4.2 Percezioni e aspettative
4.2.3 What if ?
A quanto visto, sembra che la affordance ignori la capacità dell’attore di imma- ginare usi nuovi e originali degli oggetti, oppure complesse azioni da effettuare in una situazione. Ritengo questa caratteristica fondamentale, perché un esperto e un non-esperto, di fronte alla medesima situazione, si distinguono proprio per l’abilità del primo nell’interagire mettendo a frutto le proprie profonde conoscenze ed esperienze, da un lato, e la propria immaginazione e creatività, dall’altro. Questo non significa ovviamente che il non-esperto non possa immaginare possibili azioni da compiere. La mia tesi è che quando il non-esperto utilizza la sua immaginazione applicandola ad una certa situazione, egli non sia in grado di percepire delle aspettative nello stesso modo
189Per questo esempio e le sue conseguenze nella comunicazione umana, cfr.Watzlawick et al.,1971, p. 41-44.
in cui lo fa un esperto. Per chiarire cosa intendo con questa considerazione, dobbiamo occuparci di psicologia cognitiva.
In questo campo, l’espressione what if è il modo con cui si formalizzano tutti i ragionamenti del tipo «e se. . . ?», dove al posto dei puntini sospensivi si inserisce uno stato della realtà, un’evento o un’azione che non è avvenuto nel passato, non avviene nel presente oppure potrebbe o meno avvenire nel futuro. I primi due casi sono quelli in cui il what if è più studiato, nell’ambito del cosiddetto «pensiero controfattuale» (counterfactual thinking).
Nonostante la filosofia abbia indagato spesso futuri e mondi possibili,190lo studio moderno di questo concetto comincia conKahneman e Tversky[1982a], che ipotizzano un tipo di euristica diverso da quella classica. Infatti, solitamente i procedimenti mentali euristici si basano sulle somiglianze e gli accostamenti (in parte casuali) che la nostra mente nota tra eventi o episodi, i quali vengono richiamati alla memoria e confrontati. Accanto a questo processo, però, i due autori parlano di una «euristica della simulazione», mediante la quale si costruisce mentalmente un modello di un avvenimento temporalmente esteso, per esaminarne contenuti e implicazioni. Inoltre, affermano che probabilmente la simulazione più utilizzata è il non-fatto (undone), riguardante tutti i quotidiani pensieri che seguono lo schema «e se non avessi fatto questa cosa?». Il non-fatto è il più comune esempio di pensiero controfattuale.
Ma la potenza del what if si apprezza pienamente quando si osservano i collegamenti tra il pensiero controfattuale e altri tipi di processi mentali. Ad esempio, il filosofo John Mackie riteneva che i ragionamenti causali, per essere definiti tali, devono superare il test del but for.191 Immaginiamo due eventi: un calice di vetro che si incrina fino a rompersi e la potente emissione di una nota acuta. Secondo Mackie, se siamo in grado di immaginare la stessa situazione in cui vediamo il bicchiere incrinarsi, ma senza la nota acuta, allora non inferiamo alcun legame causale tra i due avvenimenti. Si noti che il test richiede due passaggi: nel primo si immagina di disfare (undo) un evento, nel secondo si esaminano le conseguenze, e in particolare si cerca di vedere se è stato disfatto anche un certo altro evento. Dunque, la domanda «A è causa di B?» diventa «B sarebbe accaduto senza A?». In ambito giuridico, ma anche tra persone comuni, l’equivalenza tra queste due domande è considerata molto forte, praticamente una ovvietà. Se si chiede ad una persona quale sia la causa di un certo effetto, essa selezionerà un evento senza il quale (but for which) l’effetto non sarebbe stato prodotto.
Di solito, i futuribili, cioè gli eventi futuri (immaginati) che possono o meno accadere, non vengono considerati parte del pensiero controfattuale, in quanto manca il “fatto” da disfare. Le eccezioni a questa regola riguardano il disfacimento di fatti ritenuti “necessari”, anche se non avvenuti nella realtà. Ad esempio, in fisica alcuni Gedankenexperiment (esperimenti mentali) sono costruiti in modo da ignorare una o più leggi fisiche: «e se una sonda che gira attorno ad un buco nero, invece di caderci dentro, si fermasse, come vedrebbe l’orizzonte degli eventi?». Ovviamente, anche andare contro alcune regole matematiche o logiche viene di norma considerato pensiero controfattuale: «e se la somma degli angoli interni di un triangolo sul piano euclideo fosse maggiore di
180◦?», «e se la parte fosse maggiore del tutto?».
Ritorniamo ora all’ingegnere alle prese col pilastro. La sua domanda potrebbe essere: «e se utilizzassi il Windsor Probe Test per misurare la resistenza alla compressione?». Appare ovvio che questo non sia pensiero controfattuale, ma nonostante ciò siamo ancora nel campo dell’euristica della simulazione. Infatti, egli ipotizza che una corretta esecuzione del test sul pilastro possa dare un risultato significativo, al fine di misurare
190Per un excursus storico, cfr. ad esempioCraig[1997]. 191Cfr.Mackie,1974.
la resistenza alla compressione. Il risultato deve essere significativo in quanto deve collocarsi nel range dei possibili valori per cui è tarata la procedura.
Un altro esempio può chiarire questo punto. Supponiamo che una persona comune debba misurare il rumore ambientale in diversi luoghi: un aeroporto, una discoteca, un bosco. Disponiamo di un set di fonometri facili da usare, anche per chi non ha dimestichezza con le apparecchiature tecniche, che misurano il livello equivalente di pressione sonora Leq in decibel. La persona comune effettua le misurazioni e ottiene
rispettivamente i seguenti valori: 90dB, 110dB e 50dB. Ora chiediamo ad un esperto di acustica di fare le stesse misurazioni fornendo la stessa strumentazione. I valori da lui misurati sono: 90dB, 110dB e 30dB. Perché l’ultimo valore è diverso? Chiediamo ad entrambi quali azioni hanno compiuto e vediamo che il primo ha utilizzato lo stesso fonometro in tutti e tre gli ambienti, mentre il secondo ha utilizzato un fonometro diverso nel bosco. Questo perché l’esperto può immaginare che il rumore del bosco sia fuori scala per un fonometro adatto a misurare ambienti rumorosi come discoteche ed aeroporti, dunque ha scelto un fonometro con un fondo scala diverso. Il valore di Leq
del bosco fornito dalla persona comune è insensato, perché il fonometro era fuori scala. Questa capacità degli esperti di scegliere le azioni in base alla propria esperienza e conoscenza è un uso del what if diverso dal pensiero controfattuale, ma anche diverso dal what if della persona comune. Infatti, quest’ultima immagina che il fonometro usato nei primi due casi vada bene anche nel terzo; compie, cioè, una certa simulazione e si crea una determinata aspettativa. La quale, però, si rivela in qualche modo troppo “fantasiosa”, perché basata su una scarsa conoscenza dei fonometri e su un’inesistente esperienza nel loro utilizzo. La conoscenza del bosco da parte di entrambi era esattamente la stessa, e le affordance percepite identiche. Ma le aspettative dell’esperto sono temperate da ciò che sa e ha esperito. In un certo senso, possiamo dire che sono “simulazioni controllate”, più aderenti alla realtà. Partendo dalla stessa situazione (il bosco), l’esperto collega le affordance percepite grazie ai sensi (quanto rumore sento?) a tutti gli usi passati dei diversi tipi di fonometri, nei vari ambienti e nelle varie condizioni climatiche;192 il non-esperto, invece, pur percependo le stesse
affordance, si crea aspettative diverse.
Ricapitoliamo. Mentre le affordance erano troppo legate alle percezioni sensoriali, i what if possono produrre simulazioni troppo slegate dalla realtà; il focus delle prime è sull’oggetto, il focus delle seconde sul soggetto. Infatti, le affordance, per quanto vincolate da cultura, semantica, etc., variano relativamente poco da persona a persona, ma i what if variano di molto. Per i nostri scopi, invece, abbiamo bisogno di uno strumento intermedio e bilanciato, ma che allo stesso tempo tenga conto delle differenze qualitative tra le aspettative dell’esperto e quelle del non-esperto. Da un lato esso deve fornire un forte gancio con la realtà, come le affordance, dall’altro deve porre in gioco anche le complesse conoscenze ed esperienze proprie della persona, come i what if.