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L’evoluzione, sopra tratteggiata, dei mercati e della disciplina delle categorie di azioni e degli strumenti partecipativi, rinnova e suscita, per il giurista, interrogativi e

Il progetto Elite

6. L’evoluzione, sopra tratteggiata, dei mercati e della disciplina delle categorie di azioni e degli strumenti partecipativi, rinnova e suscita, per il giurista, interrogativi e

problemi. Se ne dà di seguito un rapido cenno:

a) certamente si rafforza, nella scelta del legislatore, l’opzione per la rimozione dei limiti all’autonomia negoziale nella creazione di strumenti finanziari che le società di capitali possono emettere sia per la raccolta del capitale di rischio, sia per la raccolta di capitale di credito. Si rafforza, coerentemente, la regola per cui le limitazioni all’autonomia negoziale vanno considerate dall’interprete quali norme eccezionali da leggere restrittivamente. Questo processo evolutivo della disciplina è destinato a rendere ancor più spinoso, almeno in astratto, il tema di identificazione della fattispecie ai fini applicativi della disciplina, in particolare per quel che riguarda l’art. 2413, co.3, c.c.. Nello stesso tempo l’erosione costante dei limiti di emissione dei titoli obbligazionari è destinata ad attenuare il rilievo concreto della distinzione, proprio mentre le recenti norme in tema di mini-bond accentuano (e anzi valorizzano) l’emissione di obbligazioni (e titoli di debito) che rendano il finanziamento caratterizzato da una disciplina del rimborso che privilegia l’aspetto partecipativo al rischio di impresa in luogo della mera causa credendi;

b) la progressiva riduzione della differenza tipologica fra s.r.l. e s.p.a. con riferimento al ricorso al mercato per la raccolta di capitale di rischio (oltre che di credito) è suscettibile di suggerire un ripensamento dell’approccio alla disciplina delle società di capitali quale delineata dalla riforma societaria. Nel momento in cui, direttamente (portali per le società start-up) o indirettamente (tramite FIA), il mercato raccoglie il risparmio retail per l’investimento in capitale di rischio di società a responsabilità limitata, forte è la tentazione di prendere atto che la differenza tipologica fra s.r.l. e s.p.a., basata anche sul divieto di offerta al pubblico per tale investimento, è destinata a essere superata da quella intercorrente fra società di capitali in cui tale investimento (tanto più nelle forme sempre più differenziate che la riforma e le sue evoluzioni consentono) raggiunge il mercato diffuso, ovvero non lo raggiunge. Forte è cioè la tentazione di rilevare che con la conquista di territori sempre maggiori da parte del mercato dell’investimento in società non quotate o quotate su mercati non regolamentati, il diritto societario sia destinato a prendere atto di questa realtà e adattarvisi. In questo senso, tanto per fare un esempio, può dubitarsi che, con riguardo all’investimento retail in s.r.l. start-up, il richiamo, pur lodevole, all’educazione del risparmiatore operato dalla Consob con riguardo alla possibilità di utilizzare i pregnanti strumenti di diretto controllo sulla gestione previsti a favore delle s.r.l., possa rivelarsi davvero efficiente per la tutela del risparmio, proprio perché la disciplina della s.r.l. non nasce, programmati-

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Nuove regole per lo sviluppo dei mercati

camente, per soci meri investitori. L’evoluzione dei mercati sembra suggerire un approccio alla tutela dell’investimento del risparmio retail basato sulla valorizzazione dei doveri degli attori istituzionali sul mercato. Se già nell’ambito dei mercati regolamentati l’esatta valutazione del rischio dell’investimento rappresenta il nodo centrale della disciplina della tutela degli investitori, il tema diventa ancor più delicato quando l’investimento si rivolge a emittenti non quotate o di ridotta dimensione. Non a caso, per gli strumenti finanziari come i titoli di debito della s.r.l., la tutela dell’investitore retail viene cercata nella riduzione del rischio con la responsabilità solidale dell’investitore professionale che li pone in circolazione, secondo un modello rigido che trova anche altre applicazioni (art. 2412, co.2, c.c., o la riserva assoluta di sottoscrizione delle cambiali finanziarie per i soli investitori professionali). E tuttavia per gli strumenti finanziari emessi a fronte di capitale di rischio questa linea non è percorribile, né percorsa e, anzi, tende a essere erosa anche per i titoli di debito se si pensa all’allargamento del rilievo della nozione di mercato ai fini del superamento dei limiti di emissione delle obbligazioni di s.p.a.;

c) l’esigenza di contemperare la necessità delle società anche non quotate ad accedere a finanziamenti e investimenti a titolo di capitale di rischio con la tutela del risparmio diffuso sembra dunque delinearsi con chiarezza quale uno dei compiti a cui il legislatore, non solo italiano ma anche comunitario, sarà chiamato ad assolvere. Le linee di intervento del legislatore e della disciplina regolamentare sembrano ispirarsi a logiche non sempre chiare. Per accennare, nei limiti di queste prime notazioni, a qualche esempio, la disciplina del c.d.

crowdfunding a carattere non “benefico” o liberale che caratterizza i portali

dedicati alle società start-up sembra creare una soglia quantitativa di investimento (individuale e collettiva, quest’ultima corrispondente alla soglia di esenzione dalla disciplina della sollecitazione al pubblico risparmio) al di sotto della quale vige una sorta di “autotutela” del risparmiatore, di dubbia efficacia. Solo oltre questa soglia torna ad applicarsi la tutela affidata all’intermediario e alla valutazione dell’adeguatezza o dell’appropriatezza dell’operazione. Ancora, la valutazione di un investimento nel debito o nel capitale di società di dimensioni ridotte o non sottoposte alle regole sulle società quotate, ovvero quotate su segmenti di mercato dai requisiti meno stringenti, o ancora su sistemi di negoziazione multilaterali, si presenta caratterizzata non solo da un generico aggravamento del rischio, ma anche da caratteristiche di complessità di analisi e di minor liquidabilità che potrebbero consigliare una regolamentazione maggiormente tagliata su tali specificità. Analoghe riflessioni suscita la regola- mentazione dell’offerta sul mercato retail di quote di FIA che si propongano l’investimento del patrimonio in società non quotate;

d) collegato con quanto appena detto è l’interrogativo sul ruolo dei gestori di FIA. Infatti mentre molto spesso i gestori di fondi che investono in strumenti finanziari di società quotate – e dunque caratterizzati da un mercato liquido – “tutelano” gli investitori principalmente uscendo dall’investimento, più che esercitando i diritti di partecipazione, l’exit risulta certamente meno efficiente rispetto all’investimento effettuato a titolo di venture capital dove l’attivismo

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Nuove regole per lo sviluppo dei mercati

endosocietario (o contrattuale in vista dell’investimento) del gestore è decisivo proprio per realizzare il fine dell’investimento, sia con riferimento al singolo strumento finanziario, sia soprattutto, per attenuare il maggior profilo di rischio complessivo dell’investimento. L’investimento in società non quotate – e il collocamento al mercato retail delle quote dei fondi che perseguono queste scelte – è molto più sofisticato rispetto a quello effettuato sui mercati di borsa: impone una particolare attenzione nella regolamentazione dei rapporti fra soci, all’attribuzione di diritti legati alla quota a tutela dell’investimento, all’esercizio di un (e al preventivo riconoscimento di poteri di) controllo sulla gestione (se non si giunge a effettuare, come pure è prospettabile, un investimento nella partecipazione di controllo della società). Il dovere del gestore di esercitare nell’interesse degli investitori i diritti amministrativi inerenti gli strumenti finanziari in cui il fondo investe il patrimonio raccolto assume un ruolo, nella regolamentazione volta alla tutela del risparmio, molto più pregnante e richiede un adeguato monitoraggio;

e) la “personalizzazione” della partecipazione al capitale di rischio che riflette proprio le esigenze tipiche dell’investimento finanziario in piccole e medie imprese (e così, in ipotesi, anche in società a responsabilità limitata) suggerisce all’interprete una lettura delle regole sull’attribuzione di diritti “particolari” ai soci, vuoi sotto forma di categorie di azioni, vuoi sotto forma, appunto di posizioni negoziali ad personam, coerente con la funzione dell’investimento. Tali diritti, infatti, conferiscono “valore” all’investimento misurabile sotto il profilo finanziario: ne viene, specie in presenza di investimenti che ricorrano al risparmio diffuso, la necessità di preservare tale valore. Così appare plausibile una lettura delle norme in materia che assicuri circolabilità (e dunque realizzabilità) a tali diritti e la rimozione di ostacoli al contenuto di tale personalizzazione proprio quando essa contribuisca a rendere l’investimento coerente con le finalità perseguite.

Insomma: l’evoluzione dei mercati pone il regolatore societario e dei mercati finanziari di fronte a un questionario molto più ampio e sofisticato di quello – pure complesso – che ha accompagnato la Consob nei suoi primi quarant’anni: un compito regolatorio che si caratterizza per una ancora più marcata interazione fra diritto societario e diritto dei mercati finanziari e che, come si diceva, è suscettibile di porre in crisi antichi postulati dell’uno e dell’altro.

191 Nuove strumenti per il finanziamento delle PMI italiane: minibond e garanzie statali

Nuove regole per lo sviluppo dei mercati

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