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Marcella Panucci

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Il tema dei controlli delle società quotate è molto caro alle imprese e richiede un approccio equilibrato, che tenga conto dei loro interessi e delle difficoltà operative che esse si trovano a gestire.

Nel diritto societario moderno, i controlli interni rientrano nel più ampio sistema di controllo interno, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali della struttura di corporate governance delle società quotate.

L’obbligatorietà del sistema di controllo interno è stata espressamente sancita dal legislatore ma solo con il Codice di Autodisciplina se n’è avuta una definizione come l’insieme “delle regole, delle procedure e delle strutture organizza- tive volte a consentire l’identificazione, la misurazione, la gestione e il monitoraggio dei principali rischi”.

È il Codice stesso che, oltre a evidenziare che la nuova concezione dei controlli ruota attorno alla nozione di rischi aziendali e alla loro gestione, chiarisce che un sistema di controlli interni per essere efficace presuppone il coordinamento e l’interdipendenza delle proprie componenti e deve essere a sua volta integrato nel generale assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

Tuttavia, il nostro sistema dei controlli interni sembra ancora lontano da un simile modello, a causa del succedersi di interventi talvolta non coordinati tra loro, dettati – troppo spesso – solo dall’onda dell’emotività che fa seguito ad alcuni gravi scandali finanziari.

Da un dato momento in poi, il baricentro dei controlli si è spostato dal piano del risarcimento ex post a quello della prevenzione ex ante. Questo momento è segnato dal processo di regolamentazione innescato dalla nascita della Consob.

Dopo una prima fase che ha interessato i settori speciali, tale processo di regolamentazione si è concentrato sulle società quotate, per poi estendersi con la

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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob

Amministrazione e controllo nelle società quotate

Riforma Vietti a tutte le società per azioni. Alcune previsioni sono state potenziate dalla legge sulla tutela del risparmio e dal successivo correttivo, che hanno altresì introdotto un’apposita sezione dedicata all’informazione finanziaria, istituziona- lizzando la figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, e sono intervenuti sulla composizione del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale per garantire la presenza di rappresentanti della minoranza.

Procedendo a lunghi passi, le ultime novità normative sono state il frutto delle numerose direttive comunitarie, che hanno portato all’introduzione di nuove regole in tema di informazioni su governo societario e assetti proprietari e all’attri- buzione al collegio sindacale delle attività del comitato per il controllo interno e la revisione contabile, con funzioni di monitoraggio sul processo di revisione dei conti.

Nel solco degli interventi in materia di controlli interni, un altro filone normativo attiene al profilo dell’assetto organizzativo e gestionale della società. In particolare, il riferimento è al d.lgs. n. 231/01, che ha sancito nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa dell’ente per i reati commessi al suo interno e nel suo interesse o vantaggio. Inoltre, la riflessione può interessare anche la disciplina sull’antiriciclaggio (d.lgs. n. 231/2007).

Infine, alle novità normative si è affiancato il contributo del Codice di Autodisciplina, che ha fornito una definizione di controllo interno, mutuandola dai

framework internazionali. Inoltre, esso ha ripartito le competenze in seno al consiglio

di amministrazione distinguendo tra amministratori esecutivi, non esecutivi e indipendenti.

Basta questa breve panoramica per cogliere l'elevato grado di complessità del sistema italiano dei controlli interni nelle società quotate. Infatti, la produzione normativa e regolamentare degli ultimi anni, non ascrivibile a un unico disegno coerente, ha generato quello che da più parti è stato definito come un vero e proprio reticolo.

Per rimettere ordine, dottrina e giurisprudenza hanno fatto ricorso a diverse classificazioni. In particolare, il concetto di controllo è stato scomposto in controllo di

merito, di adeguatezza organizzativa, di correttezza gestionale, di legalità.

Una ulteriore classificazione è quella relativa alla distinzione tra controlli

diretti e indiretti. I primi, detti anche di primo livello, definiscono e gestiscono i

controlli di linea, insiti nei processi operativi (ad esempio, i controlli di tipo gerarchi- co); i secondi si distinguono a loro volta in controlli di secondo livello, che consistono nell’attività di monitoraggio e gestione dei tipici rischi aziendali (ad esempio, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari) e di terzo livello, che forniscono una valutazione oggettiva e indipendente delle procedure di controllo e degli assetti organizzativi di cui tali procedure sono parti integranti (ad esempio, funzione di internal audit).

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

Ancora, si suole operare una distinzione tra controllo, inteso come un’attivi- tà di verifica più persuasiva, e vigilanza, considerata come un’attività di sorveglianza generale e, di regola, indiretta.

Tuttavia, si tratta di complesse categorie logico-giuridiche che spesso confondono le imprese. Queste ultime, infatti, hanno subito non pochi costi, intralci e ritardi a causa delle incertezze interpretative, generate dall’eccesso di rego- lamentazione e dalle sofisticate ricostruzioni dottrinarie.

Occorre allora prendere atto che i soggetti a vario titolo coinvolti nei controlli societari sono troppi. I rischi di overlapping tra organi e funzioni sono state ben evidenziati da un recente lavoro di ricerca della Consob sul tema.

Volendo citare qualche esempio, sul fronte dell’adeguatezza delle procedure amministrative e contabili, si assiste a una sostanziale convergenza tra i compiti dell’OdV e quelli del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e tra i compiti di quest’ultimo e quelli degli organi delegati.

Ancora, la verifica dell’adeguatezza degli assetti societari è affidata sia al CdA con una funzione di valutazione, sia al collegio sindacale con una funziona di

vigilanza. Ne deriva che, nel tentativo di distinguere tra le competenze dell’organo

gestorio e dell’organo di controllo, si deve ricorrere a quelle categorie logico-giuri- diche che – come si è detto – rappresentano un ulteriore elemento di complessità. Per non parlare del dibattito sulla coincidenza delle attività di collegio sindacale e comitato di controllo interno.

Ciò che emerge è una diffusa sovrapposizione di ruoli e una duplicazione di attività che, oltre a imporre vincoli e costi eccessivi, generano inefficienze. Infatti, in un sistema privo di un’adeguata separazione dei poteri e dei doveri, il risultato è una generale confusione tra le rispettive attribuzioni e un elevato rischio di deresponsa- bilizzazione dei soggetti coinvolti, ciascuno dei quali tenderà a imputare la mancata attivazione del controllo previsto al soggetto concorrente.

L’analisi normativa ed empirica conferma che il pericolo di un cortocircuito dei controlli societari è ormai elevato.

Benché la consapevolezza di tale pericolo sia maturata già da qualche tempo, il legislatore ha tentato di porvi rimedio limitandosi a introdurre nuove figure di controllori. L’obiettivo era rendere più efficiente e ineludibile la macchina dei controlli interni; il risultato è stato di ingolfarla.

Occorre allora invertire questa tendenza e puntare a una semplificazione e razionalizzazione del sistema, che porti a una riduzione del numero degli attori coinvolti e a una chiara individuazione delle competenze.

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Ad esempio, la legge di stabilità del 2012, grazie anche a un forte pressing di Confindustria, ha riconosciuto la possibilità di attribuire la funzione di OdV anche al collegio sindacale e agli organi di controllo nei modelli alternativi.

Volendo fare riferimento a casi più recenti, si può pensare al Progetto

PiùBorsa, a cui hanno aderito anche la Consob e Confindustria, incentrato sulla

definizione di strumenti e semplificazioni regolamentari, idonei a favorire l’apertura al mercato dei capitali da parte delle PMI.

In quella sede, sul presupposto di quanto l’oneroso apparato dei controlli disincentivi la quotazione, è stato proposto di eliminare la necessità di creare o individuare un organo collegiale quale titolare della funzione di OdV.

Tuttavia, la strada da fare è ancora tanta. Le ipotesi di lavoro già sul tavolo sono diverse.

Bisognerebbe, ad esempio, distinguere i controlli in base alla natura degli interessi che ne sono oggetto.

In particolare, i controlli interni dovrebbero essere finalizzati alla tutela di interessi interni alla società, quindi degli interessi degli azionisti; mentre la tutela degli altri interessi rilevanti, ad esempio quelli dei creditori, dovrebbe essere rimessa ai soggetti esterni.

Ancora, sarebbe necessario considerare l’aspetto dimensionale e gli assetti proprietari delle imprese. L’esigenza di una graduazione dei controlli e di una sempli- ficazione degli adempimenti è più forte nelle realtà di minori dimensioni e in quelle che presentano una compagine sociale ristretta, specie laddove vi sia una sostanziale corrispondenza tra soci e amministratori.

Infatti, in società di piccole dimensioni o a ristretta base partecipativa, l’esigenza di garantire i necessari controlli sulla gestione e sui conti dell’impresa va opportunamente contemperata con quella di evitare oneri procedurali e costi ingiustificati. Pertanto, in assenza di particolari interessi “esterni” da tutelare, come quelli degli azionisti di minoranza, sarebbe auspicabile rimettere determinate scelte di natura organizzativa all’autonomia contrattuale.

Si prenda l’esempio degli amministratori di minoranza: pur non trattandosi di controllori in senso stretto, ha davvero senso prevederne la presenza anche in società di piccole dimensioni e/o a ristretta base partecipativa? Per giunta, in un modello – quello attuale delle società quotate – che vede la compresenza di questa figura – e del voto di lista, che rappresenta esso stesso un appesantimento procedurale – con quella degli amministratori indipendenti. Ai quali pure è rimesso il compito di assicurare un’efficace dialettica all’interno dei lavori del consiglio.

Infine, bisognerebbe avere il coraggio di individuare soluzioni che abban- donino schemi concettuali obsoleti; che vadano oltre una cultura, tipica del nostro ordinamento, maggiormente attenta alla legalità formale invece che all’efficacia concreta, mettendo in discussione consolidate rendite di posizione.

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Amministrazione e controllo nelle società quotate

In questo discorso, potrebbe inserirsi, ad esempio, un ripensamento della stessa figura degli amministratori indipendenti. Infatti, gli scandali finanziari da un lato e le difficoltà di individuare con precisione i requisiti essenziali dell’indipendenza dall’altro dimostrano che l’istituto presenta profili critici.

Il punto di caduta ruota attorno al significato del termine indipendenza. Se con ciò si intende la libertà di giudizio, allora si tratta di un elemento che, lungi dal fondarsi su dati esteriori e generalizzati, attiene alla sfera interiore del singolo. Pertanto, più che una tipizzazione della figura dell’amministratore indipendente, occorrerebbe pensare a strumenti di verifica dell’agire indipendente.

In conclusione, le proposte di riforma dovrebbero tendere a un punto di equilibrio tra controlli efficaci e snellezza operativa, contemperando gli interessi in gioco e seguendo poche e chiare linee direttrici. La prima occasione utile per ripensare i modelli attuali non è lontana: il recepimento della direttiva c.d.

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Dall’adeguatezza degli assetti

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