto, mercato ed etica dopo la crisi: omaggio a Piergaetano Marchetti, Milano, 2010, p. 325.

58 P. FERRO-LUZZI, op. loc. ult. cit., quella cioè che, in punto di controllo, esiste tra l’organo amministrativo e l’organo di controllo.

59 M. STELLA RICHTER JR. La funzione di controllo del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in Riv. soc., 2012, p. 663, invocando il contributo delle riflessioni della dottrina amministrativistica allo studio della funzione di controllo.

60 P. FERRO-LUZZI, Riflessioni in tema di controllo, cit., p. 331-332. Ma già C. DI NANNI, La vigilanza degli amministratori sulla gestione nella società per azioni, Napoli, 1992, p. 16, “Gli amministratori, in quanto garanti della gestione, debbono sottoporla ad un adeguato controllo per prevenire le deviazioni e, anche se possono esonerarsi in parte dai compiti di amministrazione attraverso la delega esterna nei limiti consentiti dal 2381, non possono mai liberarsi dal dovere di controllo sulla gestione”.

61 Sistemi di controllo interno e corporate governance: dalla tutela delle minoranze alla tutela della correttezza gestoria, in Riv. dir. comm., 2012, p. 254.

62 C. DI NANNI, op. ult. cit., p. 123

63 Come, sin dal principio, affermava F. BONELLI, Gli amministratori di S.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 53

64 P. MONTALENTI, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, p. 54

65 Vigilanza, gestione dei rischi e responsabilità degli amministratori

Amministrazione e controllo nelle società quotate

vigilanza che, con la riforma, avrebbe solo assunto “declinazioni diverse”65. La

valutazione del generale andamento della gestione non dovrebbe esaurirsi nell’esame della relazione fornita dai delegati ai deleganti, ai sensi dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 2381 c.c., avendo il Consiglio il dovere – “là dove la relazione sia

eccessivamente sintetica o reticente o incompleta” – di chiedere informazioni

supplementari ed integrative.

Dunque, stando a tale interpretazione66, un obbligo di vigilanza si potrebbe ancora ricavare dal sistema – a mio avviso con una qualche forzatura – benché, in ogni caso, il mancato riconoscimento di un diritto di ispezione individuale, da parte dell’amministratore non esecutivo, renda obiettivamente inefficace lo strumentario a corredo di tale pur sussistente obbligo di valutazione/vigilanza.

Ma il nodo centrale resta sul piano letterale, posto che nel Codice civile il verbo vigilare è coniugato solo una volta a proposito dei doveri dei sindaci nell’art. 2403 c.c., con riferimento agli assetti, mentre nel TUF lo ritroviamo per il CdA che vigila – in un senso assolutamente diverso – a proposito del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili. Per cui parrebbe che il legislatore quando vuol parlare di vigilanza lo fa ancora, e nell’art. 2381 c.c. questo verbo non compare.

Tale conclusione, valevole in particolare per le società non quotate, lascia intatte le giuste considerazioni che, alla luce soprattutto del Codice di Autodisciplina delle società quotate (di cui si sta per dire), riconoscono agli amministratori non esecutivi una funzione di “supervisione sul sistema di controlli interni”67.

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