Dall’adeguatezza degli assetti organizzativi al sistema monistico quale
2 La nozione di controllo in relazione all’obbligo di corretta amministrazione e di predisporre assetti organizzat
adeguati
Per intanto, al fine districarsi all’interno della pletora di soggetti e funzioni contemplate dal vigente sistema di controllo, può essere utile compiere un passo indietro e soffermarsi su alcune acquisizioni consolidate in tale materia.
Una prima acquisizione discende dalla nozione stessa di “controllo” e dall’evoluzione subita nel tempo da tale nozione. È opinione condivisa fra gli interpreti che essa sia molto diversa dall’origine; nel suo significato tradizionale rappresentava una verifica ex post rispetto ad un atto o ad un comportamento. Nel moderno diritto societario, il controllo è intrinseco e coessenziale alla funzione gestoria e riguarda essenzialmente la gestione del rischio; esso accompagna l’attività di impresa attraverso la valutazione delle strutture organizzative progettate e messe in esercizio dal management rispetto agli obiettivi di rischio prescelti. In altri termini, esso si pone come «elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa e del potere
amministrativo»5, compenetrandosi nella funzione gestoria. Si è quindi condivisi- bilmente affermato che, il controllo interno non riveste più solo una funzione di deterrenza, ma è divenuto funzione fisiologica della gestione, come strumento diretto a indirizzare e mantenere la direzione degli affari entro le regole vigenti6.
La nozione attuale di controllo discende dall’affermarsi del principio di
corretta amministrazione, quale paradigma dell’agire degli amministratori, e della
principale declinazione di detto principio, vale a dire l’obbligo di dotarsi di assetti
4 VEGAS, Op. cit., 11.
5 Così FERRO LUZZI, Per una razionalizzazione del concetto di controllo, in AA. VV., I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di Bianchini e Di Noia, Milano 2010, 115.
6 Cfr. MONTALENTI, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 52; v. anche CHIAPPETTA, Il sistema di controllo interno tra compliance normativa e attività gestionale, in Riv. dir. soc., 2013, 555, per il quale «il sistema di controllo interno è primariamente momento e strumento “gestionale”; momento, perché è parte precipua dei doveri degli amministratori di predisporre l’organizzazione e che la stessa sia adeguata; strumento, perché è il modo per avere completa visibilità prima e intervenire poi sull’organizzazione».
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Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Consob
Amministrazione e controllo nelle società quotate
organizzativi adeguati. Essi sono stati per la prima volta introdotti, per le società
quotate, dall’art. 149 TUF, venendo successivamente estesi a tutti i tipi societari dall’art. 2403 Cod. civ., come novellato dal d.lgs. n. 6/20037.
La portata dei principi di corretta amministrazione, peraltro, non è stata immediatamente colta da tutti gli interpreti, essendo questi principi collocati fra gli obblighi a carico del collegio sindacale. Tuttavia, costituisce oggi un dato largamente condiviso che essi costituiscano la clausola generale per eccellenza alla quale gli amministratori debbono improntare la loro attività; l’osservanza delle regole, anche tecniche, in cui si sostanzia la correttezza dell’agire dell’organo amministrativo, è divenuta il punto di riferimento fondamentale in rapporto a cui valutare l’operato e la responsabilità degli amministratori. Non manca, invero, in dottrina, chi ritiene che tali principi costituiscano un’ipostatizzazione della categoria civilistica della diligenza professionale richiesta dall’art. 2932 Cod. civ., o che essi comunque fossero già impliciti nella funzione gestoria della società.
Di contro, in relazione a queste critiche, ho già avuto modo di rilevare, da un lato, come diligenza e corretta amministrazione non siano sovrapponibili, costituendo la prima il metro di valutazione dell’adempimento, e la seconda un vero e proprio obbligo a carico degli amministratori; da ciò discende che il richiamo all’obbligo di corretta amministrazione non si esaurisce in una sustanziazione del concetto di diligenza, ma ha un proprio autonomo contenuto precettivo, ricavabile attraverso modelli di condotta già consolidati dall’esperienza ed a standards appartenenti alla prassi ed alle scienze aziendalistiche. Dall’altro lato, ho osservato che, per quanto fossero da ritenersi ormai acquisiti l’importanza del ruolo e degli aspetti organizzativi nella gestione delle imprese ed i loro riflessi sugli obblighi dell’organo amministrativo, tuttavia – in difetto dell’esplicita previsione normativa contenuta nell’art. 2403 Cod. civ. – non fosse possibile ritenere che l’obbligo di dotarsi di assetti adeguati, quale espressione dell’obbligo di corretta amministrazione, fosse già presente nel nostro ordinamento8.
È solo con la riforma del 2003 (anticipata, per le quotate, dall’emanazione del TUF), dunque, che il catalogo degli obblighi degli amministratori è stato esteso, per il tramite del principio di corretta amministrazione, all’obbligo di costituire e mantenere assetti organizzativi, amministrativi e contabili (adeguati).
Detto obbligo rappresenta, come si è anticipato, l’unica espressa esplici- tazione – sul piano normativo – del principio di corretta amministrazione. Va peraltro rilevato che l’attenzione dei giuristi, almeno inizialmente, si è soffermata sul significato della clausola generale dell’adeguatezza, applicata agli assetti, molto più intensamente che sull’oggetto in cui si sostanzia l’obbligo di corretta amministra- zione, corrispondente al contenuto da dare agli assetti affinché rispondano a tale obbligo. Non vi è dubbio che, essendo quest’ultima materia di derivazione azienda-
7 Per un parallelo fra l’art. 149 TUF e l’art. 2403 Cod. civ. v. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano 2005, 69 ss.
8 Per una sintesi delle argomentazioni, nonché per gli opportuni riferimenti, v. si vis IRRERA, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in Riv. dir. soc., 2011, 361 ss.
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listica, possa esservi una certa ritrosia da parte dei giuristi a misurarsi su di essa; ma l’impressione è che, sino a quando non si affronterà funditus l’argomento, anche le riflessioni più autorevoli sul significato applicativo dell’adeguatezza trasmettano un senso di generale “inadeguatezza”.
Diviene dunque prioritario, prima di discettare in merito all’adeguatezza degli assetti, sforzarsi di stabilire come essi debbano essere costituiti in concreto9.
Dall’esame delle disposizioni in materia si può individuare una precisa linea di tendenza nel settore dei controlli societari, che corrisponde, da una parte, alla precisa individuazione delle responsabilità nei compiti e nelle funzioni, nonché delle deleghe e dei poteri di ciascuna funzione; dall’altra parte, ad una progressiva “procedimentalizzazione” dell’attività gestionale della società, che sembra peraltro pervadere ed ispirare tutta la più recente legislazione di impresa, anche in settori estranei a quelli del controllo societario: mi riferisco, in particolare, alle disposizioni in tema di sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008); alle norme concernenti la responsabilità delle persone giuridiche (d.lgs. n. 231/2001), con i conseguenti obblighi di adottare un modello organizzativo idoneo a scongiurare il compimento di reati implicanti la responsabilità amministrativa della società e di munirsi di specifico organismo di vigilanza sul rispetto di tale modello; alle disposizioni in materia di antiriciclaggio (d.lgs. n. 231/2007). Interventi legislativi, questi, che mi sembrano costituire la miglior riprova di un filo conduttore che ruota attorno alla creazione di una struttura organizzativa aziendale idonea a consentire, in via generale, il corretto svolgimento dell’attività di impresa.