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L’esclusività della funzione gestoria del CdA nel diritto italiano e la vigilanza del “ monitoring board ” nel diritto

americano

Per comprendere che cosa non abbia funzionato nel rapporto tra l’organo amministrativo e la gestione dei rischi – al fine di valutare le uniche possibili misure di intervento che il diritto può concepire, cioè, anzitutto, sul piano delle regole di responsabilità - occorre soffermarsi su quella sfera di poteri dell’organo ammini- strativo rappresentata dal controllo e dalla vigilanza. Poteri dei quali, da tempo risalente, si discute nell’ordinamento che ha vissuto a fondo le conseguenze di tali cedimenti. Ma perché ciò abbia senso, un rapido sguardo al passato si impone.

Sin dai primi anni ’30 del secolo scorso, giuristi ed economisti americani – tra i primi cito WILLIAM O. DOUGLAS15 della Yale University, tra i secondi JAMES C. BAKER16 dell'Harvard University - osservavano che, nonostante le legislazioni societarie dei vari Stati federali affidassero al board la gestione dell'impresa sociale, questo, di fatto, non avveniva più. La realtà della grande impresa, come gli stessi BERLE e MEANS andavano osservando in quegli anni, sempre più si discostava dal modello normativamente recepito, in quanto la gestione dell’impresa sociale veniva di fatto affidata ai suoi dirigenti.

Una conferma ancor più risalente di tale discrasia tra il modello normativo ed il modello fattuale17 viene da una preveggente pronuncia del 1921 della DELAWARE CHANCERY COURT18, secondo la quale le funzioni principali del board erano la

integrato di gestione unitaria di tutti i rischi d’impresa. Naturalmente rilevante sul processo il ruolo del Committee of Sonsoring Organizations of the Treadway Commissione (COSO).

14 S. BAINBRIDGE, op. ult. cit., p. 168.

15 Directors who do not direct, in Harv. Law Rev., 1934, vol. 47. p. 1305.

16 Cfr. la recensione di R. A. GORDON al volume di J. C. BAKER, Directors and their functions: a preliminary study, Division of Research, Harvard University, Boston, 1945, in California Law Rev., vol. 34, 1946, p. 457.

17 Tale divario tra realtà empirica e realtà normativa – andata nel tempo attenuandosi essendosi il legislatore americano adeguato ad una tendenza inarrestabile - si era pertanto reso sconveniente, posto che l’impianto delle regole – a cominciare dagli standard di diligenza e di responsabilità - restava strutturato sul modello normativo secondo cui il board gestisce.

18 La sentenza CAHALL V. LOFLAND, 114 A. 224, 229 (DEL CH. 1921) AFF’D, 118 A. 1 (DEL. 1922) è citata da S. BAINBRIDGE, Corporate Law, 2° ed., New York, Foundation Press, 2009, p. 74.

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

“supervisione” ed il “controllo”, "potendo la specifica condotta dell'impresa essere

affidata ai subordinate employees". Condotta dell’impresa, dunque, affidata non agli

amministratori esecutivi, pur sempre espressione della proprietà, in quanto eletti dall’assemblea, bensì ai managers.

Ciò premesso, DOUGLAS suggeriva che gli “amministratori dovrebbero essere lì

non allo scopo di gestire l’impresa ma allo scopo di supervisionare coloro che lo fanno e di formulare le politiche generali in materia industriale e finanziaria in forza delle quali l’impresa andrà condotta19”. Gli amministratori – proseguiva DOUGLAS – “non

dovrebbero trovarsi necessariamente in una posizione tale da conoscere i dettagli degli affari [….] piuttosto in una posizione di dominio e di potere per servire gli azionisti in modo efficace”. Persino con riguardo alla funzione di approvazione delle linee di

politica aziendale si registrava il ruolo spesso insignificante del board e l’attribuzione di detta funzione in capo al CEO che la esercitava con i suoi più diretti subordinati.

Partendo, dunque, dalla constatazione dell’inevitabile impossibilità per il consiglio di gestire l’impresa sociale, un altro autorevole giurista americano che fu MELVIN EISENBERG – siamo nel 1976 con il suo fondamentale contributo, The structure

of the corporation - propugnava una netta attribuzione al board della sola funzione di

controllo. Il suo modello del c.d. “monitoring board” era fondato su una netta separazione tra la funzione di gestione e di policy making, spettanti al management, e la funzione di vigilanza della condotta di quest'ultimo, spettante ad un consiglio composto da una maggioranza di amministratori indipendenti20. Tale funzione il

consiglio avrebbe dovuto esercitare attraverso la costituzione al proprio interno di tre comitati: quello audit, quello sulle nomine, quello sui compensi.

Tra le ragioni prevalenti dello scostamento tra il modello normativo e quello che la prassi aveva affermato, v’erano per EISENBERG:

1) l’obiettiva limitazione del tempo che il board riesce a dedicare all'esercizio di funzioni complesse relative ad imprese complesse21;

2) l’asimmetria informativa tra gli amministratori ed i managers, nel senso quindi di una vera e propria limitazione informativa dei primi rispetto ai secondi, aggravata dalla storica riluttanza – ancor oggi attualissima in ogni ordinamento giuridico – della dirigenza a far funzionare efficacemente i flussi di dati ed informazioni verso il CdA22;

3) un problema di indipendenza del CdA rispetto ai dirigenti, quindi non solo indipendenza di alcuni amministratori rispetto agli amministratori esecutivi, ma addirittura di questi ultimi rispetto al management23.

19 W. O. DOUGLAS (n…) p. 1314: “the general commercial and financial policies under which the business is to be conducted”.

20 M. A. EISENBERG, op. cit., p. 156. 21 M. A. EISENBERG, op. cit., p. 141. 22 M. A. EISENBERG, op. cit., p. 143. 23 M. A. EISENBERG, op. cit., p. 146.

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Amministrazione e controllo nelle società quotate

EISENBERG24 notava come, spesso, alla difficoltà per l'amministratore di

acquisire ulteriori informazioni si aggiungeva il fatto che egli non sapeva quali informazioni richiedere. E concludeva affermando che: "la quantità, qualità e

struttura delle informazioni che raggiungono il Cda è quasi del tutto sotto il controllo dei dirigenti"25 e che tale potere sui flussi informativi equivale al potere decisionale.

Il contributo degli studi di EISENBERG allo sviluppo delle funzioni del board nel diritto americano – attraverso la sua lucida ed a tratti impietosa analisi del ruolo non solo non gestorio degli amministratori ma, sovente, anche scarsamente vigilante - coincideva con un’epoca di scandali societari che non si registravano negli USA dalla crisi del 1929. Con il crollo di Penn Central nel 1970 e di innumerevoli altre grandi società – furono circa cinquanta quelle oggetto di indagini, processi penali, misure sanzionatorie della SEC ed azioni di responsabilità civile – emergeva il ruolo decisamente passivo dei rispettivi consigli di amministrazione.

Il modello di EISENBERG fu sul punto di essere integralmente recepito nei Principi di Governo societario dell’American Law Institute attorno ai primi anni ’8026,

ma il clima favorevole all'introduzione di incisive riforme andava attenuandosi e le

lobbies delle grandi società fecero sentire la loro influenza. Sebbene la versione più

ortodossa del modello non venne recepita tra i principi - si pensi alla previsione che, addirittura, interdiva al board di gestire l'impresa - il modello acquisiva lo status di

best practice27.

In ogni caso, dello scostamento della realtà dalla struttura normativa delle funzioni del CdA hanno poi tenuto conto, negli anni seguenti, le principali fonti normative dell’ordinamento societario americano, offrendo al riguardo la medesima previsione. Il DELAWARE28 GENERAL CORPORATION ACT (Cap. I, subchapter IV, § 141), stabilendo che: “L’impresa e gli affari di ogni società regolata da tale disciplina,

saranno gestiti da o sotto la direzione di un consiglio di amministrazione”29. Ed il

MODEL BUSINESS CORPORATION ACT (Sezione 8.01 (b)) - introdotto nel 1969, al quale, nella versione del 1984, hanno aderito ventiquattro Stati - prevedendo che “Tutti i

poteri sociali saranno esercitati da o sotto l’autorità del consiglio di amministrazione e l’impresa e gli affari della società saranno esercitati da o sotto la direzione, nonché soggetti alla supervisione, del suo consiglio di amministrazione”30.

24 L'analisi di M. A. EISENBERG va molto a fondo, rilevando che la subordinazione del Cda al management sia da ricondurre a svariati ulteriori elementi che non possono menzionarsi in questa sede, primo tra i quali la composizione del consiglio stesso.

25 M. A. EISENBERG, op. cit., p. 144.

26 S. BAINBRIDGE, Corporate governance after the financial crisis, cit., p. 53.

27 Come lui stesso ebbe a notare – M. A. EISENBERG, The board of directors and internal control, in Cardozo Law Rev., 1997, v. 19, p. 237 - compiacendosi del fatto che i due elementi strutturali del modello, cioè la presenza di una maggioranza di indipendenti nel consiglio e la costituzione dei comitati, erano stati pienamente recepiti dalla best practice.

28 Stato nel quale risiede circa il 50% delle società quotate alla Borsa di NY ed il 60% delle Fortune 500S. BAINBRIDGE, Corporate Law, cit., p. 9.

29 “The business and affairs of every corporation (organized under this chapter) shall be managed by or under the direction of a board of directors”.

30 “All corporate powers shall be exercised by or under the authority of the board of directors of the corporation, and the business and affairs of the corporation shall be managed by or under the direction, and subject to the

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

Dunque, stando alle due principali fonti del diritto societario americano, l’impresa e gli affari della società possono essere delegati agli executive officers e alle altre figure di managers che esercitano tali funzioni sotto la direzione e la vigilanza del consiglio. Stabilendo che i poteri sociali possono essere esercitati "under the

board's authority", la disposizione prevede una delegabilità di pressoché qualsiasi

funzione amministrativa31. Al board residua la fondamentale funzione di oversight, di vigilanza su momenti di grande rilievo come la performance, i piani aziendali, i principali rischi cui è esposta la società, la preparazione dei conti annuali, l’effettività del sistema di controllo interno. Ferma restando – ed è quel che diffusamente accade nella prassi - la funzione deliberativa in ordine alle più rilevanti operazioni sociali, come ribadisce la giurisprudenza32 in una delle occasioni in cui ha avuto modo di

prendere posizione proprio sul problema della vigilanza che gli amministratori esercitano sui dirigenti e sui dipendenti (della quale si dirà più in avanti). Dato che conferma l’esistenza di un significativo nesso tra riparto di funzioni decisorie e dovere di vigilanza.

Il lungo cammino del monitoring board giunge fino al SARBANES OXLEY ACT, posto che talune delle sue previsioni normative accentuano il ruolo di controllore o, appunto, di vigilante del board, attraverso il rafforzamento, al proprio interno, dell’audit committee e dell’indipendenza dei suoi componenti, con interessanti implicazioni sul piano della responsabilità di tale organo (cfr. per esempio le §204 e §301), e puntano a ridurre l'asimmetria informativa tra il board ed il management. Come ha rilevato BAINBRIDGE (60), "il monitoring board si pone al cuore del Sarbanes

Oxley Act".

Successivamente, anche il DODD FRANK ACT ha esaltato taluni momenti legati ai requisiti cruciali dell'indipendenza degli amministratori, come la §972 che impone la trasparenza delle ragioni per le quali la società, eventualmente, non separa la carica di presidente da quella di amministratore delegato, al fine di garantire al consiglio una leadership indipendente.

Insomma, sia il SOX che il DODD FRANK hanno dato ulteriore rilievo alla funzione di vigilanza del board rispetto ad altre funzioni33. Discorso diverso per i principi di corporate governance dell’AMERICAN LAW INSTITUTE che, mentre in passato contenevano previsioni di avanguardia, hanno nel tempo perduto questa caratteristica rendendosi piuttosto appiattiti sui testi di legge.

oversight, of its board of directors”.

31 Scrive S. BAINBRIDGE (46): “Buona parte dell’attività del CdA non è rappresentata dall’assunzione di azioni su questioni specifiche; piuttosto da un continuo flusso di processo revisionale, puntellato solo occasionalmente da qualche decisione operativa”.

32 Caremark International Inc. Derivative Litigation, 698 A.2d 959 (Del. Ch. 1996), sottolineando come la gran parte delle decisioni della società “are, of course, not the subject of director attention”. E come invece “the board itself will be required only to authorize the most significant corporate acts or transactions”. Tuttavia, il giudice WILLIAM T. ALLEN osservava come anche le “ordinary business decisions”, assunte dai dirigenti e dai dipendenti all’interno dell’organizzazione corporativa, possano in maniera decisiva condizionare il “welfare of the corporation” e la sua capacità di conseguire il suo oggetto sociale.

33 A tal punto che qualche osservatore è giunto ad affermare che l’eccessivo peso della funzione di controllo del board e la conseguente incombente compliance abbia a tal punto distratto gli amm.ri di alcune grandi istituzioni finanziarie da ridurre la loro attenzione sulla vigilanza del risk management (B. 67).

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

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3 L’omessa vigilanza sulla gestione dei rischi e l’incerto

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