• Non ci sono risultati.

Teorie istituzionali della competenza

5.2 Istituzioni

5.2.2 Teorie istituzionali della competenza

Co-produzionismo

La teoria istituzionale più famosa è senza dubbio quella di Sheila Jasanoff, chiamata co-produzionismo. La nascita della parola co-produzione è il fatto che non esiste un termine per descrivere bene gli stretti intrecci tra scienza e tecnologia, da un lato, e norme e gerarchie sociali, dall’altro. Le dicotomie classiche, come natura/cultura, scienza/politica, fatto/valore, decadono, in quanto i confini sono troppo sottili e le parti sfociano l’una nell’altra. Anche all’interno degli STS ci sono grosse limitazioni, dovute alle barriere che gli studiosi ancora pongono tra conoscenza, cultura e potere.

Ma che cos’è la co-produzione? In generale, le attività umane sono divise tra quelle indirizzate alla società (economia, politica, etc.) e quelle indirizzate alla natura (fisica, chimica, etc.). Queste ultime comprendono anche le attività atte ad utilizzare le scoperte scientifiche per creare tecnologie. In questi due oggetti di studio, le attività dell’uomo mirano sempre a creare un qualche tipo di ordine, nel modo seguente.

1. Ordine naturale: è lo scopo di scienza e tecnologia, che producono fatti e artefatti in grado di riconfigurare la percezione della natura. Ad esempio, l’enunciazione della legge di gravità da parte di Isaac Newton ha cambiato il nostro modo di pensare non solo la caduta dei corpi, ma il concetto stesso di corpo naturale, diverso da quello aristotelico.

2. Ordine sociale: è lo scopo del potere e della cultura, che producono dispositivi in grado di regolare la società. Ad esempio, leggi, burocrazia, finanza, etica, etc. Ora, secondo la Jasanoff, questi due tipi di ordine non possono essere compresi l’uno senza l’altro. Ad esempio, l’invenzione della radio, pur essendo un prodotto della più avanzata fisica dell’epoca, ha modificato il nostro concetto di comunicazione. Grazie ad essa, i governi potevano entrare in tutte le case, nei bar, etc. In definitiva, potevano veicolare nuovi messaggi in modo istantaneo a quasi tutta la popolazione.

Per spiegare questo tipo di fenomeni, diciamo che i due tipi di ordine vengono co-prodotti dalle attività umane: essi si rinforzano l’un l’altro, creando condizioni di stabilità o cambiamento, riuscendo a consolidare o a diversificare le forme di vita sociale.

Probabilmente, la parte più difficile da comprendere è come l’ordine sociale possa influenzare quello naturale. Ma da Kuhn in poi sappiamo che anche nelle attività scientifiche e tecnologiche ci sono pratiche sociali, norme, convenzioni, etc. che hanno un significato solo nella cultura in cui gli scienziati sono immersi.

La co-produzione è perfettamente simmetrica nelle sue due parti. Infatti, nei rapporti tra i due tipi di attività umane, si possono avere tre posizioni possibili.

1. La scienza prevale sulla società. Gli scienziati producono un sapere di livello superiore, «uno specchio trascendente della realtà».243

2. La società prevale sulla scienza. Le attività degli scienziati sono un epifenomeno di superiori interessi politici e sociali.

3. La scienza e la società concorrono alle creazioni di ordine. La co-produzione da un lato richiama l’attenzione sulle dimensioni sociali della conoscenza scientifica, dall’altro sottolinea i «correlati» epistemici e tecnologici delle attività sociali. Per spiegare quest’ultimo punto, consideriamo un’attività come la propaganda totalitarista nella Germania degli anni ’30. Probabilmente, essa non sarebbe stata così efficiente senza l’ausilio della radio. Dunque, la radio è un correlato tecnologico di questo fenomeno sociale.

Anche le science wars possono essere interpretate nei tre modi sopra esposti.244 Sokal afferma che la scienza prevale sulla società; i costruttivisti affermano che la società prevale sulla scienza; i co-produzionisti affermano che i due ordini vanno considerati nel loro peculiare intreccio, ogni volta differente, ma sempre molto complesso.

Si badi che, per stessa ammissione della Jasanoff, il co-produzionismo non ha capacità predittive. Ad esempio, non può dire a priori quali saranno le ricadute sociali di una tecnologia, o le ricadute tecnologiche di una pratica sociale. Invece, essa funziona bene per interpretare fatti storici in cui l’intreccio è troppo forte per le analisi convenzionali. Questo, a mio parere, è il motivo per cui molti co-produzionisti sono storici della scienza e i testi co-produzionisti non approfondiscono quasi mai le fondamenta filosofiche di questo tipo di posizione. Infatti, il co-produzionismo è definito un «idioma» dagli stessi proponenti.

E le istituzioni? Abbiamo visto che il loro compito è creare e diffondere significati oggettificati. Ma un significato oggettificato è, per la Jasanoff, proprio il modo in cui l’ordine sociale si affianca a quello naturale, perché sappiamo che una tecnologia non solo risolve un problema, ma lo fa percepire in modo diverso.

Mi sembra dunque che il co-produzionismo ripercorra la mia distinzione tra compo- sizione e forma, ma in modo meno articolato da un punto di vista filosofico. Da un lato abbiamo un artefatto che risolve un problema, dall’altro una comunità che dà ad essa un significato. Grazie alla legittimità delle istituzioni, il significato può diffondersi e diventare normativo, generando nuovi fenomeni sociali. In questi fenomeni, il nostro artefatto funge da correlato tecnico-scientifico.

Perché questa teoria viene classificata come istituzionale? Ritengo che le motivazioni siano due. In primo luogo, il concetto di ordine, che le attività umane assegnano alla

243Jasanoff,2004, pag. 3, traduzione mia. 244Vedi paragrafo5.1.

natura e alla società, è squisitamente normativo. Ma questo non basta a creare una teoria istituzionale, perché anche Collins ed Evans, come abbiamo visto nel paragrafo1.1, sono partiti dal cercare un qualcosa di normativo. Infatti, e questo è il secondo punto, la normatività della Jasanoff e dei co-produzionisti si differenzia per il suo carattere mutevole: a seconda dei casi trattati, gli ordini co-prodotti cambiano e si modificano, sempre interagendo strettamente tra di essi. Dunque, nella teoria ci vogliono degli enti che rendano gli ordini normativi: essi per definizione sono le istituzioni. Nel nostro esempio della radio, ci vuole uno stato che ne promuova l’utilizzo, costruendo infrastrutture per la diffusione del segnale e stazioni radiofoniche che trasmettano musica, radiogiornali, etc.

Dunque, in questa teoria istituzionale la normatività non è un punto di partenza (come per Collins ed Evans), ma un punto di arrivo di cui gli studiosi devono spiegare nei diversi casi il come e il perché. Ciò che non muta è l’esistenza di istituzioni che promuovono attivamente la normatività di alcuni artefatti (i correlati), con le conse- guenze cognitivo-culturali che ben conosciamo. Inoltre, i co-produzionisti sembrano molto propensi ad una implicita tesi della separazione, in cui le istituzioni creano le regole del gioco e il resto della società tacitamente subisce l’ordine imposto.

Accenno infine ai due problemi più evidenti di questa posizione.

1. Linguaggio. L’idioma non è standardizzato, dunque non esiste una classificazione o un elenco dei concetti, possibilmente ben articolati, che un co-produzionista debba indagare o analizzare nei suoi studi. Nemmeno il concetto di istituzione è esplicitamente diffuso, perché a volte appare come un sostrato implicito che gli studiosi non si impegnano a caratterizzare.245

2. Approccio frattale. I co-produzionisti hanno problemi a stabilire quale sia il livello di ingrandimento nel quale gli ordini sono di volta in volta co-prodotti. La Jasanoff ne elenca alcuni: laboratori, comunità, culture, nazioni, stati, umanità intera. In genere gli studi si muovono abbastanza arbitrariamente tra i vari livelli, senza però spiegare come quelli superiori influenzino quelli inferiori, e viceversa. La mia idea, pienamente opinabile, è che il co-produzionismo sia la rivolta degli studiosi di STS contro il contruttivismo imperante nel loro campo, nel tentativo di giungere ad un qualche punto di equilibrio. Presi dall’obiettivo di spiegare scienza e società in modo parallelo e senza eccessi sui due versanti, i co-produzionisti, pur raggiungendo ottimi risultati nelle analisi storiche, non hanno mai analizzato con rigore i loro quadri filosofici. Per quanto sia interessante e fecondo, quindi, il co-produzionismo è abbastanza vago e non articolato; in definitiva, come attualmente formulato, esso non mi sembra un valido candidato a diventare un solido paradigma in teoria della competenza.

Infatti, appare evidente che la competenza giochi un ruolo del tutto marginale nel co-produzionismo. L’ordine naturale e sociale che le istituzioni (governi, università, associazioni di scienziati, etc.) impongono subisce una sorta di principio di opacità: il co-produzionista non si chiede mai come siano stati ideati o acquisiti i correlati scientifici e tecnologici che le istituzioni utilizzano. Egli parte dal fatto che esistano e che siano stati imposti, cercando di spiegare come sia avvenuta l’imposizione. Un velo

245Non vorrei infierire, ma nemmeno la legittimità è particolarmente cara ai co-produzionisti. A mio parere, spesso ci si ritrova con ricostruzioni delle attività di determinate istituzioni senza sapere come possano fare ciò che fanno, cioè da dove arrivi il loro potere. Questa cosa assomiglia molto ad una teologia in cui le istituzioni sono i nuovi idoli, che fanno e disfanno a loro capriccio il mondo dei comuni mortali (la società, le altre organizzazioni).

ricopre le attività esoteriche degli esperti, fatta eccezione per le influenze sociali che entrano anche nel laboratorio.

Questo spiega perché il co-produzionismo funzioni così bene per i casi storici, ma non abbia nessuna capacità predittiva sui casi futuri. Nei primi, infatti, l’imposizione dell’ordine è già stata compiuta, le influenze sociali si sono già fatte sentire, i correlati sono chiari ed evidenti. Nei secondi tutte queste certezze mancano. Dunque, l’idioma del co-produzionismo è il linguaggio del potere: le istituzioni dialogano con la società tramite esso, per riuscire ad imporre gli ordini.

CKSW Institutional Meta-Role Scheme

Passiamo ora ad un’altra teoria istituzionale della competenza, sviluppatasi al- l’interno della cosiddetta Service-Dominant logic (abbreviata in logica S-D). Dopo aver chiarito alcuni concetti chiave di questa prospettiva, analizzeremo la teoria della competenza che deriva da essa.

Nella teoria economica classica, la logica prevalente è quella dei beni, cioè la Goods- Dominant logic (abbreviata in logica G-D). La logica G-D ha funzionato bene per secoli, ma, come visto nel paragrafo2.2.4, negli ultimi decenni i servizi si sono sviluppati in maniera esponenziale. Dunque, essa ha reagito definendo i servizi come beni particolari con certe caratteristiche.

Poiché il mercato dei servizi ha raggiunto e, in alcuni settori, superato quello dei beni, Vargo e Lusch [2004a] introdussero un rovesciamento di prospettiva. Invece di considerare i servizi come beni particolari, proviamo a considerare i beni come installazioni di servizi. Ad esempio, se compro uno spremiagrumi, non ho comprato un bene, ma ho pagato ad un’azienda il suo servizio di produzione di spremiagrumi, ad un altra azienda il suo servizio di distribuzione di spremiagrumi, etc.

Mentre nella logica G-D ad ogni bene è assegnato un valore oggettivo, nella logica S-D il valore dei servizi è co-creato durante l’interazione tra fornitore e cliente.246 In

questa prospettiva, è evidente che le risorse più importanti per i vari attori in gioco sono conoscenza e abilità (skill).

Nella logica S-D vige una distinzione fondamentale tra due tipi di risorse.247 1. Risorse operande. Sono quelle sulle quali sono compiute azioni al fine di produrre

un effetto.

2. Risorse operanti. Sono quelle impiegate per agire su altre risorse (operande o operanti).

Le caratteristiche di questi due tipi variano molto in base agli autori. Seguendo i fondatori della logica S-D, Vargo e Lusch, le risorse operande sono tangibili, inerti, e statiche, mentre quelle operanti hanno la caratteristica di produrre potenzialmente valore. Ad esempio, i materiali grezzi sono risorse operande, perché vengono comprati e lavorati; d’altra parte, relazioni interpersonali, cultura di riferimento, routine organiz- zative, affidabilità, fama del brand, etc. sono considerate risorse operanti. Tra queste, la maggior parte degli studiosi inserisce anche conoscenze e abilità.

246Abbiamo trattato la co-creazione nel paragrafo2.2.4. Aggiungo che oltre a fornitore e cliente il valore è dato anche da altri partecipanti, come messo in evidenza daVargo e Akaka[2009]. Si noti che tra gli assiomi della logica S-D è esplicitamente richiesto che il beneficiario (quasi sempre il cliente) debba co-creare valore.

247Distinzione creata originariamente inConstantin e Lusch[1994], ben prima che si pensasse alla logica S-D.

Tuttavia, due informatici neozelandesi, Martin e Maryam Purvis, hanno costruito una teoria della competenza che si basa sulla differenziazione di queste due risorse. Infatti, essi notano che un attore abile (skilled) può impiegare la propria abilità su una certa conoscenza in modo da produrre un effetto.248 In altre parole, viene affermato

che le abilità sono risorse operanti e le conoscenze risorse operande; queste ultime sono intese come modelli passivi e ideali di ciò è considerato “reale”, mentre le prime sono capacità attive di operare in certi contesti. Dunque, le abilità sono il know-how e le conoscenze sono il know what.

Come Nonaka,249anche i Purvis ritengono che ogni conoscenza possa essere esplicata. Fondano questa tesi sulla cosiddetta sentential assumption di Beth Preston:

Più nello specifico, si assume che la rappresentazione del mondo sia articolata e sistematica, e che la manipolazione di queste rappresentazioni tra entrata e uscita (input and output) sia logicamente perspicua. I processi mentali sono, in breve, concepiti come quasi-linguistici in essenza; quindi mi riferisco a ciò come sentential assumption.250

Inoltre, essi ritengono che la diffusione del termine «conoscenza tacita» sia stata foriera di numerosi equivoci e problemi linguistici. Tuttavia, preferiscono porsi per precauzione in una posizione in cui l’unica conoscenza sia quella esplicita, evitando quindi un confronto diretto sia con Polanyi, sia con i moderni studi nel knowledge management.251 Ripercorrendo le cinque fasi di Dreyfus,252i Purvis dichiarano che

l’importanza della conoscenza è stata sopravvalutata, rispetto alle abilità: la prima non è altro che un dispositivo (appliance) finalizzato all’acquisizione e all’utilizzo delle abilità. Questo non vuol dire che la conoscenza sia inutile. Grazie allo sviluppo del settore ICT, però, l’accumulazione e la distribuzione della conoscenza richiede di gran lunga meno sforzi e minor tempo. In questo quadro, ciò che rimane da apprezzare sono le abilità degli uomini.

In modo originale, i Purvis affermano che il concetto di affordance253 possa essere applicato con successo anche alla conoscenza. Infatti, se la conoscenza è una struttura o modello mentale, allora noi possiamo utilizzarla in modo strumentale, proprio come se fosse un martello. Quindi, ad ogni conoscenza associamo i diversi utilizzi possibili, cioè una affordance oggettuale.

Inoltre, ogni struttura conoscitiva (knowledge structure) è tanto più utile quanto più libera dal contesto. Ad esempio, il valore dell’accelerazione di gravità cambia in ogni punto della superficie terrestre, in base a molti parametri (distanza dal centro della terra, densità locale della crosta, etc.). Tuttavia, se consideriamo il valore di 9, 78m/s2, esso può essere utilizzato in una vasta gamma di situazioni. Dunque, le

conoscenze con più ampie affordance sono quelle meno legate al contesto.

Ora mettiamoci nel punto di vista dell’attore abile che compie alcune azioni, ad esempio mentre guida un’auto. In primo luogo, egli richiama le strutture conoscitive che gli occorrono, prendendole dai suoi «scaffali mentali»:254il significato dei cartelli

stradali, la strada da percorrere, etc. Tuttavia, questo non basta: nessuno guida l’automobile pensando a come funzionano motore, penumatici, frizione, etc. Infatti,

248La terminologia dei Purvis si basa sulla multi-agent systems theory, che usa il termine agente e non attore. Ho però preferito evitare confusione.

249Vedi paragrafo3.2.2.

250B. Preston,1993, pag. 48-49, trad. mia. 251Vedi paragrafo3.2.

252Vedi paragrafo1.3. 253Vedi paragrafo4.2.2. 254Wood et al.,1976, p. 90.

Tabella 8 – Schema dei meta-ruoli istituzionali CKSW in M. K. Purvis e M. A. Purvis

[2012].

Meta-ruoli

Attività

Esempi storici

Esempi moderni

Comandanti

Decision making

Governatori

Amministratori

Re

Generali

Capitribù

Alti dirigenti

Sapienti

Accumulo e ampliamento del know-what

Filosofi

Scienziati

Accademici

Professori

Clero

Periti

Esecuzione del know-how e commercio

Artigiani

Professionisti

Commercianti

Tecnici

Artisti

Lavoratori

Esecuzione di compiti di routine

Allevatori

Operai

Agricoltori

le abilità coinvolgono azioni troppo rapide per essere codificate mentalmente come strutture conoscitive. Quindi, le abilità sono qualitativamente diverse e irriducibili ad un accumulo di conoscenze.

I Purvis concepiscono le istituzioni seguendo la trattazione storico-dinamica diGreif

[2006], che in pratica giunge alle stesse conclusioni di Scott: un’istituzione è un insieme di credenze, regole, norme, obiettivi, narrative e organizzazioni. L’unica differenza è formale, perché Scott inserisce le narrative all’interno delle credenze cognitivo-culturali, mentre gli obiettivi sono inclusi nelle norme.255 Inoltre, Greif ritiene che un’istituzione

possa essere formata anche da più organizzazioni, mentre Scott in questi casi preferisce considerarle come diverse istituzioni che cooperano strettamente tra di loro. La nascita delle istituzioni, in questo quadro, produsse storicamente una certa stabilità dei comportamenti, una base sicura che ha generato specializzazioni, cooperazioni e commerci. Da questo punto di vista, anche per Greif vale la tesi della separazione debole.

Basandosi su studi antropologico-filosofici,256i Purvis arrivano a classificare quattro

tipi di competenze che si trovano in ogni istituzione, indipendentemente dalla cultura e dalla società di riferimento. La tabella8 riassume quelli che vengono chiamati dagli autori «meta-ruoli istituzionali».

1. Comandante (Commander). Colui che possiede autorità e potere coercitivo sull’istituzione.

255Anche Greif in diverse occasioni utilizza la classificazione tripartita classica: regole, norme, credenze.

256Sembra che una notevole base sia stata fornita dai neo-confuciani comeWang[1963], dal sistema indiano delle caste e dalla tripartizione platonica dell’anima.

2. Sapiente (Knowledge holder). Colui che possiede, gestisce e può trasmettere il sapere istituzionale.

3. Perito (Skill holder). Colui che padroneggia un’abilità. Storicamente, sono gli artigiani che hanno anche avviato il commercio delle loro creazioni.

4. Lavoratore (Worker). Colui che non è specializzato, ma può adattarsi a molti diversi compiti. I lavoratori costituiscono la maggior parte della popolazione. I tipi formano in inglese l’acronimo CKSW, che dà nome alla teoria.

Ovviamente, gli autori ammettono che i meta-ruoli sono riduttivi. Ad esempio, anche un lavoratore ha conoscenza e abilità. Tuttavia, esse non sono fondamentali nell’esecuzione delle sua attività lavorative, oppure sono così diffuse da non essere considerate di particolare pregio. Inoltre, non essendo ruoli, ma meta-ruoli, un indi- viduo può interpretare differenti tipi anche nella stessa istituzione. Grazie a questa classificazione, i Purvis analizzano alcuni casi aziendali. Ne riporto due.

Il primo caso riguarda la Mazda Motor Corporation. Nonaka e Zhu [2012] ha mostrato che, durante un periodo di crisi, i dirigenti scelsero alcuni tecnici specializzati, li istruirono per due settimane e li mandarono a vendere auto porta a porta. Questo portò ad un aumento di400.000 auto vendute nei successivi sette anni. Perché?

In primo luogo, i clienti erano entusiasti della conoscenza dei tecnici. Infatti, essi conoscevano bene come erano state costruite le auto e riuscivano ad esporre tutti i dettagli richiesti. Inoltre, mostravano una estrema familiarità con i vari modelli. Non erano venditori con una mera conoscenza di seconda mano. In secondo luogo, i tecnici riuscivano a capire bene le esigenze dei clienti e proponevano idee originali per il reparto produzione.

Il secondo caso riguarda la Mayekawa Manufacturing Company, un’azienda che produce macchine industriali per altre aziende. Von Krogh et al.[2000] ha descritto il peculiare sistema in cui essa è strutturata: divisa in circa cento piccole aziende sussidiarie locali, ognuna con circa25 dipendenti. In ogni sussidiaria c’è un clima che permette di valorizzare gli impiegati, anche attraverso lo scambio periodico dei compiti. In questo modo, ognuno può dimostrare il proprio valore nell’esecuzione di un certa mansione, piuttosto che su un’altra. Inoltre, gli impiegati vengono anche spostati da una sussidiaria ad un’altra, per diffondere il know-how aziendale.

Di norma, la Mayekawa lavora a stretto contatto con i clienti. Per la produzione della Toridas, una macchina che dissossa i polli, gli ingegneri hanno frequentato alcune selezionate aziende di produzione alimentare per diversi mesi. Il risultato è che i suoi competitori non hanno mai saputo replicare l’efficienza della Toridas.

Questi casi mostrano che i meta-ruoli possono essere utili chiavi di interpretazione. Ad esempio, i venditori della Mazda hanno “oggettificato” le proprie abilità, riuscendo a trasformarle in conoscenze da poter comunicare. Allo stesso modo, gli ingegneri della Mayekawa hanno studiato le abilità degli impiegati nel settore alimentare per capire