3.2 Knowledge Management
3.2.1 Introduzione e quadro epistemologico
Il termine Knowledge Management (KM) è ampiamente dibattuto, dunque non è facile darne una definizione univoca e completa. In generale, il KM riguarda strumenti, tecniche e strategie per immagazzinare, analizzare, organizzare, migliorare e condividere la conoscenza di un business.153
Una parte del problema consiste nella differenza tra conoscenza e informazione, la cui separazione non è quasi mai facilmente delineabile. Tuttavia, molti studiosi sono concordi nel considerare la seconda una conoscenza discontinua e “pacchettizzata”. Dunque, la gestione delle informazioni è solo un sottoinsieme del KM.154
Dal nostro punto di vista, il KM può essere considerato una sorta di sociologia applicata, in quanto la definizione di cui sopra si applica a comunità su diverse scale, seguendo in gran parte l’approccio frattale già visto.
1. Comunità di pratica. Si tratta dell’unità di base del KM. Di solito è costituita dal dipartimento di un’azienda, e in particolare lo studio del Research&Development Department (R&D) riveste un ruolo di primo piano, in quanto in esso viene generata e diffusa nuova conoscenza.155 Un’altra comunità di notevole importanza
è quello delle Information&Communication Technologies (ICT), considerata una «infrastruttura critica» in molte aziende.
2. Intercomunità. Sono comunità che dialogano tra di loro, scambiandosi conoscenza, socializzando, etc. Di solito le intercomunità si formano tra diversi dipartimenti delle aziende, ma in casi particolari possono anche consistere in diverse piccole aziende che hanno frequenti contatti tra di loro.
152Ci sono molti aneddoti su come Feynman inventasse nuovi grafici che consentivano di interpretare in modo nuovo problemi “irrisolvibili”. Inventare da sé gli strumenti che occorrono per risolvere una situazione sembra essere una caratteristica delle menti brillanti.
153Cfr.Groff e Jones,2003, p. 2. 154Cfr.Hislop,2005, p. 105-106.
155A mio parere, molti dipartimenti R&D sono zone di scambio forzate, in cui una istituzione, l’azienda, obbliga esperti di diverse aree a collaborare per raggiungere certi obiettivi. Se l’azienda ha una buona politica delle risorse umane, allora potrebbe esserci un clima tale da rendere la collaborazione più spontanea (e meno forzata).
3. Reti. Più aziende di medie e grandi dimensioni formano complessi network in cui la conoscenza è un bene di grande valore. Dunque l’ottimizzazione nella sua diffusione e gestione da parte dei vari attori della rete è di primaria importanza. Inoltre, la diffusione delle ICT ha creato nuovi tipi di organizzazioni, in cui attori fisicamente lontani l’uno dall’altro perseguono obiettivi comuni, agendo di fatto in modo simile ad una rete.
4. Processi globali. Negli ultimi anni la globalizzazione ha aggiunto un ulteriore livello di complessità, che consiste negli scenari globali. La loro complicazione sta in primo luogo nello stabilire quali sono gli attori globali da considerare in un certo processo, e in secondo luogo quali siano i modi per gestire la conoscenza su una scala tanto ampia. Uno dei problemi fondamentali è che la conoscenza a disposizione su questo livello è troppa per i normali metodi di analisi, dunque la ricerca prova ad applicare gli algoritmi per i Big Data. Tuttavia, la scelta di quali siano i dati rilevanti e come essi vadano pacchettizzati nei programmi informatici è questione dibattuta.
Perché la conoscenza nelle aziende ha valore? Perché dona il potere di fare o non fare alcune azioni. Ad esempio, sapere che un’azienda concorrente ha sviluppato un certo prodotto può portare il dirigente di un’altra azienda ad abbandonare un mercato. Oppure, sapere che il dipartimento ICT utilizza un software per certe analisi, può evitare noiosi e lunghi calcoli agli ingegneri del R&D. Ancora, se il dipartimento delle Risorse Umane (Human Resources, HR) ha creato un buon clima organizzativo, con regole di lavoro più flessibili e occasioni in cui i membri di un dipartimento possono socializzare e conoscersi, si avrà un ottimo team building che migliorerà i processi produttivi.
Ovviamente, non tutti i settori produttivi sono knowledge-intensive allo stesso modo. Ad esempio, i ristoranti o le imprese di pulizia hanno una bassa “densità” di conoscenza, mentre l’industria aerospaziale dipende fortemente dalla creazione e dalla diffusione di nuove conoscenze.
Dopo questa breve panoramica del KM, bisogna evidenziare che essa ha notevoli problemi epistemologici. Purtroppo, pochi studiosi se ne occupano, forse a causa della intrinseca prospettiva manageriale della materia. Spesso, infatti, nei manuali di KM l’epistemologia riguarda solo il rapporto tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita, e in particolare i metodi con cui la prima può trasformarsi nella seconda (metodi di esplicazione). Questo perché una conoscenza tacita è legata alla persona (o al gruppo) che la possiede. Se egli decide di andare a lavorare altrove, l’azienda perde conoscenza, e dunque perde valore. Al contrario, la conoscenza esplicita, come la si intende nel KM, è formalizzata e, per quanto possibile, organizzata. Essa non richiede necessariamente contatti sociali per essere trasmessa. Dal punto di vista della business administration, quindi, è un tipo di conoscenza più economica. Come in tutti gli scambi commerciali, convertire una risorsa rara, costosa e difficilmente trasferibile (conoscenza tacita) in una economica e facilmente trasferibile (conoscenza esplicita) è un obiettivo auspicabile e frequentemente incentivato.
La visione (errata) da cui partivano i primi studi era che ogni tipo di conoscenza tacita potesse essere esplicato. Questo posizione è stata un presupposto filosofico implicito presente in quasi tutta la cosiddetta «letteratura di prima generazione» del KM.Scarbrough, Swan e J. Preston [1999] ha coniato questa espressione e ha effettuato una revisione dei testi, osservando che solo il 5% di essi consideravano l’esistenza di ulteriori forme di conoscenza che non fossero le informazioni inseribili in
un computer. In seguito, nuovi studi hanno mostrato l’ampiezza delle diverse posizioni epistemologiche adottabili nella materia, riuscendo a diversificare gli approcci.
I diversi approcci epistemologici al KM possono essere raggruppati in due sezioni, pur con molte variazioni: prospettiva oggettivista (objectivist perspective) e prospettiva pratica (practice-based perspective). Entrambe adottano la seguente distinzione dei livelli di conoscenza.
1. Dati. Sono numeri grezzi, immagini, parole e suoni ottenuti da osservazioni e misure.
2. Informazione. Sono dati organizzati secondo un criterio di significato, cioè secondo un certo schema (pattern). L’organizzazione dei dati è fatta tramite un qualche «input intellettuale», che richiede una mente umana o un programma. 3. Conoscenza. È costituita da dati e informazioni con uno spesso strato di analisi
intellettuale, che interpreta e dà un significato ad essi. I significati ottenuti vengono collegati ai sistemi di credenze e ai corpora di conoscenza già esistenti. Si noti che nel KM i programmi di analisi dei dati sono trattati come “esseri umani indiretti”, perché sono capaci di fare solo ciò per cui gli esseri umani li hanno programmati. Dunque, non esistono sostanziali differenze nel modo in cui i dati sono stati organizzati da una macchina o da un uomo, perché la macchina può ordinare i dati solo secondo pattern decisi da uomini. Non si intende sminuire l’efficienza e la velocità che essa possiede nello svolgere certe operazioni, ma si mette in evidenza il fatto che nessuna macchina può inventare un nuovo pattern secondo cui ordinare i dati.
Inoltre, vorrei osservare che, sia in questa classificazione che negli studi sulla cono- scenza tacita, l’interpretazione riveste un ruolo fondamentale nel conferire significato ad un insieme di dati (KM) o stringhe (Collins).156
Tuttavia, nel KM la relazione tra dati, informazione e conoscenza non è unidirezio- nale. Dalla conoscenza possono essere estratti o ricavati in qualche modo nuovi dati o informazioni da poter rielaborare, dunque i rapporti tra i vari livelli sono dinamici.
La posizione oggettivista considera l’esistenza della conoscenza indipendente dagli uomini e codificabile in tutte o gran parte delle circostanze, completamente autonoma rispetto alle persone che la possiedono. Inoltre valgono le seguenti proprietà.
1. La conoscenza è un’entità/un oggetto. 2. La conoscenza riguarda fatti oggettivi.
3. La conoscenza esplicita è oggettiva, quella tacita è soggettiva. 4. La conoscenza deriva da un processo intellettuale.
Hislop nota che la posizione oggettivista è la riproposizione manageriale della filosofia positivista.157 Come vedremo più avanti, questa è la posizione di Nonaka, uno
dei fondatori del KM, il quale, inoltre, ritiene che la conoscenza esista solo a livello individuale, mentre altri oggettivisti ammettono l’esistenza di un livello comunitario; un esempio sono le routine organizzative, difficilmente codificabili.
Secondo gli oggettivisti, la conoscenza è sempre trasferibile tramite il cosiddetto «modello a condotto» (conduit-model). Immaginiamo una linea di comunicazione agli
156Collins,2010, p. 20 e ss. 157Hislop,2005, p. 17.
estremi della quale ci sono due persone, un mittente e un ricevente. Il mittente, isolato dal ricevente, produce una conoscenza esplicita e la trasferisce in remoto al ricevente. Questo, secondo il modello, è capace di comprenderla e usarla allo stesso modo del mittente, senza altri tipi di interazione. Inoltre, si assume che nessun aspetto importante della conoscenza si sia perso durante il processo di trasferimento, e che entrambi attribuiscono, al termine dell’operazione, gli stessi significati alla conoscenza.
Oggi le posizioni oggettiviste si sono gradualmente ammorbidite, soprattutto grazie agli studi sulla conoscenza tacita e sulla sua importanza nelle organizzazioni.
L’altra posizione, invece, è una vera e propria «epistemologia della pratica»158 con le seguenti caratteristiche.
1. La conoscenza è immersa in una cultura, socialmente costruita e contestabile. 2. La conoscenza è incorporata nelle persone.
3. Conoscenza tacita ed esplicita sono inseparabili e mutualmente costitutive (mutually constituted).
4. La conoscenza è immersa nella pratica.
Lo sviluppo della conoscenza è visto come un processo continuo e ininterrotto che passa attraverso le attività e le abitudini dei membri di una comunità. Questa posizione è condensata spesso nella frase: «La pratica connette ‘sapere’ e ‘fare’».159Da questo punto di vista, ogni lavoratore è sempre un “lavoratore della conoscenza”, perché ogni attività la presuppone e la crea.
L’inseparabilità tra conoscenza tacita ed esplicita pone dei seri limiti alla codificabi- lità: anche un semplice testo, ad esempio un regolamento aziendale, presuppone sempre elementi taciti. Il modello del condotto non funzionerebbe, perché ogni conoscenza esplicita è intrecciata con una conoscenza tacita.
Di norma i sostenitori di questa prospettiva condividono le dicotomie tacito-esplicito e individuo-gruppo solo fino ad un certo punto. Infatti, sebbene siano didatticamente utili alla comprensione dei meccanismi di creazione e diffusione della conoscenza, i confini tra le due parti delle dicotomie sfumano in una grande varietà di situazioni.160
Le due prospettive si riflettono nei modi diversi di pensare l’azienda. Nella posi- zione oggettivista, l’obiettivo del manager è rendere coerente e unitaria la conoscenza distribuita all’interno dell’organizzazione. Nella posizione pratica, invece, poiché la conoscenza è intrinsecamente frammentata e dispersa, l’obiettivo è fare in modo che le varie comunità dell’organizzazione abbiano una conoscenza in comune e abbiano occasione di aumentarla e migliorarla.
Se, ad esempio, ci fossero problemi di comprensione tra i reparti di produzione e quello R&D, ad esempio riguardo la fabbricazione di alcuni prototipi, un manager oggettivista cercherebbe la coerenza tra i due gruppi, attraverso regolamenti rigidi ai quali i dipartimenti dovrebbero adeguarsi, ma in questo modo si creerebbe scon- tento. Un manager pratico, invece, proverebbe a tradurre le richieste dell’uno nel linguaggio dell’altro, consapevole della differenza di conoscenza tacita. Per finire, un buon dipartimento HR pone sempre la massima attenzione alle comunità che si creano nell’organizzazione e dunque di base dovrebbe essere pratico e anti-oggettivista, favorendo le interazioni sociali tra i dipendenti dell’azienda.161
158Cook e Brown,1999, p. 383. 159Gherardi,2000.
160Cfr. ad esempioTsoukas,1996.
161La ricerca diScarbrough, Swan e J. Preston[1999] mostra, non a caso, che il dipartimento delle risorse umane è quello meno nominato nella letteratura di prima generazione del KM.