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Alcuni suggerimenti per un potenziamento del Comitato per il controllo sulla gestione

Dall’adeguatezza degli assetti organizzativi al sistema monistico quale

7 Alcuni suggerimenti per un potenziamento del Comitato per il controllo sulla gestione

Le stesse norme che disciplinano il sistema monistico, dunque, offrono già gli strumenti idonei a garantire la formazione di Comitati di controllo sulla gestione impermeabili a censure di scarsa indipendenza rispetto al Consiglio d’ammini- strazione.

Tali strumenti, peraltro, sono già stati, da un lato, previsti (quantomeno in parte) per le società quotate dal TUF e, dall’altro lato, fatti propri dalla Banca d’Italia, con le proprie Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo

societario delle Banche, del 4.3.2008. Innanzitutto, l’art. 151 ter TUF prima, e le Disposizioni, poi, impongono che al Comitato per il controllo sulla gestione delle

quotate e degli istituti bancari che vogliano adottare il sistema monistico sia

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attribuito il potere di procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e controllo19.

In aggiunta a tale prescrizione, nelle Disposizioni, la Banca d’Italia ha imposto altresì che lo Statuto: i) conferisca all’Assemblea il potere di nominare e revocare, previa opportuna motivazione, i componenti del Comitato; ii) assegni espressamente al Comitato il compito di vigilare sull’osservanza delle norme di legge, regolamentari e statutarie.

Queste disposizioni mi pare contengano, in nuce, due indicazioni per potenziare il Comitato per il controllo sulla gestione, concentrando nelle sue mani la vigilanza sulla Società e rendendo il sistema monistico un’efficace alternativa al complicato sistema di controlli discendente dall’adozione in concreto del sistema tradizionale di amministrazione e controllo.

La prima, già attuabile in forza della salvezza contenuta nel 1° comma dell’art. 2409 octiesdecies Cod. civ., è quella di generalizzare la prassi di assegnare statutariamente all’Assemblea il potere di eleggere e revocare i componenti del Comitato, in modo da dissipare qualsiasi dubbio di contingenza con l’organo amministrativo e, conseguentemente, rafforzare l’autonomia di quello di controllo.

Il secondo suggerimento, per il quale è tuttavia necessario un intervento legislativo ad hoc, è quello di attribuire espressamente al Comitato gli stessi poteri oggi assegnati al Collegio sindacale, in modo da rendere (quasi) completamente sovrapponibili le due posizioni20. Attualmente, come è noto, l'applicazione al

Comitato delle norme sul Collegio sindacale non è completa.

In questo contesto, il Codice civile non ha esteso al Comitato l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2403 bis Cod. civ., relative ai poteri ispettivi e di controllo del collegio sindacale. Poteri che, peraltro, sono stati concessi ai compo- nenti dei Comitati delle società quotate dall’art. 151 ter, 4° comma, TUF, creando così una disparità di trattamento che parte della dottrina ha proposto di superare applicando in via generale la disciplina prevista dal TUF21. Per altro verso, anche il richiamo ai poteri di convocazione dell’assemblea conosce significative limitazioni rispetto alla disciplina prevista per i sindaci: il Comitato, infatti, sembrerebbe poter esercitare tale potere solo per l’ipotesi in cui si siano verificati fatti di rilevante gravità ed urgente necessità di provvedere e nell’ipotesi di omissione o ingiustificato

19 Vi sono, per vero, alcune differenze fra il TUF e le Disposizioni che meritano di essere evidenziate. Infatti, mentre queste ultime si limitano a “imporre” che statutariamente venga concesso al Comitato di compiere atti di ispezione e controllo, l’art. 151 ter TUF enumera in modo analitico le tipologie di poteri e controlli esercitabili dai componenti del Comitato, sia collegialmente (o mediante delegati), sia individualmente (fra cui, per esempio, il potere di chiedere informazioni agli amministratori in merito all’andamento di determinate operazioni sociali o affari). 20 Mi sembra che indicazioni in tal senso provengano anche dalla stessa Consob, che nel Documento di consultazione

del 25 luglio 2011, sez. II, Proposte di interventi legislativi, par. III, Disciplina dei modelli di amministrazione e controllo monistico e dualistico, ha auspicato un intervento legislativo diretto a ridisegnare la disciplina del modello monistico (e di quello dualistico) mediante l’abbandono dei richiami parziali alla disciplina del modello tradizionale, con l’introduzione di un autonomo ed organico corpus normativo.

21 Cfr. DI MARCELLO, op. cit., 221 s., spec. 226, per il quale, in definitiva, le regole previste per le quotate dovrebbero considerarsi specificazione di principi comunque applicabili alle società non quotate.

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ritardo da parte degli amministratori22. Infine, non si può sottacere come – a fronte di

un dettato normativo silente sul punto – sia tuttora dibattuto se il Comitato possa promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori23.

Il conferire al Comitato, espressamente ed in via generale, i poteri sopra elencati, evidentemente, significherebbe garantirne l’efficacia, snellendo al contempo il sistema di controlli interni societari, che potrebbero essere concentrati pressoché esclusivamente nelle mani di tale organo. Si tratta, peraltro, di alcuni primi sugge- rimenti, senza pretesa di esaustività e che lasciano salvo ogni ulteriore eventuale intervento sulla disciplina del Comitato; non da ultimi, interventi diretti a potenziarne la stabilità, ad esempio prevedendone la revocabilità solo per giusta causa, o quantomeno motivata (e comunque a seguito di delibera assembleare, se del caso straordinaria); ovvero altri interventi sui requisiti di professionalità dei suoi componenti, finalizzati – in via d’ipotesi – a verificare l’opportunità di incrementare il numero di membri che debbano essere iscritti al Collegio dei Revisori (oggi fissato in almeno uno per Comitato) o, perlomeno, negli stessi specifici albi professionali indicati dal D.M. n. 320/2004 del Ministro di Giustizia.

8 Conclusioni

In conclusione, mi pare si possa affermare che sia possibile ottenere una maggiore adeguatezza dei controlli interni proprio da quel sistema di (ammini- strazione e) controllo tacciato di essere il meno adeguato. Il sistema monistico, infatti, sia pur “corretto” con gli accorgimenti de jure condendo e de jure condito sopra delineati, sembra in grado di garantire una commistione positiva fra gestione e controllo della Società, assicurando una sorveglianza continua tanto sulla legittimità quanto sul merito dell’operato degli amministratori.

La compresenza, in capo ai componenti del Comitato, della qualifica di amministratori, pare idonea ad assicurare loro una funzione di controllo sin più ampia di quella dei sindaci. Mentre questi ultimi, infatti, pur potendo partecipare alle sedute del Consiglio di amministrazione, non possono influire sulle scelte degli ammini- stratori, i componenti del Comitato, essendo amministratori, dovranno anche deliberare sulle scelte societarie sottoposte alla loro vigilanza. Il che, da un lato, sembra postulare che l’attività di controllo, anziché essere effettuata ex post, venga compiuta sin dal momento del compimento delle scelte gestionali; dall’altro lato, implica che il controllo possa influire anche sul merito dell’attività degli ammi- nistratori24. Segnalo, peraltro, che questo “nuovo” entusiasmo nei confronti del

Comitato per il controllo sulla gestione non si pone in controtendenza con l’auspicio già espresso di concentrare maggiormente i poteri di controllo in mano al Collegio sindacale: a ben vedere, infatti, i componenti del Comitato (soprattutto ove venissero

22 Ciò, peraltro, a condizione di accettare l’interpretazione secondo cui l’art. 2406 Cod. civ. sarebbe applicabile al sistema monistico in virtù del richiamo ad esso contenuto nell’art. 2408 Cod. civ., a propria volta richiamato dall’art. 2409 octiesdecies Cod. civ. come disposizione applicabile al Comitato per il controllo sulla gestione.

23 Per la soluzione positiva, nonché per un’ampia sintesi del dibattito, v., di recente, DI MARCELLO, op. cit.. 144 ss. 24 Cfr. ABRIANI, op. cit., 880 s.; REGOLI, op. loc. cit.

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effettuati gli interventi di adeguamento normativo sopra ipotizzati) cumulerebbero la posizione di amministratore “non esecutivo” e indipendente con quella di sindaco.

D’altra parte, è stato da più parti evidenziato come l’obiettivo del legislatore, con l’introduzione del sistema monistico, fosse proprio quello di garantire il massimo grado di coesione nell’azione amministrativa comune, evitando quelle separatezze – fra controllori e controllati – che rischiano di far sfuggire all’organo di controllo il disegno complessivo perseguito dagli amministratori e, quindi, di non consentire una corretta valutazione del loro operato.

Affinché il sistema sia pienamente efficace, peraltro, occorre che le scelte gestionali vengano effettivamente dibattute nel Consiglio di amministrazione e che a quest’ultimo siano fornite puntualmente ed in modo esaustivo tutte le informazioni necessarie da parte degli organi delegati; il che, peraltro, dovrebbe essere agevolato proprio dalla compresenza, nel Consiglio, degli organi di controllo, di quelli amministrativi e di quelli esecutivi. In altri termini, come è stato evidenziato da una compianta dottrina: «il sistema monistico in tanto risulterà vincente in quanto si

raggiunga un equilibrio di dibattito consiliare che se garantisce snellezza decisionale per chi abbia tale compito, apre però alla verifica e alla vigilanza in tempo reale da parte di chi ne abbia missione»25.

Ma, superato anche questo scoglio organizzativo, sembra che la domanda provocatoriamente posta come titolo della presente relazione non possa che avere risposta positiva: sì, l’adozione del modello monistico può rappresentare un assetto organizzativo adeguato ed efficace per la gestione ed il controllo della società. Se è vero, infatti, che su un piano astratto tutti i modelli di governance sono stati collocati sullo stesso piano dal legislatore, che ne ha rimesso l’adozione alla libera scelta delle singole società, è altrettanto vero che il modello monistico si potrebbe lasciar prefe- rire proprio per la connaturata, positiva, compenetrazione fra organo amministrativo e di controllo, che dovrebbe garantire una gestione ed una vigilanza maggiormente consapevoli ed efficaci. È dunque auspicabile un intervento che assimili completa- mente le funzioni ed i poteri dei sindaci con quelli dei membri del Comitato, in modo da far confluire la “tradizione” del Collegio sindacale nella “modernità” del sistema monistico, rendendolo così più appetibile per gli operatori e forse più coerente di altri modelli con quella commistione virtuosa tra amministrazione e controllo che sembra oggi costituire un punto fermo nelle riflessioni in tema di governance societaria.

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

Verso una riforma della disciplina

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